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G. Leopardi - Il passero solitario (Canti, 11)

letteratura



G. Leopardi - Il passero solitario (Canti, 11)


D'in su la vetta della torre antica,

Passero solitario, alla campagna

Cantando vai finché non more il giorno;

Ed erra l'armonia per questa valle.



Primavera dintorno 828f55i   

Brilla nell'aria, e per li campi esulta,

Sì ch'a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar, muggire armenti;

Gli altri augelli contenti, a gara insieme

Per lo libero ciel fan mille giri,

Pur festeggiando il lor tempo migliore:

Tu pensoso in disparte il tutto miri;

Non compagni, non voli,

Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;

Canti, e così trapassi 828f55i    

Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,

Della novella età dolce famiglia,

E te german di giovinezza, amore,

Sospiro acerbo de' provetti giorni,

Non curo, io non so come; anzi da loro

Quasi fuggo lontano;

Quasi romito, e strano

Al mio loco natio,

Passo del viver mio la primavera.

Questo giorno ch'omai cede alla sera,

Festeggiar si costuma al nostro borgo.

Odi per lo sereno un suon di squilla,

Odi spesso un tonar di ferree canne,

Che rimbomba lontan di villa in villa.

Tutta vestita a festa

La gioventù del loco

Lascia le case, e per le vie si spande;

E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.

Io solitario in questa

Rimota parte alla campagna uscendo,

Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo

Steso nell'aria aprica

Mi fere il Sol che tra lontani monti,

Dopo il giorno sereno,

Cadendo si dilegua, e par che dica

Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera

Del viver che daranno a te le stelle,

Certo del tuo costume

Non ti dorrai; che di natura è frutto

Ogni vostra vaghezza.

A me, se di vecchiezza

La detestata soglia

Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all'altrui core,

E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro

Del dì presente più noioso e tetro,

Che parrà di tal voglia?

Che di quest'anni miei? che di me stesso?

Ahi pentirommi, e spesso,

Ma sconsolato, volgerommi indietro.


Sottolinea le espressioni che definiscono la somiglianza tra il poeta e il passero solitario. Quale altra analogia può essere suggerita dal passero ?


Tutta la poesia è incentrata su analogie, più o meno palesi, fra il passero solitario e la vita del poeta. L'analogia più evidente è senz'altro l'esclusione dal tempo felice della primavera : come il passero trascorre solitario la stagione più bella, spandendo il suo canto per la campagna, così cantando (scrivendo versi) il poeta passa in solitudine la stagione della sua gioventù. L'armonia errante attraverso la valle è il canto del passero cui si richiama quello del poeta, anch'egli solo e vagabondo per la campagna.

La campagna diventa qui per entrambi il luogo del ritiro, dell'esclusione dalla vita festosa del paese nel clima primaverile. Il movimento del passero e del poeta è quello dell'allontanamento dallo spazio umano, per trovare rifugio in aperta campagna. I due versi iniziali recitano «D'in su la vetta della torre antica,/Passero solitario, alla campagna» e pongono subito l'allontanamento del passero dal campanile che rintocca «D'in», così come più avanti il poeta dice di se : «Io solitario in questa/ rimota parte alla campagna uscendo». Il campanile è il simbolo della vita sociale e civile, dove nella festa la gioventù «e mira ed è mirata», senza contare che in Leopardi la campana con il suo rintoccare è l'annuncio della festa imminente ; basti ricordare i versi «or la squilla dà segno della festa che viene» dal Sabato del villaggio.


Individua i parallelismi che caratterizzano la rappresentazione della prima e della seconda strofa.


Spazio della natura

gli altri uccelli contenti

primavera della natura

passero

giri in cielo degli uccelli

Spazio del paese

gioventù del luogo in festa

primavera della gioventù, dell'uomo

poeta

giri festosi per le strade degli uomini


Schematizza le opposizioni su cui si incentra la riflessione finale :


Passero

solitudine istintiva del passero

assenza di rimpianto

poeta

solitudine del poeta

rimorso del tempo fuggito[i]


Rifletti sul diverso significato delle parole «vaghezza» e «voglia».


In questa poesia la parola vaghezza ha il senso di desiderio necessario, di un «istinto» (il Leopardi ci perdonerà se usiamo un «termine» per spiegare una «parola») voluto dalla natura. Alla fine della sua vita il passero non avrà niente da cui trarre rimorso, perché ogni sua «vaghezza», compresa quella di vivere in disparte la primavera, è fuori dalla sua portata di decisione, è un comportamento naturale.

La «voglia» del poeta, invece, è l'incomprensibile (per sua stessa ammissione) decisione di escludersi dal periodo bello della vita. Si tratta però di una scelta consapevole, anche se, in qualche inspiegabile modo, inevitabile. La «voglia», la scelta consapevole del poeta, a differenza della «vaghezza» del passero, si porterà dietro, nella vecchiaia, una scia faticosa di rimorso e di rimpianto.


Sottolinea la frequenza delle sensazioni visive e uditive nella rappresentazione.


Sensazioni uditive : D'in v.1, Cantando v.3, armonia v.4, Odi greggi belar, muggire armenti v.8, Canti v.15, Odi per lo sereno un suon di squilla,/Odi spesso un tonar di ferree canne,/che rimbomba di lontan di villa in villa vv.29-31

Sensazioni visive : Brilla nell'aria v.6, mirarla v.7, Per lo libero ciel fan mille giri v.10, il tutto miri v.12, Tutta vestita a festa/la gioventù del loco/Lascia le case, e per le vie si spande ; vv.32-34, E mira ed è mirata v.35, il guardo steso vv.39-40, Mi fere il Sol che tra lontani monti,/Dopo il giorno sereno/Cadendo si dilegua, e par che dica/Che la beata gioventù vien meno vv.41-44.

Le espressioni uditive sembrano più frequenti nella prima strofa, e comunque appaiono sempre «di lontano». Il passero solitario ode il muggito degli armenti e il belare delle greggi dal suo posto in disparte, così come il poeta sente dalla campagna i preparativi e i rumori della festa in paese (la squilla, i fucili usati come fuochi d'artificio di paese in paese). Sembra dunque che tutta la percezione di momenti belli sia affidata, per il poeta, al suono. Della festa, alla campagna dove il poeta si trova, giunge soltanto l'eco.

Le sensazioni visive si infittiscono invece nella descrizione diretta delle scene di festa primaverile, i giri degli uccelli nel cielo sgombro, la gioventù vestita a festa che si riversa in strada e «mira ed è mirata». A queste si aggiunge l'immagine lontana del tramonto che ferisce lo sguardo del poeta, steso sulla campagna, l'annuncio della fine del giorno e del tempo felice.


Quale scenario mutato introduce il tema della vecchiaia ? La poesia stabilisce una corrispondenza tra il tempo della natura (giorno, anno) e quello della vita umana. Che cosa vuole sottolineare ?


Il tema della vecchiaia è introdotto da un cambiamento dello scenario naturale, il tramonto che sopraggiunge sulla campagna. Si rafforza così la corrispondenza, molto cara al Leopardi, tra il giorno di festa e la stagione felice della vita, che volge al termine, e tra l'anno di vita del passero e la sua stagione migliore, la primavera.

Quello che si vuole sottolineare è la transitorietà del tempo migliore della vita, ed il rimorso inevitabile cui va incontro chi non lo vive, se ne esclude in modo volontario e inspiegabile.


Come spiega il poeta la propria condizione di infelicità ? La tematica di questo canto appare conforme alla riflessione maturata ormai da Leopardi sul pessimismo cosmico o noti una differenza ?


Il poeta spiega la sua attuale condizione di infelicità con la consapevolezza di non aver approfittato, e di non potervi più porre rimedio, dell'unico periodo bello della vita, quella gioventù che egli accosta ad una primavera passata. Questo contrasta con l'idea principale del pessimismo cosmico maturato da Leopardi, e cioè che non vi è nessun periodo bello della vita, mai. Non erano felici gli uomini antichi, non si è felici da giovani, nella stagione più bella della vita, non era felice Saffo, poetessa del mondo antico, suicida nell'Ultimo Canto. Il mondo e la Natura sono potenze sovrumane e indifferenti, che dell'uomo non hanno cura alcuna, e che all'uomo nn possono che infliggere sempre e solo sofferenza. Al contrario del tema di questa poesia, per il pessimismo cosmico di Leopardi non c'è mai stata nessuna primavera felice da vivere, ecco dove sta l'elemento di contraddizione.


Puntualizza il movimento temporale che attraversa il canto (dal presente al futuro e da questo all'oggi) e i sentimenti che lo caratterizzano.


Il movimento temporale del canto inizia dal giorno presente, un giorno festoso di inizio primavera, in cui la vita rinnovata brilla nell'aria ed esulta nei campi[ii]. Non partecipa però a questa vita il passero solitario che, come il poeta, ne è escluso. Mentre anche nei paesi le feste salutano l'arrivo della primavera, il poeta se ne sta solo in aperta campagna, come estraneo, «Quasi romito, e strano/Al mio loco natio». C'è dunque un presente di festa e di gioia, a cui il poeta, inspiegabilmente, non partecipa. Giungono a introdurre la prospettiva del futuro i raggi del tramonto, che feriscono lo sguardo del poeta e gli ricordano che il giorno (e quindi prima o poi anche la stagione più bella) sta per finire. Si allungano allora sul giorno le ombre del futuro, che si prospetta come vecchiaia e rimpianto. Mentre il passero non avrà rammarico della sua indole solitaria, perché data per natura, il poeta invece si troverà, vecchio, con la consapevolezza di non aver vissuto il periodo più bello ella vita.




[i] «Quando muti questi occhi all'altrui core,/E loro fia vòto il mondo, e il dì futuro/ del dì presente più noioso e tetro,/Che parrà di tal voglia ?/Che di questi anni miei ?/Che di me stesso ?/Ahi pentirommi, e spesso/Ma sconsolato volgerommi indietro»

[ii] Nella descrizione della gioia primaverile si sentono ancora, forse, echi del proemio del de rerum natura di Lucrezio («nitet», «aëriae volucres», «perculsae corda tua vi», «persultant pabula laeta», «ferae pecudes»).




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