|
|
Storia delle dottrine politiche
Opere politiche relazionate:
" il principe"
di Machiavelli Nicolò
Manifesto del partito comunista"
di Karl Marx e Friedrich Engels
Nicolò Machiavelli
per il grande amore che nutriva per la sua patria, Firenze, e per la libertà di
essa, rimase per ben quattordici anni (1498-1512) al servizio della Repubblica,
col grado di Segretario dei dieci di libertà e di pace. Per questo suo amore,
dunque, svolse mirabilmente le sue Legazioni, le quali, con la conoscenza degli
eventi storici e politici del tempo, dovevano dargli ampia materia per il Principe. Durante i quattordici anni
del suo uffizio riuscì nonostante l'indifferenza e l'ignoranza altrui e la non adeguata corrispondenza di mezzi, a
creare l'ordinanza, cioè le milizie proprie, tanta era la disistima e lo sdegno che generavano in lui
le milizie mercenarie. Nel 1502 lo ritroviamo presso Cesare Borgia prima ad
Imola e poi a Sinigallia. Il Machiavelli nel principe ci dà notizie anche della
bontà di Cesare Borgia.le virtù di forza e di prudenza e i modi cortesi di
questo principe conquistarono Nicolò, durante la sua permanenza ad Imola, sì da
fargli scrivere che egli non potrebbe con la penna esprimere "con quanta
dimostrazione di affezione egli parli, e con quanta giustificazione delle cose
passate". Ma la sua era affezione apparente, la quale se, da un lato,
dimostra che il Valentino aveva un qualche rispetto per il Machiavelli, dall'altro
rivela che Nicolò non si lasciava sfuggire le mosse del Duca. Però si noti che
se Cesare Borgia si considera come un uomo, era, certo, un delittuoso; ma se lo
si considera come uomo di Stato egli, per quei tempi, e fra gli altri principi
più infami e meno virtuosi di lui, meritava l'ammirazione del Machiavelli, la
quale faceva riscontro alla devozione di tutta
Il Machiavelli, dunque, oltre che fiorentino si sentiva di essere italiano; egli, anzi, proprio come Dante, suo grande maestro politico e concittadino, fu italiano dopo essere stato fiorentino e dovette, anche se non l'ha scritto, desiderare di essere chiamato anche lui fiorentino di nascita sed non moribus. A Firenze, con l'anticipato risorgere dell'umanesimo battezzato dalle vigilie antiche del Petrarca del Boccaccio, potettero, prima Cosimo de' Medici e, poi, Lorenzo, creare quella forte corrente di studi classici, filosofici e poetici, che più presto avrebbero aperto le menti ed i cuori dei fiorentini ad altri orizzonti, è questo risveglio di vita nuova, infatti, nelle arti,nelle lettere e nelle scienze non si accordava con le pessime condizioni politiche. Eppure un periodo di pace di prosperità c'era stato per l'Italia e per Firenze, nella seconda metà del secolo XV. Gli stati d'Italia erano, per tacere de' minori: Milano, sfolgorante sotto i ducati di Filippo Maria Visconti e quello di Francesco Sforza; Venezia, nemica di Milano del papato, impegnata come era ad estendere il suo dominio territoriale; Firenze, divisa in altri maggiori e minori e sempre impegnata in trattative con Pisa e con Siena; Roma, col papato intento ad assicurarsi il potere temporale in Italia, e Napoli con Ferdinando d'Aragona; però in quel periodo la pace fu mantenuta per due ragioni: a ) perché Firenze e Napoli sinceramente erano animate da idee di pace; b) perché tutti gli stati, auspice Lorenzo il magnifico, si erano strettamente uniti contro Venezia, nemico comune della libertà d'Italia, come Nicolò aveva detto. Purtroppo, però, gli stati erano gelosi e sospettosi l'uno dell'altro, e l'uno attraversava i disegni dell'altro. Ma la morte prematura di Lorenzo il Magnifico (1492) fece intendere meglio quale e quanta parte avesse avuto egli nel mantenere in pace l'Italia. Infelici ed infinite sciagure si preparavano ora alla nostra penisola. A maggiore scempio il Machiavelli non poteva assistere. Proprio mentre il genio d'Italia e la sua dottrina si imponevano al mondo, proprio nel abbattersi di tanta rovina su noi, proprio "mentre che il danno e la vergogna dura" l'uomo, su cui Nicolò ha posto il pensiero e le speranze per la non lontana redenzione d'Italia, il Valentino, oltre che ad avere stroncati i suoi disegni dall' imprevista morte del padre, Alessandro VI, (1503), viene arrestato dagli spagnoli, complice Giulio II, per di lì a poco morire nella Navarra. Nicolò grida ancora sulle necessità delle armi nazionali proprie. Nicolò assiste pensoso e muto a tanta pena ed orrore; L'Italia non aveva che peggiorato da 300 al 500. Queste erano le condizioni politiche dell'Italia, specialmente per la debolezza generata dalle signorie e dalle oligarchie, che erano succedute ai gloriosi liberi comuni. Le signorie, anzi, furono una trasformazione del comune nei tempi dell'avvilimento della patria. E ciò era venuto perché, se nel medioevo il comune, agglomerato di varie associazioni minori, viveva all'ombra della protezione dei guelfi e dei ghibellini, nel secolo XV, abbandonato a se stesso, non può più sperare che nella sua forza; perché l'impero si è rifugiato già nei confini della sola Germania e il papato di Alessandro VI, di Giulio II e di Leone X, che ha perduto l'unità del dominio civile e universale nel mondo, bada unicamente alla costituzione di un potere temporale nello Stato Pontificio. E il papato lotta per questo scopo, non pure contro i barbari da espellere dall'Italia, ma anche contro altri stati italiani, prima fra tutti Venezia. In Europa, poi, si erano costituite, ad occidente, delle salde monarchie, che richiamavano tutta l' attenzione e lo studio anche diretto del Machiavelli, e, la libera libertà, egli l'aveva trovata solo in Svizzera della quale era entusiasta. Nicolò ora è a San Casciano, subito dopo il '12. Il suo grande amore per l'Italia, a noi già noto, e la sua "lunga esperienza delle cose moderne et una continua lezione delle antique" gli suggeriscono l'idea di scrivere un libro de principatibus , di cui dà notizia all'amico e compare Francesco Vettori, in Roma.
Il principe è l'opera maggiore del Machiavelli;
anzi è l'opera sua propria, quelle in cui emerge l'originalità della sua
concezione di storico e di filosofo. In essa, il Machiavelli è storico ed
artista, e, piuttosto, non sempre preciso storico, per essere anche artista, e
non soltanto artista, appunto perché è storico. Ma il principe, che pure si eleva sulla varia produzione del Machiavelli
che domina la storiografia del tempo, è legato, fuso, nella concezione
storico-scientifica, con altre due opere fondamentali del Nostro: i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio
e i dialoghi dell'arte della guerra;
la prima è l'opera che rispecchia il culto dell'antichità attraverso la storia,
cioè quello che egli chiama "la continua lezione delle cose antique" e la
seconda corrisponde "alla lunga esperienza delle cose moderne". Nei discorsi,
c'è il passato e c'è il Machiavelli repubblicano in azione, nell'arte della
guerra c'è il presente e la previdenza del futuro, quale risalta agli occhi
dell'autore del principe. In questo
trattato che per ben tre secoli rappresentò l'utopia del Machiavelli, è potente
la profezia del futuro. Il principe,
ricollegandosi ai discorsi, parte dall'ammirazione per
Questo è il pensiero del Machiavelli nel principe, un personaggio di vita semplice e sentimenti nobilissimi verso la famiglia, gli amici, i concittadini, e nel sopportare la malignità dei tempi; repubblicano irriducibile ed amante appassionato dell'unità e libertà della patria (Firenze-Italia), dopo aver servito la quale, fedelissimamente, rimane povero; autore di una trilogia, di cui il principe è al centro, nel tempo e nel pensiero, e in cui c'è l' ansia tormentosa per il presente e l'avvenire della libertà nazionale; filosofo, nel principe, di una teoria politica che, tenendo conto, nel patriottismo, del bene inseparabile dal popolo, gli fa vedere la salvezza dell'Italia, nella costituzione di uno Stato forte. E, non sapendo far di meglio, esperto dei suoi tempi e conoscitore della storia antica, egli si mette ad esaminare e a narrare, e non a consigliare le azioni di coloro che, solo marciando per quella data strada, ridettero l'ordine, libertà e potenza ai loro paesi e queste azioni il Machiavelli narra con lucidezza e con logica serrata, a cui soccorre uno stile scultorio, incisivo e pur sempre movimentato. Il Machiavelli era, nella pratica e nella teoria, una vera "dignitosa coscienza e netta"; la sua bontà era solo superata dall'ardente amor di patria. Desta stupore come si sia tanto chiarlato dell'immoralità del Machiavelli. Posso affermare che la moralità anzi gli piace; qualche suo pensiero l'ho pure riportato in cui Egli loda la generosità, la clemenza, l'osservanza della fede, la sincerità e le altre virtù, "ma a patto che ne venga il bene alla patria". Dal lato scientifico, egli crea per primo la scienza politica, cioè l'attività economica o utilitaria dello spirito, assegnando un'autonomia alla vita politica rispetto a quella morale. S'intende che, nel suo sistema politico, vengono in urto l'utile e l'onesto, con prevalenza del primo sul secondo. Emerge chiaro che nella pratica della vita, e quindi, nella politica, l'onesto debba cedere all'utile nazionale, cioè collettivo. "Perché degli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua; offeronti el sangue, la roba, la vitae i figlioli quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, è si rivoltano". Per ultimo, vorrei ricordare che il Machiavelli, col principe, vagheggia lo Stato laico puro, basandolo sulle necessità, patriottiche ed umane, e cioè le preoccupazioni che, senza lo Stato forte, si sviluppano qua e là, in Italia, le lotti intestine. Affermazione questa, che tutta la storia nostra sta lì a dimostrare.
Machiavelli, nel principe, oggi, fatte le debite riserve, è ancora così vicino a noi, per i concetti fondamentali del profondo amor di patria e dello Stato forte e sovrano.
Karl Marx e Friederich Engels
MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA
il
manifesto del
partito comunista costituisce forse un esempio unico di opera politica la
quale, pur attraverso infinite controversie, sia riuscita a mantenere intatti ,
per più di un secolo, i suoi principi generali e la propria validità. La storia
stessa ha riproposto l'attualità di
questo opuscolo, che, quasi ignorato fino al 1870, diverrà dopo la rivoluzione
russa del 1917 il fondamento dottrinale di vasti schieramenti politici e di
intere organizzazioni statali. Esso tuttavia non è solo una professione di fede
politica, e come tale facilmente esaltabile o criticabile a seconda delle parti, ma è soprattutto un
documento storico di estrema importanza, che ha dato il via a una nuova maniera
di intendere e di praticare la vita. Fonte principale di notizia sull'origine
del manifesto è lo scritto di Engels per la storia della lega dei comunisti,
pubblicato nel 1885 come prefazione alle rivelazioni sul processo dei
comunisti di colonia, processo con il quale si chiude il primo periodo di
attività delle operai tedeschi. La lega dei giusti, fondata a Parigi nel 1836
dall'ala estremista della lega dei proscritti, società segreta di tendenze
democratiche repubblicane costituita due anni prima dai profughi tedeschi, in
prevalenza operai, fa del manifesto il suo programma di partito a
partire dal 1848. La nuova organizzazione, anch' essa ovviamente a carattere
cospirativo, avanzava richieste sociali e politiche adattate al comunismo
egualitario di Babeuf , come d'altra parte facevano tutte le altre società
segrete per l'appunto francesi, quale per esempio la società delle stagioni di
Blanqui. Fu proprio per aver partecipato all'insurrezione parigine del maggio
1839, promossa da Banqui, che la lega dei giusti si trovò trascinata nelle
misure repressive ordinate da Luigi Filippo: dopo un periodo di prigionia i
suoi capi, Karl Schapprer e Heinrich Bauer, dovettero emigrare a Londra dove, godendo di quella
libertà di movimento concessa a tutti i profughi dal governo liberale inglese e
con l'aiuto di Joseph Moll, riuscirono a organizzare nuovamente le file della lega. E a Londra ebbe sede
stabile la direzione di esse, fino alle fatali giornate del 1848, quando i
poteri vennero spostati alla comunità di Bruxelles. Le " comunità",
come saranno poi chiamate le singole sezioni della lega, cominciarono a
diffondersi in tutta Europa; di esse la più importante, è quella creata in
Svizzera dal sarto tedesco Wilhelm Weitling. le teorie comunistiche del
Weitling ebbero grande influenza sulla classe operaia , giacché esse, riassumevano quelle aspirazioni a un innovazione
della società, poggiante su basi più giuste e più favorevoli al proletariato,
che da decenni avevano trovato fedeli interpreti nelle dottrine dei cosiddetti
socialisti utopisti. A differenza dei suoi predecessori, Weitling, disponendo
di un'organizzazione a carattere internazionale degli operai, pur nei suoi
limiti di setta chiusa e priva di pubblicità, poté ben sperare che tali
aspirazioni trovassero attuazione nella realtà. Ma, anche a lasciar da parte il
palese profetismo evangelico in cui si rifugiò nell'ultimo periodo della sua
vita dopo i rifatti fallimenti politici, il suo pensiero percorre pur sempre le
file dell'utopismo pur facendo del progresso storico il cardine delle sue garanzie dell'armonia e della
libertà. Idee
per una riorganizzazione della società (1842), ciò che gli non ebbe fu
proprio la reale comprensione storica degli eventi che si svolgevano attorno a
lui. Egli "artigiano divenuto proletario, era l'interprete di una classe, il
proletariato artigiano, che andava scomparendo, e non concepiva nè la
possibilità di una rivoluzione sociale creata dalla grande industria, nè la
funzione storica che il proletariato industriale era chiamato sostenere in
questa rivoluzione". Marx ed Engels, prima della inevitabile rottura,
tuttavia, riconoscevano l'importanza
della sua predicazione come "prima manifestazione teorica autonoma del
proletariato tedesco". Un altro pensatore: Pierre- Joseph Proudhon, non mancò
di riscuotere un largo consenso tra gli iscritti alla lega dei giusti. Le sue
idee riuscirono ad affermarsi, pur respingendo ogni presupposto socialistico,
per l'aspra condanna dell'attuale ordinamento capitalistico della società che aveva
lanciato nel 1840 con la memoria che cos'è la proprietà?, dove quest'ultima veniva definita un furto commesso da possessori dei
mezzi di produzione a danno dei lavoratori. Ma, se si deve parlare in tal caso
di socialismo, si tratta solo di un socialismo "conservatore borghese". Le
reali urgenze del proletariato e il problema dell' organizzazione degli operai
in classe venivano da lui trascurate. Per questo, divulgandosi in Europa il
fermento rivoluzionario da parte della borghesia liberale e rinsaldandosi al
contempo i quadri della lega sia a Londra che all'estero, crebbe tra i suoi dirigenti
la diffidenza per i metodi sin allora adottati, principalmente per il carattere
cospirativo che ne aveva segnato l'azione, e ci si persuase che occorreva percorrere
una via del tutto nuova, per uscire dagli equivoci e dalle incertezze, quella
che Marx ed Engels andavano addittando con la loro teoria del socialismo
scientifico. Delle vicende biografiche di Marx ed Engels, della loro formazione intellettuale, della
loro stretta collaborazione e amicizia e delle esperienze che andarono
maturando nella loro attività in tutela della classe operaia, ricordiamo che
essi fino al 1847 avevano avuto con la lega dei giusti soltanto rari contatti per
mezzo della sezione di Parigi e Bruxelles, dove vivevano; indirizzatisi ad un energico
studio dei fenomeni si convinsero che il proletariato avrebbe potuto migliorare
le proprie condizioni di esistenza, solo tramite una partecipazione diretta e
non clandestina alle lotte politiche. Inevitabile era quindi la diversità dai
programmi della lega. Ma non per questo non curarono l' impegno attivo nel
problema organizzativo degli operai: passati alla collaborazione reciproca, incominciatasi
ufficialmente nel 1845 con la pubblicazione della sacra famiglia, gettarono le fondamenta a Bruxelles nel 1846
del primo comitato di corrispondenza comunista, che aveva lo scopo di diffondere
la dottrina del socialismo scientifico e mantenere i rapporti tra gli operai
dei vari paesi. Da allora si moltiplicarono, pur non senza ostacoli, le
relazioni tra Marx ed Engels da una parte e i dirigenti della lega dall'altra,
fino a quando, nel 1847, Joseph Moll si recò personalmente prima Bruxelles e
poi a Parigi per proporre ai due di entrare alla lega stessa, che avrebbe
dovuto così essere ricostruita dalle fondamenta secondo i nuovi principi. Ogni
remora veniva in tal modo a cadere. Marx creò a Bruxelles una comunità, mentre Engels
entrava a far parte delle sezioni parigine. Il primo congresso si tenne a
Londra nel giugno di quello stesso anno; in esso le comunità beghe furono
rappresentate da W. Wolff, quelle francesi da Engels. La vecchia denominazione
di lega dei giusti fu soppressa e al suo posto venne adottata quella di lega
dei comunisti più consona alla nuova situazione; si decise per una
organizzazione più democratica, con cariche elettive e si rimandò
l'approvazione dei nuovi statuti a un secondo congresso, da tenersi in
novembre. Prima che quest'ultimo venisse convocato, sul frontespizio dell'unico
numero della rivista della lega, la "Kommunistische Zeitschrift", in luogo dell'antico motto "tutti gli uomini
sono fratelli", idoneo più a una società segreta che a un partito a carattere
pubblico e internazionale, furono scritte le parole con cui si chiuderà poi il
manifesto :"proletari di tutti i paesi uniti! ". Al secondo congresso,
svoltosi alla fine di novembre del 1847, presenzio Marx, che in tanto era stato
designato presidente della comunità di Bruxelles. I nuovi statuti vennero definitivamente approvati l'otto dicembre: "Scopo
della lega è l'abbattimento della borghesia, il dominio del proletariato,
l'abolizione della vecchia società borghese poggiante su antagonismi tra le
classi, e la fondazione di una nuova società senza classi e senza proprietà
privata". In questo congresso venne dato a Marx e ad Engels l'incarico di stilare
un programma del partito, per poi renderlo pubblico. Il manifesto è
un'indagine dello svolgimento storico fino alla grande industria e alla venuta
al mondo del proletariato, volto a palesare l'ineluttabilità, propria di questo
stesso svolgimento, di una rivoluzione operaia. È presente quel senso drammatico dell' antagonismo
tra le classi in lotta che diventa nel manifesto un grido di battaglia e un' esortazione
per la preparazione della classe dell'avvenire ai nuovi eventi che andavano
maturando e che sboccheranno di lì a poco in aperta rivoluzione, si parla di annullamento
violento della borghesia. Nel manifesto l'obbiettivo ultimo a cui si mira è la
realizzazione del nuovo mondo senza classi e sfruttamento. La sua grandezza non
è circoscritta all' ambito del movimento operaio, dove tratteggia la prima
autorevole presa di coscienza del proletariato come classe che gode in se forza
sufficiente per mutare il corso della storia, ma investe il campo della
speculazione vero e proprio, lo sconvolge addirittura, facendosi mezzo di
propaganda di una nuova maniera di pensare e di vivere. Il manifesto ha la
grande dote di presentare alle masse queste idee comuniste e allo stesso tempo
di voler rappresentare un partito e inserirsi così nel vivo delle vicende della
stessa epoca, richiamando il principio per cui nessuna idea ha valore se non
viene prima analizzata nella prassi, esistendo un indivisibile legame tra
pensiero e azione. Marx e Engels nel 1864 poi fondarono la prima associazione
internazionale degli operai. Il nuovo sistema di indagine storica applicata nel
manifesto viene definito materialismo dialettico; con quest'ultimo attributo
esso si ricollega direttamente alla filosofia di Hegel per cui ogni contraddizione logica e pratica
tra elementi discordanti può essere vinta solo tramite una sintesi di essi che
li superi entrambi in una posizione più inclusiva, ma che è destinata a sua
volta ad essere discussa e nuovamente superata, in un indefinito processo
dialettico di tesi, antitesi e sintesi. Ma Hegel quando applica un tale metodo
nell'esame dei fatti storici, cerca di sciogliere
le contraddizioni insite nella realtà in contraddizioni logiche, adattando in
modo innaturale il quadro degli avvenimenti umani allo schema predeterminato
dalla sua dialettica idealistica, l'interpreta cioè sempre seguendo il
movimento dell'idea. Non solo tutta la storia è vuotata del suo contenuto
drammatico di conquista da parte dei singoli o di classi e quasi ridotta
all'esecuzione passiva di un piano divino, inoltre l'individuo viene
sacrificato in nome dell'assoluto in sé, dell'idea. Ciò che a Marx ed Engels
come in precedenza a Feuerbach, appare contestabile in questa filosofia, è non
tanto il metodo in se stesso, quanto l'applicazione scorretta che ne ha fatto
Hegel. Si tratta ora di fare della
dialettica non più un gioco di semplici procedimenti razionali, ma un mezzo per
addentrare il meccanismo della storia, per ritrovare in essa delle leggi persistenti
che possano spiegare oltre ciò che è avvenuto, ciò che sta per avvenire, dando
così l' opportunità di intervenire direttamente sul corso della storia stessa;
una storia, quindi, dove l'uomo è il solo protagonista e dove le sue azioni
sono comandate soprattutto da interessi concreti e da reali bisogni economici e
non esclusivamente da motivi morali o ideali. È in questa accezione che la
nuova dialettica viene chiamata "materialistica". "Questa concezione della
storia si fonda dunque su questi punti: spiegare il processo reale della
produzione, e precisamente muovendo dalla produzione materiale della vita
immediata, assumere come fondamento di tutta la storia la forma di relazioni
che è connessa con quel modo di produzione e che da esso è generata, dunque la
società civile nei suoi diversi stadi, e sia rappresentarla nella sua azione
come Stato, sia spiegare partendo da essa tutte le varie creazioni teoriche e
le forme della coscienza, religiosa, filosofica, morale, ecc., e seguire sulla
base di queste il processo della sua origine, ciò che consente naturalmente
anche di rappresentare la cosa nella sua totalità (e quindi anche la reciproca
influenza di questi lati diversi l'uno sull'altro). Essa non deve cercare in
ogni periodo una categoria, come la concezione idealistica della storia, ma
resta salda costantemente sul terreno storico reale, non spiega la prassi
partendo dall'idea, ma spiega le formazioni di idee partendo dalla prassi
materiale, e giunge di conseguenza al risultato che tutte le forme e prodotti
della coscienza possano essere eliminati non mediante la critica intellettuale,
risolvendoli nell'autocoscienza o trasformandoli in spiriti, fantasmi, spettri,
ecc., ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti,
dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; che non la critica ma la
rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia della
religione, della filosofia e di ogni altra teoria. Essa mostra che la storia
non finisce col risolversi "nell'autocoscienza" come "spirito dello spirito",
ma che in essa ad ogni grado si trova un risultato materiale, una somma di
forze produttive, un rapporto storicamente prodotto con la natura e degli
individui tra loro, che ad ogni generazione è stata tramandata dalla precedente
una massa di forze produttive, capitali e circostanze, che da una parte può
senza dubbio essere modificata dalla nuova generazione, ma che d'altra parte
impone ad essa le sue proprie condizioni di vita e le da uno sviluppo
determinato, uno speciale carattere; che dunque le circostanze fanno gli uomini
non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze". Ciò che conta, quindi,
è il modo in cui si esplicano le forze produttive dei singoli individui, o di
una data nazione o epoca storica; i rapporti materiali di produzione che ne derivano
danno forma così alla base di ogni società civile, la sua struttura economica
che influenza in tutto le sovrastrutture giuridiche e politiche di essa. Vi è
sempre un momento nella storia in cui rapporti di produzione divengono inadatti
rispetto alle forze produttive che essi regolano; ciò accade in quanto mentre i
rapporti giuridici di proprietà tendono a conservarsi immutati le forze
produttive corrispondenti hanno insita la tendenza a un costante progresso, a
un perfezionamento continuo. A questo punto i rapporti giuridici , invece di
favorire lo sviluppo delle forze sociali, ne costituiscono un anacronistico
ostacolo e, per intrinseca necessità storica, debbono essere smantellati. Così,
sul finire del medioevo, l'organizzazione corporativa dell'industria si fece
sempre più inadeguata per la nascente forza del capitale; e da allora, la
borghesia capitalistica ha cercato in ogni modo di annientare in nome del
progresso ogni residuo blocco dell'antico sistema feudale. Per questo le prime
pagine del manifesto sono dedicate allo sviluppo della classe borghese,
definito dagli stessi autori - in base al loro principio dialettico - rivoluzionario e ricco di effetti benefici. Ma ciò proprio per svelare
come, la borghesia abbia cessato di tratteggiare quella funzione positiva che
prima era legittimata dalla sua lotta contro il feudalismo, con la grande industria
e la creazione del proletariato moderno; anzi, con il sistema capitalistico si
è marcata quella lotta tra le classi antagonistiche che è sempre stata il
contenuto di ogni storia passata e che oggi sembra ridotta all'inconciliabile opposizione
tra le due uniche grandi classi: borghesia e proletariato. Giunto tale
contrasto al suo apogeo, è dialettico che il potere borghese venga rovesciato e
il proletariato riceva nelle sue mani, per esprimerci in termini Hegeliani, la
fiaccola della civiltà, dando avvio al proprio dominio di classe, destinato ad
essere solo la premessa di una società senza classi. Tenendo presente
quest'ultimo concetto di abolizione finale delle classi, si comprende il senso
nuovo di dignità e di valore della persona che il marxismo intende riconsegnare
ad ogni uomo. Un identico diritto e dovere per tutti a lavorare e a raccogliere
i giusti frutti della propria laboriosità, non più sfruttamento o miseria o
distinzione di censo; come, da un punto di vista economico il lavoro è per Marx
esatta misura del valore di una merce, così sul piano morale esso è la misura
della dignità umana. Per questo nel manifesto non ci si rivolge ai
nullafacenti, ai miserabili, al cosiddetto sottoproletariato, ma solo al vero e
proprio proletariato industrioso. Rovesciare il dominio della borghesia è
impossessarsi dei mezzi di produzione da essa riuniti nelle proprie mani
significa per la classe operaia rendere a se stessa quanto ha prodotto e le è
stato rubato dacchè ha cominciato a lavorare sotto il comando dei capitalisti.
Il capitale, infatti, non è che il
risultato dell'accumulazione di prodotti del lavoro che al possessore dei mezzi
di produzione non sono costati nulla; questi, riduce al minimo la retribuzione
aumentando fino al limite consentito da natura le ore di lavoro, sfruttando le
condizioni generali del pauperismo e della concorrenza che gli operai si fanno
tra di loro per conquistarsi un salario. L'operaio vende al capitalista l'uso
della propria forza lavorativa come se si trattasse di una merce qualunque;
durante una parte della giornata restituisce con i prodotti del suo lavoro l'
equivalente del proprio salario, che si riduce sempre alla quantità di mezzi di
sostentamento appena sufficienti per mantenere in vita se e la sua famiglia. Ma,
durante il resto della giornata egli continua a produrre un valore per il quale
non è stato fatto alcun anticipo; tale "plusvalore" finisce nelle tasche del
capitalista che è in tal modo, senza impegnarsi direttamente nella produzione,
si appropria di una fetta della ricchezza sociale. A questo processo di
accumulazione del capitale e di concentrazione degli strumenti di produzione
nelle mani di un numero sempre più ristretto di individui, s' accompagna
parallelo, per Marx, un processo di crescente impoverimento della classe
operaia; gia nel manifesto è contenuta un'affermazione di tal genere:
"l'operaio diviene un povero, e il pauperismo si sviluppa ancor più celermente
della popolazione e della ricchezza". Questa teoria è stato oggetto di numerose
polemiche e principalmente coloro che hanno inteso sottoporre il marxismo ad
una supervisione privandolo del suo spirito rivoluzionario, hanno avuto vita
facile nell'obiettare che dall'esperienza si desume proprio il contrario, cioè
che le limitazioni della classe operaia sono andate sempre più migliorando fino
a raggiungere nel salariato medio una discreta agiatezza, sconosciuta ai tempi
di Marx. Ma se il benessere dell'operaio è aumentato in assoluto. In via
relativa, paragonato all'enorme crescita del capitale, esso è piuttosto retrocesso.
Un'altra critica alla dottrina marxista esamina quel senso di inevitabilità e
imminenza della rivoluzione proletaria che si ricava da parecchie pagine del
manifesto e che si inserisce nell'atmosfera generale piena di ansie e di aspettazioni
che precedette i grandi moti del 48. D' altra parte anche al di fuori di quegli
anni particolari venne teorizzata da Marx la necessità storica del passaggio di
potere della borghesia al proletariato. La storia-questa è l'accusa- gli ha
dato torto: il borghese è accresciuto in potenza e l'operaio ha senza profitto
atteso in modo passivo il precipitare della situazione. Meglio quindi affidarsi
ad altre vie per ottenere miglioramenti, quelle, più anguste ma più sicure,
delle graduali conquiste parlamentari e mettere da parte ogni proposito rivoluzionario.
Se ci limitiamo a considerare il manifesto e gli avvenimenti immediati
che lo seguirono, non considerando l'attività e gli scritti posteriori dei suoi
autori, possiamo ammonire Marx e Engels per il loro eccessivo ottimismo. Ma è
vero che sempre sostenettero l'idea secondo cui non è possibile una rivoluzione
operaia senza prima aver svegliato nell' operaio stesso la consapevolezza della
propria forza, senza averlo prima educato alla nuova funzione che gli compete
nell'epoca moderna. Furono i primi a rendersi conto del proprio errore cioè
quello di aver stimato eccessivamente, in quello specifico momento, la capacità
di azione del proletariato internazionale e in particolare di quello tedesco forse
lasciandosi trascinare da quell'ondata di entusiastico fervore che scuoteva i
rivoluzionari di ogni paese "alla vigilia del grande anno". Il loro interesse si rivolge in modo particolare
alla Germania, dove la classe operaia si trova in condizioni di civiltà generale
più avanzate rispetto a quella in cui agì l'operaio inglese o francese nelle
precedenti rivoluzioni europee; negli ultimi capoversi del manifesto viene
espressa chiaramente la fiducia nella maggiore maturità dell'operaio tedesco e
la speranza che sappia trarre profitto da questa sua condizione, sullo slancio
dell'imminente rivoluzione borghese, per imporre il comunismo. "Una formazione
sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a
cui può dar corso". Ed è sotto questo punto di vista che va riguardato il
paragrafo sul "vero socialismo" dei loro antichi compagni della sinistra
hegeliana, del resto da essi già ampiamente confutato nel 1846 con l'ideologia tedesca, che altrimenti potrebbe apparire
di dimensioni sproporzionate sul piano generale dell'opera. Ciò che a questi
filosofi dell'azione o veri socialisti- come amavano definirsi- viene criticato
è l'incapacità di intendere con senso storico l'evoluzione della borghesia
tedesca e la sua lotta contro il reazionarismo dei governanti; essi, infatti, accostarono
la letteratura socialista e comunista sorta in Francia, dove aveva una propria
giustificazione e validità, alle condizioni ben dissonanti della Germania,
utilizzando per questo la astratta fraseologia filosofica tanto cara ai "begli
spiriti" hegeliani. Questo principio della necessità da parte della borghesia
della conquista del potere politico e dello sviluppo totale di tutte le sue
forze prima che si possa parlare di un intervento rivoluzionario del proletariato,
fu poi dimostrato impreciso da quanto avvenne in Russia nel 1917. Qui difatti
il ruolo della borghesia nella vita politica del paese era pressoché cosa
trascurabile e malgrado ciò fu possibile istituire un regime comunista
direttamente sulle rovine di un regime ultra conservatore come quello zarista.
È pur vero che in quel caso l'azione rivoluzionaria di massa venne condotta più
che da quel proletariato industriale, che nel manifesto è indicato come primo
attore della futura società, dalle schiere contadine. Così anche per
l'organizzazione del nuovo Stato comunista si deve riconoscere l'importanza
rilevante che ebbe la secolare struttura collettivistica della produzione
agricola russa. Comunque è proprio sul problema del quando si sarebbe dovuta mettere
in atto la rivoluzione proletaria che verso la fine dell'800 incominciarono a
crearsi delle fratture tra le file del marxismo, dando alla luce poi quelle
differenze d'interpretazione che costituiscono oggi la base dottrinale dei così
chiamati partiti di sinistra. Il manifesto, è stato ed è oggetto di
critiche violente, come ogni scritto che presenti delle implicazioni politiche;
queste spesso si indirizzano alla singola frase cercando di mostrarne
l'infondatezza al vaglio della evoluzione subita dal marxismo attraverso le sue
molteplici realizzazioni nella realtà. Per me il manifesto è un
documento storico sulla cui grandezza, fondamentale nell'epoca moderna, oggi non
si dovrebbe più non avere la certezza. Un documento che proprio per il suo
essere strumento innovatore e anticipatore di eventi d' interesse mondiale, deve
essere preso nel suo assieme, comprensivi verso le inevitabili singole imprecisioni
e verso quella mancanza di coerenza interna nella esposizione che si
adatterebbe più ad un trattato scientifico che a un mezzo di propaganda
politica quale esso fu al suo primo apparire. Gli stessi suoi autori riscontravano
in seguito come alcune affermazioni contenute in esso fossero state superate
dalla nuova situazione storica. Così nella prefazione dell'edizione tedesca del
1872 i dieci punti programmatici esposti alla fine del capitolo II sono
ritenuti invecchiati ed essi dipingono nell'opera l'unico tentativo di
tracciare con una certa metodicità il piano della futura organizzazione collettivistica
della società. Ma malgrado tutto ciò il manifesto è definito da Marx e da
Engels "un documento storico, che non ci sentiamo più in diritto di modificare".
Per concludere, quando in esso ritengo debba essere considerato il valore più profondo
è : la rivendicazione del diritto di ciascun uomo all' esplicazione totale della
propria individualità, il riconoscimento del valore inalienabile della persona,
al di fuori di ogni mutilazione o alienazione tipica dello sfruttamento
dell'uomo da parte dell'uomo in linea con tale principio è contenuto in
quest'opera un concetto che, se si considera il tempo in cui fu pronunciato, ci
sembra di una modernità stupefacente: quello di una emancipazione completa
anche della donna la quale nel sistema capitalistico - nell'ambito della
famiglia borghese viene trattata alla guisa di un "semplice strumento di
produzione", mentre nell'ambito della famiglia operaia condivide con l'uomo
tutta la fatica, la sofferenza e l'incertezza della sua condizione. Insomma il
manifesto è uno di quei libri che non muoiono mai. Pagine che escono dal
limite del loro contesto storico e disegnano, quando la realtà s'è fatto troppo
difficile perché si è realizzata, un'utopia. Un' utopia possibile in quanto parlano di libertà, nel
contingente di una classe oppressa, nella proiezione dell'eternità storica
dell'umanità, invece, libertà dell'uomo di ogni epoca allorché ci siano da
spezzare le catene della propria servitù. Perché anche quando fu scritto nel
1847-48 c'era uno scopo realizzabile in futuro di quella che doveva essere al
momento una lotta concreta, una società di nuovi dominatori, la classe operaia,
ma solo nell'attesa, alla lunga, di un umanità senza classi. "Uno spettro
s'aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo", esordiva questo documento
storico che ebbe la diffusione universale che spetta ai testi sacri.
"Proletari di tutti i paesi unitevi", chiudeva con l'esortazione a
realizzare con la prassi ciò che sembrava inevitabile esigenza della storia.
Nella rivoluzione comunista i proletari hanno da perdere unicamente le loro
catene, spiegava come congedo e come certezza più che augurio, e hanno invece
da guadagnarvi tutto un mondo. Una cosa è indubbia questo libro, questo straordinario
documento che vide la luce la prima volta nel febbraio del
Privacy |
Articolo informazione
Commentare questo articolo:Non sei registratoDevi essere registrato per commentare ISCRIVITI |
Copiare il codice nella pagina web del tuo sito. |
Copyright InfTub.com 2024