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GIOVANNI VERGA - PROFILO BIO-BIBLIOGRAFICO DELL'AUTORE

letteratura



PROFILO BIO-BIBLIOGRAFICO

DELL'AUTORE



GIOVANNI VERGA nasce a Catania il 2 settembre 1840. Il nonno paterno era stato carbonaro, anzi capo della carboneria Vizzinese. Il padre, di Vizzini, discendeva dal ramo cadetto di una famiglia alla quale appartenevano i baroni di Fontabianca. La madre, appar 121i89b teneva ad una famiglia della borghesia Catanese.

Compiuti gli studi primari e medi, frequenta la scuola del fantasioso Antonio Abate, mediocre letterato, ma di ingegno vulcanico. In questi dieci anni alla scuola dell'Abate, Verga legge Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Manzoni.

Per un epidemia di colera, i Verga si trasferirono a Tebidi e in questa circostanza il Verga incontra una fanciulla, " una bellezza pallida e bruna" che trasfigurata nel ricordo, suggerirà tratti e vicende della protagonista del romanzo " storia di una capinera". Nel 1857 porta a compimendo il suo primo romanzo "amore e patria" ambientato all'epoca della rivoluzione americana. Il romanzo rimase ed è tuttora inedito.



Il Verga adolescente non è ancora sicuro della grammatica e dell'ortografia, eppure riesce già ad immaginare e a tessere una vastissima tela sul tema della guerra rivoluzionaria degli Americani del nord contro la Gran Bretagna. Nel 1858 si iscrive alla facoltà di legge all'università di Catania, senza dimostrare tuttavia propensione alcuna per gli studi giuridici, abbandonati nel 1861. Nel 1860 si arruola nella guardia nazionale istituita dopo lo sbarco di Garibaldi. Ottiene poi l'esonero militare.

Nel 1861 inizia la pubblicazione in quattro tomi del romanzo " i carbonari della montagna", portata a termine l'anno seguente, nella quale descrive la lotta del popolo calabrese, sotto la guida carbonara, contro gli invasori francesi di Murat.

Nel 1863 pubblica " sulle lagune" ambientato nella Venezia risorgimentale sottoposta al gioco Austriaco. In questi suoi primi tre romanzi non importa tanto sottolineare l'impaccio e l'immaturità espressiva, quanto la prima apparizione di un problema di tecnica narrativa che interesserà lo scrittore per tutta la vita: quello dal punto di vista in cui porsi per narrare la vicenda.

Nel 1865 si reca a Firenze e da questo momento la città diverrà meta frequente dei suoi viaggi.

Nel 1866 compare il romanzo "una peccatrice" in cui è adombrata un'avventura catanese.

Nel 1869 lascia Catania per trasferirsi a Firenze dove frequenta i migliori salotti della città. Inizia la fraterna amicizia con Luigi Capuana e scrive " storia si una capinera" ed " Eva".

Nel 1872 si trasferisce a Milano, dove si stabilirà per circa un ventennio, interrompendo il soggiorno solo con periodici viaggi in Sicilia.

Nel 1873 compare a Milano "Eva" romanzo che suscita scandalo nei critici di parte moderata avversi al naturalismo.

Nel 1875 compare "Eros" e "Tigre". Solo con Eros Verga giungerà ad una narrazione oggettiva e distaccata, tutta in terza persona, mentre successivamente con l'adesione al verismo, farà ricorso all'impersonalità. Dopo un silenzio di tre anni nel 1878 esce un racconto che si discosta fortemente dalla materia e dal linguaggio della sua precedente narrativa, le passioni raffinate e artificiose, il soggettivismo esasperato, la lirica melodrammatica, si tratta di " rosso malpelo" la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro, disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. È la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità. Il Verga, in effetti si proponeva fermamente di dirigere il "vero", rifiutando ogni etichetta di scuola. Diceva in una lettera di se stesso: " ho cercato sempre di essere vero, senza essere né realista né idealista, né romantico, né altro".

In verga dovette suscitare molta impressione "l'assomoir" (bettola) 1877 di Zola, per la sua ricostruzione di ambienti e psicologie popolari, che davano l'impressione diretta della realtà vissuta, e soprattutto, per il suo linguaggio, che riproduceva il gergo dei sobborghi operai parigini. Nel 1866 con dedica a Zola esce "Giacinta" , ma fallisce la sua ambizione di proporsi come modello di una nuova narrativa di impianto naturalista, restando tutto sommato, prigioniero della tradizione del romanzo psicologico romantico. Verga aveva in animo, con le sue opere e con il suo disegno di un ciclo di romanzi, di tracciare un quadro sociale, di delineare la fisionomia della vita italiana moderna, passando in rassegna tutte le classi, da ceti popolari alla borghesia di provincia, all'aristocrazia. Criterio unificante è il principio della per la sopravvivenza, anche se Verga non intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale, ma sceglie come oggetto della sua narrazione i "Vinti", che piegano il capo sotto il piede dei potenti. Il primo romanzo del ciclo è " I Malavoglia" (1881), narrano la storia di una famiglia di pescatori che dopo una lotta contro le difficoltà della vita si disgrega tristemente. Pieno di significato è il contrasto tra il vecchio capofamiglia "padron Ntoni", che lotta strenuamente e con tutte le sue forze per contrastare le avversità della vita che vogliono la disgregazione della famiglia, ed il giovane nipote Ntoni, che ignora i nobili principi del vecchio e preso dal desiderio dei facili guadagni, conosce il disonore del carcere dopo essersi allontanato dagli affetti familiari ed alla fine deve abbandonare il paese. È la storia di una famiglia ,vissuta fino ad allora relativamente felice, che le difficoltà economiche generate dalla situazione dell'Italia post-unitaria spingono a compiere una speculazione commerciale disastrosa, che segna l'inizio di una serie interminabile di sventure. La casa e la barca devono essere cedute, alcuni componenti della famiglia si disperdono; però al termine della vicenda i più giovani riescono a ricostruire il nucleo famigliare nella casa dei padri. Nel romanzo Verga analizza i contraccolpi prodotti dal progresso moderno nei primi anni post-unitari in un arcaica comunità di pescatori, sino allora vissuta ai margini della storia. A distanza di un anno da " i malavoglia", Verga pubblica un altro romanzo, "il marito di Elena" (1882), di ambiente cittadino e piccolo borghese. Nel 1889 esce il secondo romanzo del ciclo dei vinti: "mastro don Gesualdo" storia della ascesa sociale di un muratore che, con la sua intelligenza e la sua energia instancabile accumula enormi ricchezze, ma va incontro ad un tragico fallimento nella sfera degli affetti familiari. Il terzo del ciclo "la duchessa de Leyra" non sarà mai portato a compimento. Così gli ultimi due romanzi del progetto iniziale non saranno neppure affrontati "l'onorevole Scipioni" e " l'uomo di lusso". Le ragioni di questi interruzioni non sono facili da definire, dovettero combinarsi sia l'inaridimento dell'ispirazione e la stanchezza e il logoramento dei moduli veristi.

Il 30 ottobre del 1920 lo scrittore è nominato da Giolitti :Senatore del Regno.

Muore il 27 Gennaio del 1922 colpito da una trombosi celebrale.


TECNICA NARRATIVA E IDEOLOGIA VERGHIANA


Il Verga applica coerentemente i principi della sua poetica nelle opere veriste composte dal 1878 in poi; e ciò da origine ad una tecnica narrativa profondamente originale e innovatrice, che si distacca sia dalla tradizione, sia dalle contemporanee esperienze italiane straniere. Nelle sue opere effettivamente l'autore si eclissa, si cala nella pelle dei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole. Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai, nelle opere del Verga: la voce che racconta si colloca all'interno del mondo rappresentato , è allo stesso livello dei personaggi. Non è propriamente qualche specifico personaggio a raccontare; ma il narratore si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il oro modo di pensare e di sentire, si riferisce agli stessi criteri interpretativi, agli stessi principi morali, usa il loro stesso modo di esprimersi. È come se a raccontare fosse uno di loro, che però non compare direttamente nella vicenda e resta anonimo; quindi i fatti non passano attraverso la lente dello scrittore: siccome chi narra è interno al piano della rappresentazione, il lettore ha l'impressione di trovarsi faccia a faccia con il fatto nudo e crudo. Tutto ciò si impone con grande evidenza agli occhi del lettore perché il Verga , nei Malavoglia e nelle novelle, rappresenta ambienti popolari e rurali e mette in scena personaggi incolti e primitivi, contadini, pescatori, minatori, la cui visione e il cui linguaggio sono ben diversi da quelli dello scrittore borghese. Anche il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e povero, punteggiato di modi di dire, paragoni, proverbi, imprecazioni, popolari, dalla sintassi elementare e talora scorretta, in cui traspare chiaramente la struttura dialettale (anche se Verga non usa mai direttamente il dialetto, ma sempre e solo il lessico italiano; tanto che se deve citare un termine dialettale lo isola mediante il corsivo).

Al fondo della visione del Verga sta un giudizio radicalmente negativo sulla società umana. Lo scrittore ha sotto gli occhi la realtà italiana degli anni 1870 1880, che vede gli inizi di uno sviluppo dell'economia in senso capitalistico e il primo avvio, in alcune zone d'Italia, ad un processo di industrializzazione che preannuncia la trasformazione di un paese agricolo e arretrato in un paese moderno. Verga, dal suo punto di vista di proletario agrario del sud, legato ad una realtà arcaica ed immobile, che conosce bene le condizioni delle masse contadine, respinge polemicamente questa realtà. Il progresso gli appare si grandioso ed epico, ma egli vede anche chiaramente i suoi inevitabili risvolti negativi, lo sfrenarsi delle ambizioni e degli interessi, la negazione di tutti i valori, il trionfo dell'utile e della forze, lo scatenarsi degli antagonismi tra classi sociali e individui la durezza dello sfruttamento e dell'oppressione sui più indifesi. Questo quadro desolato del vivere sociale per Verga, però, non è limitato al mondo presente, nella sua visione il meccanismo delle sopraffazioni e delle sofferenze è una legge di natura, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in ogni luogo. Nel Verga vi è la consapevolezza di un destino doloroso e della sua invincibilità, vi è la coscienza assoluta dell'impossibilità di migliorare l'avvenire dell'uomo. Contrariamente a quella fede nel progresso dell'uomo che vediamo illuminare gli scritti degli autori di questi periodi, nel Verga vi è la radicate convinzione che il dolore è la dura legge della vita al cui rigore nessuno può sfuggire. Il verga sente una pena infinita per la sofferenza materiale e morale dei suoi personaggi, per i quali non riesce nemmeno a suggerire un rimedio. Il suo dolore non giunge alla disperazione perché il male non può distruggere la dignità dell'uomo, anzi la fortifica e la ingigantisce, impegnando l'uomo stesso in una lotta da cui egli ritrae fierezza e nobiltà. Contrariamente al naturalismo francese che considerando l'uomo un prodotto dell'ereditarietà e dll'ambiente, nega il libero arbitrio, il verismo non arriva a tanto e riconosce all'uomo, la sua libertà di pensare e di agire, anche se essa è schiacciata dalle forze avverse della natura e dell'egoismo brutale dell'uomo stesso.


NATURALISMO FRANCESE E POETICA

DEL VERISMO ITALIANO


Gli scrittori veristi italiani, nell'elaborare le loro teorie letterarie e nello scrivere le loro opere, prendono le mosse , dal naturalismo che si afferma in Francia nel 1870. Per capire il fenomeno italiano occorre dunque esaminare quello francese. Il retroterra culturale e filosofico del Naturalismo è il Positivismo, un movimento di pensiero che si diffonde a partire dalla metà dell'800 ed è espressione ideologico della nuova organizzazione industriale della società borghese e del conseguente sviluppo della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche. Il positivismo è caratterizzato dal rifiuto di ogni visione di tipo religioso e idealistico e dalla convinzione che tutto il reale sia un gioco di forze materiali, fisiche, chimiche, biologiche, regolato dalle ferree leggi meccaniche; il positivista crede solo nei fatti positivi dimostrabili scientificamente e sperimentalmente, e vede nella scienza moderna l'unico strumento capace di spiegare la realtà e di dominarla, asservendola ai bisogni dell'uomo. Di qui la fede nel progresso. Il modello di scrittore - scienziato di cui aveva preso le mosse Verga, era Balzac, la cui concezione del mondo era ispirata a un rigoroso determinismo materialistico, affermando che i fenomeni spirituali sono determinati dall'ambiente fisico in cui l'uomo vive " il vizio e la virtù sono dei prodotti come il vetriolo e lo zucchero" scriveva Balzac nel 1864. Altro modello della letterario della scuola naturalistica fu Gustave Flaubert, l' autore di "madame bovary". Il quale diceva: "L'artista deve essere nella sua opera come DIO nella creazione, invisibile e onnipotente, si che lo si senta ovunque, ma non lo si veda mai". Un altro scrittore che diede la sistemazione più compiuta delle opere naturalistiche e riassunse nella sua opera il movimento (naturalista), ponendosi come un vero e proprio capo scuola come fu Emile Zola (1840 - 1903). Zola sostiene che il metodo sperimentale delle scienze applicato in un primo tempo ai corpi inanimati (chimica, fisica), poi ai corpi viventi (fisiologia), deve essere ora applicato anche alla sfera spirituale, agli atti intellettuali e passionali dell'uomo. L'immagine di Zola che si diffuse in Italia fu quella del romanziere scienziato e impavidamente realista, nonché dello scrittore sociale, in lotta contro le piaghe della società in nome del progresso e dell'umanità. Una teoria coerente ed un nuovo linguaggio furono elaborati da due intellettuali conservatori, due galantuomini meridionali, che operavano nell'ambiente milanese, assorbivano le stesse sollecitazioni del naturalismo francese e condividevano l'ammirazione per Zola, sia pure da diverse prospettive: Verga e Capuana. Il positivismo ed il naturalismo esercitano una vera e radicale influenza nel romanzo contemporaneo, ma soltando nella forma e tale influenza si traduce nella perfetta impersonalità di questa opera d'arte. L'impersonalità, come fatto formale, è il motivo centrale della poetica del verismo italiano, in luogo dello sperimentalismo scientifico del naturalismo francese, secondo Verga la rappresentazione artistica deve conferire al racconto l'impronta di cosa realmente avvenuta e per far questo deve riportare documenti umani, ma non basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato, deve essere anche raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso la lente dello scrittore. Lo scrittore per questo deve eclissarsi, cioè non deve comparire nel narrare con le sue reazioni soggettive. L'autore deve mettersi nella pelle dei suoi personaggi, vedere le cose coi loro occhi ed esprimerle colle loro parole. Il lettore avrà l'impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. La teoria dell'impersonalità è solo la definizione di un procedimento tecnico, di un modo di dar forma all'opera, di conseguire determinati effetti artistici, cioè di far si che non si avverta nel narrato la presenza dello scrittore.






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