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Tommaso Campanella

filosofia




Tommaso Campanella (Stilo, Calabria, 1568 - Parigi 1639): entrato ancora giovane nell'ordine domenicano, cadde ben presto in sospetto di eresia e trascorse un breve periodo di carcere a Roma contemporaneamente a Giordano Bruno. Tornato in Calabria nel 1599, organizzò una congiura che avrebbe dovuto provocare una rivolta contro il dominio spagnolo e una profonda riforma della religione cristiana. Scoperto e arrestato, per sottrarsi alle torture si finse pazzo e fu condannato al carcere, dove rimase rinchiuso per ventisette anni; qui, con incredibile energia, continuò a occuparsi di problemi filosofici e a scrivere: tra l'altro ebbe anche modo di dedicare un'opera a Galileo, del quale prese coraggiosamente le difese.

Uscito dal carcere nel 1626, rimase a Roma sotto la sorveglianza del Sant'Uffizio: grazie alla protezione di papa Urbano VIII poté a poco a poco riconquistare interamente la libertà, ma, nel 1633, ancora sospettato di eresia e minacciato dal governo spagnolo, preferì fuggire dall'Italia per rifugiarsi a Parigi, dove visse tranquillamente gli ultimi anni di vita sotto la protezione del re e del cardinale Richelieu, dedicandosi alla pub 313g66d blicazione dei suoi scritti.

Campanella, con Bruno e Telesio, è uno dei maggiori rappresentanti della filosofia naturalistica rinascimentale e al tempo stesso anticipa alcuni importanti motivi della filosofia moderna. La sua speculazione, inoltre, è animata dal senso messianico di una grande missione riformatrice da realizzare nella società, pur tuttavia rimanendo ancora legata a vecchi schemi tomistici e addirittura alla magia e all'occultismo, che egli preferì al rigoroso metodo matematico di Galileo. Il suo riformismo politico-religioso è esposto nella celebre Città del Sole, in cui, sull'esempio della Repubblica di Platone, descrive una società ideale a struttura comunistica nella quale «quanto è bisogno tutti hanno».



Negli scritti filosofici, in gran parte elaborati durante la lunga detenzione, Campanella si rifà al naturalismo telesiano, che si sforza però di arricchire con un senso finalistico dovuto all'azione divina; e, poiché tutte le cose vivono e sentono, è possibile, mediante la magia, operare praticamente e utilmente su di esse. Ma Campanella supera Telesio nel trattare il problema della conoscenza, non più pura e semplice passività, ma attiva partecipazione, coscienza di sé: «... Noi sappiamo gli altri per questo, che sappiamo noi mossi e affetti dagli altri»: è la scoperta dell'autocoscienza, su cui si baserà tutta la filosofia moderna (cognoscere est esse). In base a una sapienza innata che ognuno ha di se stesso e che costituisce il punto fermo di ogni certezza, sottratto a ogni possibile dubbio scettico, attraverso la conoscenza di sé come limitazione, l'uomo può risalire all'intuizione del divino; in tal modo Campanella si distacca dal sensismo per rifarsi al tradizionale neoplatonismo. La religione è, per un verso, impulso originario, tendenza della creatura a ricongiungersi al creatore (religio deriva da religare) e per un altro è una pratica storica, legata a norme e a convenzioni che possono anche essere false e che tendono ad attenuare l'impulso originario e veritiero. In conformità con le idee del suo tempo, fece rientrare l'astrologia nella sua dottrina politica e sociale consigliandone la pratica in tutti i settori della vita: governo, educazione, avviamento professionale, disciplina delle nascite (allo scopo di far nascere i figli in determinati periodi dell'anno).

Le contraddizioni del pensiero campanelliano sono dovute all'esigenza del filosofo di conciliare l'immanentismo del naturalismo rinascimentale con la trascendenza tradizionale del pensiero cattolico, e di contemperare la sua originale intuizione sensistica con l'ormai moribonda concezione animistica e magica della natura.

Opere principali: Del senso delle cose e della magia (1620), Apologia di Galileo (1622), Philosophia realis (1623), La città del Sole (1623), Atheismus triumphatus(Ateismo debellato, 1630), Philosophia rationalis (1638), Metaphysica (1638) e infine, edita solo recentemente, Theologia (1936).



Giordano Bruno (Nola 1548 - Roma 1600), di nobile famiglia, poté frequentare gli ambienti culturalmente più elevati di Napoli, dove compì i suoi studi. A diciassette anni entrò come novizio nel convento di San Domenico in Napoli e nel 1572 fu ordinato sacerdote. Studioso di teologia, ma anche di filosofia antica e moderna, tentò di conciliare il cristianesimo ortodosso con il neoplatonismo; accusato perciò di eresia, fuggì da Napoli e, dopo aver errato per l'Italia settentrionale, si rifugiò a Ginevra dove frequentò l'università. Venuto ben presto in urto con le autorità calviniste, abbandonò la città e passò in Francia; fu prima a Tolosa e quindi a Parigi dove, nel 1582, pubblicò il De umbris idearum, dedicato al re Enrico III, che gli fece ottenere una cattedra alla Sorbona. Nel 1583 passò in Inghilterra, e i due anni e mezzo trascorsi a Londra e a Oxford, dove tenne lezioni pubbliche, furono tra i più fecondi della sua vita; lì infatti scrisse e pubblicò le sue opere più importanti, che tra l'altro gli attirarono l'ostilità dei teologi. Tornato a Parigi, intraprese l'esposizione e la discussione dei testi aristotelici; l'ostilità degli studenti lo indusse però a trasferirsi in Germania. Insegnò a Wittenberg e successivamente a Praga e a Helmstadt; a Francoforte pubblicò le sue opere in latino. In questa città ricevette l'invito ad andare a Venezia da parte di un patrizio, Giovanni Mocenigo, che intendeva farsi insegnare da lui la mnemotecnica e forse la magia. A Venezia Bruno conobbe Galileo e Paolo Sarpi. Il Mocenigo, scontento dell'insegnamento del filosofo e soprattutto reso diffidente dai suoi atteggiamenti ereticali, lo denunziò al Sant'Uffizio; il governo della Serenissima fece arrestare il Bruno (1592), ma l'anno successivo, su richiesta dell'Inquisizione romana, lo inviò a Roma dove rimase in carcere per sette anni, rifiutandosi coraggiosamente di ritrattare le sue opinioni in materia filosofica e religiosa; perciò il 16 febbraio del 1600 fu mandato al rogo, che affrontò con estrema dignità.

Il pensiero filosofico del Bruno è ricco di fermenti nuovi e di presentimenti e i suoi scritti sono animati da un'eloquenza piena di entusiasmo lirico.

Dopo l'iniziale ribellione alla vecchia cultura scolastica, pedantesca e aristotelizzante, il Bruno si era in un primo tempo avvicinato al materialismo atomistico di Democrito e degli epicurei, ma, insofferente di questa visione troppo schematica della realtà naturale, e forte dei suoi studi sul neoplatonismo, finì con l'approdare a un naturalismo potentemente animato dalla convinzione che ogni aspetto, ogni momento della realtà naturale è organizzato, ordinato e sorretto da una forza vivente che «è presidente alla materia e signoreggia nelli composti, effettua la composizione e consistenzia de le parti... stende le cartilagini, incava le arterie... intesse le fibre, ramifica gli nervi...».

Precisa e manifesta intenzione del Bruno fu quella di rinunciare a ogni speculazione di tipo teologico allo scopo d'indirizzare ogni sforzo all'indagine sul mondo naturale, nel quale soltanto si può ritrovare la presenza del divino che appunto si identifica con tutta quanta la realtà naturale; e proprio perciò il Bruno giunge a una chiara intuizione dell'infinità della natura e dei mondi, di schietto sapore panteistico.

Queste conclusioni lo portano a un atteggiamento di sdegnoso disprezzo verso le religioni rivelate; pur riconoscendo l'utilità del culto «per l'istituzione di rozzi popoli che dènno esser governati», egli ritiene che la religione non sia altro che un assieme di superstizioni contrarie alla ragione e alla natura. In questa acre avversione accomuna il cristianesimo cattolico, il luteranesimo e il calvinismo, e di ogni esteriore manifestazione religiosa si fa beffa in vari scritti; la vita morale, pertanto, non può mai essere guidata da astratte formule tradizionali, ma deve essere, secondo il Bruno, un «eroico furore» mediante il quale l'uomo, il filosofo, in una sorta di slancio intuitivo, coglie la profonda unità e infinità del tutto. Bruno, pertanto, è divenuto il simbolo del libero pensiero che si vuole affermare contro ogni tirannia religiosa e politica, e il significato della sua opera e la sua tragica fine sono ancor oggi oggetto di discussione; Herder e Hegel, durante l'età del Romanticismo, salutarono in lui il fondatore del pensiero critico moderno.

Le numerose opere del Bruno, animate da un profondo spirito d'esaltazione lirica e religiosa delle forze della natura, sono la testimonianza più evidente della molteplicità dei suoi interessi; le principali sono: Spaccio de la bestia trionfante (1584), La cena de le ceneri (1584), un dialogo che satireggia, senza umorismo, la pedanteria dei filosofi aristotelici, pubblicato insieme con De la causa principio et uno e De l'infinito universo et mondi; Degli eroici furori (1585), l'ultima opera con la quale il Bruno esalta l'amore ardente per la verità, la Cabala del cavallo pegaseo (1585).

Perfettamente coerente col pensiero è lo stile del Bruno, il quale per chi non sia schiavo di pregiudizi puristici resta uno dei più vigorosi scrittori del nostro Rinascimento. Quanto di più personale egli ci ha lasciato come artista è da cercare non nella commedia Il Candelaio, ma nei dialoghi e in alcuni tratti dei poemi latini, degni per altezza d'ispirazione d'essere accostati alla poesia di Lucrezio. Scrittore ricco di fermenti di pensiero al punto da apparire incoerente, il Bruno nella forma del dialogo, cara agli scrittori rinascimentali, infuse il vario e libero movimento della sua dialettica, e attraverso la creazione di personaggi vivissimi e la descrizione di ambienti (memorabile fra tutte è quella del viaggio per Londra nel Dialogo secondo della Cena delle ceneri) diede una rappresentazione concreta della sua passione di cercatore della verità. Pronto all'invettiva e alla satira, ma insieme disposto ai toni alti dell'eloquenza, egli è sembrato ad alcuni un precursore del secentismo; ma a torto, ché se nelle sue pagine si possono ritrovare isolati gli elementi stilistici propri del secentismo, la sua esuberanza stilistica è tutt'altra cosa dalla retorica barocca: essa fu il risultato di un appassionato travaglio del pensiero e dei sentimenti, l'uno e l'altro sovrabbondanti, e non, come nei prosatori barocchi, un virtuosismo applicato intorno al vuoto del pensiero e del sentimento.


Bernardino Telèsio (Cosenza 1509- 1588), istruito nelle lettere classiche dallo zio Antonio, umanista e poeta, si formò a Milano (1518-1523), a Roma (1523-1527), dove visse l'esperienza del sacco del 1527 e fu anche fatto prigioniero, e a Padova (1527-1535), dove compì i suoi studi. Subito dopo si ritirò nel monastero benedettino di Seminara, in Calabria, per concentrarsi nelle sue meditazioni. Dal 1552 alla morte visse fra Napoli e Cosenza, dove dette impulso all'Accademia cosentina (più tardi Accademia telesiana), assillato dalla famiglia numerosa e dalle preoccupazioni economiche. I primi due libri della sua opera maggiore, Della natura secondo i propri princìpi (De rerum natura iuxta propria principia), uscirono a Roma nel 1565. L'edizione definitiva, comprendente nove libri e un proemio, fu pubblicata a Napoli nel 1586. Il trattato fu incluso nell'Indice dei libri proibiti a partire dal 1596.

Il programma antiaristotelico e rivoluzionario di Telesio è evidente fin nel titolo del De rerum natura: la natura va studiata «secondo i propri princìpi», liberandosi da ogni apriorismo metafisico e da ogni sottomissione ad arbitrarie dottrine del passato. Per tale via non solo si conseguirà la conoscenza di tutte le cose, ma si creeranno anche le premesse per l'instaurazione del «regnum hominis», perché il vero sapere include in prospettiva il dominio e lo sfruttamento delle forze naturali. Il risultato a cui Telesio perviene attraverso una ricerca così impostata è un naturalismo ilozoistico, al quale si connettono strettamente una gnoseologia sensistica e un'etica edonistica. La natura è costituita da una massa materiale inerte e indistruttibile, pervasa da due forze animatrici, il caldo che dilata e il freddo che restringe. Dalla tensione polare di queste due forze si genera la vita dell'universo. La sede del caldo è il sole e quella del freddo la terra. L'anima, o spirito, non è che il calore interno ai corpi organici. Ogni esistente materiale è in qualche misura animato e il privilegio dell'uomo rispetto agli altri esseri è solo di ordine quantitativo. L'organo di tutte le conoscenze umane sono i sensi, i quali si riducono a manifestazioni diverse dell'unico senso fondamentale, che è il tatto. L'intelligenza è solo memoria del già sentito e comparazione e combinazione di questo con ciò che è sentito attualmente. L'uomo, come tutti gli esseri, è guidato nelle sue azioni dalla tendenza all'autoconservazione e il piacere e il dolore sono le sole forze motrici della sua condotta.

Il fatto poi che Telesio abbia aggiunto a una costruzione siffatta, di per sé autosufficiente, un Dio personale trascendente, sapientissimo ordinatore del mondo, e un'«anima spirituale», sovrapposta nell'uomo allo spirito-calore, è spiegato da alcuni interpreti come riconoscimento da parte di un credente sincero della realtà della dimensione soprannaturale attestata dalla Rivelazione; da altri, invece, come maldestro tentativo di compromesso diplomatico con le autorità culturali costituite.

Il naturalismo di Telesio, nonostante i suoi tratti arcaicizzanti, rappresenta un deciso capovolgimento delle concezioni dell'uomo e del mondo, tipiche dell'aristotelismo e del platonismo cristiani. Bruno, Campanella, Bacone, Hobbes e l'immanentismo moderno in genere hanno in lui uno degli anticipatori più appassionati e suggestivi.






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