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GIACOMO LEOPARDI

letteratura



GIACOMO LEOPARDI


Giacomo Leopardi nacque a Recanati, primogenito di cinque fratelli, nel 1798 dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici. Il padre, di antica famiglia appartenente alla nobiltà pontificia, era di idee fortemente conservatrici; la madre, di carattere freddo e parsimonioso, rigidamente cattolica.

Il precocissimo Giacomo compì i primi studi sotto la guida del precettore di casa Leopardi, che impartì le sue lezioni fino al 1812 quando riconobbe di non aver più nulla da insegnare al suo geniale allievo. Questi proseguì i suoi studi nella ricca biblioteca del padre, costituita in prevalenza da testi greci e latini. In sette anni di studio matto e disperatissimo imparò senza insegnanti il greco, l'ebraico, lo spagnolo e l'inglese (il latino e il francese gli aveva appresi da bambino), scrivendo numerose opere di vario genere, fra cui la Storia dell'astronomia e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.

Fin dai primissimi anni dell'adolescenza si era frattanto manifestata in Giacomo una grave forma di cifosi, una deviazione della colonna vertebrale certo peggiorata dalle forsennate ore di studio trascorse a tavolino, che lo rese a poco a poco deforme e ne arrestò la crescita in altezza; le sue prolungate letture alla fioca luce della lucerna danneggiarono inoltre i suoi occhi. L'aggravarsi della malattia agli occhi, che lo costringeva all'inattività per lunghi periodi gli provocò nel 1819 una grave crisi depressiva, durante la quale arrivò più volte a meditare il suicidio. In questa condizione di spirito Giacomo cercò di sottrarsi alle angustie dell'ambiente familiare fuggendo da Recanati, ma il suo tentativo fu sventato dal padre, ed egli fu costretto a restare nel paese natio in una condizione di dolorosa solitudine, confortato soltanto dall'affetto dei fratelli Carlo e Paolina. In questa situazione la vena poetica di Leopardi si manifestò per la prima volta in tutta la sua forza: scrisse L'infinito, Alla luna, La sera del dì di festa e completò la raccolta di poesie che avrebbe pubblicato cinque anni più tardi col titolo di Idilli, componendo inoltre dieci canzoni (fra cui Bruto Minore e Ultimo canto di Saffo). Va anche sottolineato che Leopardi stilò quattromila delle 4526 pagine del suo Zibaldone nel quale andava raccogliendo l'enorme mole delle sue riflessioni.



Nel 1822 il ventiquattrenne Leopardi partì finalmente da Recanati, ma il soggiorno a Roma, presso dei parenti della madre, si rivelò subito una fonte di cocenti delusioni.

Tornato a Recanati si dedicò alla stesura di gran parte delle Operette Morali.

In seguito si recò a Milano dove avviò un proficuo rapporto di collaborazione con l'editore Stella, poi a Bologna dove si innamorò, non corrisposto, di Teresa Carniani Malvezzi, un'amica di Monti.

Il 1829 fu per il poeta un anno di grande infelicità: costretto a soggiornare fra la "gente zotica" del suo paese natio, tormentato dalla no 818f53i ia e dall'acutizzarsi delle malattie, trascorse i suoi giorni in uno stato depressivo che si interruppe solo nel settembre con la prodigiosa produzione in meno di un mese, de Le Ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, il canto notturno di un pastore errante dell'Asia, grazie all'interessamento dell'amico Pietro Colletta, che a Firenze gli aveva procurato vitto e alloggio gratis per un anno, Leopardi lasciò per sempre Recanati e si trasferì nel capoluogo toscano, dove sarebbe rimasto fino al settembre 1833.

L'amicizia con Antonio Ranieri offrì alla sua esistenza un punto d'appoggio affettivo e pratico, e l'amore per Fanny Targioni Tozetti, una signora fiorentina che era solita frequentare i letterati e che per qualche tempo incoraggiò l'innamoramento del poeta.

Nel 1833 l'amore per la Targioni Tozzetti si concluse con l'ennesima delusione, di cui resta consistente traccia nel disperato canto A se stesso e nel successivo Aspasia; Leopardi partì con Ranieri alla volta del capoluogo campano, dove sarebbe rimasto fino alla sua morte.

Nel 1836, per sfuggire all'epidemia di colera scoppiata a Napoli, Leopardi si trasferì insieme con Ranieri e la sorella di questi, Paolina, nei pressi di Torre del Greco, alle falde Vesuvio. Qui compose i suoi due ultimi canti : Il tramonto della luna e La ginestra.

L'anno successivo il poeta tornò a Napoli dove si spense improvvisamente nel 1837.

I suoi resti furono tumulati nella chiesetta di San Vitale a Fuorigrotta e vennero traslati a Mergellina, a fianco della presunta tomba di Virgilio.



LA PRODUZIONE LETTERARIA

Una delle più importanti opere letterarie è lo Zibaldone, quella sorta di libro parallelo sul quale Leopardi registrava quotidianamente il frutto delle sue riflessioni e dei suoi studi, nonchè idee e figure allo stato di abbozzo, della sua immaginazione poetica.

L'idea di classicità

Rilevante ad esempio è l'idea leopardiana della classicità, il poeta ha un'immagine idealizzata della classicità considerata l'età della "primavera del genere umano". Gli antichi divengono per Leopardi il simbolo di una condizione amorosa che è stata irrimediabilmente perduta nel momento in cui il legame tra uomo e natura è stato intaccato dalla religione cristiana e dal razionalismo, che hanno rafforzato il senso di alterità e di superiorità dell'uomo rispetto al resto del creato, inducendo negli individui una solida superbia.

Le illusioni antiche e le illusioni moderne

Scomparse le dolci illusioni degli antichi, occorre ora, secondo Leopardi sgombrare il campo dalle superbe e vane illusioni come l'immortalità dell'anima, il progresso, la felicità, la ricchezza, il potere, la gloria.

L'uomo contemporaneo dovrebbe anzitutto rendersi pienamente consapevole del suo stato di vittima del sistema naturale e quindi liberarsi di tutti gli inganni perpetrati dall'intelletto per nascondere quell'unica e incontrovertibile verità. Soltanto dopo aver acquisito tale consapevolezza potrà sviluppare quella solidarietà che nasce tra le vittime di una stessa tragedia.

L'odio per la propria epoca

La storia degli uomini è caratterizzata, secondo Leopardi, da un progressivo accumularsi di errori e di inganni, che hanno raggiunto il loro culmine nel secolo XIX. L'odio per la propria epoca è infatti in Leopardi vivissimo e profondamente radicato.

Il pessimismo storico

Riguardo all'atteggiamento negativo di Leopardi nei confronti della propria epoca e più in generale al suo pessimismo, si è soliti distinguere due fasi. nella prima fase detta del "pessimismo storico" la natura viene considerata una sorgente di energia vitale e di consolante illusioni, mentre i mali dell'umanità vengono ricondotti al processo di corruzione indotto dalla civilizzazione.

Nella seconda fase ( che appare già definita con le operette morali), leopardi perviene a una visione meccanicistica dell'universo naturale, visto ora come un sistema che tende all'autoperpetuazione, in un ciclo di produzione e distruzione del tutto insensibile. Questa concezione conduce Leopardi ad attribuire alla natura una intrinseca malignità, e viene espressa nell'operetta Dialogo della Natura e di un Islandese.

La teoria del piacere

Insofferente verso l'idealismo e lo spiritualismo, Leopardi riprende l'idea meccanicistica della natura, ma anche il concetto secondo cui la molla principale della natura umana è la ricerca del piacere. Secondo il poeta, però, quel desiderio è impossibile da realizzare, essendo per sua natura infinito; avrebbe infatti bisogno di un piacere altrettanto infinito.Ma poichè questo non esiste se non nell'immaginazione, la soddisfazione di un desiderio è qualcosa che pertiene non al reale, bensì all'immaginario: il piacere, non è che l'immaginazione del piacere stesso, attesa indefinita di un'acquisizione che non verrà mai.

La non soddisfazione del desiderio nella realtà produce dolore e pena, che possono essere alleviati solo fuggendo dalla realtà stessa, attraverso le fantasticherie o il sonno. E' il piacere ad essere destituito di una sostanza autonoma: infatti il piacere non è veramente piacere, non ha qualità positiva, non essendo che privazione.

Ciò che noi chiamiamo piacere è dunque in realtà o l'attesa di un irraggiungibile piacere futuro, o la momentanea cessazione o attenuazione del dolore. Tale posizione risulta chiaramente espressa nei canti La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio oltre che in molte delle Operette morali.

La noia

Il dolore e l'attesa del piacere, in quanto poli su cui si concentra ogni moto dell'animo, sono comunque segno di energia vitale; ben più temibile per Leopardi è la noia, che subentra a occupare gli eventuali vuoti causati dalla momentanea assenza di ambedue che determina uno stato di indifferenza che è senza passione. La vita dell'uomo oscilla perciò fra il desiderio sempre deluso del piacere, il dolore che ne consegue e la noia. Si tratta di idee singolarmente vicine a quelle espresse dal filosofo tedesco Schopenhauer. l tema della noia è centrale nell'operetta morale Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.

Il piacere e la memoria

Un posto di rilievo nelle considerazioni leopardiane sul piacere è occupato dal motivo dei ricordi e della memoria, un terreno che, sfuggendo in apparenza alle leggi del desiderio, sembra proporsi almeno in una prima fase come una fonte alternativa di piacere.

la memoria, in altri termini, produrrebbe uno stato d'animo contemplativo e malinconico, fatto di sensazioni, il più delle volte indefinite e vaghe, che provoca nell'animo una forma particolare di "diletto". Il diletto è poi tanto maggiore quanto più lontano (e quindi più indefinito) è il ricordo, sicchè le memorie più piacevoli risultano quelle dell'infanzia e dell'adolescenza.

Più che un piacere puro, tuttavia, quella offerta dalla memoria è una sorta di provvisoria consolazione che non intacca il predominio del dolore e della noia su cui si fonda l'esistenza.

Lo storicismo leopardiano

La fermezza storica con cui il poeta rifiutò sempre ogni facile consolazione, ogni pietoso inganno che potesse distoglierlo sia pure per un attimo dalla contemplazione del tragico destino dell'uomo.

Leopardi, come risulta soprattutto dalle lettere a Pietro Giordana, aveva un'alta considerazione di sé e un forte desiderio di gloria: consapevole della propria geniale diversità, ma anche della propria dolorosa ed estrema infelicità, si sentiva doppiamente isolato rispetto agli altri uomini e coltivava tale isolamento ora con dolore, ora con l'esaltazione di chi solo fra tutti va fieramente incontro al proprio destino. Nasce da qui, probabilmente quella vena eroica che attraversa per intero la produzione del poeta, dalla giovanile All'Italia fino al Pensiero dominante e alla Ginestra.

Nel Pensiero dominante Leopardi nota come il sentimento d'amore abbia in lui accuito il disdegno e l'insofferenza per "ogni esempio/dell'umana viltà" ed abbia inoltre rafforzato il suo senso di superiorità rispetto al mondo circostante.

La morte e il nulla

Nella loro vicinanza logica, i concetti di nulla e di morte inducono il pensiero di Leopardi a differenti conclusioni : mentre infatti la morte è quasi sempre considerata un evento privato, riguardante una dimensione squisitamente individuale, l'idea di nulla comporta immediatamente un'apertura universale, una proiezione cosmica. Se dunque la morte si può anche invocare come una misericordiosa liberazione, come l'immagine ideale di una condizione finalmente affrancata dal triangolo esistenziale piacere- dolore- noia, il nulla provoca sempre una sorta di profondo sgomento, la contemplazione insieme atterrita e affascinata di una dimensione che l'intelletto non arriva a padroneggiare e che eguaglia per grandezza la "visione" mentale del cosmo e degli spazi siderali.  

L'egoismo cosmico e universale

Secondo Leopardi non è soltanto l'uomo a soffrire,ma tutto il creato,con la differenza che l'uomo è più sofferente del creato poichè è dotato di ragione.

Nell'opera Il canto di un pastore errante dell'Asia egli descrive la sensazione di felicità provata dagli animali quando trovano rifugio all'ombra degli alberi paragonando questa situazione all'uomo,che all'ombra degli alberi si annoia perchè gli vengono in mente tutti i pensieri.


Lo Zibaldone

A partire dall'estate del 1817 Leopardi prese ad annotare, su appositi quaderni che portava sempre con sé, appunti e pensieri della più svariata natura.

In quindici anni si accumulò in quei quaderni un'enorme quantità di materiale, che alla fine occupava ben 4.256 pagine che intitolò Indice del mio Zibaldone di pensieri. La dicitura Zibaldone ( significa " mescolanza confuse di cose diverse").

Si tratta insomma di un libro "parallelo", che segue passo passo, come repertorio tematico e linguistico, la stesura delle opere vere e proprie e che risulta perciò di fondamentale importanza per comprendere i tempi e i modi della loro elaborazione.


L'infinito

Il nucleo tematico di questo idillio è costituito dal contrasto fra i limiti fisici imposti dalla realtà materiale e gli sconfinati orizzonti del pensiero e dell'immaginazione individuali.

Seduto sulla cima di un colle meta delle sue abituali passeggiate, davanti a una siepe che gli impedisce di vedere gran parte della linea dell'orizzonte, il poeta fa scattare una sorta di "vista interiore", segnata da un silenzio e da una quiete che nulla hanno di umano: dimensioni sconfinate dello spazio, ma anche del tempo, poichè l'immaginazione dell'infinito spaziale non può andare disgiunta dall'idea di infinito temporale, ossia dell'eternità. La lirica si pone dunque sul piano privilegiato della "visione", di proiezione fantastica di immagini e il ritmo indistruttibile della vita e della morte, del presente che si fa passato, delle epoche storiche che si susseguono, rimanda a un'immensità che il debole pensiero umano non può controllare né comprendere che si traduce in un senso di spossato smarrimento, nel dolce "naufragio" dell'identità individuale in quel Nulla cosmico che custodisce le verità ultime dell'esistere e del morire.

L'anima s'immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario.

L'idea dell'infinito non ha in Leopardi alcun valore mistico-religioso, né allude a una trascendenza metafisica.


Ultimo canto di Saffo

Dopo la stesura dei primi idilli,Leopardi scrisse buona parte delle canzoni tra cui Bruto minore e Ultimo canto di Saffo,dedicate ambedue al tema del suicidio.

Il suicidio di Saffo nasce dalla resa dell'individuo di fronte alle sventure toccategli in sorte,si rivolge comunque non contro gli uomini,bensì contro l'irrazionale ferocia di una natura matrigna.

Ultimo canto di Saffo dà voce direttamente alla grande poetessa greca vissuta a cavallo fra il VII e il VI secolo a.C.

Leopardi si rifà alla leggenda secondo la quale la poetessa,innamorata del giovane Faone che però la disprezzava per la sua bruttezza,sarebbe precipitata in uno sconforto tale da indurla a gettarsi in mare.Il tema della bruttezza e della deformità è evidentemente autobiografico.


Lettere

Ci sono rimaste circa mille lettere, scritte fra il 1815 e il 1837.Rivolte soprattutto ad amici intellettuali e ai familiari (il padre Monaldo, i fratelli Carlo e Paolina), le lettere costituiscono una preziosa testimonianza non sola sugli eventi biografici del poeta, ma anche sugli sviluppi delle sue posizioni concettuali, della sua poetica, delle sue condizioni psichiche, delle sue scelte politico-culturali.


Canti

L'edizione completa dei Canti uscì postuma presso l'editore Le Monnier di Firenze nel 1845, a cura di Antonio Ranieri. Ma alcune erano già state pubblicate in diverse edizioni, via via accresciute e rivedute.

Queste le canzoni più celebri: All' Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, Bruto minore, Ultimo canto di Saffo.


A Silvia

Il poeta si rivolge a Silvia (identificabile con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta ventunenne nel 1818) alla quale egli si sente accomunato dalle rosee speranze dell'adolescenza, troncate da una morte prematura che Leopardi sente incombere anche su di sé.


La quiete dopo la tempesta

Questo canto scritto a Recanati nel 1829, presenta molte affinità strutturali e tematiche con  Il sabato del villaggio, composto subito dopo. Entrambi si aprono con scene di vita paesana e si concludono con riflessioni a esse ispirate.

Il piacere, per Leopardi, è infatti la cessazione del dolore o attesa di un bene illusorio.

Ne La quiete dopo la tempesta il poeta affronta il primo aspetto della questione: un temporale è appena cessato e, mentre il sole si fa strada tra le nubi e torna il sereno,gli animali, gli uomini e tutta la natura sembrano animati da un'energia nuova e festante che non ha altra motivazione se non, appunto, la cessazione del male e del dolore. In questo caso il piacere è dunque figlio d'affanno (il nome dato alla momentanea scomparsa o diminuzione delle nostre pene.

Il 1829 è per Leopardi il periodo in cui prende forma poetica definitiva il cosiddetto "pessimismo cosmico", la cui espressione più decisa e radicale si trova nell'ultimo dei grandi canti recanatesi, il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.


Il sabato del villaggio

Scritto nel 1829, immediatamente dopo La quiete dopo la tempesta, questo canto riprende il tema del piacere da un'altra angolazione: se lì il piacere consisteva nella provvisoria cessazione del dolore, qui invece si configura come un'attesa di un bene che non verrà mai raggiunto.

Il sabato del villaggio si apre con una animata descrizione di Recanati la sera del sabato, nell'attesa del giorno festivo: un quadro in cui abbondano, come ne La quiete dopo la tempesta,,i colori e i suoni della vita paesana. Segue poi,nelle ultime due strofe, l'amara riflessione sulla vanità delle attese, la disillusione e la noia che regneranno nel giorno festivo.


Canto notturno di un pastore errante dell' Asia

Lo spunto si ha da un brano di un memorie di viaggio del barone di Meyendorff, e si citava un'osservazione sui costumi dei Kirghisi, popolo nomade dell'Asia centrale dedito alla pastorizia:"Parecchi di loro passano la notte seduti su una pietra a guardare la luna, e a improvvisare parole tristissime su arie musicali altrettanto tristi". E' questo lo spunto da cui nacque, dopo una lunga elaborazione,il Canto notturno di un pastore errante dell' Asia.

Protagonista e "voce narrante" del canto è un immaginario pastore asiatico che si rivolge prima alla luna, poi al suo gregge, per lamentarsi della condizione umana.

A differenza degli altri canti recanatesi, il paesaggio è qui completamente assente: esso è del resto il luogo più consono per una sconsolata meditazione sull'insensatezza della vita umana e dell'intero universo. In questa poesia si ravvisa comunemente l'espressione più compiuta del "pessimismo cosmico".


Il passero solitario

Questa poesia è collocata immediatamente prima dell'Infinito. come a introdurre la serie dei primi idilli .

La sua "retrocessione" nella disposizione definitiva dei Canti è spiegabile sia con uno scrupolo "filologico" del poeta, che potrebbe aver privilegiato il momento dell'ideazione rispetto al tempo della stesura effettiva,sia con la volontà di dimostrare la continuità della propria ispirazione idillica.

In questo canto, in effetti, ricorrono molti motivi "idillici":stabilita la somiglianza fra la vita del passero solitario che vive in solitudine lontano dai suoi simili e quella dello stesso Leopardi, la poesia dà voce al rimpianto per la giovinezza perduta, al senso di autoesclusione del poeta da tutto ciò che fa più dolce la vita.


Operette morali

Il programma venne  realizzato di getto dal gennaio al novembre del 1824 (alcune in forma di dialogo, altre in forma narrativa, altre ancora di narrazione e dialogo insieme).

Gli argomenti affrontati delineano con precisone il vasto orizzonte del pessimismo leopardiano, che include le riflessioni sulla felicità e l'infelicità dell'uomo,sulla meccanica ostlità della natura, sulle vacue ideologie del secolo XIX, sui puerili errori dell'antropocentrismo.

Dialogo della Natura e di un Islandese

L'Islandese che fugge dalla sua disgraziata isola e si mette a girare il mondo in cerca di un luogo ove almeno sia possibile non offendendo non essere offese e non godendo non patire, si imbatte infine nel cuore dell'Africa, nella stessa Natura in forma di gigantesca figura femminile, e a lei indirizza una serie di appassionate recriminazioni sulla misera  e infelice condizione dell'uomo. Le risposte della Natura rivelano tutta la sovrana indifferenza per il destino e la condizione del genere umano.

Nel finale, crudelmente ironico, l'Islandese scomparirà vittima di agenti naturali, come a sancire la definiva sconfitta dell'uomo di fronte alla potenza soverchiante degli insensibili meccanismi naturali.


Dialogo di un venditore di almanacchi e di un pasegere

Scritta nel 1832 questa breve celeberrima operetta racchiude nel suo ritmo dialogico incalzante una prefazione di pessimismo. Al semplice ottimismo, un pò interessato o ottuso, del venditore di almanacchi per il nuovo anno si oppone la logica del passegere: ogni anno é atteso come bellissimo e apportatore di felicità, ma se si ci volge indietro non se ne riesce a ricordare uno particolarmente felice, da prendere a modello per quello futuro; tanto é vero vorrebbe nascere il sapendo di riavere in forse la vita passata. Dunque la vita bella é solo quella dell'ultima notte, cioé quella futura, su cui possono appuntarsi per ansie e aspettative che si ostina a non voler riconoscere vane.

In realtà nell'assunzione del dialogo e del povero passegere di un uomo di cultura, Leopardi fa assumere al secondo l'atteggiamento di benevolo distacco che si é soliti manifestare a un amoroso interiore da non prendere troppo sul serio; per questo l'ironia é più pacifista e il gesto finale é in realtà la riaffermazione di una distanza incolmabile tra il passegere e il venditore. Non preoccuparti dice il passegere al venditore di almanacchi, e ciò sta a significare non sforzarti di capire, continua pure a coltivare le tue sciocche speranze e a farle coltivare agli altri; anzi dice il passegere, voglio aiutarti spesso, per cui compro l'almanacco più costoso.


Gli almanacchi erano pubblicazioni popolari nella prima metà dell'800, contenenti indicazioni delle festività, i fenomeni astronomici, mescolati a previsioni astrologiche, informazioni utili per la vita quotidiana, massime e proverbi, la loro decisione ne fece uno strumento di primaria importanza per l'indicazione popolare.





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