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I DELITTI DI AGGRESSIONE UNILATERALE

giurisprudenza





I DELITTI DI AGGRESSIONE UNILATERALE


Art.624. Furto.

"Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri".


Interesse tutelato.

MANTOVANI ritiene che il furto sia un reato ad oggetto giuridico complesso, nel senso che il suo contenuto offensivo sarebbe duplice: da un lato la condotta furtiva pregiudicherebbe infatti l'utilizzabilità materiale della cosa, dall'altro lederebbe l 333e43d 'altrui interesse a liberamente disporre dei propri poteri sulla cosa. Soggetti passivi sono il proprietario e chi ha il godimento della cosa.



Per altri orientamenti tutelata sarebbe la mera relazione di fatto tra persona e cosa, rimanendo dubbio se tale relazione vada identificata nel possesso o nella detenzione.

La giurisprudenza ha identificato il soggetto passivo non con i proprietario, ma con il possessore che abbia, oltre al potere di fatto sulla cosa, la coscienza e la volontà di detenere l'oggetto materiale.


Elemento oggettivo.

Preliminare problema della condotta è quello della situazione su cui essa deve incidere. Il riferimento testuale dell'art.624 al concetto di detenzione come sussistenza di una relazione tra soggetto passivo e cosa costituisce presupposto essenziale della fattispecie.

Per detenzione deve intendersi da parte del soggetto l'accessibilità fisica immediata della cosa mobile, esprimentesi in un potere di fatto sulla stessa; ovvero la possibilità e volontà di stabilire ad libitum un contatto fisico con la stessa.

La condotta tipica è costituita dalla sottrazione della cosa mobile, concettualmente equivalente a quella di spossessamento. MANTOVANI sostiene che sottrazione e impossessamento sono due concetti distinti: il fatto tipico si realizzerebbe integralmente solo quando l'agente abbia conseguito l'autonoma disponibilità del bene al di fuori della sfera di sorveglianza della vittima: occorrerebbe che l'azione furtiva dia luogo ad un nuovo possesso. Il verificarsi dell'impossessamento richiederebbe un quid pluris rispetto alla pura e semplice sottrazione e precisamente un fatto o un comportamento idoneo a mutare radicalmente il rapporto preesistente, tale da far conseguire all'agente l'effettiva ed autonoma disponibilità della cosa, in modo che questa venga a trovarsi in sua balia fuori da ogni diretto controllo da parte del derubato.

L'oggetto materiale della condotta inerisce a tutte le cose mobili, non secondo la nozione civilistica dell'art.812 c.c. bensì quelle determinate in funzione della condotta furtiva, sicché è mobile ogni cosa che si possa sottrarre, incluse le cose originariamente immobili che, essendo stato mobilizzate, siano divenute suscettibili di sottrazione (es. alberi, tramite recisione del tronco).

Per quanto riguarda il furto di energia elettrica, superata la concezione del furto solo per le res corporales, l'art.624/2 lo ritiene applicabile all'"energia elettrica e ad ogni altra energia che abbia un valore economico". Ne sono requisiti a) il valore economico attribuito a quelle fonti di energia naturale che siano suscettibili di apprensione e di godimento e, pertanto, misurabili in danaro; b) la spossessabilità, dovendo l'energia essere suscettibile di aggressione unilaterale (es. furto di energia elettrica mediante allacciamento prima del contatore o di energia termica prodotta da un impianto di riscaldamento centrale, immettendola senza diritto nel proprio appartamento) o di aggressione con la cooperazione della vittima (es. truffa di energia elettrica mediante manomissione del contatore). Pertanto possono costituire oggetto di reati patrimoniali, essenzialmente le energie meccaniche (idrauliche, termiche, elettriche, nucleari, ecc.), e non anche le energie animali, in quanto la forza energetica, è inseparabile dalla fonte da cui proviene (es.: risponde di furto d'uso del cavallo chi tale animale sottrae al fine di servirsene momentaneamente







Elemento soggettivo.

Il dolo generico cade sulla coscienza dell'altruità della cosa e del dissenso del possessore circa l'asportazione della stessa, oltre alla volontà dell'asportazione e dell'impossessamento. Il soggetto deve inoltre agire con il fine di trarre profitto, trattasi quindi di dolo specifico avente ad oggetto il perseguimento di un'utilità patrimoniale o nello scopo di conseguire una soddisfazione morale o di appagare un bisogno, che secondo la giurisprudenza può consistere anche nel desiderio di dispetto, ritorsione o vendetta.

Il profitto deve essere considerato ogni incremento della capacità strumentale del patrimonio di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale: economico, affettivo, religioso, artistico, scientifico, collezionistico, solidaristico, ecc. (non sussistendo nel caso in cui il reo abbia agito per un intento di vendetta, disprezzo, dileggio

L'ingiustizia del profitto è presente quando si fonda su una pretesa non riconosciuta dal diritto e perciò illegittima. Legittime sono le pretese alle quali è concessa una azione giudiziaria (sempreché non ricorra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nel caso in cui, il creditore con violenza o minaccia, costringe una persona a pagargli il credito liquido ed esigibile o le sottragga la cosa oggetto di tale obbligazione, mancando gli estremi del reato di estorsione); ovvero nel caso della concessione della solutio retentio come nelle obbligazioni naturali: credito prescritto, di gioco o scommessa (risponderà di violenza privata chi, con minaccia o violenza, ottenga l'adempimento di una obbligazione naturale


Consumazione e tentativo.

La distinzione logica tra sottrazione e impossessamento induce ad ammettere per coerenza analitica che il furto resta ancora allo stadio del tentativo fin quando l'autore non abbia acquistato l'autonoma disponibilità della cosa, insomma fin quando non sia riuscito a sfuggire alla cerchia di sorveglianza della vittima.

L'intervento del derubato della polizia o di terzi, che si realizzi subito dopo la sottrazione della cosa impedendo l'impossessamento, esclude quindi la consumazione; questa si verifica qualora l'autonoma disponibilità della cosa da parte del soggetto attivo avvenga anche per un breve intervallo temporale.


Rapporto con altre figure di reato.

Al concetto di sottrazione si fa prevalentemente ricorso per delimitare la sfera operativa dell'art.624 rispetto a quella dell'art.646 - appropriazione indebita - : non vi è possesso (nel senso dell'art.646) ma soltanto detenzione (nel senso dell'art.624) ogniqualvolta l'agente, pur trovandosi in relazione materiale con la cosa, per farla propria deve sottrarla.

[appropriazione indebita]

[appropriazione di cose smarrite, diff. cose dimenticate]

[furto aggravato e rapina]

[furto aggravato e truffa]



Art.626. Furti punibili a querela dell'offeso.



Furto d'uso.

"1) se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita"


Elemento oggettivo.

Oltre a riprodurre tutti gli elementi del furto comune, l'elemento oggettivo di tale figura si caratterizza per la momentaneità dell'uso e per l'immediatezza della restituzione.

Deve trattarsi anzitutto di un uso momentaneo, vale a dire non di lunga durata ed immediato, ossia non dilazionato. La restituzione dev'essere effettiva, a nulla valendo la mera intenzione di restituire.

Dopo la sentenza n.1085 del 30-11-1988 della Corte Cost., che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art.626/1 nella parte in cui escludeva dal suo ambito applicativo le ipotesi di mancata restituzione per caso fortuito o forza maggiore. Non occorre che la restituzione sia spontanea, ma basta che sia volontaria. Deve inoltre avvenire immediatamente dopo l'uso.

La lettera della legge sembra richiedere che debba essere restituita la stessa cosa che l'agente aveva sottratto, con la restituzione del tantundem per le cose fungibili e consumabili. Esse devono essere riconsegnate al derubato, o almeno ricollocate nel luogo ove erano state sottratte.


Elemento soggettivo. Consumazione e tentativo.

La particolarità rispetto al furto comune sta nel fatto che il fine di profitto deve concretizzarsi in quello di usare momentaneamente la cosa (c.d. dolo d'uso).

Il momento perfezionativo si realizza con la restituzione della cosa, considerando tale atto come tipico e idoneo a discriminare il furto minore dal furto comune in mancanza di restituzione immediata.

La configurabilità dell'art.626 presuppone la sussistenza ab initio del proposito di restituire la cosa. Non è quindi la restituzione a trasformare un furto comune in furto d'uso, ma la mancata restituzione a degradare un furto intenzionalmente d'uso in un furto comune. L'impossessamento segna il momento a partire dal quale non è più configurabile il tentativo d'uso (risponde di furto comune chi, impossessandosi della cosa altrui con l'intenzione di farne uso momentaneo, tenta di restituirla immediatamente senza riuscirvi).




Furto lieve per bisogno.

"2) se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno;"


Elemento oggettivo.

La cosa sottratta può essere tanto un qualsiasi bene mobile quanto denaro. Per la determinazione della tenuità del valore (requisito meno rigoroso rispetto alla "speciale tenuità" dell'art.62 n.4), il criterio di giudizio viene per lo più fissato in riferimento alle condizioni del reo ed al bisogno che lo spinge: la cosa sottratta deve rappresentare per qualità e quantità il minimo  indispensabile per soddisfare il bisogno. Tuttavia, se il valore della cosa è rilevante in senso assoluto, qualunque sia il bisogno non può la cosa essere ritenuta di tenue valore.

Non è richiesto tuttavia che la cosa oggetto del furto debba soddisfare direttamente il bisogno, ma basta che essa serva allo scopo anche mediatamente: ad es. si ruba denaro per comperare il pane con cui sfamarsi.

Il bisogno è considerato dalla giurisprudenza con esclusivo riferimento alle esigenze della vita fisica (cibi, indumenti, medicine).

La dottrina ritiene invece rilevanti anche esigenze di natura morale (es. classico è quello di chi ruba una somma di danaro per recarsi a trovare un parente in punto di morte) o economica (ad es. si ruba erba per nutrire il proprio gregge), con esclusione dei bisogni voluttuari.

Il bisogno deve essere comunque di tale intensità ed urgenza da esporre, se non soddisfatto, a grave pericolo la propria o l'altrui persona. Trattasi peraltro di un concetto più ampio rispetto allo stato di necessità di cui all'art.54, non richiedendo la necessità assoluta, né la inevitabilità altrimenti del danno e la involontarietà del fatto produttivo del pericolo, né l'attualità del pericolo di un danno grave alla persona, bastando un bisogno grave ed urgente.


Elemento soggettivo.

Per la sussistenza dell'elemento soggettivo occorre, oltre alla coscienza e volontà della condotta tipica del furto comune, la consapevolezza di sottrarre cose di tenue valore ed il fine di provvedere ad un grave ed urgente bisogno. L'errore di fatto sulla sussistenza del bisogno o sul valore della cosa esclude il dolo in base ai principi generali.



Art.627. Sottrazione di cose comuni.

"Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, si impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, è punito, a querela della persona offesa..

Non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante".


Soggetto attivo.

Si tratta di reato proprio che può essere commesso soltanto da colui che è indicato tassativamente nella disposizione: comproprietario, socio, coerede.

Socio è comunemente ritenuto il socio di società di persone o, comunque, sfornite di personalità giuridica. Sicché elemento decisivo non è tanto la titolarità o meno del bene in un soggetto distinto anche formalmente dai soci, quanto piuttosto la destinazione sociale dello stesso.


Soggetto passivo.

Non ponendo la legge alcuna limitazione in merito ai soggetti che possono assumere la qualità di soggetto passivo, MANTOVANI ritiene che tale reato può essere commesso a danno di chiunque, anche del titolare di un mero diritto di garanzia o addirittura di custodia sulla cosa.

Rilevante è il fatto che la cosa sia detenuta da altri, poiché la presenza dell'altrui potere materiale toglie al soggetto la piena ed autonoma disponibilità materiale della cosa comune, la possibilità di signoreggiarla, onde egli non può farla propria senza sottrarla.

MANTOVANI, 83:

[Appropriazione ex art.646]

[Appropriazione ex art.647]


Elemento oggettivo.

Si ripropongono problemi analoghi a quelli propri del furto. La norma richiede che l'agente non abbia, da solo o con altri, il possesso della cosa comune, perché altrimenti si configurerebbe il reato di appropriazione indebita: ciò significa che ai sensi dell'art.646 deve considerarsi "altrui" ance la "cosa comune", a differenza di quanto accade per il furto.

Quando l'agente non ha il possesso ex art.646 non deve essere configurabile da parte sua neppure la detenzione, perché altrimenti si verrebbe a creare una ingiustificata zona sguarnita di tutela penale non essendo configurabile nei suoi confronti né l'appropriazione indebita per difetto del presupposto possessorio né la sottrazione di cose comuni per la mancanza del presupposto della non detenzione da parte dell'agente.

Sempre a proposito del presupposto possessorio che fa da spartiacque tra il 627 e il 646, una questione delicata sorge per il fatto commesso dal coerede, il quel ex art.1146 c.c. acquista il possesso dei beni del de cuius sin dal momento dell'apertura della successione senza bisogno di materiale apprensione. La soluzione più equilibrata appare quella che distingue a seconda che l'agente abbia o non abbia la piena autonoma disponibilità della cosa: nel primo caso vi sarà appropriazione indebita, nel secondo sottrazione di cose comuni o eventualmente, ricorrendone i presupposti, appropriazione di cose smarrite o di cosa avuta per errore altrui o per caso fortuito ex art.647.

La norma parla di cosa e non di cosa mobile; ciononostante non si dubita che l'art.627 si riferisca soltanto alle cose originariamente mobili o rese mobili mediante mobilizzazione, le sole suscettibili di sottrazione.

L'impossessamento della cosa mobile comune, da parte del comproprietario, socio o coerede, è punibile soltanto se si tratta di cosa infungibile, ovvero, trattandosi di cosa fungibili, se il suo valore eccede la quota spettante all'agente; se si tratta invece di cosa fungibile il cui valore non supera la quota di spettanza dell'agente trova applicazione il 2° co. dell'art.627.


Elemento soggettivo.

Occorre innanzitutto la consapevolezza che la cosa è comune e detenuta da altri, nonché la volontà di sottrarla ed impossessarsene al fine di trarne profitto.

L'errore, anche colposo, per il quale l'agente creda di impossessarsi di cose fungibili per un valore non eccedente la propria quota, mentre in realtà egli sottrae cose infungibili ovvero fungibili di valore eccedente la quota di sua spettanza, esclude il reato in forza dei principi generali sull'elemento soggettivo.


Momento consumativo e tentativo.

[furto comune]


Rapporto con altre figure di reato.

Rifletti sui problemi delimitativi rispetto al furto, alla rapina, ed all'appropriazione indebita.

Ci si è chiesti quale trattamento vada riservato alle ipotesi di sottrazione d'uso o per bisogno della cosa comune. Si tende in proposito ad escludere l'applicabilità dell'art.627 per un elementare criterio di proporzione giuridica, ritenendo che il fatto dovrebbe risultare penalmente irrilevante ovvero, per analogia, produrre le stesse conseguenze dei furti attenuati di cui all'art.626.



Art.628. Rapina.

"Chiunque, per procurare a sé o ad latri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito...

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità".


Interesse tutelato.

Il delitto di cui all'art.628 è unanimamente considerato tipico reato plurioffensivo sulla base del rilievo per cui la stessa azione costitutiva è composta da quella tipica del furto cui si aggiunge l'elemento della violenza o della minaccia alla persona tanto nel caso di rapina propria che in quello di rapina impropria.

L'oggetto della tutela penale accordata dalla norma in esame viene quindi ravvisato nell'interesse concernente la sicurezza e la libertà della persona e nell'inviolabilità del possesso di cose mobili contro le aggressioni caratterizzate da violenza o della minaccia alla persona.


Elemento oggettivo.

A) generalità;

La differenza tra le ipotesi di reato delineate nei primi due commi dell'art.628, consistente nell'inversione cronologica tra gli elementi costitutivi della violenza o minaccia da un lato e del furto dall'altro, non impedisce una ricostruzione sostanzialmente unitaria della tipologia del delitto; si evidenzia l'assorbimento della rapina impropria in quella propria quando la violenza venga adoperata sia per sottrarre la cosa, sia per assicurarsene il possesso o procurarsi l'impunità.


B)   rapina propria: violenza e minaccia;

La violenza di cui si fa menzione nei due commi dell'art.628, consiste nell'estrinsecazione di un'energia fisica che si risolve in pregiudizio fisico di una persona limitandone la capacità di decisione autonoma o in comportamenti che, pur non attentando all'incolumità corporea, privano il soggetto passivo della possibilità di azione e di indirizzo della condotta esterna.

La minaccia si identifica in ogni seria prospettazione della possibilità di recare un male obiettivamente ingiusto. Sulla definizione strutturale sembra tuttavia prevalere l'accentuazione teleologica del comportamento del soggetto attivo, così che si è ritenuto che la violenza può anche consistere in una semplice spinta od urto alla vittima la fine di poter realizzare l'impossessamento della cosa e, per quel che riguarda al c.d. violenza morale, si è ritenuto sufficiente che il pregiudizio minacciato con parole o atti abbia conseguito l'effetto di turbare o diminuire la libertà psichica della persona offesa.


C) rapina impropria: violenza e minaccia per assicurare il possesso o per procurare l'impunità;

La giurisprudenza della Suprema Corte ritiene estranea alla fattispecie delittuosa della rapina impropria l'esistenza di un ostacolo alla fuga o alla conservazione del possesso della refurtiva perché si reputa sufficiente l'uso della violenza o della minaccia ai suddetti fini dopo la perpetrazione del furto, risiedono la ratio della equiparazione della rapina impropria a quella propria nella maggior criminosità dimostrata dal ladro che, pur di assicurarsi il possesso della refurtiva o l'impunità, no rifugge dal far ricorso alla violenza o alla minaccia contro la persona.

La Cassazione è inoltre costante nel ritenere integrata la fattispecie delittuosa in esame quando la reazione aggressiva venga posta in essere mentre l'assicurazione dell'impossessamento della cosa sottratta sia ancora in corso o mentre sia in svolgimento l'immediata reazione difensiva privata o repressiva pubblica e sussista il collegamento di detta reazione con la finalità dell'assicurazione dell'impossessamento della cosa ovvero dell'impunità.

E' insegnamento ormai consolidato della Suprema Corte e tesi prevalente nella più autorevole dottrina che il fine di procurare l'impunità di cui all'art.628/2 deve essere inteso non soltanto nel più ristretto senso che l'agente, con la sua condotta, miri ad evitare il riconoscimento, ma anche in quello più ampio di evitare tutte le conseguenze, penali e processuali, del reato commesso, come la denunzia e l'arresto, a nulla rilevando la circostanza che egli sia stato riconosciuto da testimoni.



D) immediatezza della violenza e minaccia.

Il rapporto cronologico tra la sottrazione della cosa ed il comportamento violento dell'agente non va inteso, secondo la Cassazione, in termini di contestualità ma di immediatezza, nel senso che le due condotte, pur distinte, debbono potersi prospettare come un'azione unitaria posta in essere al fine di impedire al derubato di tornare in possesso dell'oggetto o di assicurare l'impunità all'imputato.


Elemento soggettivo.

Ad integrare e, insieme, ad esaurire sotto il profilo psicologico il delitto in esame è necessario, oltre alla consapevolezza della illiceità dell'impossessamento mediante violenza e minaccia, il dolo specifico (intento di conseguire un ingiusto profitto nell'ipotesi contemplata nel primo comma; finalità di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta ovvero di procurare l'impunità nell'ipotesi contemplata nel secondo comma).

Parimenti si stima non necessario che il profitto sia costituito da un'utilità patrimoniale potendosi concretare in qualsiasi utilità anche solo morale, in qualsiasi soddisfazione, piacere o godiemnto che l'agente si riprometta di trarre anche non immediatamente dalla propria azione.


Consumazione e tentativo.

Il delitto di rapina propria, secondo la Cassazione e la prevalente dottrina, è consumato nel momento in cui la cosa, pur rimanendo entro la sfera di vigilanza e di dominio della persona offesa, entri nella disponibilità dell'agente. Si evidenza come l'art.628 abbia preso in considerazione, in relazione al momento consumativo del delitto, solo il criterio della sottrazione della cosa, così che non hanno giuridica rilevanza né il criterio spaziale, relativo al luogo entro il quale opera la sfera di dominio del rapinato, né il criterio temporale relativo alla durata del possesso da parte dell'agente.

Il delitto di rapina impropria si perfeziona nel momento in cui si verifica la minaccia o la violenza.

Controversa è la questione della configurazione del tentativo nella rapina impropria, tra le contrapposte posizioni della Cassazione e della dottrina dominante.

La Cassazione ritiene che si abbia tentata rapina impropria e non furto tentato in concorso con un delitto contro la persona (violenza privata o minaccia) nel caso in cui taluno, nel corso degli atti esecutivi e prima della sottrazione o dell'impossessamento della cosa altrui, usi violenza o minaccia contro la persona per assicurarsi l'impunità.

La prevalente dottrina, è orientata in senso contrario: essa infatti reputando integrati gli estremi del tentativo di rapina impropria ogni qualvolta l'agente impossessatosi di una cosa mobile altrui cerchi, senza riuscirvi, di usare violenza o minaccia a chi vuole impedirgli di conservare il possesso o di assicurarsi l'impunità, esclude la sussistenza del tentativo in caso di impiego della violenza anteriore alla sottrazione sulla base dell'assorbente rilievo per cui il tenore letterale della disposizione normativa in esame non tollera equivoci sul fatto che l'impossessamento deve essere anteriore alla violenza.


Rapporto con altre figure di reato.

In merito alla differenza con il reato di estorsione la Suprema Corte, confermando un orientamento ormai consolidato, ha affermato al sussistenza della rapina anche nei casi in cui la persona aggredita sia costretta a consegnare la cosa detenuta se, per effetto della violenza, sia nelle mani dell'aggressione al cui volere non può sottrarsi; ciò perché, per aversi estorsione, è necessario che al consegna della cosa possa in qualche modo collegarsi ad un atto di volontà della vittima non potendo attribuirsi rilevanza al solo atto puramente materiale della consegna stessa.

In caso di accordo preventivo alla commissione del delitto di rapina (delitto presupposto tra autore o gli autori materiali di tale reato e colui che promette un'attività di assistenza ed aiuto post delictum consapevolmente determinatrice, istigatrice e rafforzatrice della volontà criminosa del terzo e con rilevanza causale rispetto alla rapina, la Cassazione ha scorto i tratti integranti un'ipotesi di concorso morale in tale ultimo delitto con esclusione della configurabilità di una responsabilità per ricettazione.

Art. 646. Appropriazione indebita.

"Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa..."


Interesse tutelato.

Secondo la dottrina prevalente il delitto dell'art.646 rappresenta una violazione del diritto di proprietà: il suo disvalore tipico viene individuato nell'abuso del possessore e precisamente nell'espropriazione dei poteri spettanti al proprietario.

Con maggior precisione si osserva che oggetto della tutela apprestata dall'art.646 è "una sorta di proprietà in senso penalistico, cioè quel qualsiasi diritto, reale o personale, sulla cosa, che nel caso concreto ha il maggior peso economico-sociale": dunque tanto il diritto di proprietà in senso civilistico quanto altri diritti, reali o personali, sulla cosa, come ad es. il diritto dell'usufruttuario o del locatario.


Elemento oggettivo.

La sussistenza di una precedente situazione possessoria fa da spartiacque tra la figura dell'appropriazione indebita e quella del furto.

Prevale oggi la posizione autonomista che nega al necessaria coincidenza tra il possesso in senso civilistico ed il possesso in senso penalistico. Secondo la tesi più accreditata in dottrina e giurisprudenza, il limite logico del concetto di possesso rilevante ex art.646 è quello di sottrazione ex art.624: non vi è possesso ma soltanto detenzione ogniqualvolta l'agente, pur trovandosi in relazione materiale con la cosa, per farla propria deve sottrarla.

Il possesso nel senso dell'art.646 consiste pertanto in un rapporto tra soggetto e cosa il quale implichi una disponibilità autonoma: nel senso di un potere che si esercita al di fuori della diretta vigilanza di altra persona che abbia sulla cosa medesima un potere di fatto poziore. Sulla base di tale criterio sussiste una situazione possessoria e di conseguenza appropriazione indebita nell'ipotesi di chi non restituisce un veicolo preso a nolo o nel caso di chi si appropria di un libro ottenuto in prestito da una biblioteca.

Si ha mera detenzione quando la relazione di fatto con la cosa si svolge entro la sfera di custodia e sorveglianza di altri, ossia del vero possessore. Commettono quindi furto anziché appropriazione indebita il portabagagli che accompagnando un viaggiatore si allontana con la valigia, il lettore che si appropria di un volume avuto in consultazione nella sala della biblioteca.

La caratteristica comune a tutte queste situazioni è data invero dalla circostanza che la cosa rimane entro la sfera di vigilanza di un'altra persona diversa dal mero detentore (il viaggiatore, il personale di sorveglianza della biblioteca).

Partendo dal presupposto che tutta la sfera di attività del soggetto sarebbe coperta dal possesso, si afferma che si può possedere anche a distanza, anche quando altre persone si trovano fisicamente più vicine alla cosa. E' il caso anzitutto delle cose contenute negli edifici di pertinenza del soggetto (abitazione, negozio, ufficio): domestici, negoziati, impiegati hanno solo la detenzione delle cose loro affidate, rispetto alle quali possono quindi commettere furto e non appropriazione indebita. Il possesso a distanza può sussistere anche quando le cose vengono affidate alla vigilanza di una terza persona: le vetture lasciate in un posteggio sono solo detenute dal posteggiatore.

Ai fini dell'art. 646 è possessore e, quindi, possibile autore di appropriazione: a) il depositario (es. gestore di autorimessa, il guardarobiere del teatro, affidatari dell'auto), il trasportatore, il comodatario, l'usufruttuario, il mandatario o chi ha la cosa per causa di servizio; b) gli incaricati della gestione del patrimonio altrui (amministratori, liquidatori); c) gli affidatari di cose in involucro chiuso (vettori, spedizionieri).

Il possesso può essere a qualsiasi titolo, dunque tanto a titolo derivativo quanto a titolo originario. Deve esserci dunque un potere sulla cosa, oltre che autonomamente esercitato, anche lecitamente acquisito, se esso è stato acquisito mediante una condotta criminosa ed il soggetto è già punibile per il modo in cui è venuto in possesso della cosa, il momento dell'appropriazione resta assorbito (es. sottrazione furtiva, truffa, estorsione).

Si dice che è tipica l'azione concretantesi in un'"interversione del possesso" per significare che l'agente deve comportarsi verso la cosa come se ne fosse proprietario, ossia deve tenere un comportamento incompatibile con il riconoscimento della proprietà altrui. In altre parole all'espropriazione intesa come esclusione dell'avente diritto dal rapporto con al cosa, deve corrispondere l'"impropriazione" ossia la creazione di un nuovo rapporto di fatto con la cosa da parte dell'agente.

Deve pertanto intervenire un particolare atteggiamento psicologico - l'animus domini - che, come si avverte, non coincide con l'elemento psichico del reato, per la cui punibilità è richiesto il dolo specifico.

L'animus domini deve manifestarsi in un comportamento inconciliabile con il titolo e le ragioni del possessore: tale è ad es. l'alienazione, la donazione o la consumazione della cosa infungibile.

Nell'altruità della cosa vanno comprese anche le cose comuni ex art.627 per evitare vuoti di tutela fra furto e appropriazione (es. coerede che dispone dei beni ereditari affidati alla sua custodia); si ritiene per lo più applicabile in via analogica all'appropriazione indebita di cose comuni la causa di non punibilità prevista dall'art.627/2, se il fatto è commesso su cose fungibili nei limiti della quota di spettanza dell'agente.


Elemento soggettivo.

Il dolo generico investe la consapevolezza di possedere una cosa mobile altrui compiendo l'appropriazione con la consapevolezza e la volontà della materialità dell'atto, nonché il dolo specifico di procurare "a sé o ad altri un ingiusto profitto".

Non è indebita perché ricorre una ipotesi di giustificazione ex art.51 l'appropriazione compensativa di un credito, sempre che sussistano i requisiti della certezza del suo ammontare, della liquidità ed esigibilità.

Il dolo viene meno per errore di fatto se il soggetto ritiene che la cosa sia di sua proprietà, anche se per errore su legge non penale; vi sarà invece errore su legge penale se l'agente conosce la situazione di fatto ma ritiene che essa non concreti un possesso ai sensi dell'art.646, o se il soggetto vuole il fatto nella sua materialità e nel suo significato economico-sociale senza rendersi conto che esso implica un'appropriazione della cosa altrui.


Consumazione e tentativo.

Il momento consumativo coincide con il manifestarsi esteriore della volontà di considerare la cosa come propria. MANTOVANI ritiene che l'art.646 prevede un reato plurisussistente, ammettendo la configurabilità del tentativo, come nel caso in cui l'agente tenti di porre in essere l'atto dispositivo senza riuscirvi (es.: espone in vendita l'oggetto, scrive una dichiarazione di girata su un titolo


Rapporto con altre figure di reato.

[furto], [sottrazione di cose comuni]

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt.392 e 393), se si realizza violenza sulle cose ovvero violenza o minaccia alle persone.

Peculato (art.315), sotto il profilo del soggetto attivo (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) e del possesso per ragioni di ufficio servizio, in mancanza del quale anche detti soggetti rispondono di appropriazione.


Appropriazione di cose smarrite.

L'ipotesi prevista dall'art.647 n.1 presuppone una specifica qualificazione della cosa al momento dell'impossessamento da parte del reo: la condizione appunto di cosa smarrita per la quale gli artt.927 ss. c.c. dispongono che il ritrovatore ha l'obbligo di restituire la osa stessa al proprietario e, se non lo conosce, di consegnarla senza ritardo al sindaco del luogo in cui l'ha trovata.

Importante è il criterio distintivo tra cosa smarrita e cosa semplicemente dimenticata, in quanto, mentre l'appropriazione della prima dà luogo al reato di cui all'art.647 n.1, l'impossessamento della seconda configura il reato di furto.

Perché possa considerarsi smarrita occorrono, secondo l'orientamento prevalente, le seguenti condizioni: essa deve essere uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore e questi non deve essere più in grado di ripristinare su di essa il primitivo potere perché non sa o non ricorda dove la costa stessa si trova. Non viene di conseguenza considerata cosa smarrita la cosa perduta nella propria abitazione, né quella appena caduta di dosso al possessore il quale si trovi nelle immediate vicinanze.

In altri termini. È la cosa che chiunque può fare propria senza sottrarla, in quanto, da un lato, lo smarritore non è in grado di ristabilire sulla stessa il primitivo potere materiale, non conoscendo o avendo dimenticato il luogo ove si trova, e, dall'altro, nessun altro soggetto ne ha acquistato la disponibilità materiale mediante il rinvenimento.


Danneggiamento.


Interesse tutelato.

Elemento oggettivo.

Elemento soggettivo.

Consumazione e tentativo.

Rapporto con altre figure di reato.



Capitolo II


I DELITTI CON LA COOPERAZIONE DELLA VITTIMA



Art.629. Estorsione.

"Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura per sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito.."


Interesse tutelato.

L'oggetto specifico della tutela apprestata dalla disposizione normativa è comunemente ravvisato nell'inviolabilità del patrimonio e nell'interesse relativo alla libertà personale di determinazione personale contro fatti di coercizione commessi mediante costrizione a fare od omettere per procurare all'agente o ad altri un ingiusto profitto con danno della parte lesa.


Elemento oggettivo.


A)   violenza e minaccia, caratteristiche e direzione.

Il nucleo del delitto in esame, anche alla luce dei tratti che fungono da elementi discretivi rispetto alla rapina, è costituito dalla coartazione della volontà della vittima, attuata per il conseguimento di un profitto ingiusto a danno altrui, così da far ritenere superflua la specifica enunciazione del mezzo attraverso il quale lo scopo viene conseguito.

Si può ritenere consolidato l'orientamento della Suprema Corte e della prevalente dottrina in base al quale, in una considerazione di sintesi del delitto complesso di estorsione, la minaccia non richiede necessariamente che la coartazione avvenga mediante la rappresentazione di un male irreparabile alle persone o alle cose tale da non lasciare al soggetto passivo alcuna libertà di scelta, essendo sufficiente la prospettazione di un male che, in relazione alle circostanze che l'accompagnano, sia tale da far sorgere nella vittima il timore di un concreto pregiudizio.

Il costante orientamento della Suprema Corte reputa indifferente la forma e modo della minaccia che può essere diretta o indiretta, palese o larvata, reale o figurata, determinata o indeterminata, essendo sufficiente che essa induca una coercizione nell'altrui volontà ed a nulla rilevando che il soggetto passivo in effetti non sia intimidito né la misura dell'intensità del proposito dell'agente riguardo alla effettiva realizzazione del male minacciato.

La minaccia costitutiva del delitto di estorsione viene ritenuta sussistente tutte le volte che, avuto riguardo alla personalità sopraffatrice dell'agente, all'organizzazione di cui è espressione, alle circostanze ambientali, all'ingiustizia della pretesa, alle particolari condizioni della vittima, questa, di fronte alla ingiusta richiesta dell'agente, venga a trovarsi ragionevolmente nella condizione di doverne subire la volontà per evitare, in caso di mancata adesione, il paventato verificarsi di un più grave pregiudizio.


B)   il carattere di illegittimità della minaccia.

La minaccia, penalmente irrilevante quanto tende alla realizzazione di un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento, diviene illegittima quando si faccia uso di mezzi giuridici per conseguire scopi diversi da quelli per cui tali strumenti sono stati previsti dall'ordinamento.

Esemplificazioni del delitto in base alle pronunce della S.C.:

il delitto di estorsione è integrato nel caso in cui il mutuante abbia costretto il mutuatario a corrispondergli interessi usurari maggiori di quelli pattuiti ed arbitrariamente fissati con la minaccia di riempire, mettere all'incasso e provocare il protesto di un assegno in bianco e senza copertura dato al creditore a titolo di garanzia.

Qualora dopo la commissione di un furto il derubato versi al ladro o ad una terza persona una somma per ottenere la restituzione della refurtiva, sussiste il reato di estorsione anche se l'offerta sia partita dalla persona offesa, essendo ovvio che questa è stata costretta a comportarsi in tal modo per la minaccia implicita di perdita definitiva della cosa sottratta.




C) ingiustizia del profitto e danno.

Se non è dubbio che il profitto possa consistere in qualsiasi utilità, anche dei natura non patrimoniale, in qualsiasi situazione che goda di rilevanza giuridica e rappresenti un vantaggio per il soggetto attivo, con altrettanta certezza si può affermare che il danno non può non rivestire connotazioni di natura patrimoniale, deve cioè consistere in una effettiva diminuzione patrimoniale, in senso lato, della persona offesa.

Il carattere ingiusto del profitto ricorre quando la pretesa del soggetto attivo non possa dirsi tutelata i modo diretto o indiretto dall'ordinamento, così che l'utilità nella quale si concreta non può dirsi dovuta all'agente o ad altri (p. es. è stata ritenuta l'estorsione e non il diverso delitto di violenza privata nell'ipotesi del giocatore di carte vittorioso che aveva realizzato con violenza la pretesa - non tutelata dall'ordinamento neppure con l'eccezione della soluti retentio in caso di adempimento coatto - di ottenere dai giocatori perdenti il pagamento del debito di gioco), quando venga conseguito mediante l'utilizzazione di quelli che avevano originato la loro previsione da parte dell'ordinamento o, infine, se il profitto stesso sia raggiunto con modalità che lascino trasparire un giudizio di contrarietà con i buoni costumi.


Elemento soggettivo.

MANTOVANI ritiene sufficiente il dolo generico perché la realizzazione di un ingiusto profitto con altrui danno è un elemento costitutivo della figura criminosa così che esulerebbe, nella struttura del delitto in esame, quella volizione di un fine ulteriore rispetto ai requisiti costitutivi della fattispecie che, secondo la comune opinione, caratterizza il dolo specifico.


Consumazione e tentativo.

Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui il colpevole consegue per sé o per altri l'ingiusto profitto con correlativo danno altrui.

L'accezione lata in cui il patrimonio viene inteso comporta che, nel caso di c.d. estorsione di atti, il pregiudizio si intenda realizzato con la sottoscrizione ed il possesso del documento con cui la vittima contrae un impegno o rinuncia ad un diritto indipendentemente dall'evoluzione concreta di tali rapporti ed anche se il titolo non abbia prodotto effetti favorevoli all'agente perché successivamente lacerato da parte dello stesso o perché la sua invalidità è stata riconosciuta per effetto di impugnativa se questa sia sfociata nella ricognizione di una nullità assoluta.

Così, p. es., allorquando l'estorsione consista nel conseguimento di un assegno di conto corrente, il reato di consuma e - quindi - il danno si realizza nel momento del rilascio dell'assegno medesimo no avendo alcun rilievo la successiva sorte del titolo.

La predisposizione di un servizio di Polizia può impedire il passaggio dalla fase del tentativo a quella della consumazione se, in conseguenza della stessa, si riesce ad impedire la consegna del denaro o delle altre cose oggetto dell'azione criminosa opporre anche quando l'apprensione, limitata ad un fugace contatto, non abbia consentito al colpevole di disporre in alcun modo della cosa e di trarre un'utilità qualsiasi.


Rapporto con altre figure di reato.

La qualità di pubblico ufficiale inerente al soggetto attivo induce alla traslazione del delitto sotto il diverso titolo previsto dall'art.317.

Il delitto di violenza privata e quello di estorsione, pur avendo in comune l'uso della violenza e della minaccia per costringere il soggetto passivo ad un comportamento commissivo od omissivo, si differenziano per l'elemento materiale, qualificato nell'estorsione dall'ingiustizia del profitto con altrui danno, e per l'elemento psicologico, connotato nel delitto in esame dalla consapevolezza di usare violenza e minaccia dirette a costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.

Nel rivendicare l'autonomia strutturale del delitto di cui all'art.630 la Cassazione ha avuto modo di affermare che gli elementi distintivi tra questa figura ed il delitto in esame risiedono nel mezzo usato, consistente nel sequestro di persona, nella finalità specifica di conseguire il prezzo della liberazione, e nel momento consumativo che, nel reato di cui all'art.630, è indipendente dal conseguimento del profitto.

Tuttavia se lo scopo di conseguire un ingiusto profitto è estraneo alla liberazione della vittima, non ponendosi come prezzo della liberazione della stessa, si delinea un concorso materiale tra i delitti di cui agli artt.629 e 605.

L'elemento scriminante del delitto di estorsione rispetto a quello di truffa consiste nel mezzo usato dall'agente per conseguire l'ingiusto profitto che si concreta, rispettivamente, nella violenza o minaccia oppure in artifici e raggiri, con la conseguenza che il soggetto passivo è costretto dal timore nel primo caso e tratto in errore, nel secondo, a privarsi di un bene che gli appartiene.



Art.640. Truffa.

"Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito..."


Interesse tutelato.

E' reato plurioffensivo sia dell'interesse patrimoniale sia della libertà del consenso o della buona fede quale aspetto funzionale all'equilibrio dell'economia collettiva.


Elemento oggettivo.

Il concetto di artifici esprime l'idea della "messa in scena", della "alterazione della realtà", insomma di una situazione apparente che non trova riscontro nei fatti. Il concetto di raggiri, rappresenta un "discorso o ragionamento" destinato a creare un falso convincimento, ossia un "avvolgimento ingegnoso di parole" che al contrario dell'artificio non lascia segno di caratterizzazione oggettiva operando soltanto sulla psiche del soggetto ingannato.

Gli artifici e raggiri inoltre, debbono avere per effetto l'induzione in errore della vittima. Lo schema normativo della truffa sembrerebbe dunque abbracciare i soli casi in cui l'erronea convinzione nasca ex novo nella psiche del soggetto passivo in conseguenza di un inganno qualificato dal carattere subdolo del mezzo fraudolento.

L'effetto dell'errore sta a dimostrare ex post l'idoneità ingannatoria del mezzo usato.

Tale conclusione ha la triplice conseguenza: a) che è sufficiente che il mezzo ingannatorio usato abbia cagionato l'errore, da accertarsi secondo il procedimento di accertamento degli elementi psicologici; b) che anche la condotta grossolanamente fraudolenta, che sia riuscita nel caso concreto a conseguire il risultato ingannatorio, può dare luogo a truffa; c) che è irrilevante che la vittima abbia agevolato, con la propria ignoranza ingenuità, credulità, leggerezza, il proprio errore.

[Per irrilevanza del mero silenzio, del silenzio in violazione di un obbligo giuridico di informare, dello sfruttamento del preesistente stato di errore, nuda menzogna, della non configurabilità del silenzio-omissione ex art.40/2, MANTOVANI, 161

Si ritiene comunemente che l'art.640 preveda implicitamente, in collegamento al requisito dell'errore, un ulteriore elemento di fattispecie consistente nell'atto di disposizione patrimoniale da parte dell'ingannato. In tal senso - si afferma - caratteristica della truffa è il fatto che la stessa vittima a procurare il nocumento patrimoniale attraverso una condotta fondamentalmente consapevole della propria efficacia concreta.

La dottrina esclude l'applicabilità dell'art.640 quando il soggetto ingannato sia totalmente incapace, salvo naturalmente a ricondurre il fatto dannoso nell'ambito di altre norme incriminatrici, ad es. qeulla del furto o, se ne ricorrono tutti gli elementi di fattispecie, della circonvenzione di incapaci.

Il danno del soggetto passivo ed il profitto dell'agente o di altri rappresentano gli eventi costitutivi della truffa, in quanto due aspetti di un'unica realtà concettuale.

E' opinione comune che il danno debba avere natura patrimoniale e possa acquistare rilevanza sia sotto il profilo del danno emergente sia sotto quello del lucro cessante.

Il profitto potrebbe consistere nel soddisfacimento di un bisogno di qualsiasi genere, anche soltanto psicologico o morale. Con tale consistenza si potrebbe ammettere che il profitto non consista solamente in un accrescimento patrimoniale, profilandosi la truffa anche in caso di chi con artifizi o raggiri riesca a farsi consegnare un oggetto avente un puro valore d'affezione.

L'ingiustizia del profitto viene definita come l'assenza di un qualsiasi titolo di legittimazione giuridica all'arrichimento, che deve quindi risultare sine cause. [furto]






Elemento soggettivo.

Il reato è a dolo generico e quindi tutti gli elementi che ne sono oggetto - inganno, disposizione patrimoniale, danno e profitto ingiusto - devono quindi concretamente verificarsi perché il reato si perfezioni.

Oltre che dall'errore di fatto, il dolo è escluso dalla mancata consapevolezza del carattere frodatorio del mezzo usato, dell'ingiustizia del profitto o del danno che ne deriva. Il dolo può essere precedente o concomitante all'azione esecutiva, mai susseguente alla stessa (es.:venditore di un immobile che rivende, sapendo che il contratto non è stato ancora trascritto, lo stesso ad altro migliore offerente, che ne acquista la proprietà con una pronta trascrizione


Consumazione e tentativo.

La Suprema Corte (C.s.u. 30-11-1974) si è pronunciata sul punto dell'individuazione del momento consumativo fissando il principio secondo ci l'assunzione da parte del soggetto passivo di una semplice obbligazione non seguita dall'adempimento e dal correlativo acquisto della disponibilità della cosa da parte dell'agente realizza la figura della truffa tentata e non quella della truffa consumata. Il reato si considera quindi consumato nel momento e nel luogo in cui l'agente consegue la materiale disponibilità del bene oggetto del reato.

Il delitto tentato è configurabile, data la natura di reato di evento della truffa. L'idoneità ingannatrice degli artifici e raggiri va accertata in base ad un giudizio concreto, ex ante e a base parziale. Sicché in rapporto alla situazione concreta, una condotta normalmente inidonea ad ingannare per la sua grossolanità, può essere tale se l'agente ha potuto fare assegnamento su particolari stati soggettivi della vittima (ignoranza, superstizione, miopia..).


Circostanze.

Le circostanze aggravanti speciali di natura obiettiva di cui al 1° cpv. dell'art.640 (o la presenza di una qualsiasi aggravante comune) rendono il reato punibile d'ufficio anziché a querela di parte.

La prima ipotesi del n.1 (l'aver commesso il fatto "a danno dello Stato o di altro ente pubblico") si collega non all'aspetto oggettivo del tipo di attività, privata o pubblica, esercitata, bensì unicamente alla qualifica pubblica del soggetto passivo. La circostanza si riferisce comunque al destinatario del danno, a prescindere dal fatto che il soggetto ingannato sia il titolare di un organo pubblico o un terzo dotato di potere di disposizione sul patrimonio della p.a.

La seconda ipotesi contemplata al n.1 (l'aver commesso il fatto "col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare") viene ritenuta un'indicazione testuale a favore della punibilità della truffa in rapporti illeciti.

La truffa è configurabile se il raggiro consiste nel fare falsamente credere alla vittima di potersi efficacemente adoperare per ottenere l'esonero, poiché se l'agente agisce con tale effettivo proposito e si attiva in questo senso, esistendone gli estremi, egli potrebbe versare nel reato di corruzione ex art.318.

Qualora i raggiri consistano nel vantare pretese aderenze in ambienti militari o influenti, in tal caso sussiste il reato di millantato credito ex art.346.

Per quanto riguarda le due ipotesi aggravanti del n.2 occorre delineare il criterio differenziale rispetto ai reati di estorsione e di concussione. Al riguardo - si osserva - si rimane nell'ambito della truffa aggravata se il "timore di un pericolo immaginario" o l'"ordine dell'autorità" vengono prospettati come indipendenti dalla volontà o dal fatto dell'agente; si travalica nell'estorsione o, se del caso, nella concussione nel caso contrario.


Rapporto con altre figure di reato.

Se il fatto truffaldino è commesso da pubblico ufficiale con abuso delle sue qualità o funzioni, tali da costringere o indurre taluno a dare o promettere denaro o altra utilità, ricorre il delitto di concussione di cui all'art.317 c.p.




Art.644. Usura.


Interesse tutelato.

L'incriminazione dell'usura reprime alcune distorsioni tipiche del procedimento di formazione negoziale, dovute alla situazione di necessità economica, e quindi di particolare debolezza contrattuale, in cui viene a trovarsi una delle parti contraenti.

La fattispecie codicistica del '30 è stata novellata dalla legge 356/92, successivamente abrogata e sostituita dalla L.108/96.


Elemento oggettivo.

La condotta tipica dell'usura consiste nel farsi dare o promettere vantaggi usurari in cambio di una prestazione di danaro o altra utilità.

Individuando l'oggetto della prestazione del soggetto attivo come "danaro o altra utilità", la nuova fattispecie riconosce in termini completi l'usura reale, diversa dall'usura pecuniaria. L'altra utilità richiama ad un significato di controprestazione economicamente valutabile quale può essere un bene mobile, un immobile (escluso nella originaria fattispecie), una prestazione professionale e lavorativa.

Una conseguenza interpretativa della coesistenza di un indice quale il tasso di interesse fissato ex lege e il concetto di sproporzione fra prestazioni una delle quali è effettuata da un soggetto che si trova in condizioni di difficoltà economica e finanziaria è che soltanto quest'ultimo parametro è applicabile all'usura reale.

L'art.644/3 presenta contraddizioni linguistiche per quanto riguarda i fattori legali che devono essere tenuti in conto dal giudice nell'individuazione del carattere usurario della controprestazione. E' ragionevole ritenere che la congiunzione "e" posta fra "concrete modalità del fatto" e "tasso medio praticato per operazioni similari" vada letta come disgiunzione "o", nel senso che i due fattori legali potrebbero essere considerati alternativamente al momento dell'accertamento giudiziale del fatto.

La mediazione usuraria ex art.644/2 è da considerare una fattispecie sussidiaria, con autonoma rilevanza solo nel caso in cui non sussista responsabilità a titolo di concorso nella conclusione del contratto principale. Consistendo la prestazione del soggetto attivo in una mera opera di mediazione, non occorre comunque, per la configurazione del reato, che sia usuraria la sovvenzione procurata ma basta che sia usurario sia il compenso che il mediatore si sia fatto dare o promettere per sé o per altri.


Ipotesi aggravate.

L'ipotesi dello stato di bisogno ex art.644/4 n.3 va valutato alla luce del parallelo concetto di difficoltà economica e finanziaria che il legislatore considera concetto meno "forte" che viene in rilievo come elemento di un rapporto di genus a species i cui caratteri peculiari sono costituiti da un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induce a ricorrere al credito accettando condizioni usurarie.

L'aggravante di cui al n.4 contempla una forma di tutela privilegiata (già presente nell'art.644-bis abrogato) nei confronti di soggetti che, per la loro attività imprenditoriale, professionale od artigianale, ricorrono con frequenza al credito.


Elemento soggettivo.

Il reato è a dolo generico, compatibile con la figura del dolo eventuale, a fortiori dopo la riforma semplificativa della struttura oggettiva del reato, che ha eliminato il requisito dell' "approfittamento". Perciò contenuto del dolo sarà la consapevolezza dello stato di bisogno in cui versa il datore o il promittente degli interessi usurari. Rispetto all'ipotesi perfezionantesi con la sola promessa, si ha reato di pericolo con dolo specifico di danno.

La disposizione amministrativa del Ministero del Tesoro che rileva il tasso medio trimestrale in materia di usura pecuniaria, integra il precetto penale ed un errore in merito a tale elemento normativo verrà ricondotto alla disciplina dell'art.5 c.p. Lo stesso deve dirsi per la normativa ministeriale che provvede alla classificazione delle operazioni finanziarie per categorie omogenee.

Il soggetto incorrerà in un errore sul fatto nel caso in cui per una errata percezione della situazione di fatto, mal computi gli interessi ottenuti o mal qualifichi il tipo di operazione intrapresa.


Prescrizione.

L'art.644-ter introdotto dalla L.108/96, ponendo come condizione per il decorso della prescrizione del reato la riscossione del capitale da parte dell'usuraio, conferisce al delitto di usura una struttura di tipo permanente, che valorizza in via precipua il perdurare del rapporto fra usurario e soggetto passivo.

Porre l'accento sulla fase durante la quale il rapporto usurario perdura - rilevando peraltro che l'evento offensivo si verifica con il versamento degli interessi da parte della vittima - esplica i suoi effetti giuridici nell'ambito del concorso di persone ovvero ai fini della determinazione dell'unità-pluralità di reati.

Ricade nella sfera della norma incriminatrice il contegno di chi si fa dare o promettere vantaggi usurari in relazione ad un capitale materialmente già versato, ad es. per concedere una proroga del rapporto, così come il contegno di chi si inserisce nel rapporto già instaurato acquistando un credito usurario e facendolo, poi, valere.

L'art.644-ter convalida la tesi della unità del reato di usura - in presenza di plurimi versamenti di interessi e pur se dovessero subentrare variazioni nelle condizioni del rapporto - sino a quando non si abbia la prestazione di un nuovo capitale, la quale potrà determinare il configurarsi di un reato continuato.


Consumazione e tentativo.

La consumazione del reato si fa di solito coincidere con la pattuizione, ossia con il momento in cui gli interessi o vantaggi usurari sono dati o promessi.

Per la mediazione usuraria, si precisa che tale ipotesi si consuma nel momento della ricezione della prestazione richiesta da parte del richiedente.

Il tentativo non è configurabile per il fatto che, bastando per la consumazione del reato la semplice promessa di interessi usurari, prima di questo momento vi sarebbe soltanto un'intenzione usuraria non seguita da alcun fatto giuridicamente valutabile. Inoltre la promessa, essendo punita come reato di pericolo, non ammette la forma tentata.


Rapporto con altre figure di reato.

MANTOVANI ritiene che sarebbe applicabile l'art.643 ogniqualvolta, pur in presenza di tutti gli elementi dell'art.644, il fatto sia commesso in danno di un minore, di un infermo d o di un deficiente psichico. La conclusione deriverebbe dalla clausola di riserva contenuta nell'art.644/1.



Capitolo III


I DELITTI DI PERPETRAZIONE E CONSOLIDAMENTO DEL DANNO PATRIMONIALE.



Art. 648. Ricettazione.

"Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultarle".


Interesse tutelato.

MANTOVANI considera la ricettazione un reato plurioffensivo, previsto a tutela del patrimonio oltre che dell'amministrazione della giustizia. Egli ne sottolinea l'eterogeneità delle sue forme argomentando sia la dispersione delle cose di provenienza delittuosa come un ostacolo all'opera delle autorità per l'accertamento dei reati e la punizione dei colpevoli nonché il consolidamento del pregiudizio economico subito dalla vittima del reato presupposto, osservando che il trasferimento delle cose provenienti da tale reato aggrava il pericolo della loro perdita per l'avente diritto, sia per le maggiori difficoltà del loro recupero.


Soggetto Attivo.

Il reato può essere commesso da chiunque, salvo che dall'autore o dal compartecipe del reato presupposto, come si ricava dalla riserva dell'art.648 ("fuori dei casi di concorso nel reato").

Per MANTOVANI non commette ricettazione il proprietario delle cose, quando queste, legittimamente possedute da altri (ad es. a titolo di pegno), siano tolte al possessore mediante un delitto commesso da colui dal quale il detto proprietario le acquisto. Tale conclusione viene desunta dal fatto che il proprietario mantiene in capo a sé la disponibilità del diritto di proprietà e l'interesse alla conservazione del bene, pur se da altri posseduto e a fortiori dal fatto che egli non può commettere furto di cosa propria.


Elemento oggettivo.

La ricettazione presuppone che un altro reato sia stato commesso in precedenza. Deve trattarsi di delitto, escludendo la dizione della norma che si possano ricettare cose provenienti da contravvenzioni. La ricettazione è configurabile anche se l'autore del reato presupposto non è imputabile o non è punibile (art.648/2).

La condotta tipica può indifferentemente consistere nell'acquisto, nella ricezione o nell'occultamento delle cose di provenienza illecita ovvero nell'intromissione per farle acquistare, ricevere od occultare da parte di altri.

L'acquisto viene inteso in senso lato, comprensivo di ogni negozio, oneroso o gratuito, idoneo al trasferimento della cosa nella sfera patrimoniale dell'acquirente. La ricezione è invece formula comprensiva di qualsiasi conseguimento di possesso della cosa proveniente da reato: essa designa il semplice materiale trasferimento della cosa, anche se temporaneo. L'occultamento si attua col semplice nascondere, anche temporaneamente le cose. Per differenziarlo dalla ricezione l'espressione deve essere riferita al caso in cui il soggetto, avuta la cosa in buona fede, ne conosca successivamente l'origine delittuosa e in conseguenza la celi. L'intromissione comprende ogni attività intermediatrice, realizzata in qualsiasi modo e svolta con modalità idonea ed univoca rispetto allo scopo cui tende.

L'art.648 costituisce una norma a più fattispecie e non una disposizione a più norme, in caso di realizzazione congiunta di più ipotesi ivi previste si ha un reato unico.

Dal'interpretazione del concetto di "provenienza da delitto" deriva la soluzione al problema della configurabilità o meno del tentativo quale reato presupposto della ricettazione. L'accezione estensiva di "provenienza" induce a ritenere ammissibile la ricettazione di cose provenienti da un delitto tentato (potendo rientrare nel concetto anche gli strumenti utilizzati nel tentativo. MANTOVANI, al contrario ritiene che l'oggetto materiale della ricettazione può consistere in beni ottenuti mediante il delitto, o anche costituenti il prodotto, il profitto o il prezzo del reato (p.205).

Tale approccio riduce lo spazio logico di configurabilità della ricettazione che non viene tuttavia del tutto eliminato, potendo l'oggetto materiale del delitto derivare da un tentativo compiuto (realizzazione della condotta ma mancato verificarsi dell'evento) - ritenendo che l'estorsione di un titolo di credito si consumi con l'avvenuto incasso (p.152), potrà configurarsi la ricettazione nel caso di colui che, avendo ottenuto dalla vittima la consegna del titolo di credito, lo ceda direttamente al ricettatore -.


Elemento soggettivo.

Il dolo generico consiste, oltre che nella volontà del fatto di acquistare, occultare, intromettersi, nella generica consapevolezza della provenienza delittuosa del danaro o delle cose che costituiscono l'oggetto materiale del reato.

Oltre al dolo generico, occorre per la punibilità il dolo specifico consistente nel fine dell'agente di procurare un profitto a sé od altri. Si precisa che "altri" non può essere l'autore del reato presupposto, altrimenti si verserebbe in tema di favoreggiamento reale.



Consumazione e tentativo.

Il momento consumativo coincide, per un primo orientamento con quello in cui si raggiungono l'accordo tra cedente e acquirente della cosa, senza che occorrano la traditio della cosa stessa ed il pagamento del prezzo. Un secondo orientamento ritiene che il reato si consuma nel momento in cui l'agente ottiene il possesso della cosa.

Nell'ipotesi dell'intromissione il reato si consuma per il solo fatto di essersi il colpevole intromesso allo scopo di far acquistare etc.

Si ritiene configurabile il tentativo salvo che per l'ipotesi dell'intromissione.


Rapporto con altre figure di reato.

Il problema dei rapporti tra la fattispecie dell'art.648 e la contravvenzione di incauto acquisto (art.712) è strettamente collegato all'altro circa la punibilità della ricettazione a titolo di dolo eventuale.

A tal proposito è da notare che il dubbio circa la provenienza delittuosa delle cose rileva quando abbia ad oggetto la possibile realizzazione del fatto vietato; ciò si verifica ove l'agente, compiendo la condotta tipica nell'incertezza di un suo presupposto, accetti il rischio che si realizzi il reato.

L'incauto acquisto si distingue dalla ricettazione in relazione al presupposto della condotta, che non è la provenienza delittuosa della cosa, bensì la sua oggettiva sospettabilità (le cui ragioni possono risiedere nella "qualità della cosa", nella "qualità di chi le offre", nell'"entità del prezzo"), sia all'elemento soggettivo, dato che per la punibilità delle contravvenzioni è sufficiente la colpa.

Per non incorrere in una interpretatio abrogans dell'art.712 - che si avrebbe delimitando l'operatività della fattispecie ai soli fatti colposi, con la conseguente irrilevanza della "sospetta provenienza delittuosa", che è presupposto della condotta - deve concludersi che il requisito del sospetto dell'illecita provenienza intende ricondurre i casi di ricettazione commessi con dolo eventuale nell'ambito dell'art.712.




Art.648-bis. Riciclaggio

"Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque compie atti o fatti diretti a sostituire sostituisce denaro, beni o altre utilità o valori provenienti da delitti di rapina aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità,[ al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ] ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti è punito.."


[ ] elementi della fattispecie originaria del 1978.


Osservazioni generali.

La presente fattispecie è stata introdotta con l'art.23 l.9 marzo 1990, n.55, e segna l'ingresso nel nostro ordinamento del delitto di riciclaggio. La previgente versione dell'art.648-bis titolava "Sostituzione di danaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione".

Il concetto (metagiuridico) di riciclaggio suggerito dalla Commissione presidenziale statunitense sul Crimine Organizzato è riassumibile nella definizione: "mezzi attraverso i quali si nasconde l'esistenza, la fonte illegale o l'utilizzo illegale di redditi e poi si camuffano questi redditi per farli apparire legittimi".


La nuova fattispecie presenta rilevanti novità rispetto a quella introdotta nel 1978. Anzitutto la vecchia fattispecie

a) puniva i "fatti o atti diretti a sostituire denaro...", la nuova invece ha perso la struttura di attentato;

b) la fattispecie previgente non prevedeva l'ipotesi di "ostacolo" all'identificazione della provenienza dei beni e richiedeva invece un dolo specifico alternativo, di favoreggiamento o di ricettazione;

c) da ultimo è stato aggiunto, fra i reati base, il traffico di stupefacenti.


L'aggiunta comporta un mutamento nello stesso scopo di tutela: la norma del 1978, punendo solo la sostituzione di danaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione, intendeva sostanzialmente apprestare "misure specifiche contro l'industria dei rapimenti e dei ricatti".

Anche l'attuale art.648-bis presenta fra i suoi contenuti, quello di cooperare alla repressione dei crimini da cui proviene il denaro riciclato: si configura perciò come reato ostacolo nei confronti di questi ultimi. L'inserimento del narcotraffico, implica però che la nuova norma vuole porsi quale strumento di lotta alla grande criminalità organizzata, che viene colpita nel momento in cui cerca di fare apparire leciti, e immettere nel mercato, i profitti dell'attività delittuosa.


Interesse tutelato.

Il delitto di riciclaggio è da qualificare come plurioffensivo. Il suo inserimento fra i delitti contro il patrimonio nel titolo XIII è senz'altro inadeguato, secondo alcuni sarebbe ipotizzabile inquadrare in una categoria specifica i reati di perpetuazione di precedente situazione antigiuridica, comprendenti gli artt.648, 648-bis, 379 e 712.

Si può ritenere che il riciclaggio, già identificato come reato ostacolo, tuteli direttamente (anche) l'amministrazione della giustizia, specie laddove punisce chiunque ostacola l'identificazione della provenienza di denaro e valori da uno dei reati base specificati.

Sicuramente il riciclaggio costituisce un pericolo per l'ordine pubblico; un posto di rilievo non può neppure essere negato all'ordine economico, in quanto il riciclaggio è un fattore in sé destabilizzante per la libertà e la correttezza del mercato, che viene inquinato attraverso il c.d. "lavaggio" e il successivo reimpiego di denaro sporco.


Condotte attive.

La condotta consistente "nell'ostacolare l'identificazione della provenienza...", non è che un duplicato  rispetto alla forma di riciclaggio consistente nella "sostituzione" intesa come permuta lato sensu; MANTOVANI ritiene che l'interpretazione più corretta appare quella di intendere la condotta dello "ostacolare" come "condotta di chiusura", volta a punire tutte le forme di riciclaggio non riconducibili alla "sostituzione", perché non comportanti la dazione di valori in contropartita (es.: estinguendo un debito e accendendo un credito) o perché consistenti nella "ripulitura giuridica", incidendo essa non materialmente sul bene (es.: mediante falsa fatturazione, contratto simulato, alterazioni di bilancio).


Dolo.

A differenza della fattispecie precedente, quella nuova è a dolo generico; l'elemento soggettivo del reato include la consapevolezza della provenienza dei beni riciclati dagli specifici reati base elencati nella norma, il che rende di per sé molto difficilmente applicabile la norma stessa.

La prova del dolo è agevolmente raccolta solo qualora si dimostri un legame organico tra chi ricicla il capitale illecito dopo la sua produzione e chi l'ha illecitamente prodotto: ma in questo caso si ravvisa per lo più un'ipotesi di concorso del riciclatore nel reato base restando esplicitamente esclusa la punibilità a norma degli artt.648-bis e ter.


Tentativo.

Ammissibile nella nuova configurazione della fattispecie.





Art.648-ter. Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.




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