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STORIA E STRUTTURA DELL'ALLEANZA ATLANTICA - La NATO dal 1949 al 1989: alleanza difensiva antisovietica.

politica



STORIA E STRUTTURA DELL'ALLEANZA ATLANTICA



1.1. La NATO dal 1949 al 1989: alleanza difensiva antisovietica.


L'Alleanza Atlantica, come ricorda Kaplan,1 "fu il prodotto di due rivoluzioni, entrambe nate dalle ceneri della Seconda Guerra mondiale". La prima portò gli Stati Uniti ad abbandonare il loro tradizionale isolazionismo; la seconda rappresentò il mezzo di cui l'Europa si servì per seppellire il passato e rivolgersi con spirito associazionistico verso quelle nazioni fino a poco tempo prima rivali.




Le cause che portarono a creare questa nuova istituzione vanno ricercate nell'atteggiamento aggressivo dell'Unione Sovietica che cominciò a spaventare l'Occidente sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e nella conseguente e progressiva ascesa del comunismo nell'Europa orientale. Tali pressioni spinsero gli Europei ad accettare il Piano Marshall, prezioso sostegno americano, poi integrato con piani d'aiuto reciproco e di autoassistenza. Ma queste misure si rivelarono inadeguate per scongiurare "il pericolo rosso": il colpo di stato comunista a Praga, nel 1948, rappresentò il culmine della pressione sovietica.


Fu così che nacque l'idea di un patto difensivo per gli S 323i85d tati dell'Europa occidentale, con il sostegno americano. Artefici ne furono Ernest Bevin e Georges Bidault, ministri degli Esteri inglese e francese. Il primo tentativo si concretizzò nel Trattato di Bruxelles, del marzo 1948, che prevedeva un'alleanza difensiva, della durata di 50 anni; ma si rivelò presto un fallimento. L'Europa, ancora troppo debole per fare da sola, necessitava soprattutto dell'assistenza americana; oltreoceano si doveva però abbattere il muro dell'isolazionismo, impresa fallita anche in seguito all'intesa tra l'amministrazione Truman e il Senato degli Stati Uniti. L'idea venne rilanciata pochi mesi dopo, in seguito ad una nuova mossa dell'Unione Sovietica, che nel giugno 1948 bloccò la via per Berlino agli alleati. Il blocco e il ponte aereo che ne seguirono riuscirono finalmente a far cambiare orientamento agli americani: nella stessa estate furono gettate le basi di un'alleanza che, oltre all'originario gruppo del Trattato di Bruxelles - Francia, Gran Bretagna, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi - comprendesse anche Canada, Danimarca, Islanda, Italia, Norvegia e Portogallo; oltre naturalmente gli Stati Uniti. Così, il 4 aprile 1949, i Ministri degli esteri di 12 nazioni e 1500 invitati si riunirono a Washington D.C. per la firma del North Atlantic Treaty.


Il fulcro e il vincolo fondamentale del neonato patto fu esplicitato nell'articolo 5, che in pratica equiparava un attacco contro uno qualsiasi dei membri dell'Alleanza ad un attacco compiuto contro tutti. Inoltre non venne previsto obbligo alcuno di dichiarare guerra, nel caso di assistenza armata collettiva a sostegno del Paese attaccato. Tuttavia l'Alleanza Atlantica non aveva le sembianze di una vera organizzazione, essendo stata pensata come una semplice dichiarazione di intenti, e ben presto ci si rese conto che ciò non era sufficiente.


Un anno più tardi, la guerra di Corea segnò la fine delle illusioni. L'apporto sovietico all'azione che portò la Corea del Nord ad invadere la Corea del Sud sembrò preludere ad un'analoga azione contro la Germania occidentale. L'Alleanza Atlantica non poté che riceverne un importante stimolo e i suoi responsabili si affrettarono a trasformarla in una reale organizzazione militare. Furono così istituite una struttura integrata di comando e, quindi, i supremi comandi alleati per l'Europa (SACEUR) e per l'Atlantico (SACLANT). Il North Atlantic Council fu la prima istituzione creata all'interno dell'Alleanza, e ne è ancora oggi la principale. E l'Alleanza, creta con la firma del North Atlantic Treaty, diventò così la NATO, la North Atlantic Treaty Organization, costituita da specifiche strutture politiche e militari.


Durante il primo decennio di vita dell'Alleanza si delinearono i rapporti di forza che si sarebbero instaurati all'interno di essi e i nemici che avrebbe dovuto affrontare, almeno fino alla fine degli anni Ottanta. Tre nuovi Stati entrarono a far parte dell'Alleanza: Grecia e Turchia, nel 1952, andarono a rafforzare il fianco sud, dimostrando come si stesse già operando nel senso di un progressivo allargamento. Nel 1955 fu la volta della Repubblica Federale di Germania. Contemporaneamente, "l'influenza degli Stati Uniti nell'Alleanza raggiunse il suo culmine (.)" , dimostrando quanto poco equilibrio ci fosse al suo interno, sin dal principio. Infatti gli USA erano l'unica vera potenza in grado di contrastare in Europa l'espansionismo sovietico, che nel 1955, concretizzandosi nel Patto di Varsavia - 8 Paesi dell'area comunista alleatisi in funzione anti-occidentale - e nel lancio dello Sputnik - primo satellite sovietico orbitante intorno alla Terra - palesò la vulnerabilità e la crescente instabilità interna dell'Alleanza. "Gli Stati Uniti cercavano di rispettare la sensibilità dei propri alleati (.). Nondimeno, risultava alquanto sorprendente che i Britannici si risentissero al rifiuto di attribuire loro un comando in Atlantico, o che la Francia biasimasse gli Stati Uniti per la propria perdita dell'Indocina nel 1954". La mancanza di coesione nel blocco occidentale si manifestò con più evidenza in occasione della crisi di Suez, nel 1956.


Gli anni Sessanta si aprirono con lo spettro di un nuovo conflitto mondiale: il 13 agosto 1961 venne eretto il muro di Berlino, e l'anno successivo, in occasione dello spiegamento sovietico di missili offensivi a Cuba, il conflitto fu realmente sfiorato. Per ciò che concerne più direttamente l'Alleanza, bisogna menzionare una nuova linea di sviluppo, la produzione di deterrenza nucleare, avversata dalla Francia di De Gaulle che, il 29 marzo 1966, uscì per tal motivo dalla struttura militare integrata della NATO. Evidentemente De Gaulle non intendeva tollerare oltre l'ingerenza americana, ora celata sotto le spoglie di una "forza nucleare europea". Ciò detto, "la Francia rimase membro dell'Alleanza, contribuendo alla difesa dell'Europa con le proprie truppe in Germania".4 Il quartier generale militare della NATO fu così spostato da Parigi a Bruxelles.


A metà degli Sessanta si verificò un fatto nuovo, che rappresentò l'inizio di una nuova fase nella storia dell'Alleanza: il Rapporto Harmel del 1967. "Un piccolo gruppo, presieduto dal Ministro degli Esteri belga, Pierre Harmel, raccomandò, con pieno successo, una politica di distensione da affiancare a quella di difesa. Se ciò rappresentò un fondamentale cambiamento di strategie, il rapporto Harmel segnò anche un'evoluzione organizzativa nella NATO, che consentì alle nazioni più piccole di svolgere un più ampio ruolo nel processo decisionale della NATO. La distensione fu la prova della loro influenza. La percepita diminuzione della minaccia sovietica consentì alla NATO di rivedere anche la propria strategia militare, prevedendo una risposta flessibile, piuttosto che una rappresaglia massiccia, con varie opzioni di risposta nucleare o convenzionale in caso di attacco".5 Fu il Cancelliere Willy Brandt, nel 1969, che avviò tale politica della distensione, aprendo verso la Germania orientale e verso le altre nazioni orientali (la ostpolitik).


Tuttavia gli anni Settanta videro accrescersi le preoccupazioni in Europa. Agli accordi SALT, firmati nel 1972 da Richard Nixon e da Leonid Brezhnev, per la limitazione degli armamenti strategici, agli ottimi risultati conseguiti in ambito di integrazione europea (non ben visti, questi, all'occhio vigile degli  USA) e all'Atto finale di Helsinki, firmato nel 1975 alla fine della lunga Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) - in base al quale i sovietici si impegnarono a rispettare alcuni diritti umani in cambio di un reciproco riconoscimento dei confini europei facevano da contraltare rinnovati timori. Ci riferiamo al perdurare della guerra del Vietnam, che avrebbe presumibilmente condizionato l'apporto americano alla causa europea, in caso di necessità, e al possibile accordo segreto tra americani e sovietici a scapito dell'Europa.


Il trend negativo peggiorò sotto l'amministrazione Carter. Missili balistici a raggio intermedio, gli SS-20, vennero puntati dai sovietici sulle principali capitali europee, e l'Europa ripiombò nel caos. Fu così che la NATO decise di attuare la strategia del doppio binario. Ovvero intensificare i negoziati per il controllo degli armamenti, in contemporanea allo schieramento sul terreno europeo dei celeberrimi euromissili Pershing e Cruise, contro l'Unione Sovietica. Questa seconda parte della strategia americana fu ovviamente contestata dagli alleati europei, improvvisamente impegnati a controllare le manifestazioni pacifiste dirette contro il dispiegamento di forze occidentali. Di queste tensioni interne all'Alleanza si avvantaggiarono proprio i sovietici, che non vedevano di buon occhio i negoziati.


Gli anni Ottanta si aprirono con l'avvio del tanto temuto dispiegamento (1983), che sancì il fallimento sia delle tattiche sovietiche, che delle proteste pacifiste. L'Alleanza ne subì un duro colpo.


Il 1985, con l'ascesa di Gorbaciov alla guida dell'Unione Sovietica, fu l'anno della ripresa dei negoziati: si era giunti ad una svolta decisiva; e due anni più tardi , a Washington, Reagan e lo stesso Gorbaciov firmarono il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF): un passo importante verso l'imminente crollo del regime comunista, causato dal Premier russo con le politiche della glasnost e della perestroika. Nel novembre 1989, il crollo del muro di Berlino sancì la fine della Guerra Fredda; il ruolo della NATO e le sue strutture dovettero essere ridisegnate.



1.2. Le istituzioni politico-decisionali della NATO fino al crollo del muro.


Tratteggeremo ora le linee essenziali della struttura istituzionale interna all'Alleanza Atlantica, così come era stata progettata alla fine degli anni Quaranta e come l'ha caratterizzata fino agli anni Novanta, quando, in seguito al crollo dell'impero sovietico, nuove e più specifiche istituzioni sono state create ex-novo per far fronte alle più attuali esigenze.


1.2.1. Il North Atlantic Council.7


Il North Atlantic Council (NAC) è la principale istituzione decisionale della NATO ed è composto dai rappresentanti permanenti, aventi rango di ambasciatori, di tutti gli Stati membri dell'Alleanza Atlantica. Essi si riuniscono almeno una volta alla settimana. Sono, altresì, previste riunioni a più alti livelli, all'interno del NAC, riunendo, a seconda dei casi, Ministri degli Esteri, Capi di Governo o Capi di Stato, generalmente due volte l'anno.


Tuttavia, a qualsiasi livello esso si riunisca, il NAC possiede la stessa autorità e poteri decisionali, e le sue decisioni hanno tutte la stessa portata. Questo è quel che si evince dal NATO Handbook, pubblicazione ufficiale dell'Alleanza Atlantica.


Proseguendo nella lettura, si riscontra che l'autorità politica viene effettivamente attribuita al NAC. Tale autorità gli deriverebbe esplicitamente dal North Atlantic Treaty, che, sin dai suoi primi anni di vita, lo ha insignito della responsabilità di creare istituzioni sussidiarie. Ed è quello che in realtà fece, in campo di pianificazione nucleare, per la difesa ed in materia militare in generale. Furono così create altre tre istituzioni8. Seguendo le indicazioni del manuale, nessuna decisione può essere presa senza il consenso unanime di tutti coloro che siedono al tavolo del NAC, vale a dire i 19 Paesi membri. Questo, essendo ciascun Paese libero e sovrano. Non sappiamo con quanto zelo, in realtà, questo teorico diritto di veto venga esercitato, quando le porte della sala del Consiglio si chiudono; e quanto effettivo valore esso possa avere.


Le riunioni del Consiglio vengono normalmente presiedute dal Segretario Generale; in assenza di questi, da un suo delegato. Ogni rappresentante è, inoltre, coadiuvato da uno staff politico-militare, di dimensione variabile. I ministri e i Capi di Stato o di Governo, che partecipano alle riunioni semestrali, hanno il compito di verificare che le direttive politiche impartite siano realmente rispettate, nonché i progressi fatti in tale direzione. Le riunioni semestrali sono presiedute da un Presidente Onorario, uno dei Ministri presenti, eletto a turno seguendo l'ordine alfabetico. All'occorrenza, sono altresì previste ulteriori riunioni straordinarie.


Le materie sulle quali si discute in seno al NAC comprendono tutto ciò che possa avere interesse per l'attività dell'organizzazione. Rapporti, suggerimenti e raccomandazioni sono costantemente preparati e modificati da comitati sussidiari, seguendo le indicazioni del Consiglio. Ciascun rappresentante permanente è in contatto con il proprio Paese di provenienza, e con esso discute i diversi punti di vista e le varie posizioni prese dagli altri membri; così da coordinare gli sforzi comuni verso il raggiungimento del consenso. Non è prevista, pertanto, nessuna decisione a maggioranza.9


1.2.2. Il Defence Planning Committee.10


Al Defence Planning Committee spetta la pianificazione della difesa collettiva. Alle riunioni dei rappresentanti permanenti (col rango di ambasciatori), si aggiungono quelle dei ministri della Difesa di tutti gli Stati membri (ad eccezione della Francia) che si riuniscono due volte l'anno. Il NATO Handbook specifica che questo comitato provvede ad impartire le direttive-guida alle autorità militari, e possiede le stesse funzioni e la stessa autorità del NAC, compatibilmente al suo raggio d'azione.


1.2.3. Il Nuclear Planning Group.11


Di pari grado e status rispetto al Defence Planning Committee, il Nuclear Planning Group è il forum privilegiato per discutere il ruolo che le forze nucleari debbano giocare nella pianificazione della politica di sicurezza e di difesa. Le riunioni hanno luogo sia a livello di ambasciatori sia di ministri della Difesa. La sua autorità in campo nucleare è pari a quella del NAC e del Defence Planning Committee nelle loro rispettive sfere. La Francia non partecipa alle sue riunioni; l'Islanda solo in veste di osservatore.


1.2.4. Il Segretario Generale.12


Nominato dagli Stati membri, il Segretario Generale è il presidente del NAC, del Defence Planning Committee e del Nuclear Planning Group. E', altresì, il Segretario Generale della NATO. Agendo come principale interlocutore dell'Alleanza nelle sue relazioni esterne, il Segretario Generale mantiene contatti e relazioni con tutti i governi dei Paesi membri.






1.2.5. Il Military Committee.13


La struttura militare dell'alleanza è guidata dal Military Committee. Esso è composto dai Capi di Stato Maggiore di tutti i Paesi membri; l'Islanda è rappresentata da un civile, la Francia dal Capo della Missione Militare francese. Le riunioni sono "almeno" semestrali e la presenza dei rappresentanti militari permanenti ne garantisce la competenza dei lavori.


Il Military Committee invia delle raccomandazioni al NAC e al Defence Planning Committee, in merito alla misura di difesa da attuare. E' investito altresì della funzione direttiva nei confronti dei comandi militari alleati:

- il comando alleato dell'Atlantico (SACLANT)

- il comando alleato in Europa (SACEUR)

Ciascuno di questi comandi militari ha il compito di elaborare i piani militari sulle loro rispettive zone di azione, di determinare la composizione e il numero delle forze necessarie per attuare i loro piani, e di assicurare lo stanziamento e la sicurezza delle forze, oltre al loro comando, sia in regime di pace sia di guerra. Pur essendo la più alta autorità militare dell'Alleanza, il Military Committee è però subordinato all'autorità politica del NAC e del Defence Planning Committee, e al Nuclear Planning Committee, in caso di coinvolgimento in ambito nucleare.


La presidenza del Military Committee è affidata a turno a tutti i Paesi membri, in ordine alfabetico. E il presidente, rappresentato presso gli altri comitati, ne è il suo interlocutore. Il lavoro del Military Committee è supportato dal NATO International Military Staff, che riunisce personale militare selezionato tra l'establishment militare di ciascuna nazione e integrato da personale civile.14



1.3. La NATO dopo il 1989: quale ruolo dopo la caduta del muro?


Il crollo dell'Unione Sovietica e il conseguente fallimento del comunismo prospettarono agli occhi degli alleati uno scenario euro-atlantico completamente rivoluzionato. In altre parole la scomparsa del grande nemico, portò ad interrogarsi sul ruolo che la NATO del futuro avrebbe dovuto assumere; e persino sulle necessità della sua esistenza.


Le risposte non tardarono, specie in seguito allo scoppio di nuovi conflitti regionali, proprio nelle regioni della dissolta Unione Sovietica e della Yugoslavia. Nel 1991 fu adottato a Roma un concetto strategico per l'Alleanza Atlantica, che delineava una NATO più reattiva e interventista nei confronti dei nascenti conflitti etnici. Nella stessa sede, si decise di tendere una mano a i Paesi ex nemici dell'ex Patto di Varsavia. In tal senso furono creati il North Atlantic Cooperation Council (NACC) e la Partnership for Peace (PfP) nel 1994. Inoltre con l'operazione Bridge 1994 furono avviate le prime esercitazioni militari congiunte. "La NATO, dotatasi di nuove responsabilità e di nuovi partenariati, diveniva la principale forza stabilizzatrice nel continente".15


Un primo impegnativo banco di prova per la sua strategia, la NATO l'ha trovato in occasione del conflitto nella ex Yugoslavia, nel 1995. La sua prima mossa fu quella di creare una Forza di attuazione per la pace (IFOR), e l'anno seguente una Forza di stabilizzazione (SFOR), incrementando la cooperazione con quei Paesi che della NATO non erano membri.


Alla luce di questi eventi si procedette sia a riesaminare la struttura militare dell'Alleanza, sia a stringere più stretti rapporti con i Paesi non membri dell'Alleanza, con quelli dell'area orientale e con le altre organizzazioni internazionali. In tal senso, si scelse di operare per un rafforzamento del ruolo europeo nel campo della difesa e per la creazione di Gruppi operativi interforze multinazionali (CJTF). Procedendo sulla strada dell'allargamento, invece, vennero istituiti programmi di cooperazione diretta, anche con Paesi tradizionalmente ostili all'Alleanza, e persino ex nemici quali Russia e Ucraina; nuovi fori di partenariato sono stati creati a tale scopo:


Nel 1990, al vertice NATO di Roma, fu creato il North Atlantic Cooperation Council (NACC), prima struttura composta da Paesi membri e non dell'Alleanza. Il 30 maggio 1997 a Sintre, in Portogallo, proprio in occasione della riunione ministeriale del NACC, venne creato l'Euro - Atlantic Partnership Council (EAPC), naturale evoluzione dello stesso NACC, e che di fatto rimpiazzò. Nello EAPC le consultazioni politiche sulla sicurezza vengono coordinate secondo uno schema più logico, e parimenti la cooperazione, intensificata con la PfP.


Nella primavera del 1994, al vertice NATO di Bruxelles, fu creata la Partnership for Peace (PfP). E' questo un programma pratico che opera all'interno dell'EAPC (ex NACC), e che va oltre il dialogo e la cooperazione. I suoi poteri furono poi gradualmente estesi nel 1997, al vertice dei Ministri degli Esteri dei Paesi della NATO, e successivamente nel 1999, in occasione del vertice straordinario di Washington. La Partnership for Peace è uno strumento chiave per espandere ed intensificare la cooperazione politica e militare in Europa e, in accordo con i principi democratici che sostengono l'Alleanza, per incrementare gli sforzi collettivi per la sicurezza e la pace.


All'interno della PfP la cooperazione è attuata per:

facilitare la trasparenza nei piani di difesa nazionale e nei processi di bilancio;

assicurare il controllo democratico delle forze di difesa;

contribuire con capacità e prontezza alle operazioni della UN e/o sotto la responsabilità dell'OSCE, nel rispetto di tutti i principi costituzionali;

sviluppare la cooperazione militare con l'Alleanza per trovare un sistema di pianificazione, sperimentazione ed esercizio comune, per rafforzare l'abilità degli Stati partecipanti ad intraprendere missioni di peacekeeping ed a perseguire operazioni umanitarie in altre aree.


Nel giugno 1996, a Berlino, in occasione del vertice NATO i Ministri degli Esteri della NATO decisero di creare la European Security and Defence Identity (ESDI), struttura in grado di rendere più coerente ed effettivo il contributo degli europei alle missioni e alle attività dell'Alleanza.


Il 27 maggio 1997, a Parigi, NATO e Russia firmarono il Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian Federation. Tale accordo prevede un rapporto privilegiato di consultazione e di cooperazione che sarebbe stato inimmaginabile durante la Guerra Fredda, essendo quindi il risultato dello sforzo comune attuato da Alleanza Atlantica e Russia in vista di un più durevole rapporto di pace nell'area euro-atlantica. In aggiunta agli accordi presi in base ai principi sopra enunciati, fu altresì creato un forum speciale di consultazione, il NATO - Russia Permanent Joint Council.21


Il 30 maggio 1997, a Sintre, furono gettate le basi per una Charter on a Distinctive Partnership between the North Atlantic Treaty Organization and Ukraine. La Carta fu poi firmata a Madrid, nel luglio seguente, dal presidente ucraino e dai Capi di Stato e di Governo della NATO. In virtù di tale documento, si sta operando per rafforzare la stabilità e i valori democratici.


Si è infine cercato di istituire un canale preferenziale di dialogo con sei Paesi dell'area mediterranea: Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia. Il Gruppo di cooperazione nel Mediterraneo, che riunisce i membri del NAC e i sei Paesi menzionati, ha frequenti contatti e consultazioni in vista di una più stretta cooperazione in quell'area.


Tuttavia, fin dove i confini di questa nuova NATO dovrebbero estendersi non appare chiaro ancora oggi. Confini sia geografico - politici, in senso stretto, sia riguardanti la sfera di competenza, per ciò che concerne i conflitti "fuori area", passati e futuri.24 Una risposta a breve termine a questo tipo di quesito appare improbabile. E' chiaro, però, che l'Alleanza Atlantica è tuttora in evoluzione, e questa recente dichiarazione del Vicesegretario di Stato americano Strobe Talbott ci chiarisce a sufficienza le intenzioni dell'amministrazione statunitense: "Dobbiamo essere ambiziosi. La NATO venne fondata e progettata per fronteggiare l'Unione Sovietica e il Patto di Varsavia. Quello Stato e quell'Alleanza non ci sono più, e non c'è più la minaccia che essi rappresentano (...). Ma questo non vuol dire che l'originaria missione di sicurezza collettiva della NATO sia finita o che la sicurezza collettiva non sia più al centro della missione dell'Alleanza. La NATO deve mantenere la sua capacità, prevista dall'articolo 5 del Trattato di Washington, di scoraggiare e se necessario sconfiggere quel che potremmo chiamare aggressione classica. Una simile minaccia potrebbe darsi in futuro. Ma è meno probabile che ciò accada se la NATO rimane robusta ed efficiente. Tuttavia, ciò non basta a tenere la NATO al passo con i tempi. Con la fine della Guerra Fredda, nuove minacce sono sorte, meno spettacolari ma più diversificate. Controversie etniche, religiose, territoriali possono, come abbiamo visto, scatenare conflitti armati che possono generare instabilità politica internazionale, flussi di rifugiati e crisi umanitarie che mettono in pericolo la sicurezza dell'Europa. La NATO deve saper fronteggiare queste minacce, pur mantenendo la sua funzione centrale di difesa collettiva".



1.4. I futuri compiti della NATO.


"The NATO decision to attack a sovereign nation for the first time in its 50 - year history represents a dramatic transformation for an alliance conceived to protect Western Europe from a Soviet - red invasion". Così William Drozdiak26 esordisce sul Washington Post il giorno dell'inizio dei bombardamenti sulla Serbia.


L'evidente metamorfosi dell'Alleanza è diventata ultimamente materia di un intenso dibattito, alla luce sia di questo primo attacco della NATO, sia del nuovo Concetto Strategico approvato al vertice straordinario di Washington e sostitutivo di quello del 1991. "Insomma, mentre la sicurezza pre-1989 era una sicurezza verso un nemico, quella post-1989 diviene una sicurezza principalmente consistente nel controllo di focolai di instabilità, e implica una strategia multidirezionale."27


Gli Stati Uniti, in primis, hanno avanzato ipotesi per nuove missioni per la NATO, o addirittura di una nuova NATO. Si è ancora ben lontani, tuttavia dal definire chiaramente queste espressioni. Il problema nasce dal difficile accordo sulle funzioni e sui compiti che la NATO dovrebbe espletare, cui dovranno arrivare Europa e Stati Uniti. Come sostiene Helmut Shmidt,28 il sorgere di nuove potenze mondiali, quali la Cina, l'India, il Brasile, in aggiunta al già grande Giappone e alla stessa Russia, sembra fornire una valida giustificazione della continuata opera di vigilanza della NATO.

Anche l'Unione Europea sembra avere le carte in regola per diventare una superpotenza del futuro, a patto di una effettiva attuazione del consolidamento politico e istituzionale nonché dell'unione monetaria.


Riteniamo, comunque, con Smith, che il vero pericolo cui l'Alleanza Atlantica debba far fronte sia il proliferare delle armi di distruzione di massa. "Il mondo non può più essere definito considerando solo le cinque tradizionali potenze nucleari(...), ciascuna delle quali ha un esclusivo diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Ora vi sono altri paesi con armi nucleari - India, Pakistan e Israele - e nessuno può costringerli a rinunciare a tali armi". In effetti il principio della deterrenza era il fulcro attorno cui giravano tutte le politiche delle parti in gioco, e le armi nucleari hanno giocato un ruolo fondamentale. Con la prospettiva di un loro massiccio impiego, si intendeva scoraggiare ogni possibile atteggiamento aggressivo da parte sovietica. In realtà, la possibilità di un reale impiego di tali armi era remota, proprio in virtù del loro terribile potenziale distruttivo. Terminata la Guerra Fredda, nel 1991 la NATO decise di contrastare la proliferazione delle armi nucleari, invertendo così rotta. In quest'ottica sono stati scritti e firmati i Trattati sulla riduzione delle armi strategiche (START I e START II), tra Stati Uniti e Russia. Tuttavia, proprio di fronte al progressivo prolificare di queste armi in altre zone del Pianeta - e come altre zone siano potenzialmente a rischio - tutt'altro che assolto è, dunque, il compito della NATO in questo senso.


Oltre ad intensificare gli sforzi in direzione del disarmo e a combattere la proliferazione in altre parti del mondo, la NATO dovrà altresì far fronte ai contrasti etnici e religiosi, all'entusiasmo nazionalistico, al terrorismo. Problemi questi che vengono ulteriormente aggravati da circostanze quali la crescita demografica, il progresso tecnologico, la globalizzazione dei mercati finanziari e delle merci. Negli ultimi dieci anni hanno avuto luogo due dozzine di conflitti regionali, un po' dovunque nel mondo, dall'Irak alla Cecenia, alla Bosnia, allo Zaire, al Kosovo. Conflitti, questi, definiti fuori area, proprio perché non riguardanti direttamente i Paesi membri dell'Alleanza. Tuttavia, l'unica azione collettiva portata dall'Alleanza Atlantica in quanto tale è stata quella nel territorio dell'ex Yugoslavia.


Appare chiaro come queste nuove sfide esulino dalla competenza giuridica di un'alleanza ancora prettamente difensiva. Eppure la nuova NATO è tuttora vincolata dall'articolo 5 in quanto ad obblighi e modus operandi, e dall'articolo 6 per ciò che concerne i limiti territoriali; articoli di un trattato datato 1949. Tali ostacoli giuridici vengono aggirati facendo riferimento al "fine reale dell'Alleanza", e cioè il mantenimento della pace nella zona dell'Atlantico del Nord e dell'Europa. In tal senso, anche in assenza delle condizioni previste dagli articoli 5 e 6 del Trattato di Washington, un'azione della NATO potrebbe essere parimenti legittimata.


Pace e sicurezza internazionale restano pertanto i cardini attorno a cui ruota l'intero processo di trasformazione dell'Alleanza, nell'intendimento dei suoi Stati membri; e prescindendo da qualsiasi condizione giuridica o spaziale prevista dal suo stesso trattato istitutivo.


1.4.1. Il vertice di Washington e il nuovo concetto strategico.32


Bisogna menzionare, infine, il vertice straordinario di Washington, del 23-25 aprile 1999, che ha segnato una tappa storica nell'evoluzione dell'Alleanza. Per la prima volta in 50 anni tre nuovi Paesi vi hanno partecipato in veste di membri ufficiali della NATO: Repubblica Ceca, Repubblica di Ungheria e Polonia. Nuove adesioni che, unite a quelle di Grecia e Turchia (1952), Repubblica Federale di Germania (1955) e della Spagna (1982), fanno salire a 19 il numero dei membri effettivi della Alleanza Atlantica. Inoltre nella stessa sede, è stato adottato il nuovo Concetto Strategico (documento fondamentale dell'Alleanza Atlantica, che va a sostituire quello del 1991); ma a causa delle particolari circostanze nelle quali si è svolto il vertice di Washington - la NATO era impegnata in guerra contro la Serbia già da un mese -non si è potuto lavorare in condizioni ideali.


La distinzione tra membri a pieno titolo, Paesi membri della PfP, EAPC, o in qualche modo "associati" sta progressivamente venendo meno, e con essa i limiti geografici e giuridici imposti dagli articoli 5 e 6 del trattato di Washington. Ciò è stato palesato proprio alla luce dell'attacco contro il regime di Belgrado. Pertanto, adottando il nuovo Concetto Strategico, non è sembrato che la NATO avesse le idee del tutto chiare su funzioni, strategie e politiche da adottare. Come ci dice Silvestri,33 sono diverse le ipotesi espresse in materia di allargamento, ad esempio. C'è chi sostiene che la NATO debba spingersi sino a comprendere tutti, o quasi, i Paesi membri dell'OSCE, l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Un'Alleanza che arriverebbe persino a comprendere la Russia, secondo tale progetto. Non più un'Alleanza per la difesa collettiva, ma piuttosto una "struttura volta a regolare i rapporti tra gli alleati e a controllare le crisi interne": una prospettiva, questa, avversata da una gran parte dei membri attuali.


C'è in effetti chi - ed è la maggioranza - preferisce un'Alleanza con confini molto ristretti rispetto a quelli dell'OSCE, tali da confermare gli attuali rapporti tra Europa e America, nonchè i compiti militari assegnati. Questi Paesi non negano, tuttavia, la necessità di alcuni accorgimenti interni alla struttura organizzativa. La linea adottata a Washington non è stata quest'ultima, però. In effetti, essendo ormai venuta meno la minaccia sovietica e comunista, non aveva più molto senso trincerarsi dietro i confini tracciati negli anni della Guerra Fredda.


Per quanto concerne la pianificazione politica, invece, il percorso è stato più difficile. In particolare, la visione organica delle soluzioni perseguite a Washington - allargamento "aperto" verso est, proseguimento sulla via del dialogo con Russia e Ucraina, rafforzamento della PfP, possibilità di gestione delle crisi al di fuori di limiti posti dall'art. 6 e rafforzamento del pilastro europeo dell'Alleanza -, così come enunciate da Strobe Talbott, strideva con la tensione causata dalla guerra contro la Serbia e le diverse posizioni assunte all'interno dell'Alleanza.35 Talbott ha considerato come già raggiunti due obiettivi, quando in realtà sono in costante movimento. Si tratta del processo di allargamento aperto della membership, di tipo prettamente geografico, e di quello funzionale che si riferisce alle missioni non articolo 5, e cioè di peace-keeping e di peace-supporting. I raid aerei contro Belgrado, infatti, hanno definitivamente modificato scopi e interessi della NATO, confondendo e moltiplicando le diverse posizioni prese al riguardo. "Ciò rende ancor più ardua la costruzione di un solido consenso interalleato (sulle missioni e sui loro limiti)...".


Silvestri37 ha, altresì, parlato di allargamento selettivo, seguendo i diversi intendimenti dei membri dell'Alleanza. Gli Stati Uniti, ad esempio, sarebbero i più orientati a dare la precedenza alle Repubbliche baltiche piuttosto che agli Stati dell'area balcanica. Tesi, questa, confermata dal veto posto dagli Stati Uniti ad aprire a Romania e Slovenia, durante il vertice di Madrid del 1997. A Washington, poi, dietro insistenza degli europei, tale veto fu rimosso, includendo nella lista dei Paesi cui dare la priorità anche Bulgaria, Macedonia e Albania. Nonostante questo atto ufficiale, però, non muta la reale scala di preferenza americana, orientata più verso Estonia, Lettonia e Lituania. Ciò produrrebbe però una nuova frattura con Mosca, a detrimento, soprattutto, degli interessi degli europei.


Pericoli e insidie che possono essere evitati perseguendo una più decisa "europeizzazione" dell'Alleanza.38 Solo in tal modo la leadership potrebbe venire riequilibrata all'interno dell'Alleanza, ripartendo meglio oneri e responsabilità decisionali. Purtroppo, la guerra in Kosovo, appena conclusasi, non ha fatto altro che mostrare "le differenti prospettive, le incertezze dei governi, le oscillazioni delle opinioni pubbliche, e infine i gravi limiti operativi delle forze armate europee". Questo perchè si è caricato di enormi responsabilità un progetto ancora nascente, mentre appare chiaro che se si vorrà realmente realizzare un pilastro europeo della NATO, lo si dovrà fare gradualmente. Non c'è dubbio tuttavia che tra le funzioni della nuova NATO disegnata a Washington rientrino ormai sia quelle riguardanti le operazioni umanitarie - intendendo con ciò la protezione diretta di innocenti, l'offerta di aiuti alimentari e medici alle vittime dei conflitti -sia di enforcement militare- allo scopo di prevenire, controllare ed eventualmente sedare ogni tipo di conflitto regionale per motivi di natura etnica, a sostegno delle minoranze perseguitate.



Kaplan, Lawrence S., I primi cinquant'anni della Nato, "Rivista della NATO", supplemento al n° 1, Primavera 1999, 5-19.

Kaplan, op. cit., 11.

Kaplan, ibidem.

Kaplan, op. cit., 13.

Kaplan, ibidem.

Cfr. Sapienza, Rosario, Un anniversario difficile, "Storia e dossier", n° 139, giugno 1999, 12-23.

NATO Handbook, cap. 2.1, Bruxelles, ed. 1998.

Cfr. par. 1.2.2, 1.2.3.

I 19 membri del NAC : Belgio - Canada - Repubblica Ceca - Danimarca - Francia - Germania - Grecia - Ungheria - Islanda - Italia - Lussemburgo - Olanda - Norvegia - Polonia - Portogallo - Spagna - Turchia - Regno Unito - Stati Uniti.

NATO Handbook, cap. 2.2, Bruxelles, ed. 1998.

NATO Handbook, cap. 2.3, Bruxelles, ed. 1998.

NATO Handbook, cap. 2.1, Bruxelles, ed. 1998.

NATO Handbook, cap. 2.4, Bruxelles, ed. 1998.

Cfr. Dumoulin, André, Approche du processus décisionnel à l'OTAN ou les vertus de l'allégeance, "Socialisme", n° 206, marzo-aprile 1988, 119-140.


Kaplan, op. cit., 17.

NATO Handbook, cap. 1, Bruxelles, ed. 1998.

I 44 Stati membri dell'EAPC : questa struttura, in sostanza, comprende i 19 Paesi del NAC (Belgio - Francia - Germania - Grecia Italia - Lussemburgo - Paesi Bassi - Portogallo - Spagna - Regno Unito - Danimarca - Canada - Stati Uniti - Islanda - Norvegia - Turchia - Polonia - Ungheria - Rep. Ceca); alcuni Paesi dell' area ex socialista, facenti ora parte del Consiglio d'Europa (Albania - Bulgaria - Estonia - Macedonia - Lettonia - Lituania - Moldavia - Romania - Russia - Slovacchia - Slovenia - Svizzera - Ucraina); alcuni Paesi non facenti parte del Consiglio d'Europa (Armenia - Azerbaigian - Bielorussia - Georgia - Kazakistan - Kirghizistan - Tagikistan - Turkmenistan - Uzbekistan); più altri tre Paesi dell'UEO (Austria - Finlandia - Svezia).

NATO Handbook, ibidem.

I 24 Stati della PfP : Albania - Armenia - Austria - Azerbaigian - Bielorussia - Bulgaria - Estonia - Finlandia - Georgia - Kazakistan - Repubblica Kirghisa - Lettonia - Lituania - Repubblica ex-Yugoslava di Macedonia - Moldavia - Romania - Russia - Slovacchia - Slovenia - Svezia - Svizzera - Turkmenistan - Ucraina - Uzbekistan°

NATO Handbook, ibidem.

NATO Handbook, ibidem.

NATO Handbook, ibidem.

NATO Handbook, ibidem.

Cfr. Schimdt, Helmut, L'alleanza transatlantica nel XXI secolo, "Rivista della NATO", supplemento al n° 1, Primavera 1999, 20-24.

Sapienza, op. cit.,19-20.

Drozdiak, William, After 50 years, NATO takes the offensive, "The Washington Post", 24 marzo 1999, 23.

Clementi, Marco, Per una tipologia delle istituzioni internazionali, relazione presentata al Convegno della Società Italiana di Scienza Politica, Trieste, 23/24 settembre 1999, 16.

Schimdt, op. cit., 21.

Schimdt, ibidem.

NATO Handbook, cap. 7, Bruxelles, ed. 1998.

Cfr. Schimdt, ibidem.

Cfr. Solana, Javier, Il vertice di Washington: la NATO entra con decisione nel XXI secolo, "Rivista della NATO", n° 1, Primavera 1999, 3-6.

Cfr. Silvestri, Stefano, NATO, la sfida delle incertezze, in Berselli, Edmondo et al., "La pace e la guerra: i Balcani in cerca di un futuro", Il Sole 24 ore, Milano, 1999, 97-116.

Silvestri, op. cit. ,99.

Cfr. Menotti, Roberto, Che cosa resta della NATO, "Limes - Rivista Italiana di Geopolitica", supplemento al n° 1, Primavera 1999, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma, 123-134.

Menotti, op. cit., 124.

Silvestri, op. cit., 102.

Menotti, op. cit., 125.

Menotti, ibidem.

Clementi, ibidem.




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