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Il Realismo

letteratura



Il Realismo


L'Italia della seconda metà dell'800 vede l'affermazione dell'industrializzazione e della borghesia, accompagnata a un maggior sviluppo della tecnologia. Questo ha due conseguenze principali:

In ambito filosofico: si assiste all'avvento del Positivismo (testo di base di tale corrente è il "Corso di filosofia positiva" di Comte).

In ambito letterario: è significativo il trionfo della prosa, la crisi della poesia e l'affermarsi di una letteratura realistica. La letteratura passa dall'individuo alle masse.




IL POSITIVISMO

Il positivismo è un composito indirizzo filosofico: è il sostegno della borghesia. Nato in conseguenza allo sviluppo economico capitalistico, diventa giustificazione ideologica del sistema capitalistico e della borghesia, sul piano teorico e del pensiero. In seguito questa filosofia diventa mentalità comune: piano piano perde lo spessore di una filosofia profondamente elaborata e diventa incarnazione dei luoghi comuni della borghesia. L'interpretazione di Comte sviluppata nel "Corso di filosofia" è infatti completamente differente dall'interpretazione della massa: una società massificante e spesso banalizzante. La borghesia industriale non accetta di mettere in discussione le proprie certezze e, al contrario, preferisce piegare i complessi ideologici che le sono presentati (in questo caso proprio il Positivismo) alla propria ristretta visione di luoghi comuni: partendo dalla convinzione di fare il progresso, omologa tutto a se stessa. Il Positivismo si trasforma così in un banale alibi per giustificare il sistema capitalistico e il potere della borghesia. In Italia è quindi visto solo come moda e apprezzato e criticato sulla base incerta di luoghi comuni: nessuna delle due parti partiva da basi filosofiche consistenti.

Il Positivismo, nato in Francia nella prima metà dell'800, e diffusosi in Europa nella seconda metà del secolo, rappresenta la filosofia che, diventando positiva, riconosce come unico e vero sapere quelle delle scienze, cioè il sapere sperimentale. Ciò che la scienza non può raggiungere perde valore e l'unico valido progresso è quello scientifico: la filosofia non ha più come ambito di studio ciò che non è raggiungibile nella scienza (come per esempio la metafisica; snatura inoltre gli elementi umanistici). Il cammino della scienza è inarrestabile e di conseguenza lo è anche quello del progresso: è questa una visione ottimistica, caratterizzata da un nesso inscindibile fra progresso e scienza. Questo concetto fu però brutalizzato dalla borghesia e ne divenne la copertura ideologica dell'avidità capitalistica. 757b12h

Per Comte "progresso è felicità", vista come qualcosa di sperimentale; tale affermazione in Italia viene tradotta come "felicità = benessere economico".

Il presupposto del discorso riguardo a scienza e progresso è il Determinismo, che si basa sulla convinzione che la possa interpretare la natura e che i fenomeni siano spiegabili, perché tutti in stretta relazione tra di loro, legati da rapporti di causa-effetto e spiegabili quindi sulla base di questi. La realtà perde quindi tutto ciò che di misterioso c'era per i romantici. La filosofia positiva ritiene che tale atteggiamento scientifico ed ottimista debba essere esteso a tutti gli aspetti del reale, anche alla letteratura.

La principale conseguenza di tutto ciò fu l'arroganza e l'intolleranza dei borghesi, che pensarono che il mondo dovesse divenire borghese; l'aggressività filosofica diventò aggressività sociale e soffocò le forme autonome. I borghesi, infatti, che avevano già una forma di arroganza verso il mondo, ora avevano la pretesa che la propria filosofia fosse considerata la filosofia: ciò legittimò i borghesi nel controllo della società.

Comte applica il metodo sperimentale alla sociologia, o alla psicologia: il metodo positivo viene applicato anche alla comprensione della società, che così viene "violentata". Per i positivisti anche i fenomeni sociali sono determinati in tutto e per tutto e legati da rapporti necessari ed inequivocabili di causa-effetto. Inoltre Comte divise la sociologia in due sezioni:

"statica": studia l'ordine sociale (le strutture sociali, politiche, economiche. spiegando i rapporti di causa ed effetto).

"dinamica": spiega il divenire del processo di sviluppo sociale.

Altra tendenza filosofica che agì nel secondo '800, oltre al Positivismo, è quella dell'Evoluzionismo, che traeva le sue origini da un testo base: "L'origine delle specie" di Charles Darwin. Questi diceva che le specie si evolvono sulla base delle leggi di sopravvivenza, che, in Italia, contribuirono a rafforzare il modo di vedere positivista in ambito politico e furono lette come giustificazione della prevaricazione dei potenti (borghesi) sui deboli. Anche questa filosofia diventa quindi, come si vede, alibi giustificatore.


Il Positivismo influenzò molto la letteratura del tempo. Si giunse alla convinzione che fosse necessario cambiare metodo d'indagine. Infatti, mentre fino ad ora la letteratura era un concentrato di sogni, di sentimenti, di vaghe passioni (anche nel rapporto con la Natura), adesso si mira ad acquisire il metodo della scienza e fare ciò che fa lo scienziato: uno studio scientifico sull'uomo, la Natura e la società. La scienza studierà soprattutto fisiologia umana, l'uomo e le sue patologie.

Lo scrittore sbaglia se arrovescia sul libro quello che vuol dire; il suo unico dovere è quello di annullarsi, di rinunciare alla sua soggettività assumendo i panni gelidi ed oggettivi dello scienziato. Si comprende bene il perché del fatto che il bersaglio primo del Naturalismo è il Romanticismo: sono la forza e il rigore del metodo che fanno l'arte, non la sensibilità dello scrittore. La genialità non sta nell'ubbidire a se stessi, ma, al contrario, nel riuscire a cancellare il soggettivo.

Nonostante l'estremizzazione alla quale andò in contro tale idea, questa sicuramente rappresenta una grande conquista: la letteratura, per la prima volta, viene considerata una scienza e in quanto tale, limitando l'approssimazione generica di un singolo, acquista maggiore dignità (a differenza per esempio della letteratura Romantica, che ne viene considerata totalmente priva).

Il mondo non sa che farsene di fantasie e stati d'animo; la società ha bisogno di capire se stessa e il mondo (è evidente che la poesia leopardiana è l'anti-poesia per eccellenza da questo punto di vista).

Questo modo di vedere le cose comporta la scomparsa quasi totale della poesia, dal momento che quest'ultima è fondamentalmente lirica e in questo momento si cerca di abbattere il soggetto. Al contrario si afferma la prosa. Il portabandiera di quest'ultima può essere considerato Emile Zola. Questi, dal 1873 al 1891, scrive 19 romanzi, arrivando a creare un vero e proprio ciclo, che risulta come un'opera di comprensione globale ed organica della società e dell'uomo. Il concetto di ciclo è importante anche nel contesto generale del periodo; infatti si tende a rifiutare il frammentarismo: poiché la visione che si ha del mondo è organica e globale, anche la letteratura deve essere specchio di tale visione e un unico ciclo rappresenta appunto una specie di enciclopedia unica e globalizzante della società e del mondo. Tale impostazione svanirà invece nel periodo del Decadentismo, quando i poeti, come Rimbaud rifiuteranno l'organicità a favore di descrizioni singolari di attimi.

Taine, uno storico e teorico della letteratura che si è occupato soprattutto di estetica, nella sua "Filosofia dell'arte" (1865) teorizza che l'opera d'arte non è un prodotto della fantasia, un prodotto casuale. Nasce per una specie di legge necessitante, è frutto di cause determinate e precise, di un riflesso del costume della società. Con questa teoria e con quelle su questo stile si comincia a ricondurre tutto ad un determinismo letterario o artistico, secondo cui un'opera è frutto di 3 variabili:

Razza

Ambiente

Momento, che in generale è la fase storica e in particolare è il momento esatto in cui l'autore scrive).

Con tale impostazione l'arte diventa l'insieme dei rapporti tra queste variabili e alla fine può essere letta come documento critico. Infatti, seguendo queste premesse, è possibile studiare le condizioni socio-economiche, politiche. che caratterizzavano il momento in cui una precisa opera è nata.

In conseguenza a tutto ciò, cambia sia il lavoro del critico che del lettore: si rifiuta l'atteggiamento di soggettività estetica; nel leggere bisogna assumere le vesti dello scienziato e scavare nel testo, studiandolo, trovando i fattori che l'hanno creato. Quest'ultimo punto rappresenta un indubbio merito del Positivismo, che è stato in grado di rivalutare a arricchire di conseguenza il metodo di lavoro di critica letteraria. Da questo momento in poi non basterà più "dire bello o brutto": bisogna bandire il proprio giudizio estetico.

La cosa curiosa riguardo ai romanzi scritti in questo periodo è che spesso finiscono col disattendere i principi che si erano preposti (Zola, per esempio, finisce per fare il contrario esatto di quello che voleva). Infatti, come avevano intuito gli italiani, come per esempio Verga, che di conseguenza adottarono metodi leggermente diversi, nella concreta realizzazione non è possibile piegare la letteratura a fredda scienza.

Secondo Taine e i Positivisti il presupposto sulla base del quale tutto ciò è possibile è che l'uomo è perfettamente comprensibile in tutto e per tutto, per cui dietro alle reazioni psicologiche ci sono precise cause fisiologiche determinanti. Taine definisce l'uomo come "animale di specie superiore, che produce filosofie e poemi pressappoco come i bachi da seta fanno i bozzoli e le api gli alveari"; esprime quindi la visione di un uomo determinato, per il quale, come nel caso degli animali, non esiste la libera scelta (se ne parla è solo un alibi).

Si distinguono due tipi di determinismo:

  1. DETERMINISMO NATURALE (geni e fisicità che ci determinano)
  2. DETERMINISMO AMBIENTALE (ambiente in cui si vive, che ci determina e ci conforma).

I modelli principali del Naturalismo furono Zola e i fratelli Edmond e Jules De Goncourt, i quali erano bizzarri scrittori francesi, che hanno scritto molto su questa tendenza, soprattutto romanzi a quattro mani. Essi si innamorarono del Positivismo e senza tante basi precise inaugurarono il modello del romanzo come documento umano. Nella realizzazione pratica si sono lasciati trasportare dal "gusto dello strano" e dell'inedito, credendo che ciò fosse scientifico. Un esempio significativo è il loro romanzo "Germinie Lacerteux" (1865), nel quale, partendo da un caso vissuto, di una loro cameriera pazza e nevrotica, arrivano a tentare di studiare un caso umano, tentano una descrizione clinica della pazzia. In realtà il risultato fu fallimentare: sono scaduti nel macabro e di conseguenza nel soggettivo. Questo gusto per lo strano, per l'horror, per il macabro. li avvicina molto più ai Decadenti che alla loro base di partenza Positiva. E' interessante l'introduzione a questo libro, nel corso della quale i De Goncourt polemizzano sulla cultura contemporanea:

Il mondo ama i romanzi falsi, che non impegnano la riflessione, letture di tipo consolante e piene di malizia (soprattutto erotica).

Il mondo chiede alla letteratura di sognare, non di riflettere, chiede di essere stuzzicato nei suoi piaceri più bassi.

Il loro intento è appunto quello di contrariare le abitudini del pubblico, di andare contro una letteratura vuota. Il romanzo deve diventare vero, non fotografia licenziosa del piacere, ma clinica dell'amore: il romanzo non deve cioè limitarsi ad una superficiale poesia di piacere. Così facendo il romanzo può e deve diventare la storia morale contemporanea: analisi dell'uomo nella società in cui vive e della sua condizione. Se il romanzo è vero, inoltre, la moralità della letteratura non può derivare dall'adeguamento ad alcuni principi morali a priori (questo è ipocrisia, è essere benpensanti), ma deve scaturire invece dalla libertà con cui l'autore scrive, dall'indipendenza dal sistema politico e sociale che potrebbe bloccarlo e dalla serietà del metodo scientifico che si adotta.

I fratelli De Goncourt hanno lasciato una traccia significativa anche per l'aver teorizzato un altro principio: per studiare i documenti umani bisogna partire dall'ambiente sociale e rurale. Il loro suggerimento è quello di cominciare da ambienti socialmente più bassi e degradati per poi salire ai più alti. Questo perché nei più bassi c'è la feccia umana, più istintiva e per questo anche maggiormente spontanea e facile da studiare, perché più naturale; mentre quelli più alti sono più difficili da studiare perché i loro istinti sono veicolati dalle convenzioni sociali.

Il fatto è che poi non arriveranno mai allo studio degli ambienti più alti, per due motivi:

  1. la moda del Naturalismo andrà presto in crisi e non avrà il tempo di acquisire strumenti d'indagine più precisi.
  2. Lo scrittore infatti si fece prendere col tempo dal gusto del Decadente: l'umanità malata, i personaggi di bassa estrazione sociale che vivono nella degradazione e nel vizio attuano un forte fascino sugli artisti del tempo, che finiscono col perdere il gusto del vero e a compiacersi in questo fascino del degradato, un po' macabro e malato.

Le tesi sul romanzo sperimentale sono ampiamente svolte da Zola, nei romanzi ma soprattutto in un saggio del 1880: "Il romanzo sperimentale", che diventò opera simbolo del Naturalismo. L'autore vi sostiene tutte le teorie già ampiamente spiegate; in più nel parlare della scientificità del romanzo, sottolinea che questo rappresenta il ritorno della letteratura alla natura; infatti il romanzo è anatomia di ciò che è. Il metodo sperimentale non si presenta dunque come qualcosa di artificioso, ma al contrario è la naturalità per eccellenza. Per attuarlo è necessario un distacco totale dello scrittore-scienziato dalla materia, un distacco di tipo scientifico, critico, superiore alla natura, che giudica con i suoi mezzi. Da qui, a sua volta, consegue una analisi esterna, fondata su un giudizio dello scrittore. Tale giudizio dev'essere, ovviamente, scientifico, nato alla luce del proprio metodo. Giudicare è un dovere dello scrittore, ma è sbagliato dare un giudizio personale, soggettivo e ideologico; la valutazione deve essere oggettiva, sulla base delle osservazioni. Lo scrittore-scienziato è perfettamente inserito nel circolo della società e quindi collabora con il politico e con l'economista. Perché se il fine dell'uomo è comprendere l'uomo, questo è strumento importante che può essere utilizzato dalla politica e dall'economia. Se lo scrittore offre un documento umano esatto, questo è, dal punto di vista del politico o dell'economista, un'utile fotografia del mondo (sociale, politico.). Lo scrittore è quindi tenuto a fornire loro tale materiale, sulla base del quale saranno poi costruiti elementi giuridici, riforme sociali.. Lo scrittore si configura in tal senso come operaio del progresso. Prima di tutto, però, bisogna considerare che si presuppone che la società sia progressista e che desideri il progresso, infatti Zola formula tali idee nel contesto di una società progressista, democratico-repubblicana, aperta alle idee liberali e progressiste. Inoltre si potrebbe osservare che, infondo, tale progresso ideologico si rivelò forse un regresso: Zola risubordina l'opera alla politica (e questo fu indubbiamente un limite del Naturalismo) e finisce per essere, più che uno "scrittore-scienziato", uno scrittore asservito al potere per propaganda.


In Italia ci fu un dibattito acceso sul Naturalismo: le idee naturaliste furono valutate con grande originalità, non ignorandone i limiti. Quello che si sviluppò attorno a questi temi fu, anzi, un dibattito culturale aperto e fecondo. Questo si verificò intorno al 1870, quando tali idee cominciarono a diffondersi in alcune città del nord, soprattutto Milano, Torino e Firenze (dove fu attivo Pasquale Villari). In tale periodo esisteva ancora soltanto una tendenza (Zola non aveva ancora scritto romanzi), ma l'adesione alla cultura del Positivismo avvenne sotto lo stimolo di differenti fattori:

Reazione alla Scapigliatura, che dimostrava di essere già stanca e non in grado di rispondere alle esigenze di rinnovamento degli intellettuali.

Reazione al Romanticismo, e soprattutto al sentimentalismo patetico di Prati e Aleardi, che aveva "sciupato" la letteratura trasformandola in sentimentalismo banale (fu per questo che il Naturalismo, che faceva intravedere più realismo, fu apprezzato).

Prosecuzione della tendenza realistica-oggettiva di Manzoni, che rappresentava con il suo "romanzo del vero" l'unico modello di realismo in Italia fino a quel momento (in realtà Manzoni rappresentava un'attenuazione delle esasperazioni di Zola).

Scopo sociale: la letteratura basata sul vero poteva portare alla luce i problemi drammatici dell'Unità d'Italia (il disagio del sud, la condizione delle campagne.).

La diffusione di Zola, però, e questo fu un problema, fu legata a un aspetto politico. Zola aveva idee di sinistra, era un democratico-repubblicano, e così le sue idee furono alterate dalla Sinistra e furono viste da questa come bandiera della politica progressista di sinistra, come Camerini a Milano. Sempre per questo motivo, di tipo politico, invece, Zola non fu apprezzato negli ambienti più moderati, cattolici e conservatori, che non vedevano a lui a al Naturalismo come un modello e piuttosto, come Farina a Milano, si ispiravano al realismo di Charles Dickens, che con il suo paternalismo era più sentimentalista e moderato.


Fra le vaie posizioni se ne distinsero alcune, come quella di De Sanctis, critico letterario romantico e al tempo stesso progressista, che vedeva nel naturalismo un contributo per il rinnovamento della nostra letteratura, perché crede che la letteratura italiana dovesse recuperare il senso reale del concreto: deve spostarsi dal sentimentalismo romantico e dal classicismo a una indagine della realtà. Egli dice che "arte virile" significa far parlare le cose e non gli uomini. L'arte italiana deve riconquistare questa virilità: smettere di proporre le false lacrimucce dei poeti e guardare in faccia la realtà. Zola può, quindi, essere un aiuto formidabile, perché in Italia non ci sono modelli di questo genere: in Italia c'è solo poesia, soprattutto classicista, e i poeti che ci sono grandi geni che non possono essere imitati e che quindi non servono per quello che si vuol fare, cioè indagare la realtà. Ne sono esempio, oltre a Leopardi, Foscolo, che era un classicista e che parlava ad una società già morta ai suoi tempi, o Manzoni, che rappresentava un modello troppo legato alla visione cristiana. Si poteva quindi prendere modello dai francesi.

Però, secondo De Sanctis, è necessario introdurre dei correttivi, non si può semplicemente trapiantare il modello francese in Italia, perché ha dei limiti: pretende di trasformare l'arte in scienza e questo non è possibile perché non esiste un'"arte impersonale" (è per forza soggettiva, perché nasce da una persona). Bisogna dunque salvaguardare il principio d'autonomia e soggettività dell'arte, ricordando che scrittore e scienziato sono due cose diverse, perché altrimenti asserviamo l'arte alla scienza e ne traviamo il significato. Però lo scrittore non può, questo premesso, scrivere tutto quello che vuole; deve essere il più fedele possibile alla realtà.

Quindi a differenza di Zola, per il quale, come sappiamo, la letteratura offre una fotografia esatta e scrupolosa della realtà (documento unico e univoco, incontestabile), gli italiani (prima De Sanctis, poi Capuana e infine Verga che lo attua) pensavano che questa fornisca UNA chiave di lettura, UNA interpretazione fra le tante possibili, che dipende da chi è che scrive.

Le idee di De Sanctis derivano anche dal fatto che in Italia non passerà mai il concetto del Determinismo: si crede che sia presuntuoso credere di poter conoscere l'uomo in tutte le sue minuzie. Si può osservare e capire qualcosa, ma non avremo mai la conoscenza totale. Tale idea è sviluppata soprattutto a Firenze da Pasquale Villari, in particolare nell'ambito storico; egli dice che non si può pretendere di conoscere l'uomo in tutto e per tutto né di individuare tutte le cause che ci sono dietro alla storia, analizzandola.

Inoltre non è possibile subordinare l'arte alla politica: si rifiuta il ruolo dell'intellettuale come "organico al sistema".

Infine è importante sottolineare che, per De Sanctis, la letteratura italiana oltre che sul modello francese può basarsi sul prezioso strumento autonomo dei dialetti (italiani). Questi a suo parere sono una ricchezza culturale spontanea e ingenua, ma mai valorizzata. Infatti hanno il pregio di poter mettere in diretto contatto con il popolo e con la sua storia, la sua vita. sono quindi strumenti per il Realismo. Aprirsi ai dialetti vuol dire avvicinare la letteratura alla vita. Non bisogna scrivere però in dialetto, ma attingere linfa da esso (detti popolari, immagini, sapienza popolare, proverbi, parole nuove.).


Nel 1881 Capuana riprese le idee di De Sanctis nella recensione dei "Malavoglia", in cui sintetizzò la posizione sua e di Verga fino ai "Malavoglia". Egli sostiene che il Naturalismo può andar bene come metodo, ma non come sistema scientifico e politico; può quindi essere un ottimo sistema per fare letteratura, aderente al vero (infatti lo scopo della letteratura è ormai quello di fotografare il mondo, come lo era per la Scapigliatura), però si deve limitare alla letteratura. Questa, inoltre, è un osservazione coscienziosa, condotta con metodo, ma pur sempre osservazione, ricostruzione soggettiva. E in quanto tale non c'entra nulla con la scienza, quindi non è studio scientifico e neanche può essere sistema politico: lo scrittore non deve accettare il contatto con il mondo politico-economico e parlare solo alla capacità critica di chi legge. I Veristi italiani infatti rifiutarono il sistema dell'editoria, in quanto anch'esso era a contatto con la società.

Quindi la letteratura, per Capuana come per Verga, è testimonianza dolorosa di come uno scrittore legge la realtà, nel tentativo di leggerla nel modo più oggettivo possibile.






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