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TEORIA DELLA COLPEVOLEZZA E SCOPI DELLA PENA OSSERVAZIONI E RILIEVI FRA RAPPORTI

diritto



PADOVANI

TEORIA DELLA COLPEVOLEZZA E SCOPI DELLA PENA

OSSERVAZIONI E RILIEVI FRA RAPPORTI E PREVENZIONE CON RIFERIMENTO AL PENSIERO DI CLAUS ROXIN



1: Introduzione. La triplice nozione di colpevolezza, come "principio", come "fondamento" e come "graduazione della pena".

L'idea di colpevolezza è indissolubilmente legata ad una concezione retributiva della pena. Da quando la pena ruota intorno all'asse della prevenzione generale e speciale, il principio di colpevolezza ( soprattutto nella sua accezione normativa di "rimproverabilità" ) sta conoscendo un periodo di profonda crisi. Ma trattandosi, d'altra parte, di un principio fortemente restìo a scomparire, per il suo valore garantistico, si pone il problema di verificare come interagisca con la prospettiva prevenzionistica. Il rapporto tra queste due categorie può essere costruito i 636d34g n due modi: o in un'ottica di funzionalità corrispettiva, che produrrebbe una reductio ad unum, dovendosi uno dei due termini doversi uniformare all'altro, o in una dimensione di disfunzionalità antagonistica, che porrebbe i due elementi in una situazione fortemente dialettica. Nell'ambito dell'ambito della prima teoria, due sono le soluzioni prospettabili: 1) il principio di colpevolezza può essere, innanzitutto, funzionale alla stessa prevenzione generale e speciale, in quanto l' impossibilità di essere punito per fatti estranei ai propri poteri di signoria rafforza la stessa causa della prevenzione generale, intesa non solo come deterrenza, ma anche come capacità di persuasione della norma penale, e della prevenzione speciale, in quanto predispone il condannato all'accettazione di una pena che si è "meritato"; 2) il principio di colpevolezza può, poi, essere modellato, "costruito" dalle stesse esigenze preventive, risolvendosi nell'ascrivibilità formale di un reato, la cui repressione è interamente giustificata dalla delusione sociale ( e quindi, da ragioni general- preventive- Jacobs ). Anche nell'alveo della seconda teoria, sono due le possibili conclusioni: 1) la colpevolezza può continuare a giustificare la considerazione di una funzione retributiva della pena; 2) la colpevolezza può, invece, fungere da argine ad un'espansione potenzialmente illimitata delle esigenze punitive dello Stato. Il pensiero di Roxin è segnato da un'evoluzione del concetto di colpevolezza da una prospettiva teleologica ad una garantistica, giungendo a riconoscergli un ruolo fondante delle esigenze punitive dello Stato e, al contempo, un compito limitativo delle stesse in sede di commisurazione della pena. Questo perché Roxin ritiene che sotto il nome comune di "colpevolezza" possano essere ricompresi tre diversi concetti: 1) l' idea di colpevolezza come categoria in cui confluiscono le problematiche relative alla libertà del volere; 2) la colpevolezza come fondamento o esclusione della punibilità, sede nella quale si affrontano i problemi relativi all' imputabilità, alla scusabilità dell'errore sulla norma penale e alle altre cause di esclusione della colpevolezza; 3) la colpevolezza come indice che consente la graduabilità della pena.




2. L'evoluzione del pensiero roxiniano circa i rapporti fra colpevolezza e prevenzione nel fondamento della pena: la fase "funzionale".

In "Politica criminale e sistema del diritto penale" del 1970, Roxin asservisce le tre categorie del reato ( tipicità, antigiuridicità e colpevolezza ) ai fini della politica criminale. Anche la colpevolezza, quindi, assurge in una prospettiva telelologica; il che non significa che la colpevolezza ( e quindi il criterio della possibilità di agire diversamente ) venga soppressa, ma solo "riletta" in un ottica preventiva, perché se il soggetto non poteva agire diversamente da come ha agito, nè ha senso promuovere un' intimidazione generale, né sussiste la necessità di una rieducazione. Roxin ritiene, cioè, che la colpevolezza rientri nella più ampia categoria della responsabilità, che subordina la punibilità all' esistenza di ragioni preventive che la giustifichino. Ma in realtà in questa concezione la colpevolezza non ha alcuna autonomia, in quanto che senso ha chiedersi se il reo poteva evitare il fatto tipico ed antigiuridico ( e quindi che senso ha il criterio della possibilità di agire diversamente ) quando il concetto di inevitabilità è plasmato completamente alla stregua della prevenzione? E infatti in un successivo saggio del 1974, la colpevolezza sembra integralmente assorbita dalla responsabilità, in quanto la necessità di pena non può essere determinata né dall'esigibilità di un comportamento diverso dall'agente concreto, che è indimostrabile, né da quella di un agente modello, che non spiegherebbe perché in alcuni casi è affermata ed in altri negata. Solo le ragioni preventive possono legittimare la pretesa punitiva dello Stato. Così l' impunità dello stato di necessità scusante riposa sull' eccezionalità di una situazione che non costituisce un cattivo esempio per i consociati e sull' inutilità di una rieducazione; allo stesso modo, invece, sono esigenze general- preventive che suggeriscono di punire i soggetti che, per la loro situazione giuridica, non possono sottrarsi al pericolo. Stesso discorso per l'imputabilità e per la rilevanza dell'errore di diritto. Infatti, una volta accertato che il soggetto legittimamente non avrebbe potuto essere sfiorato da alcun dubbio sulla liceità del proprio comportamento, viene meno la stessa regione general- preventiva, visto che nell'errore avrebbe potuto incorrere chiunque, e quella special- preventiva, non necessitando il soggetto di una risocializzazione. In realtà, la colpevolezza, apparentemente soppiantata dalla nuova categoria della responsabilità, non perde completamente la propria autonomia, in quanto anche se non può da sola giustificare l' inflizione della pena, rappresenta pur sempre un presupposto necessario ( anche se non sufficiente ). Le esigenze preventive vengono, in seconda battuta. Nel saggio del 1979, infatti, Roxin ribadisce che la sua teoria non mortifica la colpevolezza e, oltretutto, limita la punibilità più della costruzione tradizionale: la pena esige sempre la colpevolezza, ma la colpevolezza non esige necessariamente una punizione. Esistono, infatti, numerosi casi in cui la punibilità è esclusa anche se forse si sarebbe potuto esigere dall'agente un comportamento diverso, e quindi, pur in presenza di colpevolezza. Tale è il caso dello stato di necessità e dell'eccesso di legittima difesa; tale è anche il caso, spesso, dell'errore sulla norma penale, visto che, in astratto, può sempre pretendersi un dovere di approfondimento che annulli le possibilità di compiere un fatto illecito ( e quindi la possibilità di agire diversamente ), e che sono, quindi, ragioni preventive a limitare i doveri di conoscenza; tale è, infine, anche il caso dell' imputabilità rispetto a quei disturbi che lasciano un margine di incertezza e rispetto ai quali non è possibile affermare una completa assenza di colpevolezza, ma per i quali sono esigenze preventive a escludere l' imputabilità.


3: La fase disfunzionale.

In una successiva fase del suo pensiero, Roxin costruisce l'asse dei rapporti tra colpevolezza e prevenzione in chiave antagonistica, nel senso che la colpevolezza interverrebbe a limitare la punibilità richiesta da ragioni preventive, assolvendo il ruolo di argine garantistico. Una volta postulato che la prevenzione non intervenga più a plasmare il contenuto della colpevolezza, si impone, pertanto, l'esigenza di armonizzare il principio di colpevolezza con le finalità preventive. Ecco allora che lo scrimine tra chi è colpevole e chi non lo è viene individuato nella capacità di essere motivabile dalle norme ( e quindi di autodeterminarsi ), per cui colpevole è chi, al momento del fatto, fosse motivabile dalle norme. Quindi, la colpevolezza assolve la sua funzione limitativa nell'ambito dell' imputabilità, anche perché l'esclusione della colpevolezza non determina l' impunità, ma l'applicazione di una misura di sicurezza.


4: Le scusanti e la responsabilità.

Per quanto le riflessioni di Roxin muovano da un preciso contesto normativo qual è il diritto penale tedesco federale, esse paiono trasferibili anche in contesti ordinamentali diversi, ma che condividono numerose scelte politico- criminali, come l'ordinamento italiano. In particolare, la responsabilità, come categoria orientata da considerazioni preventive, si presta ad abbracciare anche le nostre "scusanti". Infatti, lo stato di necessità determinato dall'altrui minaccia ( art. 54.3 ), lo stesso stato di necessità ( art. 54.1 ), l'esecuzione di un ordine insindacabile ( art. 51.2 ) e l'eccesso colposo in una causa di giustificazione ( art. 55 ) sono occasionalmente e non senza difficoltà ricondotti all'ambito delle scriminanti ( cause di giustificazione ), preferendo la dottrina questa soluzione all'altra, che vorrebbe, invece, qualificare queste circostanze come "scusanti". Infatti la dottrina non è mai stata convinta che in queste ipotesi potesse ravvisarsi un'autentica situazione di "inesigibilità" in grado di escludere la colpevolezza. Anzi, non è affatto possibile escludere che il soggetto avrebbe potuto agire diversamente. Ecco che l'impunità riposa su considerazioni di carattere preventivo, visto che la punizione del soggetto che abbia agito in presenza di circostanze di carattere eccezionale non sortirebbe alcun effetto né sui consociati né sull'agente stesso. Da qui l'idoneità della categoria della responsabilità ad accogliere le scusanti. Si tratta di ipotesi in cui la consistenza delle ragioni preventive non solo esclude la punizione di fatti colpevoli, ma la stessa applicabilità delle misure di sicurezza. Per questo Maurach ha proposto una distinzione tra responsabilità per il fatto e colpevolezza, attraendo la prima valutazioni circa l'ascrivibilità della deviazione ad un agente modello ( e quindi le scusanti ) e la seconda il giudizio di imputabilità e coscienza dell' illiceità. Solo la prima, non la seconda, può escludere l'applicazione anche di una misura di sicurezza, perché solo nella prima confluiscono quelle riflessioni di carattere preventivo che fanno da sfondo all'applicazione di una scusante.


5: Colpevolezza e prevenzione generale. Il concetto deontologico di colpevolezza nel sistema penale italiano.

Roxin identifica la colpevolezza nella motivabilità mediante norme. Ma si dimostrerà come la motivabilità esprima un parametro definito dallo stesso legislatore, insuscettibile, quindi, di esprimere il reale atteggiamento dell'agente concreto. La motivabilità più che un attributo del soggetto, è una caratteristica della norma, modellata a discrezione del legislatore. Quindi, il legislatore non è obbligato a subordinare la punibilità ad una motivabilità effettiva. Potrebbe farlo se volesse accontentarsi della semplice deterrenza, non anche se volesse perseguire una finalità di orientamento socio- culturale. Così intesa, la motivabilità non è in grado di escludere neanche le ipotesi di responsabilità oggettiva, dipendendo esse dal livello di prevenzione voluto dal legislatore. Anche la scelta dell'effettività o meno della motivabilità in relazione all' errore sul divieto è ispirata da considerazioni preventive. L'assoluta inammissibilità dell' errore sul divieto è indice di una volontà del legislatore di massimizzare l'impegno dei consociati a conoscere il significato penale dei propri comportamenti, a discapito della scusabilità di quelle ipotesi in cui l'agente non poteva, effettivamente, conoscere la norma penale. Il riconoscimento, seppur circoscritto, di alcune ipotesi di scusabilità ( errore inevitabile ), è, invece, indice della volontà del legislatore di una prevenzione non solo dissuasiva, ma persuasiva. Parimenti, la motivabilità, che sul terreno dell' imputabilità coincide con "normalità psichica", dipende da cosa il legislatore abbia inteso definire come normale e cosa no, perché anche la definizione dell'area dell'anormalità è piegata a scelte di politica criminale ( come dimostra il diverso regime dello stato emotivo e passionale negli ordinamenti tedesco e italiano ). In astratto, infatti, non può essere esclusa a priori la capacità di risocializzazione della pena per i malati di mente. Jacobs, conducendo alle estreme conseguenze l'approccio funzionalistico, è arrivato a postulare che la colpevolezza debba solo indicare quale soggetto debba essere punito per mantenere la generale fiducia nelle norme. Ma l'adozione di una prospettiva funzionale può essere giustificata in ordinamenti, quale quello tedesco, in cui il principio di colpevolezza vanti un'indiscussa evoluzione, non in sistemi, quale quello italiano, dove lo sviluppo del principio è arretrato e l'apertura alla prevenzione rischia di risolversi nell'avallo di un quadro, retaggio di una politica criminale repressiva, come quella fascista. Lungo è, infatti, il cammino per una piena attuazione dello spirito che informa l'art. 27.1 Cost., secondo cui la responsabilità penale è personale. Pacificamente interpretata, ora, non solo come divieto di responsabilità per fatto altrui, ma anche come necessità di subordinare il giudizio di responsabilità ad una valutazione della dimensione psichica del soggetto, questa norma è indicativa della volontà dei Costituenti di attribuire una funzione di orientamento socio-culturale al diritto penale. Ma questa possibilità dipende non solo dalla disponibilità dei consociati ad essere motivati dalla norma, ma anche dalla capacità della norma di motivare. Come? Rendendo riconoscibile in essa il valore tutelato.


6: La colpevolezza come giudizio di rimproverabilità personale. Legittimazione della pena quanto allo scopo e quanto al contenuto.

La possibilità di un ingresso di considerazioni preventive all' interno del principio di colpevolezza risulta maggiormente problematica nella fase applicativa. Infatti, l'idea di colpevolezza è indissolubilmente legata alla libertà di agire dell' uomo, intesa non come dato ontologico, ma come presupposto normativo, per cui l'uomo deve essere trattato come un essere libero e responsabile. Ecco allora che una prevalenza delle esigenze preventive sulla colpevolezza si risolve in una strumentalizzazione della persona umana per fini di politica criminale, in aperta contraddizione con l'assunto della libertà dell'uomo. Ma se, d'altra parte, si svincola il contenuto della colpevolezza dalle esigenze preventive, essa finisce con l'interagire in modo autonomo sulla necessità di pena. La difficoltà di coesistenza tra colpevolezza e prevenzione nasce dalla sua incompatibilità con le attuali teorie della pena, improntate ad un abbandono della logica retributiva, cui, invece, si legava il giudizio di rimproverabilità elaborato dalla concezione normativa. Ma quando si rifletta sul contenuto della pena, che è una sofferenza legalmente inflitta, ci si rende conto che è proprio questo dato contenutistico a rilanciare il principio di colpevolezza. Infatti, sia che si ammetta che la sofferenza inflitta al reo costituisca una canalizzazione della vendetta primigenia della società ( assorbendo così la retribuzione nella prevenzione generale ), sia che si riconosca la sofferenza come modo di essere della pena, per il perseguimento di scopi che la trascendono, si pone il problema di trovare la legittimazione di quella sofferenza, che non può non essere rinvenuta in un giudizio di rimproverabilità personale. E' quindi il contenuto della pena, non il suo scopo, a rinviare necessariamente al principio di colpevolezza. Certo, la possibilità di un agire diverso su cui fondare questo giudizio, non è empiricamente dimostrabile, ma ricostruibile dal giudice assumendo necessariamente un punto di riferimento esterno alla mente del reo: ciascun individuo non può avere consapevolezza della capacità di agire diversamente, se non sperimentandola nel rapporto con gli altri. Il presupposto della rimproverabilità personale, infine, non contraddice le finalità preventive della pena, ma costituisce, invece, un veicolo di potenziamento del ruolo di orientamento culturale del diritto penale, incrementando il senso di autoresponsabilità individuale e predisponendo il reo all'accettazione della pena.


7: La graduazione della colpevolezza.

La colpevolezza, nel pensiero di Roxin, assolve un'importante funzione di limite in sede di commisurazione della pena. E se questo è pacifico, controversa è la questione se la colpevolezza ne costituisca anche il fondamento. Roxin, muovendo dall'esistenza delle misure di sicurezza, ha, infatti, negato che la colpevolezza assurga a fondamento delle sanzioni penali, assegnandole una mera funzione di limite. Ma l'assunto non convince. Come la tipicità è limite e fondamento del fatto penalmente rilevante e l'antigiuridicità limite e fondamento del suo carattere illecito, allo stesso modo la colpevolezza rappresenta allo stesso tempo limite e fondamento della potestà punitiva dello Stato. Sotto questo punto di vista, colpevolezza fondante e colpevolezza graduante convergono. Infatti, il comune denominatore è pur sempre dato dalla rimproverabilità personale. Sarebbe del resto inammissibile che l'attenzione alla persona suggerita dall'art 27.1 Cost ispiri l' an ma non il quantum della pena. Si differenziano, invece, negli elementi costitutivi: mentre la colpevolezza graduante utilizza tutti gli indici dell' an ( imputabilità, forma psicologica, scusanti [ una minaccia cogente che non integri gli estremi dello stato di necessità o un ordine criminoso del superiore, anche se sindacabile, possono sempre rilevare sull'entità della pena ]), la colpevolezza fondante non considera tutti i fattori del quantum ( come i motivi ).













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