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Gaetano de Leo e Patrizia Patrizi: Psicologia giuridica - La psicologia giuridica: questioni teorico-applicative

psicologia



Gaetano de Leo e Patrizia Patrizi: Psicologia giuridica

Cap I. La psicologia giuridica: questioni teorico-applicative

Psicologia giuridica ≠ criminologia. È una disciplina specializzata che fa dei temi giuridici i propri oggetti di lavoro. E' una disciplina applicata che:

Riconosce nella psicologia il proprio referente teorico, scientifico da cui attingere metodi, strumenti specializzandoli rispetto al campo di applicazione.

Riconosce nel diritto il proprio referente di contesto, mantenendo però una capacità autonoma di produrre domande, progetti.



Si attribuisce un' identità interdisciplinare in cui la psicologia e il diritto si connettono.


AREE APPLICATIVE: psicologia legale, psicologia delle attività giudiziarie, psicologia dei provvedimenti, psicologia di formazione degli operatori di giustizia, psicologia delle situazioni problematiche (tutela di minori), psicologia dei campi devianti/criminali.


Le origini: l'attivazione dell' insegnamento universitario avvenne nel 1898, ma le origini sono da ricondurre agli inizi del 1900 con due scuole di pensiero:

Positivismo criminologico: Enrico Ferri fonda nel 1911-12 la Scuola di Applicazione giuridico-criminale in cui accanto agli insegnamenti del diritto vengono inserite discipline mediche e sociali partendo dal presupposto che i fatti concernenti il diritto e la giustizia vadano studiati considerando oltre agli elementi oggettivi, anche le dimensioni psicologiche del processo e delle interazioni fra gli attori in gioco → dietro ogni delitto c'è un uomo, una persona che è importante "studiare" per risalire alle cause del delitto e a partire da quelle cause, impostare programmi riabilitativi e preventivi. Attenzione mirata alle condizioni psicologiche e sociali che possono diventare causa di criminalità. Limiti = si ricorre a nessi di rigida causalità per cui sulla base delle condizioni personali si imposta la prevedibilità del compito futuro (individuazione di persona a rischio, di soggetti con profilo/caratteristiche criminali.

Scuola classica di Diritto Penale: Crimine = ente giuridico, non ente di fatto. Il comportamento criminale non è tale di per sé, ma in riferimento alle convenzioni di legge. Non interessa chi ha commesso il reato, ma quest'ultimo come ente giuridico che deve essere affrontato a partire dai danni che produce e ricomporre il patto sociale infranto.


POSITIVISMO CRIMINOLOGICO    VS SCUOLA CLASSICA

Attenzione alle dimensioni psicologiche sociali,  Attenzione sull'azione trasgressiva, sul reato e ai

alla persona più che al reato; danni prodotti, non alla persona in sé;

Pena rieducativi e intenti preventivi Pena =sottrazione di libertà al soggetto per risarcire

il danno, ricomporre il patto sociali.


SISTEMA DELLA SICUREZZA SISTEMA MORALE

Psicologia giuridica

Ceppo di natura giuridica, criminologia   Ceppo di natura psicologica

La psicologia emette giudizi su questioni Psicologia = intervento sussidiario → deve

etiche → ha una funzione integrativa al    sospendere giudizi etici, ha una funzione consulenziale

diritto (psicologia come scienza deterministica).  ausiliaria al diritto.


Agostino Gemelli riconosce:

La necessaria funzione delle scienze sociali nello studio del crimine, senza cadere però nel determinismo del positivismo criminologico che riconduce a categorizzazioni tipologiche che ignorano la storicità, la processualità e l'unicità del reato.

La necessità di una chiarificazione dei confini tra psicologia e diritto, considerando che la norma a delimitare il campo a cui la psicologia si applica e che è necessaria quindi una distinzione tra categorie giuridiche e categorie psicologiche.

Ciò permette di superare i contrasti tra le due scuole: la Ψ giuridica ha un'autonomia (→riferirsi alla Ψ) e si contestualizza nel diritto. E' una psicologia nel diritto, non x il diritto e quindi è caratterizzata da:

  1. natura interdisciplinare
  2. specializzazione rispetto alle altre Ψ
  3. rapporto di autonomia ma di coerenza col contesto di riferimento.

Confronto epistemico e pragmatico

PSICOLOGIA DIRITTO

Riflessione conoscitiva, teorica, epistemologica Riflessione interpretativa, ermeneutica di quanto stabilito

dai codici.

Disciplina descrittivo-applicativa (studia regole   Disciplina pratico-prescrittiva (regolamenta il comport.

che sottendono il comport. umano → obblighi    umano → obblighi incondizionati → validità di per sé

condizionati = valgono solo in presenza di  in ogni caso, situazione).

determinate condizioni).

Probabilità: decisioni elaborate con la Decidibilità → ambito fortemente decisionale, con al

consapevole assunzione di un rischio  centro un giudice, la cui funzione consiste nel formulare

probabilistico → anche il linguaggio è  una serie di giudizi → prendere continue decisioni.

probabilistico.

Categorie psicologiche → costrutti che evolvono  Categorie giuridiche → convenzionali, create dall'uomo.

Coerentemente con l'evoluzione degli studi scientifici.

↓ ↓

Saper superare una funzionale traduzione operativa tra le categorie e appartenenze al sapere giuridico e quelle di pertinenza del sapere psicologico, mantenendo la consapevolezza della loro diversità di base.

La psicologia e il diritto nella psicologia giuridica devono essere autonome e complementari → comunicazione intersistemica tale da promuovere un dialogo circolare, interdisciplinare = obiettivo della psicologia giuridica.

Non tenendo conto del contesto normato di applicazione si cade nel rischio di una CONFUSIONE TRANSCONTESTUALE (il significato dei concetti -psicologici- va considerato in relazione al contesto applicativo in cui ci si muove -diritto-).

Quindi trattamento non come categoria giuridica di cui bisogna individuare i correlati psicologici, ma come categoria interdisciplinare che si sostanzia in aspetti normativi che provengono da una riflessioni su categorie psicologiche, alla quali la norma stessa, (es. trattamento penitenziario) fa un esplicito richiamo.


Funzioni e competenze della psicologia giuridica applicata ai contesti della giustizia

Utilizzeremo tre aree tematiche come criteri organizzatori:

  1. CONTESTO APPLICATIVO: ambiente organizzativo composto da diverse professionalità, ma è soprattutto un contesto "normato" → ogni attività riflessiva/operativa acquista significato solo rispetto ad una norma. Norma = testo informatore del lavoro psicologico → riflessione su categorie psicologiche e giuridiche e chiarezza, trasparenza comunicativa come "fruibilità giuridica": in cui linguaggio, modo e argomento sappiano proporsi agli operatori del diritto.
  2. PRESENZA DELLA PSICOLOGIA NEL DIRITTO: non sempre corrisponde alla presenza della psicologia come ruolo specialistico per due ragioni:

la psicologia è considerata scienza esatta

tendenza della psicologia a porsi sul versante dell'aiuto rispetto a quello del controllo.

A tale proposito lo psicologo può avere:

Funzione conoscitivaESTERNA: il perito interviene occasionalmente entro il sistema civile/penale → azione specialistica, non continuativa, ma situata rispetto a una precisa, specifica richiesta del giudice o dalla parte INTERNA: la psicologia nei servizi minorili → interno al contesto.

Funzione decisionale = lo psicologo è componente del collegio presso i tribunali dei minorenni e di sorveglianza.

  1. DESTINATARI DELL'INTERVENTO. Tre aspetti principali:

Non volontarietà di fruire dell'intervento psicologico → strumentalità, ostilità, attese di aiuto. Il rapporto della persona con la psicologia è legato a decisioni giudiziarie che la riguardano.

L'ambito di disfunzionalità non è definito dalla persona, ma da altri secondo criteri di rilevanza giuridica spesso diversi dalle rilevanze soggettivamente percepite.

L'insieme dei significati che l'utente della giustizia porta con sé è stato costruito nel tempo → la narrazione del presente è frutto della storia percorsa, della capacità della persona di stare nel contesto, difendersi, tutelarsi.



La psicologia deve analizzare la domanda e interrogare se stesso in merito alla propria committenza tenendo conto che il committente della giustizia può risultare dalla messa in dialogo di diversi soggetti e di diverse domande esplicite e/o latenti → committenza plurima e domanda composta → attento lavoro di chiarificazione con l'utente, con il committente iniziale e con se stessi come promozione circolare di responsabilità da parte di tutti gli attori come contratto operativo.


Cap. II. La tutela del minore in condizioni di rischio evolutivo

Rischio: pericolo di alterazione dei percorsi di sviluppo in senso deviante, disfunzionale, ostacolante → OPPORTUNITA' di attribuire al reale nuovi significati (assunzione di un'ottica di utilizzo della propria esperienza per potenziare e acquisire capacità di orientarsi entro alternative possibili.

→ La condizione di rischio dipende da diversi fattori non solo personali ma anche relazionali:

es. conteso "patogeno" = in cui vi è rigidità degli schemi interattivi e percettivi della realtà relazionale (vi è scarsa capacità di ristrutturarsi, vi è un grosso grado di adattabilità nel modificare, rinegoziare ruoli, relazioni..I fattori vanno contestualizzati rispetto a ciascun specifico caso. Vanno considerate anche anche le risorse del minore e le sue personali capacità di far fronte alle difficoltà. N.B. La condizione di rischio evolutivo non solo in caso di problematicità conclamate (es. abuso) ma anche in caso di modalità di funzionamento relazionale poco adeguate.

Resilenza = processo di adattamento, attraverso cui il minore mette in campo una serie di strategie verso situazioni di stress che potrebbero interferire col suo sviluppo cognitivo, emotivo, relazionale. Vanno considerati anche i fattori protettivi che potenziano le competenze di elaborazione e adattamento (es. coping, problem solvine.) emergenti dal contesto familiare, scolastico, extrascolastico.


L'interesse del minore

La condizione di rischio = salvaguardia dell'interesse del minore da parte di un complesso sistema costituito da:



TRIBUNALE ORDINARIO CIVILE

GIUDICE TUTELARE

TRIBUNALE PER I MINORENNI

Che collabora con i servizi territoriali degli enti locali (consultorio sociale) e quelli del privato (cooperative, associazioni..). Il concetto di interesse del minore si è costituito nel corso di una storia caratterizzata dal passaggio da una posizione adultocentrica (minore come "adulto incompleto"e incapace) al riconoscimento dell'esistenza di una storia propria, percepita da un minore.

POSIZIONE ADULTOCENTRICARICONOSCIMENTO SPECIFICITA' DELL'ETA' EVOLUTIVA

Minore = adulto incompleto e incapace   Minore = soggetto dotato di competenze, risorse cognitive-emozionali

Adulto = controllo, gestione del minore;    da valorizzare.

è una figura che guarda dall'alto e plasma Adulto = accompagna il processo della crescita come INTERVENTO

passivamente il minore.    DI SOSTEGNO per aiutarlo a migliorare, affrontare situazioni difficili


↓ ↓

Interventi improntati alla rimozione delle    Minore ha il diritto di partecipare attivamente alle scelte che lo

cause del disagio, delle carenze.    riguardano (atteggiamento di promozione del benessere, delle risorse =

strumenti di gestione del rischio).


Gli stessi servizi non hanno un semplice compito di assistenzialismo ma hanno il compito di favorire il CONFRONTO, l'INTEGRAZIONE di tutte le figure coinvolte → azione sinergica sul quotidiano = interconnessione delle risorse esistenti da potenziare.


Affidamento dei figli nei casi di separazioni conflittuali o divorzio

Il passaggio da un concetto di separazione per colpa (responsabilità rottura della relazione di coppia ascrivibile a uno solo dei due membri, a una concezione di separazione come evento possibile del ciclo vitale → riconoscimento della possibilità dell'interazione legale della coniugalità, in cui non vi è un unico colpevole.


SEPARAZIONE: (da parte del tribunale ordinario)

Consensuale = accordo tra i coniugi, anche in relazione alla cura, all'educazione dei figli e alla scelta di separarsi,

Giudiziale = conflitto tra i coniugi (non condivisione della scelta di separarsi, disaccordo circa la cura, l'educazione dei figli).

Tale separazione richiede una sentenza da parte di un giudice che può eventualmente disporre di una perizia che accerti la qualità della relazione genitoriale e le funzioni genitoriali. La volontà del minore va rispettata a partire dal 14 esimo anno di età.


DIFFICOLTA' DELLA SEPARAZIONE:

  1. Difficoltà di ridefinizione della relazione di coppia in cui funzione genitoriale e coniugale, dapprima condivise si trovano ora scisse →difficoltà di ridefinire una nuova individualità per cui si tende a mantenere una relazione di coppia seppur di crisi.
  2. Difficoltà di attuare il divorzio psicologico = incapacità della coppia di separarsi sul piano affettivo, cognitivo, emozionale → dimensione del legame seppur conflittuale continua.

Rischio di maltrattamento psicologico = strumentalizzazione del minore nel conflitto che si trova entro un processo di triangolazione che lo costringe ad allearsi con un genitore o con l'altro, col rischio di deterioramento del rapporto con il genitore escluso: il minore si sentirà al contempo tradito per il vuoto lasciato dal genitore non scelto e colpevole di alimentare il conflitto tramite la sua presa di posizione.

Occorre valutare tutti questi fattori in modo da offrire al minore un ambiente di riferimento che ne soddisfi i bisogni di crescita e che al contempo includa il genitore non affidatario, dal punto di vista relazionale e decisionale → il genitore non affidatario è comunque una figura di riferimento.

La separazione non è per forza conflittuale, vi è anche la possibilità di affrontare i problemi con efficaci risorse relazionali riuscendo quindi a gestire un conflitto potenzialmente distruttivo.


Allontanamento del minore dal nucleo di origine: affido eterofamiliare e comunità

Legge 184 (1983) = quando la famiglia d'origine si dimostra inadeguata a svolgere la funzione educativa, il giudice potrà valutare la possibilità di affidare il minore ai parenti, a un'altra famiglia o a persone singole oppure a comunità familiari che ne assicurino il mantenimento, l'educazione, l'istruzione, in previsione comunque di un suo ritorno in famiglia d'origine quando le condizioni lo consentano (collocamento in comunità non per minori di 6 anni) → AFFIDAMENTO:

Giudiziario (familiare o istituzionale) è di competenza del TM e lo scopo è quello di offrire un sostegno e un recupero delle funzioni genitoriali del nucleo d'origine → la famiglia naturale non perde i propri diritti-doveri di accadimento, ma si fa temporaneamente affiancare nel suo esercizio.

Preadottivo, casi in cui trascorso un determinato periodo di tempo non si siano verificate condizioni tali da ipotizzare il rientro del minore nella famiglia d'origine.

L'affidamento è diverso dalla sostituzione, è un affiancamento al nucleo di origine → la famiglia affidataria deve essere consapevole e la gestione dell'affidamento coinvolge diverse istanze e protagonisti (minore - famiglia naturale - affidatari - servizi territoriali - autorità giudiziaria.) → interventi interdisciplinari e basati su diverse competenze: giuridiche, psicologiche e sociali. Stretta collaborazione di tutti gli attori del processo.


COMUNITA' FAMILIARE = alternativa alle grandi strutture istituzionalizzanti e alienanti. La comunità di tipo familiare è simile ad organizzazioni di tipo familiare, volte a favorire una maggiore relazionalità e intimità tra minori e adulti → creava intorno al minore un ambiente il più possibile visivo al modello familiare.

Un contesto capace di rispondere alle sue esigenze di affetto e protezione. Anche in tal caso l'intervento richiede un lavoro d'equipe che consideri i problemi, ma anche le risorse. Il minore va sostenuto e l'operatore diviene una figura simile a quella familiare.

Al compimento della maggiore età abbiamo l'accompagnamento d'uscita (es. permanenza in appartamenti esterni.) con la funzione di monitoraggio volta a garantire la continuità del processo avviato.


Adozione nazionale e internazionale

Legge 431/67 centrata sulla gestione dello stato di abbandono → legge 184/83 maggior interesse per il minore riconosciuto come portatore di bisogni specifici riconducibili alla sua storia. Secondo tale legge:

  1. Il soggetto principale = è il minore e non l'adulto che assume precisi doveri, responsabilità più che diritti.
  2. Ricerca della famiglia realizzata a partire dalle esigenze del minore e non dai bisogni di genitorialità delle famiglie.
  3. Minore adottabile di una famiglia fondata sul matrimonio da almeno tre anni (nella 149 del 2001 si parte a contare dagli anni di convivenza stabile e continuativa che ha preceduto il matrimonio). Anche una coppia appena sposata può adottare.

→ I minori inferiori ai 12 anni sono ascoltati in relazione alle loro capacità di discernimento e non più solo secondo una valutazione di opportunità effettuata dal giudice (il maggiore di 14 deve dare specifico assenso). L'adozione va dichiarata con sentenza in appello e in cassazione (nella legge 148/83 solo con un decreto).

→ I genitori del minore in stato di abbandono possono riconoscere maternità/paternità in un secondo momento → affidamento pre-adottivo anche per una sorta di sperimentazione dell'incontro delle diversità (in genere circa un anno).

I servizi territoriali devono seguire tutto il percorso selezionando le coppie e avendo un duplice ruolo di aiuto/controllo (la legge 184 prevede il controllo sull'andamento) diversamente nella 149 il controllo è affiancato da un favorire il processo d'adozione).

Nel passato vi è un diverso contenuto emotivo da nascondere, rimuovere, disconoscere → il minore ha il diritto di conoscere il proprio genitore al compimento del 25 esimo anno d'età (a 18 se esistono gravi motivi).

Adozioni internazionali = funzione di mediazione tra le famiglie e il paese di provenienza del bimbo adottabile e sono intraprese solo se accertato lo stato di adattabilità del bimbo, il consenso delle autorità competenti di entrambi i paesi contraenti.


Legge 184 (1983)   Legge 149 (2001)

Minore di 12 anni adattabile secondo una valutazione Minore 12 anni ascoltato in relazione alle sue capacità

di opportunità effettuata dal giudice.   di discernimento.

Adozione dichiarata con decreto.  Adozione dichiarata con sentenza in appello e cassazione.

Servizi hanno soprattutto compito di controllare  Servizi hanno compito di controllare ma anche di

l'andamento dell'adozione.    favorire l'adozione.

Minore adottabile da famiglie sposate da almeno 3 anni.  Minore adottabile da famiglie sposate, ma gli anni sono

contati a partire dall'inizio di una stabile e continua

convivenza.

Le caratteristiche formali delle coppie non sono cambiate con la nuova legge, tuttavia si sono ridotti i tempi necessari alla pratica.


Cap. III. Gli accorgimenti psicologici: ambito, ruolo, funzioni dei consulenti tecnici

La Consulenza tecnica d'ufficio (CTU) è un'indagine di carattere psicobiologico in base a cui il giudice può chiedere di essere coadiuvato da uno o più consulenti con specifiche competenze tecniche-professionali → il giudice assegna al consulente il compito di svolgere delle indagini mirate a raccogliere elementi di chiarificazione utili a fini decisionali.

→ Le parti possono decidere di farsi affiancare da consulenti tecnici di parte (CTP) che affiancano la CTU esprimendo propri rilievi.

La CTU deve aver chiaro che il destinatario del suo intervento è il minore e l'obiettivo è di salvaguardarne il diritto ad essere curato e tutelato. La CTU è diversa dalla prova processuale, è una relazione peritale che può aiutare il giudice a prendere decisioni, ma non può influenzarne la direzione → resta il giudice a decidere.

La CTU non è vincolata da segreto professionale poiché è posta entro un procedimento giudiziario → ha il fine di offrire al giudice il quadro più possibile corrispondente alla realtà ed effettivamente COMPRENSIBILE → un problema è spesso il linguaggio poiché esiste una diversa formazione tra giudici e periti.

Contesto della consulenza = spazio di intervento che consente di RILEGGERE CONTENUTI relazionali e dinamiche familiari con la finalità di osservare la realtà del minore per individuare diversi percorsi di crescita e sviluppo → si deve avere ben chiara la distinzione tra accertamento diagnostico-valutativo e intervento terapeutico.


CTU per l'affidamento dei figli

In situazioni di separazione giudiziale in cui l'affido dei figli è oggetto di contesa → il giudice deve comprendere quale dei due genitori sia il più adatto sulla base dell'interesse morale e materiale della prole.

A partire dagli anni '60/'70 si è passati dall'esigenza di accertamenti dell'idoneità del singolo genitore a quelle di entrambi, giungendo all'interesse per il livello relazionale del nucleo familiare nella sua totalità → non centrato su caratteristiche di personalità ma a caratteristiche interindividuali, relazionali che vedono interagire il soggetto con altri interlocutori → oggetto di significato = Rapporti (dinamiche), la loro valenza e significato coinvolgendo l'intero nucleo familiare e l'intero sistema che lo circonda, non si vuole stabilire l'esistenza di patologie.

→ L'accertamento va calibrato a partire dalle esigenze dello specifico minore, famiglia → non esistono modalità universali, tuttavia gli strumenti a cui si ricorre sono:

Colloquio clinico (secondo diverse modalità e diverso ordine)

Strumenti testologici specifici e aspecifici (reattivi attitudinali, proiettivi.)



OSSERVAZIONE NATURALISTICA (analisi delle relazioni familiari nelle situazioni della quotidianità per rilevare la qualità degli stili familiari e le metodologie educative e di ogni genitore.

Vi sono due rischi:

  1. L'intensità emozionale del contatto in situazioni complesse può spingere il consulente a una presa in carico del minore andando oltre i confini dello psicogiuridico e sconfinando nel terapeutico in un settino inadeguato.
  2. La collusione con il sistema osservato → presa di posizione per uno o per l'altro genitore cadendo in un sistema di PREGIUDIZI che possono accompagnare il tecnico e attuando dei giudizi che non corrispondono in realtà a quanto si sta osservando.

Cap. IV. Il minore autore di reato

Contenimento istituzionale = di stanziamento del reo per proteggersi dalla sua potenzialità deviante. Ma i comportamenti devianti sono rinforzati da feedback provenienti dal sistema familiare, sociale, istituzionale → la carcerazione non riduce la recidiva e non previene i comportamenti devianti, che sono adottati per scelta. Occorre quindi valorizzare le risorse del minore affinché la scelta deviante venga meno.

La pena non deve prevedere una terapia bensì un trattamento (insieme di attività educative, psicologiche, culturali.inserite in un progetto finalizzato a realizzare gli obiettivi prefissati).

Il contenimento carcerario non favorisce la crescita relazionale e una riflessione responsabile sulle proprie azioni → non previene la recidiva. E' invece più utile attuare, incentivare il minore ad una progressiva assunzione di responsabilità, senza inoltre ostacolare i normali processi di crescita educativa-formativa. Il minore ha quindi la possibilità di confrontarsi con il reato commesso e può orientarsi verso percorsi di vita alternativi a quelli devianti. Si mira quindi a realizzare un intervento che prosegua la tutela del minore imputato; l'attuazione di un intervento nell'interesse del minore non è contraddittorio al perseguire l'interesse della società (gli interessi personali non possono essere considerati anche in termini di interessi sociali)

→ il crimine emerge dal contesto sociale, va affrontato all'interno del sociale elaborando una garanzia dei diritti del minore della vittima e della società (misure mirate alla prevenzione-riparazione del danno).

Il processo penale minorile deve attuarsi nel rispetto della tutela del minore stesso e delle sue esigenze di sviluppo.


Storicamente sono rintracciabili diverse forme, modelli di risposta alla devianza minorile:

  1. MODELLO PUNITIVO-RETRIBUTIVO = basato sulla necessità di garantire l'ordine, di assicurare una risposta di sicurezza sociale. Ci si rifà a una PUNIZIONE correttiva tesa a prevenire la ripetizione del comportamento deviante.
  2. MODELLO CORRETTIVO-RIEDUCATIVO = porta all'istituzione del tribunale per i minorenni (1934) con l'intento di attivare un controllo del minore autore di reato tenendo conto delle sue esigenze educative → interventi correttivi dell'irregolarità della condotta e del carattere anche esternamente a una cornice tipicamente penale. L'azione non è separata dalla comunità sociale, gli interventi si ispirano a diversi principi:

minima offensività (il processo non deve esere la condizione di rischio per il minore)

attitudine responsabilizzante (esprime la valenza educativa del processo sul piano della crescita personale e sociale)

de-stigamtizzazione (non lasciare traccie di un comportamento deviante nel minore)

de-istituzionalizzazione (per evitare effetti di stigma e radicamento del comportamento criminale)

Il principio ispiratore di tale modalità di rapportarsi è il concetto di DIVERSIONI con cui si riferisce alla necessità di rispondere al minore deviante coinvolgendolo in programmi di trattamento che si svolgono prevalentemente al di fuori della struttura carceraria avvalendosi di figure esterne (es. operatori territoriali, sociali.). Tuttavia, oltre a spostare il luogo del trattamento al di fuori dell'istituzione carceraria si deve anche superare la radicata rappresentazione del minore come soggetto passivo e oggetto di cura.

  1. MODELLO RIPARATIVO (produce consapevolezza e responsabilità) = d.p.r. 448/88. Sancisce "la necessità" di rendere conto alla società del danno commesso al reato, attraverso la promozione delle risorse di cambiamento presenti nell'imputato, in termini di competenze sociali e di RESPONSABILITA'. Il soggetto non solo transita il meno possibile nel sistema della giustizia, ma si appropria anche consapevolmente della responsabilità dell'azione commessa e delle sue conseguenze sul piano giuridico. Il minore si pone in un ruolo attivo, è riconosciuto come persona, capace di assumere decisioni in merito alle questioni che lo riguardano all'interno dell'iter giudiziario, nel rispetto della sua fase educativa e in modo adeguato alle sue capacità sociali e cognitive. L'operatore deve saper prestare attenzione alla specificità del minore e per direzionare in modo mirato l'iter professionale.


Istituti processuali

Le misure cautelari per i minorenni si collocano lungo una scala che va da una minore a una maggiore restrittività e da utilizzare in alternativa alla custodia cautelare. Esse sono:

prescrizioni (attività di studio/lavoro utili all'educazione del minore);

permanenza in casa

collocamento in comunità (affidamento a una struttura pubblica e autorizzata, con eventuali prescrizioni),

la custodia cautelare (non minore di due anni) è disposta solo in casi gravi (es. pericolo di fuga.): la scelta del tipo di misura è guidata oltre che dalla tipologia del reato commesso, dalle esigenze di sviluppo del minore e dall'obiettivo di non interrompere i processi educativi in atto,

A tali misure sono inoltre affiancati degli ISTITUTI introdotti per evitare il ricorso a giudizio, limitando al max l'entrata del minore nelle strutture penali:

  1. SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE come annullamento del procedimento giudiziario per tenuità del fatto e occasionalità del comportamento per non pregiudicare le esigenze educative del minore. Limite per il minore non è prevista alcuna misura di intervento che possa affiancarsi alla conclusione del procedimento, cioè il minore non è inviato ad altri contesti operativi con finalità preventive.
  2. SOSPENSIONE DEL PROCESSO E MESSA ALLA PROVA, il processo è momentaneamente sospeso e al minore vengono assegnati dei compiti in cui deve impegnarsi. Il giudice potrà valutare, anche grazie al contributo delle figure professionali agenti nel progetto, la personalità del minorenne. Tale modalità offre all'imputato la possibilità di adoperarsi attivamente nella dimostrazione dell'inopportunità che, il procedimento giuridico abbia seguito.

→ Il progetto è specifico per ciascun minore il quale è coinvolto nella costruzione. E' una sorta di contratto educativo-riparativo caratterizzato da una co-costruzione, negoziazione tra minore, servizi sociali, istituti di giustizia, famiglia, società..In tal modo il minore avrà consapevolezza dell'azione commessa ed imparerà un nuovo modo di confrontarsi rispetto alla propria e altrui realtà.

Critiche alla prevista esitazione del reato in seguito all'esito positivo della prova: la società, la vittima, e nemmeno l'imputato sembrerebbero trarre vantaggi dalla formula di estinzione, dato che attraverso di essa verrebbe attribuita scarsa rilevanza al diritto della vittima di essere in qualche modo "risarcita" e a quello dell'opinione pubblica di sentirsi rispettata nella propria esigenza di equità e giustizia sociale, ma verrebbe anche indebolito il senso di colpa dell'autore di reato, interferendo, in questo modo, con la possibilità che egli si renda conto della gravità dell'azione commessa.

Recenti orientamenti governativi introducono criteri restrittivi di applicazione dell'istituto rispetto ad alcuni reati (es. omicidio volontario.).

In tal caso si ricorre all'intervento in fase di esecuzione della pena con la possibilità di un'estinzione di quest'ultima anziché del reato. Se la società assume un atteggiamento sociale rifiutante di tali modalità difficilmente il minore integrerà nella propria mente un concetto di giustizia orientato alla promozione di scelte partecipative.


Iter processuale e ruolo dei servizi

Sin dalle primissime fasi di contatto con il minore, occorre prestare da subito attenzione alla firma e al contenuto dell'intervento giudiziario (gravità del fatto, età del soggetto, personalità..). In primo luogo si deve comunicare al PM e ai servizi della giustizia minorile il reato, il quale, qualora non sussistano le condizioni di rientro del minore nella propria abitazione, può disporre che egli venga condotto presso un centro di prima accoglienza (CTA), o presso una comunità pubblica o autorizzata.

Il CTA agisce come filtro che ospita il minore fino all'udienza di convalida, durante tale periodo è possibile effettuare una rapida raccolta di informazioni come minore , la famiglia, la situazione..per identificare la misura più idonea allo specifico caso. Ha una funzione di accoglienza e orientamento processuale (massima permanenza 96 ore)

Esiste una stretta collaborazione tra il sistema della giustizia e quello dei servizi Territoriali → Interprofessionalità, interservizio. Tale coordinamento è gestito dai centri per la giustizia minorile. L'adulto in tale processo rappresenta un referente, consulente.

Pre-requisiti di ogni progetto:

Chiarificazione dei soggetti coinvolti e degli specifici ruoli, responsabilità.

Conoscenza delle risorse necessarie, dei tempi e degli strumenti (collegare le funzioni, gli obiettivi e li strumenti processuali).

CONCRETEZZA che permette di verificare l'effettivo andamento del progetto a tutti i protagonisti.

FLESSIBILITA' che permette di riconoscere oltre alle difficoltà anche i cambiamenti positivi che possono rendere superflui alcuni passaggi.

LOGICA DEI PICCOLI PASSI per rendere più agevole il percorso.


Personalità, imputabilità, responsabilità

Accertamenti sulla personalità del minorenne: valutazioni delle condizioni delle risorse attivabili col fine di accettare l'imputabilità, il grado di responsabilità, la rilevanza sociale del fatto e disporre le conseguenti misure di sicurezza. E' una prassi operativa svolta per ogni minore imputato di reato e può necessitare il coinvolgimento di un esperto esterno (PERITO) quando il giudice necessita di una valutazione più mirata.

IMPUTABILITA' = possibilità che il minore (soggetto) venga sottoposto a giudizio e sia quindi imputabile.

ART. 97 Codice Penale = non sono considerabili imputabili e quindi penalmente responsabili i minori di 14 anni, mentre le presunzione di imputabilità è applicata ai maggiori degli anni 19. I soggetti INFRADICIOTTENNI (tra i 14 e i 18) sono imputabili solo dopo un accertamento della loro capacità di:

INTENDERE = rendersi conto del disvalore sociale-giuridico dell'azione commessa e delle sue conseguenze

VOLERE = saper regolare il proprio comportamento.


→ La norma chiede quindi di valutare la relazione che lega il minore, l'azione da lui messa in atto e il suo contesto di attuazione, ma anche la capacità del soggetto di comprendere/anticipare le conseguenze.


Criteri di valutazione dell'imputabilità

  1. LA MATURITA' EVOLUTIVA raggiunta dal minore (il livello di maturazione individuale sotto il profilo fisiologico, psicologico e sociale). L'imputabilità dipende direttamente dalla capacità di intendere e di volere (al momento del fatto), partendo dal presupposto che tale capacità prima dei 14 anni non sia presente per questioni di sviluppo. Limiti:

ogni persona raggiunge la maturità in termini e tempi diversi

concetto di maturità/immaturità sottoposti a cambiamenti sociali, culturali (è in costante maturazione).

  1. RESPONSABILITA' = schema regolativo interattivo attraverso cui la persona risponde agli eventi a cui partecipa, esprimendo quindi intenzionalità e consapevolezza dell'azione e la prevedibilità delle sue conseguenze indipendentemente dalla maturità cronologica. La responsabilità delimita, quindi, l'area entro la quale il minore si percepisce quale gestore del proprio comportamento. Inoltre accanto alle competenze attive nel minore al momento del fatto, vanno considerate quelle che potrebbero svilupparsi durante il procedimento giudiziario = capacità di assumere impegni di cambiamento per il futuro. Gli accertamenti quindi non riguardano solo le condizioni pregresse, ma anche gli aspetti di risorsa. Il giudice può vagliare il tipo di misura da attuare in relazione alle esigenze educative del minore.



Intervento peritale

Richiesto ad un esperto per raccogliere informazioni e indicazioni utilizzabili dal giudice per assumere decisioni in merito alla rilevanza sociale del fatto commesso. L'esperto è quindi chiamato a esprimere una valutazione circa una fase, periodo che egli non può conoscere direttamente. Attua una sorta di processo diagnostico anomalo centrato sull'osservazione di dimensioni appartenenti al passato. L'esperto osservando e seguendo la ricostruzione dei fatti offerta dall'imputato cerca di coniugare dimensioni cliniche e giudiziarie (narrazione =esprime il modo in cui il minore percepisce l'azione) considerando che tale intervento non ha fini terapeutici/trattamentali.


Non si può inoltre prescindere anche da una valutazione della:

PERSONALITA' = non fa riferimento a sole caratteristiche intrapsichiche (passate, precoci) ma anche a variabili attive nella fase più recente del percorso di vita del minore. Metodi: colloquio clinico con il minore, con la famiglia, con operatori (scrittura di una relazione peritale chiara e comprensibile anche al contesto giudiziario).

PERICOLOSITA' SOCIALE. Quando è probabile che il soggetto commetta nuovi reati. E' impossibile prevedere scientificamente il comportamento delle persone → PREDITTIVITA' = dimensione incompleta e inadeguata quale criterio informativo sull'andamento di un fenomeno (sarebbe quindi auspicabile un cambiamento della nozione di pericolosità sociale. Più che valutare la pericolosità sociale si dovrebbe cercare di limitare le situazioni di rischio e le recidive).


Riflessioni sul modello di giustizia riparativa

Esso ha una valenza RICOMPOSITIVA del conflitto sociale e mira a convogliare in un'unica direzione le esigenze espresse dalle diverse parti sociali coinvolte nel fatto (vittima - autore - società) → promuovere la crescita responsbile del minore autore di reato attraverso la possibilità che egli renda conto alla vittima e alla società dell'azione commessa..

RIPARAZIONE = impegno responsabilizzante che comporta:

  1. Riconoscimento della vittima. Il soggetto deve imparare a considerarla come persona e a comprenderne la sofferenza sperimentata come confronto, incontro tra vittima e autore (comprensione reciproca e nuova interpretazione dell'accaduto. Passaggio dal conflitto al consenso delle parti).
  2. Attivazione della comunità intera che deve divenire semplice più consapevole dei limiti e delle risorse su cui fare affidamento per gestire più direttamente e più costruttivamente il problema della devianza come CRESCITA COMUNITARIA.

Cap V. Il trattamento penitenziario

Storia dei modelli di trattamento

TRATTAMENTO PENITENZIARIO: insieme di interventi attraverso cui sollecitare nella persona un percorso di RIFLESSIONE sulle norme socialmente riconosciute, sulle conseguenze della trasgressione penale, sulla possibilità di attuare scelte di comportamento alternative a quella deviante al fine del reinserimento sociale.

→ Sono individuabili diverse tappe nella storia della psicologia e del trattamento penitenziario:

  1. ILUMINISMO (seconda metà del '700) Cesare Beccaria "Dei delitti e delle pene". Il diritto penale ha la funzione di PROTEZIONE SOCIALE (usato solo in casi di estrema necessità. La pena deve avere un'efficacia preventiva e deve essere preposizionale alla gravità dell'azione.
  2. INIZI '800. La diffusione di correnti di pensiero liberali ha portato ad affermare un diritto penale in senso giuridico-morale → pena = punizione per aver infranto le regole sociali e offeso l'ordine pubblico e ha una funzione RETRIBUTIVA poiché la privazione della libertà era considerata lo strumento per dissuadere dall'attuazione di comportamenti devianti criminali. Il reo è quindi ISOLATO dalla società.
  3. CODICE PENALE ZANARDELLI (1889). Si riprendono alcuni principi dell'Illuminismo. I fatti infatti non sono punibili in modo uguale e indipendentemente dalle implicazioni di pericolosità sociale → si prospettano misure alternative partendo dal presupposto che il comportamento deviante sarebbe influenzato da fattori interni ma anche esterni → la pena è PREVENTIVA, mira alla rimozione delle cause e al recupero del reo.
  4. CODICE PENALE ROCCO (1930). Come integrazione negativa del Codice Zanardelli di cui viene mantenuta l'idea non dell'attenzione sull'uomo detenuto, ma la teoria meccanicistica per l'individuazione e spiegazione del comportamento criminale. Si ricorre alla prevedibilità di un campo futuro sulla base di un'azione, condotta pregressa, passata.
  5. PERIODO POSTBELLICO. Si privilegia l'orientamento di CURA e RIABILITAZIONE del reo. Le pene devono tradursi in trattamenti realizzati in osservanza al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del reo, finalizzata al reinserimento sociale → collaborazione di personale esperto per accertare la pericolosità sociale e disporre delle misure di sicurezza più idonee.
  6. LEGGE 354 (1975). La pena si esplica in relazione alle finalità educative e riabilitative e si gettano le basi dell'attuale sistema penale. Si prevede un programma di osservazione e trattamento individualizzato che miri a potenziare le risorse del soggetto e le opportunità risocializzative. Tale idea presenta però due limiti applicativi connessi:

percorso di una deresponsabilizzazione del reo poiché si assegnavano valenze conflittuali alla scelta

reintroduzione di un clima restrittivo come unico modo per contenere la criminalità (per avere la sicurezza sociale).

  1. MODELLO DI GIUSTIZIA RIPARATIVA. Coniuga la duplice, indivisibile esigenza della riabilitizzazione dell'individuo e della sicurezza sociale. Il reo si assume la responsabilità dell'atto attraverso una riparazione attiva verso la vittima e verso la stessa società. Si mira a una negoziazione tra le parti, volta al cambiamento del reciproco modo di percepirsi, rapportarsi (il reo si assume la responsabilità e la vittima riassume la dignità). Gli interventi coinvolgono reo/vittima/società. Il reo per comprendere, assumersi le conseguenze delle proprie azioni deve poter sperimentare direttamente una socialità diversa, a lui nuova e pacifica per tutti.

→ Dagli anni '70 si è verificata una sorta di "altalena" volta a trovare il "miglior" trattamento possibile, che oscilla da: necessità di sicurezza sociale ad attenzione, attivazione, reinserimento (recupero) del soggetto.


Legge 354/75 = offre funzioni risocializzative accanto a quelle custodiali. Interventi trattamentali interni ed esterni all'istituto penitenziario → misure alternative.

La conciliazione tra i due bisogni (sicurezza sociale e recupero soggetto, garantendone i diritti) non è stata facile:

Atti terroristici spingono a tornare al vecchio rigore.

Mancanza di strutture idonee porta a una depenalizzazione degli illeciti.


LEGGE GOZZINI = fiducia nella reversibilità delle condizioni umane e dei percorsi di vita. Si offre un'occasione di cambiamento (flessibilità della pena = possibilità di graduare, modificare la pena nel corso della sua esecuzione al fine di garantire lo sviluppo del processo rieducativi → PERMESSI PREMIO volti a coltivare interessi e attività all'esterno. I permessi nonsono facilmente attendibili e ci sono delle situazioni in cui non è applicabile (es. mafia, abuso.)

Nonostante gli obiettivi della nuova legge si è verificata una difficoltà operativa (mancano gli strumenti):

la Legge non prevedeva un potenziamento, invece necessario, del personale deputato all'area trattamentale,

difficoltà nel realizzare attività interne/esterne al carcere.


PENA = strumento di intervento che coinvolge il divieto interessato e che attraversa la conoscenza della sua storia, problemi, risorse si trasformano in sperimentazione di assunzione di responsabilità.

LEGGE SIMEONI-SARACENI (1998) = l'esecuzione della pena viene sospesa, non più di una volta, quando questa non è superiore a tre anni. Vi è il timore di avere difficoltà di controllo della microcriminalità.


Il TRATTAMENTO (regolamento) PENITENZIARIO stabilisce:

principi direttivi (trattamento conforme all'umanità)

condizioni generali (locali, alimentazione, igiene.)

modalità di trattamento (attività interne/esterne..)

regime penitenziario (non consentita la forza fisica)

assistenza (alle famiglie e post-penitenziario)

misure alternative (detenzione domiciliare, semilibertà, liberazione anticipata, affidamento in prova al servizio sociale..)

Trattamento penitenziario è rivolto a:

CONDANNATI (emissione di sentenza definitiva)

INTERNATI (persone sottoposte a misure di sicurezza)

Il trattamento penitenziario non è rivolto all'IMPUTATO (in attesa di giudizio) se maggiorenne può ricevere solo interventi di sostegno al fine di prevenire i traumi connessi all'entrata in contatto col penitenziario (es. Servizio nuovi giunti = indovinare i bisogni, le problematiche, la fragilità che potranno essere utili per un eventuale trattamento che non può prescindere da una conoscenza complessa del soggetto, realizzata tramite l'osservazione/valutazione della personalità.


→ La norma parla di una RIFLESSIONE CON IL CONDANNATO su condotta, motivazioni, conseguenze, riparazione. E' attuata da un'equipe d'osservazione e trattamento composta da diverse figure professionali (educatore, assistente sociale, psicologo, professionisti esperti) la cui attività è di natura diagnostica, di rilevazione delle condizioni psicologiche sociali del soggetto, delle sue risorse (conoscenza del mondo soggettivo e relazionale del soggetto).

→ Il trattamento si sostanzia in attività di lavoro, istruzione, formazione, culturali, sportive, ricreative che vanno OLTRE il carcere in modo da favorire il reinserimento sociale. Il trattamento è diverso dall'obbligo; è un DIRITTO e un'opportunità di attivazione del soggetto di partecipazione collaborativi a progettare, attuare nuove condotte sociali.

→ Ciò richiede un approccio interprofessionale, un contesto di ruolo ora caratterizzato da tele diversità di ruoli, funzioni e livelli di intervento nel rispetto reciproco e nella valorizzazione delle molteplici letture → comprendere il problema in esame attraverso una lettura pluri e interdisciplinare, tramite cui monitorare e verificare di continuo il raggiungimento degli obiettivi di intervento. Non si privilegia quindi l'uno o l'altro approccio, ma si cerca di co-costruire una prospettiva che nasce dall'integrazione tra le diverse letture della realtà.

→ I percorsi alternativi sono DIRITTI, non dei premi. Il reinserimento sociale va inserito nella globale storia personale del soggetto su cui incidono le scelte e l'esperienza detentiva. E' necessaria una definizione di un accordo tra sistema pensale e contesto esterno, sociale = luogo preferenziale per sperimentare alternative alla criminalità.

→ Il Tribunale di sorveglianza ha l'obiettivo generale di assicurare che l'esecuzione della pena non loda i diritti dei detenuti in quanto persone, anche favorendone il contatto con il mondo esterno e nella prospettiva risocializzata.

→ Il ruolo dell'esperto è quello di esprimere un parere sul caso; può essere difficile coniugare criteri giuridici a criteri psicologici e sociali. Ma la di là delle differenze di attività, ruoli, posizioni tra esperto e giudice, l'interazione tra i due è orientata a ricercare un equilibrio garantista fra diritti della società (sicurezza sociale) e diritti del detenuto (reinserimento) → rapporto dialettico; per valutare l'efficacia del trattamento penale si devono considerare due livelli:

  1. PREVENIONE GENERALE = effetto deterrente della pena sulla popolazione
  2. PREVENZIONE SPECIALE = contenimento del rischio di recidiva.





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