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ORDINANZE

giurisprudenza



ORDINANZE


Non erano previste nel Codice del '40 e sono state introdotte con la tecnica della ... ed è per questo che questi articoli hanno una progressione formata dagli artt.186 bis, ter, quater.

I primi due provv. (il bis e ter) sono stati introdotti dalla legge del '90, mentre il quater è stato inserito nel nostro ordinamento prima dal decreto legge e poi dalla relativa legge di conversione. Solitamente per riferirsi a questi provv. si parla di ordinanze deci­sorie o anticipatorie. E' una terminologia entrata nell'uso comune, perchè fin dall'inizio sono state chiamate così queste ordinanze; ma è una terminologia in realtà molto imprecisa, anzitutto va messo in rilievo che queste ordinanze hanno tra loro poche cose in comune, a parte il dato obiettivo di tendere alla formazione anticipata del titolo esecutivo. La struttura dei tre provvedimento è profon­damente diversa, anche se vengono tutti accomunati sotto un cappello unitario. Parlando di a 959i89j nticipazione o parlando di deciso­rietà dobbiamo stare attenti a non confonderle perchè sono tre specie di provv. molto diverse fra loro. E poi per quanto riguarda arrestandoci sempre alle definizioni, alla luce di quello che sap­piamo e di quello che vi ho detto sul potere di ordinanza del giudi­ce istruttore sulla dicotomia tra istruttore e collegio, sulla funzione che avrebbe dovuto avere il giudice istruttore nel modello di codi­ce del '40, parlare di ordinanza decisoria è di per sé contraddizione in termini, perché le ordinanze tutto avrebbero dovuto fare tranne che essere decisorie. Principio fondamentale in materia è quello espresso dall'art.177 1° comma per cui "le ordinanze comunque motivate non possono mai pregiudicare la decisione della causa", nel senso che le ordinanze non possono essere decisorie, non possono impugnare nel merito delle questioni. Ma l'ordinanza avrebbe dovuto servire al giudice istruttore soltanto per mandare avanti il processo, per risolvere singole questioni strettamente attinenti al processo.



Ordinanze anticipatorie: anche su questo termine c'è da ragionare, perché in effetti si possono definire anticipatorie, perchè 1) anticipano la formazione del titolo esecutivo, però non sono anticipatorie nella loro struttura. Quindi possiamo parlare di una funzio­ne anticipatoria ma non di una struttura anticipatoria, perché queste ordinanze, in particolare le prime due, 2) rappresentano una forma di sommarizzazione del giudizio di fatto interno al giudizio di cognizione ordinaria.

Ed anche per questo noi possiamo apprez­zare lo strappo rispetto al sistema originario del '40, che preve­deva il processo di cognizione ordinaria, che veniva condotto nel modo che sappiamo e si concludeva per la decisione del merito sempre con sentenza e poi prevedeva una serie di procedimenti speciali a cognizione sommaria in cui si riconosceva una tutela particolare a diritti particolari o a diritti assistiti da prove particola­ri. E' il caso del procedimento in cui la prova scritta che è sempre stata considerata la prova regina, giustificava un certo tipo di tute­la speciale particolare di certi diritti, non di tutti.

Il legislatore del '90 ha previsto la possibilità che provvedimenti di natura sommaria potessero essere inseriti come fasi incidentali, ma fasi ordinarie del processo di cognizione. Mentre per l'ordinanza del 186 bis, cioé l'ordinanza per il pagamento di somme non contestate, vi era un precedente costituito dal 423 nel rito del lavoro - ma parliamo di un rito speciale confezionato dal legislatore del '73 per assicurare la tutela speciale del presta­tore di lavoro cioé di quella che é considerata la parte debole del rapporto di lavoro - il 186 ter e il 186 quater costituiscono una novità assoluta. Quindi già sulla base di questa premessa dobbiamo guardare a queste ordinanze come strumenti di tipo eccezionale, perché queste ordinanze sono considerate nel loro insieme come misure anticipatorie o come misure decisorie sommarie (vedremo che l'ordinanza del quater non è nemmeno tanto sommaria).

E' un processo in cui prima di arrivare alla sentenza di primo grado passano normalmente degli anni e il legislatore del '90 ha tentato di reagire in vario modo al problema della eccesiva durata del processo civile. Problema che diventa di contenuto fortemente politico sul riflesso dell'applicazione dell'art.6 par.1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo che il nostro Stato viene sistematicamente condannato a Strasburgo per la durata del processo. E' un bene in sé anche chi ha torto ha diritto di farselo dare in un termine ragionevole, e per questo che il volano di contenzioso a Strasburgo è un volano in costante espansione. Il legislatore ha tentato in vario modo di reagire al problema della durata, e per quanto riguarda il nostro tema, l'in­tervento più evidente ò stato quello sull'art.282.

Ora tutte le sentenze di primo grado sono provvisoriamente ese­cutive. E' una regola che é del tutto isolata in Europa; solo in Italia la sentenza di primo grado e' provvisoriamente esecutiva ex lege, in ogni altro Paese di Civil Law, la sentenza é sospesa nella sua efficacia esecutiva dalla proposizione dell'appello. Questa regola ci viene dalla sapienza del diritto romano: appellatione pendente mini rinnovatur; ci siamo distaccati da questa tradizione romanisti­ca e dagli ordinamenti europei in ragione dell'eccessiva durata del nostro processo. Per cui la principale preoccupazione del rifor­matore del '90 é stata quella di creare le condizioni per una rapida formazione del titolo esecutivo, quindi da un lato la sentenza di primo grado è titolo esecutivo ex lege perché è provvisoriamente esecutiva, caso mai si dovrà chiedere l'inibitoria cioè la sospen­sione dell'esecuzione o dell'efficacia esecutiva al giudice dell'ap­pello che valuta l'esistenza di gravi motivi e per di più oltre a que­sta misura piuttosto forte che ci distacca dalla nostra tradizione e dal ceppo dei Paesi europei di Civil Law, il legislatore ha introdot­to con maniera abbastanza larga questi provv. anticipatori o deci­sori, fermo restando che onde le definizioni nel nostro campo possono essere discusse.

Entriamo nel merito di provvedimenti. Il 186 bis consente al giudice istruttore ovviamente non d'ufficio ma sempre su istanza di parte. (Ricordatevi la regola aurea del processo civile art. 99 cp.), fino al momento della precisazione delle conclusioni, non oltre, di adottare questo provv., cioé può disporre il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite. Abbiamo detto che in rapporto al 423 del processo del lavoro il 186 bis ci da questa grossa preci­sazione: che la non contestazione deve provenire da una parte che si è costituita e che si è costituita in base a quanto si desu­me dall'art.167. Prendendo posizione sulle singole questioni dedotte dall'attore, si è difesa con una linea attiva, non meramen­te passiva. Quindi la contumacia di per sé non giustifica l'emis­sione di questo provvedimento (dinanzi ad una parte contumace, non si può adottare il provvedimento del 186 bis). Vi ho anche detto che questa regola che a noi sembra una regola di civiltà, perché non si può interpretare l'assenza della parte del processo come una forma di emissione dei fatti dedotti dall'attore. E' in realtà una regola storicamente relativa perché è propria in questo momento del nostro processo. Altri processi come quello tedesco attribuisco­no tuttora alla contumacia una rilevanza diretta ai fini che stiamo trattando, perché nei confronti della parte contumace in quel sistema si può emettere il provv. di merito senza fare un'istrutto­ria dando per ammessi tutti i fatti principali dedotti dall'attore. Nel nostro sistema questa cosa non è possibile, occorre che la parte sia costituita e che abbia sviluppato una sua coerente linea di difesa. Quindi, mettendo a fuoco i singoli elementi di que­sto provvedimento occorre:

l'istanza di parte

lo si può chiedere fino al momento e non oltre la precisazione delle conclusioni

lo si può chiedere solo per il pagamento di somme e non per altro tipo di condanne

occorre l'elemento della non contestazione, sul quale ci dobbiamo soffermare: Che significa non contestazione? Non contestazione significa anzitutto che nell'ambito di una linea di difesa attiva come quella che svolge il convenuto costituito, detto convenuto non pone in discussione direttamente o indirettamente i fatti dedotti dall'attore a fonda­mento del suo diritto. Quindi si ha contestazione non solo in caso di ammissione della verità dei fatti dedotti dall'attore, ma anche nel caso in cui la parte si limiti a non contestare; cioé a non pren­dere una precisa, posizione in ordine a quei fatti. Noi abbiamo par­lato di fatti, lo sappiamo perché ce lo dicono la norma in tema di atti introduttivi del giudizio. In particolare ci ricordiamo il 163 nella combinazione che esso fa degli elementi di cui al n. 3 e 4 che un fatto nel processo rileva non solo come fatto storico ma in quanto fatto che forma la premessa maggiore nel ragionamen­to sillogistico di una premessa minore. E la visione unitaria di questi elementi si identifica nella causa petendi. Quin­di sorge il problema: la non contestazione e deve riguardare i fatti o l'esistenza del diritto? Cioè solo il fatto storico dedotto dall'attore o anche la sua sussunzione in una fattispecie che costituendo la causa petendi del diritto diventa poi quella produt­tiva in senso giuridico di quel diritto? In altri termini il convenuto, per rendere contestata la domanda, deve solo negare i fatti o deve anche negare la riconducibiltà di quei fatti ad una fattispecie giuridica invocata dall'attore? Su questo punto la dottrina è divisa: c'è chi dice che occorre contestare solo i fatti e chi sostiene che occorre contestare il diritto, come combinazione del fatto storico e della causa petendi, cioé della sua veste giuridica. Il prof.Verde risolve la questione nel modo più logico: quando il legislatore parla di non contestazione intende far riferimento ai fatti, perché tutto sommato la qualificazione dei fatti é libera, tutto sommato in base al principio iura novit curia può diversamente qualificare i fatti affermati dall'attore e l'unico serio vincolo che ha il giudice nella individuazione della domanda è proprio relativo alla indivi­duazione dei fatti. Ricordiamoci sempre che il 183 parlandoci del libero interrogatorio ci dice espressamente che il giudice richiede gli schiarimenti alle parti, ma sulla base dei fatti allegati vincolo grosso quello che il giudice ha sui fatti principali, quindi la non contestazione la dobbiamo riferire ai fatti. Esempio: se il convenuto, ammettendo i fatti, dovesse anche conte­stare di dovere alcunché, come spesso si fa con formula un po' stereotipa, non per questo non é ravvisabile il presupposto del provv., perché la non contestazione riguarda l'esistenza dei fatti principali; che poi dagli stessi fatti il convenuto, diversamente qua­lificandoli, deduce che la domanda é infondata, questo è un pro­blema di qualificazione della domanda rispetto al quale il giudice è libero e quindi è libero anche di disattendere non solo la pro­spettazione dell'attore, ma anche quella del convenuto. Quindi la non contestazione riguarda i fatti e non la questione relativa alla spettanza del diritto. Il giudice deve aver riferimento ai cd. fatti principali perché la valutazione giuridica di questi fatti è libera. L'attore darà una valutazione, probabilmente il convenuto ne darà un'altra; il giudice a sua volta ne può dare una terza, perché que­sto ordinamento glielo permette, con l'unica precisazione che in questo caso per correttezza dovrebbe rimettere la questione al contraddittorio delle parti, perché è giusto che le parti possano contraddire rispetto alla qualificazione nuova trovata, così inventa dal giudice. Un altro problema da porsi per la non contestazione è relativo alla estensione di questo istituto; ora qui dobbiamo tornare ad alcuni concetti che abbiamo già chiarito parlando soprattutto dell'ecce­zione in rapporto alla mera difesa. Sappiamo che la MERA DIFESA, si ha quando si contesta la domanda e quindi si contesta nella sostanza l'esistenza dei fatti principali della domanda così come dedotti dall'attore, a fondamento del suo diritto. Mentre con l'ECCE­ZIONE IN SENSO PROPRIO pur senza contestare l'esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento del suo diritto si fanno valere fattispecie impeditive, modificative o estintive, così allargando l'oggetto del giudizio. Questa é una distinzione che ormai abbiamo assorbi­to e quindi non ci dobbiamo indugiare sopra, però è una distinzio­ne che ci torna dinanzi quando dobbiamo definire la non conte­stazione in particolare. Essa deve essere riferita ai fatti dedotti dall'attore, senza valutare che tipo di difesa ha svolto il convenu­to. Cioé se il convenuto ha svolto mera difesa o ha anche propo­sto eccezioni in senso proprio oppure occorrerà valutare nel com­plesso la posizione difensiva del convenuto, per valutare se si ha o no una non contestazione per quanto riguarda l'effetto e non per quanto riguarda la struttura della contestazione. Esempio: dinanzi ad una domanda dell'attore tesa ad ottenere il paga­mento di una certa somma di denaro, il convenuto può contestare la domanda dicendo che il diritto non esiste, non si é mai realiz­zato. In questo caso propone una mera difesa e l'at­tore avrà l'onere di dimostrare i fatti che lui pone a fondamento della domanda e che sono contestati, altrimenti questo onere non lo avrebbe perché i fatti ammessi non devono essere provati. Il convenuto potrebbe anche dire che il diritto dell'attore é sorto ma che lui ha pagato una parte del credito (quindi si é modificato) oppure ha pagato l'intero credito (quindi si é estinto). Faccio vale­re un diverso fatto che é modificativo ovvero estintivo; in entrambi i casi si contesta la domanda, ma sono due contestazioni di segno diverso, perché nel primo caso io contesto l'esistenza del fatto storico dedotto dall'attore, nel secondo non c'é contestazio­ne del fatto storico dedotto dall'attore ma deduzione di un nuovo fatto diverso da quello dedotto dall'attore, che funge da elemento modificativo/estintivo. Ora a quale non contestazione fa riferi­mento il 186 bis 1° comma? Solo alla prima o anche alla secon­da? Diciamo, ci sarebbero nel codice elementi per associarsi alla seconda soluzione (abbiamo visto, parlando della causa modificativa della competenza per ragioni di connessione, come funziona l'eccezione di compensazione, che quando si pone in contestazione un credito contestato si ha la dedu­zione da parte del convenuto di una vicenda che senza necessa­riamente condurre ad una contestazione del fatto principale dedotto dall'attore introduce nel processo un diverso fatto che modifica o estingue quel diritto. Cosa fa il giudice? Se la domanda è fondata sul titolo non controverso o facilmente accertabile può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice com­petente per la decisione dell'eccezione; altrimenti provvede a norma dell'art.34, cioè con la soluzione degli accertamenti inci­dentali. Questo é un caso, quello del 35, che viene considerato di condanna con riserva, perché visto che il titolo giuridico della compensazione è contestato e non è semplice nel suo accerta mento, si da sfogo alla domanda dell'attore, anche se é uno sfogo che può essere assoggettato alla prestazione di una cauzione per poi vedere in un secondo momento la questione relativa alla eccezione del convenuto. Il problema é capire se é generalizzabi­le un principio di questo tipo della condanna con riserva, perché il codice ne parla a proposito dell'eccezione di compensazione e poi ne riparlerà solo nei procedimenti speciali e in particolare nel procedimento di convalida di sfratto). Messo il problema in questi termini, la risposta della dottrina prevalente, é che se il legislatore avesse voluto introdurre una nuova fattispecie di condanna con riserve ed eccezioni avrebbe dovuto dirlo chiaramente; quindi la lettura che si da della non contestazione di cui al 1° comma del 186 bis è che essa deve riguardare proprio i fatti principali dedotti dall'attore; quindi questo tipo di provv. é ammissibile solo quando non vi é contestazione nel senso di ammissione e nel senso di non contestazione letterale, cioé non presa di posizione specifica e dettagliata rispetto a quei fatti dedotti dall'attore a fondamento della sua domanda. Solo in questi casi é ammissibile il ricorso a questo provv.; in ogni altro caso e il caso é quello della eccezione in senso proprio, cioé quando si introduce nel processo un fatto nuovo, un nuovo fatto principale, perché é impeditivo, modificativo o estintivo, in questi casi non dovrebbe essere ammesso il ricorso a questa particolare forma di tutela che quindi finisce coll'interes­sare un campo che é abbastanza ristretto di quella che é la possi­bile teorica applicazione di un provv. anticipatorio fondato sulla non contestazione.

Nei limiti che abbiamo dettosi può affermare che tale provvedimento è un provvedimento decisorio che decide sulla domanda o anche su una parte della domanda perché se la non contestazione riguarda solo parte della domanda proposta dall'attore vi può essere istan­za e quindi provv. del giudice solo con riferimento a quella parte della domanda rispetto a cui non vi é contestazione; il che peral­tro pone un problema dell'eventuale sorte di quella parte di domanda non contestata rispetto alla quale il processo dovrà necessariamente continuare nelle forme della cognizione ordina­ria, perché solo una parte della domanda, la parte non contesta­ta, é stato possibile definire in modo anticipato con questa forma di provvedimento esecutivo, il quale però é pur sempre un'ordinanza ed essendo un'ordinanza é soggetto a regime proprio delle ordinanze; ce lo dice il comma 3 del 183 bis, secondo cui l'ordinanza é soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili e richiama gli artt.177 commi 1 e 2 e 178 comma 1; questo che cosa vuol dire? Che questa ordinanza pur essendo un provv. strut­turalmente decisorio è un provv. che non vale a stralciare una parte di processo da quella che é la domanda originale. Il processo ovviamente prosegue perché il giudice decida con sentenza su tutta la domanda, quindi con il provv. anticipatorio o provvisorio esecutivo non si decide in modo alter­nativo e definitivo nel grado la domanda o parte di essa, ma si da solo alla parte la possibilità di ottenere un titolo esecutivo rispetto alla domanda che comunque deve essere decisa con sentenza. Quindi da un lato il giudice ha emesso un documento e lo potrà modificare e revocare nel corso del giudizio, poi in ogni caso il giudice della decisione dovrà decidere sul punto evidente­mente confermando o revocando il provvedimento che è dichiaratamente provvedimento assunto dal giudice istruttore (e c'é da sottolineare che il giudice istruttore é competente ad assumere questo provv. a prescindere dalla sua competenza per merito, nel senso che l'ordinanza di cui stiamo parlando viene sempre emessa dall'istruttore anche se la causa è di quelle riservate all'organo collegiale quindi anche per questa ragione vale il fondamentale principio del 178 comma 1 per cui le parti rimettono al giudice che decide tutte le questioni che il giudice istruttore ha deciso con ordinanza revocabile). E' ovvio che questa regola é una regola che si spiegava nel codice del '40 in ragione di quello che poteva essere l'oggetto delle ordi­nanze che non erano mai decisorie però una regola che il legislatore del '90 ha voluto applicabile anche alle ordinanze decisorie e in particolare a queste ordinanze per il pagamento delle somme. Quindi vedete come questo provv. é strano: da un lato è decisorio, dall'altro é poi sempre modificabile e revocabile e in ogni caso la materia che anticipa e che decide é poi conoscibile dal giudice che dovrà definire il merito che sarà di norma lo stes­so giudice istruttore in funzione di giudice singolo ma in qualche caso sarà il collegio; altra stranezza di questo provv. risiede non tanto nel fatto che l'ordinanza costituisce titolo esecutivo [questo tipo di ordinanza non si sarebbe spiegato in alcun modo, e anche perché essendo la sentenza di primo grado esecutiva un provvedimento anticipatorio poteva essere definito tale in quanto avesse efficacia esecutiva perché ovviamente l'attore non ci avrebbe fatto nulla con un provv. dichiarativo in attesa di una sentenza che poi sarebbe stata esecutiva, specie perché la sentenza potrebbe rivedere il contenuto decisorio di quel provv., quindi la logica di questo provv. è che sia immediatamente esecutivo] ma che questa ordinanza, 186 comma 2, conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo. Questa è una regola molto particolare che nessun interprete avrebbe potuto desumere dai principi generali se non ci fosse stata una previsio­ne espressa del legislatore, perché l'art. 310 come regola genera­le ci dice ciò che preesiste all'estinzione del processo di cognizio­ne e tra i provv. che resistono all'estinzione, ci sono le sentenze di merito ma certo non le ordinanze e questo perché, per la stessa ragione perché quando é stato scritto nel '40 il 310, non esisteva­no ordinanze anticipatorie, ordinanze decisorie, quindi era ovvio che l'unico provv. destinato a resistere agli effetti dell'estinzione era la sentenza (provv. decisorio per antonomasia). Adesso, visto che il legislatore del '90 poi non ha fatto necessari raccordi, occorre leggere il 310 come se faces­se riferimento al comma 2 del 186 bis, perché la legge ci dice chiaramente che questa ordinanza conserva la sua efficacia in caso di estinzione. Il 186 bis 2° comma, come del resto l'art. 110 2° comma parla di efficacia come forza che rimane all'ordinanza nonostante l'estin­zione del processo, però c'é una differenza notevole perché noi sappiamo qual é l'efficacia della sentenza e del regime che noi ricaviamo, soprattutto dal sistema dei rimedi verso le sentenze, perché noi sappiamo che le sentenze passano in giudicato formale, se le sentenze del 324 non é possibile proporre metodi ordi­nari di impugnazione, le sentenze passano anche in giudicato sostanziale, cioé spiegano gli effetti perduti; questa è l'efficacia della sentenza. La sentenza é legittimata a creare quel particola­re fenomeno della nostra esperienza giuridica che é il giudicato. Il giudicato formale - processuale - nel senso che la sentenza non é più attaccabile con mezzi di impugnazione ordinaria; il giudicato sostanziale nel senso che la sentenza fa stato, cioé esprime la nuova regola del rapporto tra le parti e gli aventi causa. Questo noi lo sappiamo per la sentenza anche se non ce lo dice il 310; ma quale regime ha l'ordinanza decisoria visto che avverso essa non é esperibile l'appello neppure in caso di estinzione del processo di primo grado? Il 186 bis si limita a dirci che questa ordinanza conserva la sua efficacia (non ci dice che passa in giudicato) e quindi si dovrebbe dire che verso quell'ordinanza dovrebbe essere esperibile l'appello.

Quindi sorge il problema di capire se per efficacia noi dobbiamo intendere l'efficacia meramente esecutiva (per cui l'ordinanza con­serva la sua efficacia nel senso di continuare ad essere un provv. con forza esecutiva. però un provv. con forza esecutiva astratta, cioé con una forza esecutiva che non dipende dall'accertamento del rapporto sostanziale) ovvero se al contrario l'ordinanza con­serva la sua efficacia perché su questa ordinanza si é formato se non il giudicato, una sorta di preclusione per cui quanto accertato esplicitamente o implicitamente in questa ordinanza non é più rivedibile in un giudizio successivo.

Su questo problema la dottri­na é divisa perché chi é ideologicamente (portato) a vedere come un bene la sommarizzazione del processo - quindi la formazione di titoli esecutivi che prescindono da un accertamento ma che comunque danno una garanzia di stabilità al rapporto controverso - é portato a dire che l'ordinanza conserva la sua efficacia e quindi non è più contestabile se non per fatti successivi alla sua formazione. Altri ritengono che il giudicato sostanziale sia un valore che l'ordinamento può associare solo ad un accertamento non sommario ma a cognizione piena ed esauriente del diritto controverso ed è portato a riconoscere a questa ordinanza una stabilità che riguarda la loro efficacia esecutiva, ma non anche l'accertamento del diritto sostanziale. Secondo il prof.Capponi un provvedimento di questo tipo, conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo nel solo caso dell'esecuzione. Tale ordinanza è un provvedimento esecutivo che ha una funzione esecutiva ma che non presuppone l'accertamento con efficacia di giudicato del rapporto controverso. Se il convenuto che non ha contestato il vizio, e quindi ha subito un provvedimento esecutivo, successivamente intende contestare e chiede ad un giudice l'accertamento con efficacia di giudicato a cognizione piena ed esauriente del rapporto controverso, l'esistenza del provvedimento esecutivo non forma una preclusione per questo successivo accertamento. Quindi in una fase successiva o nelle forme dell'opposizione all'esecuzione o nelle forme dell'esercizio di un'autonoma azione di ripetizione chi ha subito questo tipo di provvedimento ne può contestare il fondamento proprio perché sul fondo non vi è stato un accertamento, nessun giudice infatti si è pronunciato ma vi è un giudice che ha emesso, su istanza di parte un provvedimento sommario perché l'altra parte non ha contestato i fatti. Il giudice non ha accertato la veridicità di quei fatti. Il nostro sistema riconosce la stabilità del giudicato solo alla sentenza, cioè ad un provvedimento che viene emesso dopo un'ordinaria istruttoria nel merito, cioè dopo una cognizione piena ed esauriente che manca nel caso della nostra ordinanza.

Per concludere a questa ordinanza va riconosciuta tutta l'efficacia esecutiva riconoscibile in astratto, ma fermo restando che la sua base è sempre la non contestazione, non l'accertamento da parte del giudice della verità e dell'esistenza dei fatti.


ISTRUZIONE PROBATORIA


Non è attività libera. La dottrina ha paragonato l'attività del giurista a quella dello storico evidenziandone le differenze: entrambi devono ricostruire una vicenda storica, ma mentre lo storico valuta ogni mezzo a sua disposizione e riesce a stabilire una relazione, è un modo di procedere che non ha il giurista. Bisogna risalire alla differenza aristotelica tra COGNIZIONE e PERSUASIONE. La cognizione era quella a cui si perveniva per argomenti oggettivi. La persuasione era molto personale. Si può essere persuasi da una cosa senza esserne convinti.

Le prove possono essere raggruppate in tre grandi famiglie:

DIRETTA - in cui si acquisice direttamente consapevolezza del fatto, per esempio l'ispezione prevista dall'art.118;

RAPPRESENTATIVA - non danno la conoscenza diretta, ma mediata, per esempio il documento del testimone: nel caso del documento mediata dallo scritto, nel caso del testimone mediato dal racconto del soggetto;

CRITICA (LOGICA) - è racchiusa nel processo mentale del giudice, per esempio l'argomento di prove, la prova presuntiva (dal fatto noto si risale al fatto ignoto).


PRESUNZIONI

sono disciplinate dagli artt.2727, 2728 e 2729 c.c.. Sono mezzi di prove critiche, cioè consentono al giudice di ricostruire un fatto ignoto dalle conoscenze di un fatto a lui noto. Hanno avuto un'evoluzione graduale nella disciplina legislativa. Nel periodo illuministico ed in quello rivoluzionario la presunzione era vista come una guida rigida a cui il giudice doveva attenersi, egli era privo di ogni possibilità in ordine alla valutazione critica della prova. Con la rivoluzione francese si affermò l'obbligo della motivazione e anche la presunzione divenne un mezzo di convincimento del giudice. Con riferimento al codice civile esse si distinguono in due gruppi:

semplici - consentono al giudice di ricavare un fatto ignoto da un fatto noto attraverso il ragionamento critico. Saranno ammesse nei limiti di ammissibilità delle prove testimoniali e saranno ammesse a condizione che sino gravi, precise e concordanti. Il giudice non è totalmente libero nel ragionamento logico ma deve attenersi a quelli che sono i principi cardine del processo come ad esempio del contraddittorio (art.24 e 101 cost.). La rilevazione del nesso tra il fatto noto e quello ignoto deve avvenire su collegamenti e non necessariamente causali ma questo apprezzamento può avvenire anche sulla base di regole di esperienza. L'art.2729 stabilisce che le prove devono essere gravi, precise e concordanti. Questi reqisiti non devono essere considerati limiti formali. Il giudice potrà ammettere le presunzioni che vuole, ma non è detto che tutte le presunzioni possano fornire un grado di certezza per il fatto da provare. Riguardo l'esatta interpretazione di queste tre aggettivazioni la dottrina è divisa. Per quanto concerne la gravità e la precisione l'orientamento è unanime nel ritenere che è precisa la presunzione che riguarda solo il fatto da provare, mentre la gravità viene desunta dal grado di convincimento che la presunzione suscita nel giudicato, quindi maggiore sarà il grado di convincimento e maggiore sarà la sua gravità. Per quanto riguarda la concordanza vi sono delle differenti opinioni. Premesso che la concordanza si ha quando una pluralità di presunzioni convergono tutte verso la medesima conclusione, la dottrina si è incentrata su questo problema: per provare un fatto è necessario che vi siano una pluralità di presunzioni tutte concordanti, cioè che convergano verso la medesima conclusione, o sarà sufficiente un'unica presunzione la quale dotata di un grado di gravità maggiore può fungere da base per provare il fatto? Un'orientamento dottrinale estremamente rigido ritiene che solo quando vi sia pluralità di presunzioni concordanti il fatto può considerarsi provato. Altra parte della dottrina adduce opinione contraria cioè anche solo una presunzione dotata di un grado di gravità maggiore può servire per provare il fatto. Tutti i passaggi del giudice per risalire ad un fatto noto devono essere motivati. Solo in tal modo la cassazione può garantire le difese delle parti da un uso arbitrario dei poteri di libero apprezzamento del giudice.

Logiche - sono disciplinate dal 2728 cc. A differenza delle precedenti prevedono che l'apprezzamento del nesso tra fatto noto ed ignoto non sia formulato dal giudice in base al suo ragionamento critico, ma viene effettuato direttamente dal legislatore. Si dividono in: a) assolute; b) relative. Questa distinzione ha senso solo se si considera la posizione di colui contro il quale le presunzioni sono ammesse; si fa riferimento al diritto di prove contrarie. Per le prime non è ammesso nessun diritto di prove contrarie. Per le relative è prevista la possibilità di esperire il diritto di prove contraire. C'è una regola in base alla quale non si può presumere dal presunto. Perché?

SCRITTURA PRIVATA

È una prova precostituita nel senso che non si costituisce nel processo ma prima del processo. È disciplinata dagli artt.2702 e 2708 c.c., il primo rubricato efficacia della scrittura privata. È formata da tre elementi: 1) documento su cui è apposta; 2) scrittura privata 3) sottoscrizione. Non ha valore il crocesegno, perché una persona che non sa leggere e scrivere anche se firma non ha validità perché si presume che era a conoscenza del documento firmato. A differenza dell'atto pubblico, è autografa. Inizialmente ha efficacia inter partes, acquista efficacia erga omnes, se viene autenticata da un notaio o da un pubblico ufficiale (art.2703). Il codice ciovile si riallaccia al cpc perché disciplina i mezzi di prova mentre il cpc prevede come questi mezzi di prova vengono ammessi nel processo. Gli artt. del cpc sono il 214 e il 125.











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