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Platone: Vita, L'eredità di Socrate

filosofia



Platone

Vita

Platone nacque ad Atene nel 428 o 427 a.C. da una famiglia di antica nobiltà. Il padre era Aristone e la madre Perictione. Dopo la morte del padre, visse e fu allevato nella casa del patrigno Pirilampo. Fu educato secondo il regime democratico. Verso i vent'anni si dedicò alla pittura e allo scrivere poesie: ditirambi, liriche e tragedie. Divenuto allievo di Socrate, assistette con lui alla decadenza di Atene con la guerra del Peloponneso, col regime oligarchico dei trenta tiranni e con la restaurazione della democrazia. Con la condanna a morte di Socrate, nel 399, si allontanò del tutto dalla vita politica d'Atene. Si diede quindi a viaggi. A Siracusa, alla corte di Dionigi il Vecchio, strinse amicizia con il cognato del tiranno, Dione. Ritornato ad Atene nel 388 vi fondò la sua accademia. Nel 367 morì Dionigi il Vecchio e salì al trono Dionigi il Giovane. I tentativi di influire una benefica influenza su governo politico della città fallirono. Dionigi, poiché temeva che Dione volesse insidiarsi il trono, lo esiliò e condusse Platone in prigionia. Dopo molte insistenze Platone poté ritornare ad Atene solo con la promessa di un futuro ritorno a Siracusa. Infatti, nel 361, Dionigi convocò Platone per completare la sua educazione filosofica. Nel terzo viaggio a Siracusa, Platone fu sospettato di complottare contro il tiranno. Con Dione tramontava per Platone il sogno del "re filosofo". La sua fama era legata all'accademia e alle opere. Platone continuò con lo studio scientifico fino agli ultimi anni della sua morte avvenuta nel 348 o 347.

L'eredità di Socrate

La filosofia platonica ha la tendenza di contrapporre il piano ideale dei valori, quali la verità, il bene, la giustizia, a quello della realtà dei fatti tangibili, considerato illusorio e apparente. Le idee matematiche sono il circolo, il quadrato, l'uguale.



Solamente in Platone si è sviluppato il carattere dualistico nelle opposizioni tra i valori e i fatti, l'ideale ed il sensibile, la realtà e l'apparenza.

Da giovane Platone pensava, come tanti, di dedicarsi alla carriera politica. Credeva che i Trenta tiranni, che costituivano il sistema oligarchico, avessero attuato quella riforma degli ordinamenti della città che fosse in grado di porre fini alle contese civili e alla decadenza di Atene, ma subì una delusione. Con la caduta dei trenta, si riaccesero le speranze in un'attuazione della democrazia, ma l'ingiusto processo e la condanna subita da maestro Socrate, provocò la definitiva disillusione di Platone nei riguardi della politica ateniese.

L'impulso da cui prende vita la filosofia platonica è lo scandalo della vita etica: perché nella vita politica l'ingiusto trionfa ed è felice, mentre l'uomo giusto tocca di soccombere, tentando, anche con la morte, di migliorare le cose attuando la giustizia?

Per risolvere il problema della giustizia, ossia di ciò che è giusto non per noi, relativamente ad un dato contesto istituzionale o alle mutevoli circostanze della vita politica, Platone doveva affrontare e risolvere il problema della conoscenza. Socrate aveva legato al problema del conoscere quello dell'agire, affermando che "la virtù è la scienza del bene" e che "nessuno fa il male sapendo che è male, ma per ignoranza" E ricollegandosi al razionalismo etico socratico, ossia "fa il bene chi lo conosce", che Platone previene la sua dottrina originale, la teoria delle idee.

Secondo Platone il bene non crea le idee, che sono esterne, ma si limita a comunicare loro la perfezione e rimangono, in ogni caso, superiore ad esse.

I dialoghi

Platone scrisse 36 Dialoghi che avevano in gran parte come protagonista Socrate. Il problema che si pone circa le opere di Platone riguarda la loro autenticità e la loro datazione. Tre lettere (la sesta, la settima e l'ottava) e 24 dei 36 Dialoghi sono autentici.Per la cronologia si distinguono i dialoghi giovanili, della maturità, della tarda maturità e della vecchiaia. L'ampia produzione scritta di Platone segna una svolta nella comunicazione filosofica. Infatti, l'opera plutoniana rappresenta il punto di passaggio fra la tradizione orale, e la divulgazione filosofica mediante la scrittura, che lascia aperti luoghi di dibattito e di diverse interpretazioni.

I dialoghi della giovinezza sono stati scritti dopo il primo viaggio a Siracusa. Platone tratta dialoghi socratici secondo la tecnica dell'ironia. L'Apologia è il primo scritto che non costituisce un dialogo. Nel Critone, Socrate discute la legittimità delle leggi e rifiuta la salvezza tramite la fuga. Nel primo libro della Repubblica, Socrate discute con Trasimaco sul problema della giustizia.

I dialoghi della maturità sono successivi al ritorno di Platone ad Atene e alla fondazione dell'accademia. Il Fedone tratta della teoria delle idee ed espone tre prove dell'immortalità dell'anima. Il Simposio tratta della teoria dell'Eros. Dal secondo al decimo libro della Repubblica tratta sulla giustizia e sullo stato. Il Fedro parla sull'amore o sulla retorica.

Il dialoghi della tarda maturità e della vecchiaia sono scritti attorno al secondo viaggio in Sicilia e nel periodo che segue il ritorno ad Atene. Ricordiamo Parmenide (discussioni contro la teoria delle idee), Sofista (riesame sulla teoria delle idee), Flebo (sul piacere in rapporto al bene), Timeo (sulla cosmologia platonica).

Attraverso l'uso del dialogo, Platone trasmette il sapere come il confronto fra due diversi punti di vista come ricerca intersoggettiva. L'origine del dialogo platonico si deve alla sofistica, che aveva dedicato attenzione all'arte del discorso e in particolare al dialogare socratico, che si era misurato con i sofisti. Con diverse tecniche logiche e linguistiche, i Dialoghi di Platone passano da scambio d'opinioni o diversi punti di vista, al luogo di costruzione della scienza: epistème

Possiamo individuare almeno tre tecniche: la confutazione, la ricerca della definizione e l'omologhìa.

La confutazione è lo strumento con cui Socrate distrugge le false opinioni dei suoi interlocutori. Consiste in una serie di domande che l'interrogante pone al suo interlocutore sollecitando chiarimenti sulla posizione che questi aveva inizialmente sostenuto. Ne risulteranno risposte contrastanti con la sua tesi iniziale; sarà quindi contraddetto e autoconfutato. La confutazione ha valore educativo, essere confutati da un compagno non è un'umiliazione, ma un passo in direzione del vero e un mezzo per migliorare la propria condizione umana. Corrisponderebbe alla maieutica in forma scritta.

La ricerca della definizione consiste nel ricercare l'elemento comune ad una molteplicità di casi che permette di raccoglierli sotto un unico concetto. Per Platone, l'elemento comune coincide con l'essenza delle cose (ousìa) o con la sua idea (eidos).

L'idea è la natura dell'oggetto, ciò che l'oggetto è in se, ciò che la ragione può cogliere oltre l'apparenza sensibile in cui l'oggetto si manifesta. Per questo che nei Dialoghi ci s'interroga selle cose; le parole diventano lo specchi delle idee, quindi dell'essere, e il linguaggio diventa uno strumento mediante il quale è possibile conoscere il mondo.

L'idea è una realtà ontologica a sé stante, immutabile ed eterna. Non viene riconosciuta per mezzo dei sensi, ma è in grado di cogliere la forma esemplare dell'oggetto che la costituisce.

L'omologhia è il momento che sancisce l'accordo fra i partecipanti. Secondo Platone esiste una verità assoluta, e l'obiettivo della comunicazione umana è raggiungerla insieme all'altro.

Con il dialogo si valorizza l'importanza dell'altro.

Per illuminare i punti più oscuri e difficili dei suoi dialoghi fa uso ad un gran numero di miti ripresi dalla religione orfica o inventati. In certi tratti dei Dialoghi, Platone espone immagini e non concetti. Il mito è dunque un espediente narrativo che facilita la comprensione di contenuti troppo difficili ed esprime la bellezza della vera filosofia.

Per la cura dedicata ai propri scritti, Platone può essere considerato il fondatore della scrittura filosofica. Nel Fedro afferma che la scrittura abitua gli uomini a cercare la verità all'esterno. Quindi non promuove apprendimento e vera sapienza (sophìa): le nozioni fornite rimangono al livello superficiale dell'opinione (doxa). Platone dice che il discorso scritto è rigido perché dice sempre la stessa cosa e non può rispondere a domande e obbiezioni. Diversi sono i discorsi nati dal dialogo perché sono quelli scritti nell'anima. Egli afferma che sui suoi primi principi della filosofia non c'è e non vi sarà alcuno scritto. Afferma che la verità esposta oralmente è più verosimile, è «come la fiamma che s'accende da fuoco che balza» -Settima lettera-

Idee e conoscenza

Platone svolge una critica alla concezione sofistica del sapere: all'espressione di Protagora: «l'uomo è la misura di tutte le cose» viene interpretato da Platone nel senso di relativismo. Ponendo la sensazione alla base della conoscenza, Protagora afferma che le qualità, quali il dolce o il freddo, sono vere in quanto appaiono tali al soggetto che le percepisce, ma variano da individuo ad individuo. Ne risulta che la sensazione ci dice l'apparenza delle cose e non l'essere delle cose. Si conclude che se la conoscenza fosse costituita di sensazioni o derivasse da esse, le opinioni e i giudizi sarebbero sempre particolari. Si distingue così l'opinione, doxa, che deriva dalla sensazione ed è sempre legata all'esperienza e l'epistème o la conoscenza dell'universale tramite la sola ragione. Andando più a fondo si distinguono due diversi aspetti quali il processo fisiologico mediante il quale l'organo di senso ci pone in contatto con le cose, e il processo psicologico con cui l'oggetto interpreta lo stimolo, trasformandolo in sensazione corrispondente.



Platone si chiede se noi conosciamo le cose con i sensi, o con l'anima attraverso i sensi? Potremo ritrovare la forma (eidos) delle cose indagando l'anima, costringendola a guardare dentro di sé con il logos, e non fuori con i sensi. La reminescenza, o anàmnesis, è la conoscenza che l'anima possedeva prima di essere racchiusa in un corpo. L'anima possiede delle predisposizioni innate al conoscere, che non sono derivate dai sensi, ma che, a contato con l'esperienza, risvegliano il nostro sapere nascosto e ci fanno ricordare la verità. Quando l'anima conosce, non deve fissare la sua attenzione sulle immagini percepite dai sensi, ma sulla forma vera dell'oggetto che giace al fondo di essa e che si tratta di far affiorare alla consapevolezza. La mente non deve dipendere ai sensi, ma utilizzarli come strumenti.

AC:CB = AE:EC = CD:CB

AC = Mondo sensibile / Opinione / Doxa
CB = Mondo intelligibile / Scienza /
Epistéme
AE = Ombre e riflessi / Immaginazione /
Eikasìa
EC = Animali, piante e oggetti artificiali / Credenza /
Pìstis
CD = Enti geometrici / Pensiero dianoetico /
Diànoia
DB = Idee / Intellezione /
Nòesis


La teoria della conoscenza è esposta della Repubblica con questo schema.Il segmento AB rappresenta l'intera conoscenza, che è divisa in diversi gradi. È innanzitutto divisa in due punti da C: la conoscenza sensibile o opinione, AC, e la conoscenza intelligibile o scienza, CB. L'opinione o doxa è a sua volta diviso in due parti da D: l'immaginazione, AD, e fede o credenza, DC. La scienza o epìsteme è analogamente divisa in altri due punti da E: il pensiero discorsivo, CE, e l'intellezione, EB.

L'immaginazione, eikasìa, la credenza, pìstis, il pensiero discorsivo, diànoia, e l'intellezione, nòesis, costituiscono i gradi della conoscenza. I primi due si fondano sulla sensazione e non danno un sapere certo, gli altri due assicurano una conoscenza vera, universale e permanente.

Oggetto del pensiero discorsivo sono enti puramente intelligibili, come i numeri o le figure geometriche, perché possiedono una maggiore universalità e certezza. Al culmine del processo conoscitivo, oggetto dell'intellezione sono le idee, ossia forme intelligibili e universali. Platone designa la forma puramente intelligibile dell'oggetto o l'idea di esso, come il suo essere in sé: il bello/uguale in se (idea di bellezza/uguaglianza).

Idee e cose

Le idee sono enti puramente intelligibili, che l'anima conosce abbandonando le apparenze sensibili. L'idea ha forma e aspetto distintivo delle cose, colto dalla sola ragione che ne costituisce l'essenza o il modello eterno e immutabile. È la nozione comune sotto cui si può far rientrare il molteplice empirico. Sono delle essenze che la nostra anima ha visto prima di incarnarsi.

Con l'allegoria della caverna, Platone paragona la condizione dell'uomo a quella di uno schiavo, prigioniero fin dalla nascita nel fondo di una caverna. Alle sue spalle vi sono altri schiavi che camminano portando oggetti sulle spalle. Non vi penetra luce nella caverna, ma l'oscurità è rotta da un fuoco che proietta sul fondo della caverna le ombre degli oggetti. Inizialmente lo schiavo conosce solo le ombre e le scambia come reali; quando riesce a liberarsi dalle catene, e volge lo sguardo intorno, vede gli altri prigionieri e riconosce gli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Infine trova l'uscita dalla caverna e fugge. Quando vede per la prima volta le vere cose del mondo, dapprima è abbagliato dalla luce del sole e per questo che osserva l'immagine riflessa nell'acqua o nelle superfici levigate. Solo poi, quando si sarà abituato, riuscirà a vedere le cose nel loro vero essere. La caverna corrisponde al corpo che imprigiona l'anima impedendole di vedere il vero mondo: il mondo delle idee. Le ombre corrispondono all'immaginazione, all'eikasia. Le catene che avvolgono lo schiavo sono i sensi. Lo schiavo che riesce a liberarsi corrisponde all'anima che cerca la salvezza mediante la conoscenza, liberandosi dai vincoli corporali. Le cose che stanno nel mondo esteriore sono le idee, viste prima attraverso il pensiero discorsivo con l'acqua o gli oggetti lisci, poi con l'intellezione. Il sole è il simbolo dell'idea del bene, che permette di riconoscere il vero aspetto della realtà.

Il mondo delle idee è situato al di sopra dei cieli, nell'iperuranio. L'anima vi accede attraverso la conoscenza. L'idea viene descritta come l'essenza incolore, informe e intangibile, contemplabile solo dall'intelletto. Prima l'anima possedeva le ali, ma per una colpa commessa, le ha perse ed è stata imprigionata nel corpo. Nel corpo, l'anima può conoscere solo attraverso i sensi che le restituiscono l'immagine, la copia delle essenze intelligibili. Ma quando si eleva al piano della pura intelligenza, recupera parzialmente la capacità di volare. Risale dalla copia al modella, dall'imitazione all'originale fino a scoprire l'essere vero delle cose.

Esiste un dislivello ontologico fra realtà sensibile e realtà intelligibile. La realtà naturale e umana sono la copia della realtà perfetta. Dietro al mondo corporeo c'è quello delle essenze intelligibili. Tra quest'imitazione, mìmesis, o partecipazione, mètexix, o presenza, parusìa, rimane un punto di difficile interpretazione.

La metexis è la circostanza per cui le cose sensibili prendono parte dell'essenza delle idee.

La mìmesis è l'imitazione delle cose, da parte delle cose, della perfezione delle idee

La parusia è la presenza attiva delle idee nelle cose.

La realtà sensibile è la copia della realtà intelligibile e la rispecchia. Non vi è nessuna cosa che non abbia un modello o una causa corrispondente nel mondo intelligibile. Con lo specchio dell'idea, la realtà sensibile acquista qualche razionalità: appare non solo imperfetta, ma anche perfettibile.

Nel Simposio, il conoscere è definito come una sorta di eros intelligibile. Socrate riferisce un discorso fattogli dalla poetessa Diotima sull'amore. Eros è la personificazione dell'anima del filosofo, che ama appassionatamente ciò di cui manca, la sapienza. La filosofia non è fatta né per gli dei, né per gli ignoranti, ma per i veri filosofi, ossia gli amanti del piacere.



La scienza dialettica

Nei dialoghi tardi troviamo un'ampia discussione dei problemi suscitati dalla teoria delle idee. La dialettica è la scienza filosofica che permette, in quanto sinossi (=veduta d'insieme), di avere una visione unitaria del molteplice, riconducendolo all'unità dell'idea e di ricavare dall'unità dell'idea la molteplicità delle sue componenti.

Nei dialoghi giovanili, Platone sembra sostenere la teoria della partecipazione, metexis, dell'oggetto particolare all'idea. Se le cose partecipano all'idea corrispondente, esse partecipano all'idea intera o a parte di essa? Se partecipa all'idea intera, significa che essa è una ed è presente interamente in ciascuno dei molti individui. Se partecipa in parte di essa, ne risulta che l'idea è divisibile.

In una fase più matura, Platone preferisce la teoria dell'imitazione, mimesis. Egli sostiene che gli oggetti particolari sono copie delle idee e la somiglianza ne costituisce un legame. Tra l'idea e la copia esiste una differenza che va spiegata con un'altra idea, tra l'idea e la differenza c'è un'altra differenza che va spiegata con un'altra differenza e così via all'infinito.

Nei dialoghi posteriori, Platone torna alla teoria di partecipazione, non come rapporto tra le cose particolari e le idee, ma come rapporto fra idee fra loro. Questo rapporto è chiamato koinonìa, o rapporto di reciproca comunanza. Questo consente di conciliare unità e molteplicità, staticità e movimento dialettico tra idee.

I generi sommi sono le determinazioni supreme delle idee, ovvero l'essere, l'identico, il diverso, la stasi e il movimento. L'idea di uomo partecipa simultaneamente ai cinque generi sommi. L'idea è identica a se stessa e diversa ad un'altra. Non è un nulla, come il non essere Parmenidea, ma semplicemente un'altra idea. Platone riammette la molteplicità.

Se tute le idee partecipano dei generi sommi, ciascun'idea partecipa a quelle a lei sovraordinate e si divide in quelle a essa subordinate secondo precise regole di reciproca partecipazione o comunanza. La divisione delle idee va compiuta in una sola direzione, escludendo le idee che si trovano a sinistra delle biforcazioni e prendendo in considerazione quelle di destra. Si evidenziano così i rapporti di partecipazione tra le idee.

Per Platone, l'errore non consiste, come ritenevano i Sofisti, nel dire il nulla, ma consisteva nel dire qualcosa di diverso da ciò che effettivamente è. L'errore si verifica quando si opera una divisione difettosa. Le idee, per quanto articolino la propria struttura in modo da avvicinarsi al mondo empirico, restano trascendenti. Le idee non ulteriormente divisibili si chiamano idee-atomi. Non si può arrivare all'idea di ogni singolo uomo (Socrate), perché l'individuo è ineffabile.

L'anima e l'uomo

Platone definisce l'uomo come l'unione di anima e corpo. La superiorità dell'anima sul corpo si basa sull'affinità che lega l'anima e l'elemento ideale, soprasensibile, eterno dell'essere, e il corpo e l'elemento terrestre, sensibile e corruttibile. Al dualismo ontologico fra realtà sensibile e intelligibile corrisponde un dualismo antropologico tra corpo e anima. Platone cerca di dare un fondamento razionale e dimostrativo all'orfismo e alla metempsicosi. L'autore s'impegna a contraddire tutte le concezioni naturalistiche che negano la sopravvivenza dell'anima dopo la morte.

Esistono tre prove dell'immortalità dell'anima.

La prima si basa sul principio secondo cui tutte le cose soggette a generazione si generano dal loro contrario (il freddo dal caldo, il bello dal brutto). L'anima, in vita, ricorda un sapere che possiede da sempre; dopo la morte non perderà le proprie facoltà, ma le potenzierà.

La seconda si basa sul concetto della somiglianza dell'anima con l'essere eterno e incorporeo, in contrasto con la natura composta e transitoria dei corpi. Ciò che è composto (il mondo sensibile) è, per sua natura, destinato a corrompersi, dopo la separazione degli elementi che lo costruiscono. Viceversa, ciò che è semplice non può subire alcuna divisione, ma permane eternamente uguale a se stesso (le idee). Ora l'anima è in grado di risalire col pensiero dalla realtà molteplice e sensibile con cui la pone in relazione al corpo, a quell'invisibile e incorporea delle idee. Questa si mostra simile alla seconda. Quindi muore diversamente dal corpo.

La terza prova è fondata sulle teorie delle idee e sul rapporto tra le idee e le cose come partecipazione. Ora l'anima dà vita al corpo e partecipa in maniera essenziale all'idea di vita. La vita, come idea, è l'opposto della morte. Per questo l'anima è immortale.

Possiamo dire dunque che l'anima è principio di vita per se stessa e per il corpo, mentre quest'ultimo senza l'anima sarebbe inanimato. L'anima è il soggetto della conoscenza e conosce veramente quando interrompe i contatti con il corpo, ossia dopo la morte. Il corpo è sorgente d'illusione e d'orrore, a causa dei sensi. Il corpo è la tomba o il carcere in cui l'anima è stata racchiusa per espiare una colpa. Perciò l'anima deve purificarsi dal corpo mediante la conoscenza e aspirare a separarsi definitivamente da esso dopo la morte per unirsi alla divinità.

L'anima ha la funzione di assicurare la continuità e la perennità del divenire. Inoltre svolge il ruolo di mediazione e di unificazione tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile. Nel Repubblica l'anima appare dualisticamente contrapposta al corpo e con una natura composta e tripartita. Nel Fedone appare con tre funzioni: conoscenza, sentimento e volontà. L'anima non si limita a conoscere, mentre il corpo a desiderare, ma esiste anche una parte dell'anima, quella razionale, che aspira a legarsi agli oggetti corporei e a goderne. È la parte concupiscibile dell'anima, che si oppone e lotta con la parte razionale, che si sforza di dominarla edi indirizzarla verso scopi razionali. Tra il conoscere e il desiderare sta la parte volitiva, che è neutrale tra i due estremi, e può allearsi dall'una o dall'altra parte.

Nel Fedro l'anima è paragonata a una biga guidata da un auriga e trainata da due cavalli alati. Il cocchiere rappresenta la parte razionale, mentre i due cavalli rappresentano quella irascibile: il cavallo più nobile, dal mantello bianco, e quella concupiscibile, il cavallo di razza meno nobile, dal mantello nero. Tutti hanno un'anima, sia gli uomini, che gli dei, che gli esseri intermedi. L'anima percorre un ciclo di anni in un corpo, poi, quando il corpo muore, trascorrono mille anni prima che stanno imprigionati in un corpo, così per dieci volte.

La virtù e l'educazione

Platone costruisce la propria visione dell'educazione come l'identificazione tra virtù e sapere, che è, a sua volta, basata su l'individuazione dell'anima come nucleo della personalità umana. Platone, collocando la virtù nell'anima, considera l'educazione dal punto di vista dell'interiorità, e quindi come un fatto spirituale. Platone descrive l'anima dell'uomo come un complesso di forze diversamente orientate: la parte razionale, quella irascibile e quella concupiscibile. Con questo, il problema di Platone sta nel mantenere l'equilibrio fra le varie parti dell'anima. Per illustrarci il problema utilizza il paradigma medico e il modello politico.

Platone pensa che l'anima sia affine al corpo e interpreta la condizione umana come salute o malattia dell'anima. Come la bellezza fisica consiste nell'equilibrio degli elementi che compongono l'organismo, così la bellezza dell'anima corrisponde all'armonia fra le forze che la compongono. L'armonia ha un ordine gerarchico, in cui l'elemento razionale svolge la sua naturale funzione di comando sulle parti istintive dell'anima, e un equilibrio funzionale, in cui ogni parte svolge il suo compito senza invadere quello altrui. Così come il medico cura il corpo mediante i farmaci, così l'educatore esegue una terapia dell'anima che riporta in essa il giusto equilibrio mediante discorsi veri ed efficaci. Platone paragona l'anima sana ad una città ben amministrata, in cui ogni classe sociale esegue il compito proprio e l'uomo politico svolge il lavoro del medico. Con il paragone dell'anima al corpo e alla città, Platone pone un'equivalenza fra l'anima giusta e l'anima sana, e ciò gli consente di mostrare come la giustizia non può che coincidere con il suo utile. Perciò il compito morale dell'uomo sta nel comprendere che il suo vero utile coincide con la realizzazione di una condizione di giustizia che consente la piena esplicazione alla sua physis.



L'uomo libero è, per Platone, l'uomo equilibrato, temperato e ordinato nell'anima, che sa mantenere ordine e dominio sui piaceri e sulle passioni, in opposizione all'uomo schiavo della passione. L'uomo che sa autoregolarsi è libero perché è padrone di se stesso. Infatti solo che ha saputo dominare i propri istinti è adatto a governare la città.

Con la struttura tripartita dell'anima, l'educazione appare come un'attività che coinvolge le energie razionali e irrazionali dell'uomo e che mira a istituire fra di esse il giusto rapporto. Con la teoria dell'eros, Platone individua nell'amore la forza istintiva che anima il processo educativo. Egli suggerisce che gli impulsi profondi della passione e del desiderio possono essere utilizzati positivamente nel processo di formazione della personalità. Platone valorizza la funzione educativa dell'eros omosessuale, riaffermando il valore positivo dell'amore fra uomini. Egli presenta l'eros come il grande demone che fa da intermediario fra uomini e dei e che colma il divario fra l'esperienza terrena e il mondo delle essenze ideali ed eterne.

La città ideale

Secondo Platone, la necessità di dare risposta ai bisogni degli uomini impone che ciascun gruppo sociale cooperi al benessere collettivo, ricevendo in cambio ciò che gli manca. Oltre all'attività economica, Platone dà importanza alla difesa e al governo. Nella città ideale, il compito di lavorare per produrre è affidato ai cittadini di minor valore e corrispondono all'anima concupiscibile, a quelli che prevale la componente istintiva; quello di difendere la città è affidato ai cittadini d'animo generoso e dalle vigorose passioni, a cui prevale l'anima irascibile. Infine il compito di governare la città deve essere affidato a chi conosce il bene e possiede la giustizia, a cui corrisponde l'anima razionale. S'impone, cioè, che governino i filosofi, abituati a conoscere, dalla dialettica, le idee; poiché saranno in grado di orientare la politica nella direzione del bene e della giustizia.

La città ideale per Platone è simile al comunismo. La classe operaia non ha diritti politici, mentre i governanti possono disporre di qualcuna proprietà, e sono tenuti a condividere beni e affetti. I fanciulli erano sottratti in tenera età alle famiglie e allevati sotto tutela dello stato. I più adatti erano scelti per diventare governanti, senza distinzione delle classi sociali. Le femmine avevano gli stessi diritti e la medesima educazione dei maschi, che consisteva nella musica e ginnastica. Per i futuri guardiani anche matematica, astronomia e filosofia. La poesia e la tragedia, considerata da Platone fonte di cattive passioni, saranno bandite dallo stato.

La commedia faceva ridere, agitava inutilmente l'animo del pubblico. Era l'imitazione dell'imitazione e per questo era considerata negativa. Anche l'arte, che era considerata l'imitazione delle idee, era negativa. Platone salva solamente le poesie di Saffo perché riteneva fossero ispirate da una dio, era il dio che scriveva e non Saffo. Anche la musica era apprezzata perché «qualche volta ho sentito un musico suonare e ho capito che ra ispirato da u dio». I matrimoni e la procreazione saranno regolati dai guardiani. Lo stato non dovrà essere troppo vasto per non far nascere guerre, e non ci dovranno essere grandi differenze economiche.

Le costituzioni storiche vengono divise in quattro classi, corrispondenti al tipo psicologico in esse dominante:

Nella timocrazia prevale l'elemento ambizioso e la ricerca degli onori;

Nell'oligarchia prevale l'amore per il denaro;

Nella democrazia prevale la libertà più sfrenata e si cerca di dar soddisfazione a ogni appetito;

Nella tirannide il potere risiede senza freni nelle mani di uno singolo, cui mette capo l'anarchia democratica.

La miglior costituzione è quella in cui il filosofo-re si colloca al di sopra delle leggi e opera libero da vincoli. Una figura del filosofo-re può essere quella di Solone. Secondo Platone, dalle leggi non possono derivare decisioni regolate alle differenti situazioni e ai singoli casi. Inoltre le leggi basano il proprio effetto esclusivamente sull'obbligo e non contemplano strategie di persuasione indirizzate al cittadino, per aiutarlo a comprendere le ragioni delle prescrizioni cui è tenuto ad obbedire.

Natura e idee nel Timeo

Se fino alla Repubblica appariva evidente l'interesse platonico etico-politico, nei tardi dialoghi prevale l'indagine scientifica, speculativa e naturalistica.Da questo punto Platone sembra orientato verso una rigida separazione tra idee e mondo dell'esperienza. Nel Timeo Platone presenta la propria riflessione intorno alla costituzione del cosmo e della realtà naturale.Aiutandosi con il mito, Platone ritiene che non è possibile studiare la natura con un discorso scientifico, ma con una narrazione verosimile. A differenza della natura, le verità matematiche possono divenire oggetto di sapere teorico, come la dialettica filosofica, che discende da un'idea all'altra. La natura c'è nota invece attraverso la sensazione e la conoscenza, e per questo non può raggiungere la certezza dimostrativa di un sapere definitivo. La scienza naturale è un sapere probabile e per questo non può arrivare ad una verità assoluta.

Nel Timeo sta la figura del demiurgo, il divino artefice che ha dato forma e inizio all'universo. Si tratta di un'intelligenza ordinatrice, non creatrice, che ha introdotto l'ordine dal caos delle origini, avendo come scopo la perfezione ideale, ossia l'idea di produrre il migliore dei mondi. A differenza dal Dio biblico che costituisce il mondo dal nulla, il demiurgo ordina una materia già preesistente. Il demiurgo è il simbolo dell'intelligenza e del finalismo che vi è nell'universo, mentre la materia esprime la resistenza, la casualità che la ragione incontra nella spiegazione degli aspetti più particolari e determinati dalla formazione del mondo corporeo.

La materia delle origini non è costituita dai quattro elementi di cui sono fatti tutti i corpi, quali l'acqua, l'aria, il fuoco e la terra; ma dal ricettacolo, lo spazio da cui fuoriescono lentamente gli elementi visibili che prima si agitavano confusamente in essa. Il demiurgo si serve delle forme geometriche per adattare allo spazio i quattro elementi qualitativi e generare il mondo dei corpi. La creazione dell'anima del mondo è anteriore rispetto a quella dei corpi, che solo dall'anima ricevono il movimento. L'anima è ciò che si muove da sé e questo automovimento è la prova migliore della sua perennità e immortalità.

Per Platone il tempo è definito come l'immagine mobile dell'eternità. È il sinonimo del divenire sensibile ed è il simbolo dell'irrazionalità degli oggetti della doxa, del loro nascere e perire, del loro mutarsi e non essere. Nel Timeo il tempo è l'immagine sensibile più vicina alla perfezione e all'eternità delle idee.

Platone distingue due tipi di tempo, quello regolare e perfetto con cui si muove il cielo, e quello irregolare con il quale si muove il mondo corporeo. Per conoscere il mondo del divenire bisogna osservarlo e descriverlo mediante i sensi, sforzando poi di ricondurlo alla regolarità e alla perfezione.

Nel periodo maturo della vita, Platone ritiene che la doxa non è puù semplicemente contrapposta alla verità, come sinonimo di errore o di sapere filosofico, ma si distinguono in essa degli aspetti che si avvicinano alla conoscenza vera. La distinzione tra opinione vera e falsa trova spazio nella scienza, e non solo nella vita pratica. Però questo processo non viene concluso in Platone che rimane legato ad un'idea intellettualistica della verità.






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