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Il 22 Settembre 1988 è stato approvato - con D.P.R. n. 447, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 Ottobre 1988 - il testo del nuovo codice di procedura penale, la cui entrata in vigore è fissata un anno dopo la data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il nuovo codice si ispira ad una filosofia e ad una struttura profondamente diverse da quelle del codice precedente. Si tratta del primo codice dell'Italia repubblicana, che sostituisce, dopo quasi sessanta anni, il codice Rocco dei 1930. E non deve sorprendere che il primo codice che si è voluto varare sia proprio quello di procedura penale in quanto è nota l'interdipendenza tra processo penale e ordinamento politico dello Stato. Non era, infatti, possibile lasciare ancora sopravvivere, dopo la restaurazione del regime democratico, un codice caratterizzato da una struttura indagatoria, tipica dei regimi autoritari.
Per la verità il codice Rocco del 1930, indubbiamente pregevole sotto il profilo tecnico, aveva non poche connotazioni liberali, dovute alla cultura dei giuristi del periodo prefascista, che in gran parte avevano collaborato alla sua redazione. Ma l'impronta politica del regime autoritario si rivelava in molte altre sue disposizioni e, soprattutto, nella scelta di una istruzione segreta e scritta, di evidente stampo indagatorio, in cui veniva lasciato poco spazio al diritto di difesa ed erano notevolmente compressi i diritti di libertà del cittadino. E' bensì vero che su quella struttura si erano operati, mediante leggi speciali, numerosi innesti, diretti a garantire il diritto di difesa. Ma tale processo di «liberalizzazione», reso necessario anche per l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1948), aveva creato inevitabili scompensi con la originaria struttura indagatoria del codice: tanto che qualche autore aveva parlato, a questo proposito, di «garantismo indagatorio» o di «soave inquisizione». Si era trattato, peraltro, sempre di «piccole riforme», come quella realizzata con la legge 18 giugno 1955 n. 517, di sporadici interventi normativi o di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale, perché in contrasto con i principi costituzionali. La situazione si era complicata ulteriormente per l'intervento di una serie di innovazioni legislative dettate dalla necessità di combattere il fenomeno del terrorismo e più in generale la criminalità organizzata. Queste nuove norme, generalmente denominate come «legislazione dell'emergenza», avevano introdotto, dal 1974 in poi, delle restrizioni estremamente pesanti ai diritti dell'imputato e, più in generale, alle garanzie difensive. Contro tali limitazioni non erano mancate critiche da parte della dottrina. Basterebbe ricordare, per fare solo un esempio, che per i reati più gravi era prevista una carcerazione preventiva che poteva giungere fino ad un massimo di dieci anni ed otto mesi, anche se, con una legge successiva dei 1984, tale limite era stato ridotto a sei anni. Su questo tema, come su altri - quali la disciplina della contumacia e la lunga durata del processo penale - anche la Corte Europea aveva avuto occasione di criticare la legislazione processuale penale italiana. Per di più, questo alternarsi e sovrapporsi di riforme di segno opposto, espressioni di tendenze diverse e contrastanti, aveva dato luogo ad un grave disorientamento nella pubblica opinione.
Questi brevi cenni alle vicende subite dal codice di procedura penale del 1930 fanno capire come le istanze di riforma del processo penale fossero diventate, negli ultimi tempi, sempre più insistenti. Per la verità, l'esigenza di riforma era stata avvertita subito dopo il ripristino delle libertà democratiche. Si trattava però di scegliere se operare ancora sulla base dei codice del 1930, con interventi razionali e coordinati, ovvero optare per un codice ispirato ad un sistema del tutto diverso. Ecco perché, abbandonata l'idea di interventi parziali e settoriali, si cominciò a pensare ad una riforma radicale dei sistema. Il primo tentativo in questa direzione fu fatto, nel 1962, da una Commissione Ministeriale presieduta dal prof. Francesco Carnelutti, che si concretò in una «bozza di Progetto», pubblicata nel 1963, ispirata al sistema accusatorio, ma incompleta e tale da non costituire una piattaforma valida per una effettiva riforma. Nel 1965 il Parlamento mise mano, invece, alla elaborazione di una «delega legislativa» al Governo, per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale. Secondo il sistema della «delega legislativa» il Parlamento indica solo i «criteri direttivi» ai quali deve ispirarsi il Governo nella predisposizione dei nuovo codice: ma questa volta il Parlamento, dopo un lavoro protrattosi per tre Legislature, approvò una Legge-delega (3 aprile 1974 n. 108) in cui venivano enunciate ben 84 direttive. Di particolare importanza era la premessa, secondo cui il nuovo codice di procedura penale doveva «attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio» ed inoltre adeguarsi ai «principi della Costituzione» ed alle «norme delle Convenzioni internazionali ratificate dall'Italia relative ai diritti della persona». A questo riguardo vale la pena di ricordare che la Costituzione italiana del 1948, analogamente a quanto fanno anche altre Costituzioni moderne, dedica molte disposizioni ai principi che devono regolare il processo, ed in particolare il processo penale. Basterà ricordare, tra gli altri, l'art. 13, secondo cui «la libertà personale è inviolabile» e «non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». Lo stesso articolo prevede che «la legge deve stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva». Non meno importante è l'art. 24 che proclama «la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». Esso impegna, inoltre, il legislatore ordinario ad «assicurare ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», nonché a determinare «le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari». Fondamentale è, altresì, la previsione secondo cui «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge» (art. 25). La presunzione di innocenza dell'imputato è consacrata, infine, nell'art. 27 con la formula «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
Sulla base della Legge-delega del 1974 una Commissione Ministeriale predispose un Progetto preliminare di 653 articoli, diviso in due Parti e composto di undici Libri. Detto Progetto, pubblicato nel 1978, delineava un tipo di «processo di parti a struttura accusatoria», con una tendenziale eguaglianza di posizione tra P.M. e difensore dell'imputato; aboliva l'istruzione formale e la figura del G.I. e spostava l'acquisizione della prova alla fase dibattimentale, che diventava il momento centrale del processo. Il Progetto del 1978 era accompagnato da un'ampia relazione illustrativa, che dava conto delle radicali innovazioni apportate. Sennonché il Governo, dopo aver chiesto numerose proroghe, lasciò scadere il termine previsto dalla Legge-delega, senza tradurre in legge il Progetto. Tale comportamento può trovare la sua spiegazione nel difficile momento che l'Italia attraversava in quel periodo, a causa della grave situazione creata dal terrorismo e da altre forme di criminalità organizzata. Ma l'esigenza di avere un nuovo codice di procedura penale permaneva e diventava, anzi, sempre più urgente, per le gravi disfunzioni dell'amministrazione della giustizia. Si lamentavano, soprattutto, la estrema lentezza dei processi, le lunghe - e spesso ingiustificate - carcerazioni preventive (la maggior parte dei detenuti era costituita da imputati in attesa di giudizio), la compressione dei diritti della difesa ed altre notevoli carenze. Cosicché il Parlamento si mise al lavoro per elaborare una nuova Legge-delega, che tenesse anche conto dei rilievi e delle critiche che erano state mosse alla precedente Legge del 1974 ed al Progetto del 1978.
La nuova Legge-delega veniva approvata dal Parlamento con Legge 16 febbraio 1987 n. 81. Dopo aver premesso, ancora una volta, che il codice di procedura penale avrebbe dovuto attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle Convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona nel processo penale, la nuova Legge-delega ribadiva che doveva essere adottato il sistema accusatorio, e fissava in 105 punti le direttive alle quali doveva adeguarsi il nuovo processo. Senza entrare nei dettagli, segnaliamo solo alcune delle direttive di carattere generale fissate dal legislatore delegante.
Si stabiliva, innanzitutto, che il nuovo processo dovesse ispirarsi alla massima semplificazione delle forme e dovesse adottare il principio di oralità. Si affermava che accusa e difesa dovessero essere trattate su base di parità in ogni stato e grado del procedimento, con obbligo del giudice di provvedere senza ritardo sulle richieste delle parti e dei difensori. Si prevedeva il diritto dell'imputato o del fermato di essere avvertito immediatamente della facoltà di nominare un difensore e di farsi assistere dallo stesso nell'interrogatorio e, in caso di carcerazione preventiva, di conferire con il difensore immediatamente o subito dopo la esecuzione del provvedimento limitativo della libertà personale. Si stabilivano precise garanzie per la libertà del difensore in ogni stato e grado del procedimento. Venivano previste misure alternative alla custodia in carcere e si fissava un termine massimo di quattro anni per la carcerazione preventiva, per i reati più gravi.
Il testo del nuovo codice di procedura penale è stato predisposto da una Commissione ministeriale e sottoposto al controllo di «conformità alla delega» da una Commissione parlamentare presieduta dal prof. Marcello Gallo. Dopo l'approvazione del Governo, il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, firmava il 22 settembre 1988 il Decreto Presidenziale n. 447, controfirmato dal Guardasigilli prof. Giuliano Vassalli[1].
Il codice è diviso in due Parti: la prima consta di quattro Libri, rispettivamente dedicati ai «Soggetti» (Giudice; Pubblico Ministero; Polizia giudiziaria; Imputato; Parte civile; Responsabile civile e Civilmente obbligato per la pena pecuniaria; Persona offesa dal reato; Difensore), agli «Atti», alle «Prove» (in cui si distinguono mezzi di prova e mezzi di ricerca della prova) ed alle «Misure cautelari» («personali e reali»). La seconda Parte consta di sette Libri e descrive l'iter del procedimento. Si parte dalle «Indagini preliminari», affidate alla Polizia giudiziaria sotto la direttiva del Pubblico Ministero, che si concludono con una «Udienza preliminare» (Libro V). li Libro VI è dedicato ai «Procedimenti speciali», ai quali seguono poi il «Giudizio» (Libro VII), il «Procedimento davanti al Pretore» (Libro VIII), le «Impugnazioni» (Libro IX), la «Esecuzione» (Libro X) e i «Rapporti giurisdizionali con autorità straniere» (Libro XI).
Da questa elencazione emerge, a grandi linee, la struttura del nuovo processo, così come se ne intravedono alcune delle innovazioni più significative.
Il procedimento inizia, infatti, con le indagini preliminari, affidate al P.M. ed alla Polizia giudiziaria. Quest'ultima agisce, anche di propria iniziativa, al fine di ricercare ed assicurare le fonti di prova. La durata delle indagini preliminari deve, di regola, esaurirsi nel termine di sei mesi dalla data di identificazione della persona alla quale è attribuito il reato; ma può, a richiesta dei P.M., essere prorogato fino al termine massimo di diciotto mesi e, in casi particolari espressamente previsti dalla legge, fino a due anni.
Al termine delle indagini preliminari il P.M., se la notizia dei reato è infondata, presenta al Giudice richiesta di archiviazione. Se questi accoglie la richiesta, pronuncia decreto motivato; se non l'accoglie, fissa un'udienza in camera di consiglio dandone avviso alle parti. Se non si procede all'archiviazione, il P.M. chiede il rinvio a giudizio o si limita a formulare l'imputazione. Gli elementi acquisiti in questa fase non hanno, di regola, valore di prova, in quanto acquisiti senza il contraddittorio delle parti. Può tuttavia accadere che, anche in questa fase preliminare, si debbano acquisire delle prove senza attendere il dibattimento, perché la prova potrebbe, nel frattempo, disperdersi o deteriorarsi. In tali casi, e più in generale quando si tratti di prova «non rinviabile al dibattimento», il nuovo codice prevede un meccanismo particolare di acquisizione della prova chiamato «incidente probatorio». Su richiesta delle parti interessate (P.M. o difensore dell'imputato), infatti, il Giudice può acquisire una prova testimoniale o svolgere una perizia, con la garanzia del contraddittorio. Si tratta, in sostanza, di una anticipazione del dibattimento, resa necessaria dalla esigenza di non fare disperdere una prova che potrebbe venire a mancare. Con questo sistema si è inteso sopperire ad una situazione determinata dalla abolizione della istruzione, segreta e scritta, tipica dei sistemi indagatori, ed alla conseguente soppressione della figura del Giudice istruttore.
Altro istituto, che caratterizza tipicamente il nuovo processo, è la «udienza preliminare», che fa da spartiacque tra la fase delle indagini preliminari e quella del giudizio o, sotto altro profilo, tra la fase preprocessuale e quella processuale vera e propria. Mentre nel Progetto preliminare del 1978 l'udienza preliminare aveva funzione di mero smistamento, nella formulazione della Legge-delega del 1987 e nel codice dell'88 tale udienza ha acquistato un ruolo diverso ed una dimensione più ampia. Il P.M. vi espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. L'imputato può chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio e si svolge una discussione, alla quale partecipano i difensori di tutte le parti, con diritto di replica. Tale discussione si svolge, di regola, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del P.M. (la discovery del processo anglosassone), nonché degli atti e documenti ammessi dal Giudice prima dell'inizio della discussione. Ma se il Giudice non ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dopo la discussione, può indicare alle parti temi nuovi o incompleti sui quali si rende necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione. In tal caso il P.M. e i difensori possono produrre nuovi documenti e chiedere l'audizione di testimoni e di consulenti tecnici e perfino l'interrogatorio di imputati dello stesso reato o di reati connessi per i quali si procede separatamente. Chiusa la discussione il Giudice pronuncia la sentenza di non luogo a procedere o decreto di rinvio a giudizio, dando immediata lettura dei provvedimento.
Dalla «udienza preliminare» possono dipartirsi, sull'accordo delle parti, dei «procedimenti alternativi» o «speciali» (giudizio abbreviato, patteggiamento, ecc.) che costituiscono forse la novità più interessante del nuovo processo. Sul funzionamento pratico di tali nuovi riti si fondano, infatti, le maggiori speranze di accelerare i tempi del processo penale. In particolare, col «giudizio abbreviato» si conferisce al Giudice dell'udienza preliminare il potere di pronunciare anche sentenza di merito, allo stato degli atti, se vi è richiesta dell'imputato e consenso dei P.M, Per incentivare il ricorso a tale speciale procedimento è stato previsto, in conformità alla direttiva 53 della Legge-delega, che, in caso di condanna, le pene da irrogare per il reato ritenuto in sentenza siano diminuite di un terzo. Si tratta, in sostanza, di un «patteggiamento sul rito», distinto dal «patteggiamento sulla pena», che rappresenta un'altra alternativa offerta alle parti per evita 555d32f re il dibattimento. Nel patteggiamento sulla pena, denominato dal codice «applicazione della pena su richiesta delle parti», il Giudice, su concorde richiesta delle. parti, può infliggere una sanzione sostitutiva o una pena pecuniaria diminuita fino a un terzo ovvero anche una, pena detentiva, quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non superi i due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria. In tal caso il Giudice applica la pena concordata tra P.M. e imputato. Alla condanna non segue l'onere del pagamento delle spese, così come non sono applicabili pene accessorie o misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca, nei casi in cui sia obbligatoria. Può essere, invece, richiesta ed applicata la sospensione condizionale della pena. Così disciplinato, il «patteggiamento» del nuovo codice allarga notevolmente la sua sfera di applicabilità rispetto all'istituto che - sul modello del plea bargaining anglosassone - era stato già introdotto nella legislazione italiana. Questi istituti, assieme al giudizio direttissimo, al giudizio immediato ed al giudizio per decreto, hanno soprattutto lo scopo di evitare un appesantimento del giudizio ordinario nei casi in cui il processo possa chiudersi anticipatamente. Questo spiega le notevoli riduzioni di pena e gli altri vantaggi previsti, onde incoraggiare le parti a ricorrervi ed evitare così il rischio di moltiplicare i dibattimenti, frustrando l'aspettativa di rendere più celere il corso della giustizia.
Altro argomento sul quale il nuovo codice si differenzia notevolmente dal codice dei 1930 è quello della prova. E' intanto, significativo che all'argomento si sia dedicato un Libro a sé, considerandolo giustamente un tema centrale del processo. Viene, poi, riconosciuto espressamente il diritto alla prova (art. 190), in attuazione della direttiva n. 69 della Legge-delega e in conformità dell'art. 6 n. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Si stabilisce che «non possono essere utilizzate le prove illegittimamente acquisite» (art. 191) e si indicano dei criteri da seguire nella valutazione della prova (art. 192), onde evitare gli eccessi interpretativi nei quali è spesso incorsa la giurisprudenza nell'applicazione del principio del «libero convincimento del giudice». Il nuovo codice ha abolito la formula assolutoria «per insufficienza di prove», prevista nel codice Rocco (tema che è stato oggetto di ampie discussioni anche in sede parlamentare), ma ha precisato all'art. 530, che «il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso o che il fatto costituisce reato».
Per quanto riguarda le misure restrittive della libertà personale, il nuovo codice si è ispirato ai principi della proporzionalità e della adeguatezza. In base a tali criteri si sono previste misure alternative alla carcerazione preventiva; si è stabilito che alla limitazione della libertà personale si debba ricorrere solo in presenza di «gravi indizi di colpevolezza» (art. 273) e qualora esistano «inderogabili esigenze attinenti alle indagini, in relazione a specifiche situazioni di concreto pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova» ovvero «quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga». Il ricorso all'applicazione di misure coercitive personali è, inoltre, consentito anche «quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato», sussiste un concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale oppure della stessa specie di quelli per cui si procede o diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata (art. 274). A disporre le misure coercitive - a differenza del codice Rocco, che riconosceva anche al P.M. il potere di emettere «ordini di cattura» - è competente esclusivamente il Giudice, il quale deve tener conto, nel disporre la misura, della sua specifica idoneità a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto, nonché della sua proporzionalità (o adeguatezza) all'entità del fatto ed alla sanzione che presumibilmente sarà irrogata. In ogni caso la carcerazione preventiva (o «custodia in carcere», secondo la più moderna espressione adottata dal nuovo codice) potrà essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata: vale a dire che essa deve essere considerata dal giudice la extrema ratio alla quale ricorrere solo in casi di assoluta necessità e sulla base dei presupposti sopra reciti. Questi criteri restrittivi (ma non troppo), presuppongono - come si è già avvertito - che accanto alla detenzione preventiva siano previste altre misure cautelari dirette ad assicurare la presenza dell'imputato al processo o, comunque, a tutelare le esigenze di difesa sociale. Oltre agli «arresti domiciliari», consistenti nell'obbligo dell'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora o di cura (art. 284), sono, a tal fine, previsti il «divieto di espatrio» (art. 281); il «divieto o l'obbligo di dimora» (art. 283) e «l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria» (art. 282). Accanto a queste «misure coercitive» sono, poi, previste delle «misure interdittive», consistenti nella «sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio», nella «sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori» o nel «divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali».
Come si è già rilevato è soprattutto la struttura dei processo che è mutata, ispirandosi al modello accusatorio, anziché a quello indagatorio. A questo riguardo, però, non possiamo sottrarci ad una osservazione. Da più parti si sente ripetere, con insistenza degna di miglior causa, che il nuovo codice di procedura penale sarebbe una riproduzione del processo anglo-americano. Orbene, se si vuole soltanto significare che il nuovo processo penale italiano è ispirato al modello accusatorio, al quale si richiamano i processi di tipo anglosassone (pur con le differenze che esistono tra il processo inglese ed i processi nordamericani) si dice cosa esatta. Non v'è dubbio, infatti, che il nuovo processo italiano si allontana decisamente dal modello indagatorio, al quale si ispirava il codice del 1930, e si presenta come un «processo di parti». Sennonché, a prescindere dall'ovvio rilievo che ogni processo, anche a prescindere dalla sua struttura, è modellato dagli usi e costumi, oltre che dall'ordinamento politico, giuridico e costituzionale del Paese in cui opera - per cui è assurdo pensare a trapianti che sarebbero ineluttabilmente destinati ad una reazione di rigetto - non possiamo non sottolineare che la scelta del modello accusatorio si riallaccia alla migliore dottrina italiana e, storicamente, alla genuina tradizione romanistica. Basta rileggere quanto scriveva Cesare Beccaria, nella sua immortale opera «Dei delitti e delle pene», nella quale si scagliava contro le accuse segrete e contro la tortura, strumento tipico dei sistema indagatorio, da lui considerato «mezzo sicuro per assolvere i robusti scellerati e per condannare i deboli innocenti». Ma, più ancora, vale la pena di ricordare quanto scriveva Francesco Carrara allorché si batteva, con parole roventi, contro l'istituto dei giudice istruttore e, più in generale, contro il sistema indagatorio. «Sia abolito ogni segreto - Egli ammoniva - anche nel primo periodo dei processo criminale che dicesi indagatorio. Tutto, anche qui, si faccia col metodo accusatorio puro, cioè in pubblico e nel costante contraddittorio dell'imputato e del suo difensore». Ecco perché la scelta di fondo del rito accusatorio, operata fin dalla prima Legge-delega dei 1974 e poi ribadita nella Legge-delega dei 1987, si ricollega alla migliore tradizione italiana. Certo, né la Legge-delega del 3 aprile 1974 n. 108 e neppure la nuova Legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81, in attuazione della quale è stato redatto il nuovo codice di procedura penale, realizza un puro modello accusatorio: e neppure sarebbe stato possibile, non foss'altro perché questo avrebbe comportato anche il ripristino della «giuria», storicamente legata al processo di tipo accusatorio, mentre - come è noto - tale istituto è stato abolito in Italia e non si è inteso ripristinarlo. Del resto l'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81 precisa - come già faceva quella del '74 - che il nuovo codice doveva attuare «i caratteri del sistema accusatorio secondo i principi e i criteri che seguono». E tra essi, mentre vengono indicati «l'adozione del metodo orale» e «la partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parità» (caratteri tipici, appunto, del sistema accusatorio), si elencano anche direttive che certamente non sono tipiche del sistema accusatorio (come, ad esempio, la presenza della parte civile, del responsabile civile e di altri soggetti sicuramente estranei alla pretesa punitiva dello Stato). Questo significa che il nuovo processo, anche se tendenzialmente ispirato al modello accusatorio, ha, nella stessa intenzione del legislatore delegante, una struttura propria originale, caratterizzata anche dalla esigenza, posta giustamente in primo piano dalla legge-delega, di attuare i principi della Costituzione e di adeguarsi alle norme delle Convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona.
Il codice di rito si apre con la normativa relativa al giudice come a sottolineare - coerentemente con il sistema accusatorio adottato - il ruolo centrale che tale soggetto processuale, titolare del potere decisionale, riveste nell'attuale ordinamento. La disciplina del codice in questo ambito attiene a profili organizzativi, strutturali e funzionali quali giurisdizione e competenza (con le relative problematiche sui conflitti), capacità, incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice nonché la rimessione del processo.
Recita l'art. 1: "la giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario secondo le norme di questo codice". La giurisdizione qui richiamata è, nel senso più lato dell'espressione, la funzione dello Stato, esercitata dalla magistratura ordinaria a norma dell'art. 102 Cost.[2] e rivolta all'imparziale attuazione della legge, tramite l'applicazione di sanzioni qualora venga trasgredito il precetto della norma giuridica.
L'art. 101 della Costituzione, dopo aver premesso che la giustizia è amministrata in nome del popolo, sancisce uno dei principi fondamentali di tutto il nostro ordinamento: "i giudici sono soggetti soltanto alla legge". E' questo il principio di indipendenza che attiene al profilo esterno della giurisdizione riguardando la posizione istituzionale del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato (potere esecutivo e potere legislativo). Tale indipendenza è rafforzata dalla previsione del successivo art. 107 secondo il quale "i magistrati sono inamovibili" se non in seguito ad una decisione del CSM.
L'indipendenza del giudice è cosa diversa dalla imparzialità poiché quest'ultima attiene al profilo interno della giurisdizione conferendo al giudice quella posizione super partes a lui connaturale in un sistema accusatorio. L'imparzialità è garantita costituzionalmente con il principio di difesa (art. 24) e la precostituzione del giudice (art. 25); il codice di rito prevede allo stesso fine gli istituti della rimessione, dell'incompatibilità, dell'astensione e della ricusazione.
L'art. 45 delinea i casi per i quali è prevista la rimessione del processo. Questa consiste nell'attribuzione della competenza ad un giudice diverso da quello territorialmente competente, e più precisamente al giudice egualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto o Corte d'appello più vicino. Ai sensi del suddetto articolo si procede alla rimessione del processo "(.) quando la sicurezza o l'incolumità pubblica ovvero la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo sono pregiudicate da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili (.)". Alla rimessione provvede "la Corte di Cassazione, su richiesta motivata del Procuratore Generale presso la Corte di Appello o del Pubblico Ministero presso il giudice che procede o dell'imputato (.)".
I presupposti per la rimessione sono in sintesi:
a) la gravità di un pregiudizio localmente radicato;
b) l'ineliminabilità altrimenti di quest'ultimo;
c) la richiesta motivata da parte del P.M. o dell'imputato;
d) la rimessione è configurabile solo durante la fase processuale (e non quindi nella fase delle indagini preliminari). Un'eccezione a tale regola si ha nell'ipotesi di "procedimenti" riguardanti magistrati (art. 11): in tal caso la rimessione può essere chiesta anche in fase di indagini preliminari.
La rimessione non ha effetto sospensivo del processo, né efficacia invalidante sugli atti già compiuti. Il giudice può altresì pronunciare sentenza nonostante sia pendente l'istanza di rimessione: quella sarà nulla solo nel caso che la Corte di Cassazione accolga la richiesta di rimessione. L'originale formulazione dell'art. 47 non prevedeva tale possibilità. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 353/96 ha dichiarato illegittimo il divieto di pronunciare sentenza in pendenza di un'istanza di rimessione al fine di armonizzare l'esigenza di imparzialità del giudice con quella dell'efficienza del processo.
Al fine di garantire la completa imparzialità dell'organo giudicante, il codice di rito prevede alcune ipotesi di incompatibilità designando con tale termine la condizione in cui viene a trovarsi il giudice (non anche il P.M.) quando particolari condizioni processuali o personali fanno presupporre lesa la sua necessaria posizione super partes.
La incompatibilità determina la sostituzione della persona fisica del giudice con altro, appartenente allo stesso ufficio. L'eventuale provvedimento giurisdizionale adottato da un giudice "incompatibile" non è però affetto da nullità legittimando, la sua condizione, soltanto alla richiesta di ricusazione ai sensi dell'art. 37.
L'astensione è uno strumento preventivo, in capo al giudice, finalizzato ad eliminare qualsiasi sospetto sulla sua imparzialità. A costui è fatto obbligo di astenersi (art. 36) sia quando ricorrano motivi per i quali possa essere ricusato (comprese le ragioni di incompatibilità già viste), sia quando ricorra l'ipotesi generica delle altre "gravi ragioni di convenienza"[3].
Chiamato a accogliere o rigettare l'istanza di astensione è il presidente dello stesso ufficio giudiziario, ovvero il presidente dell'ufficio sovraordinato.
Anche la ricusazione è un istituto finalizzato a garantire la terzietà del giudice grazie alla sostituzione del giudice ricusato e alla possibile invalidazione degli atti da lui compiuti. Così come sancito dal primo comma dell'art. 37, la ricusazione ricorre qualora il giudice abbia indebitamente manifestato il proprio convincimento riguardo ai fatti oggetto dell'imputazione oppure ricorra una delle prime sette ipotesi previste dal primo comma dell'art. 36 (v. nota n. 2).
L'istanza di ricusazione si propone con dichiarazione della relativa causa giustificatrice, resa dal P.M. o dalle altre parti private ed è presentata, assieme ai documenti, nella cancelleria del giudice competente a decidere. Copia della dichiarazione è depositata nella cancelleria dell'ufficio cui è addetto il giudice ricusato. La dichiarazione, quando non è fatta personalmente dall'interessato, può essere proposta a mezzo del difensore o di un procuratore speciale. Nell'atto di procura, devono essere indicati, a pena di inammissibilità, i motivi della ricusazione.
La dichiarazione di ricusazione può essere proposta:
a) nell'udienza preliminare, fino a che non siano conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti;
b) nel giudizio, fino a che non sia scaduto il termine previsto dall'articolo 491 comma 1;
c) in ogni altro caso, prima del compimento dell'atto da parte del giudice.
Qualora la causa di ricusazione sia sorta o sia divenuta nota dopo la scadenza dei termini appena visti, la dichiarazione può essere proposta entro tre giorni. Se la causa è sorta o è divenuta nota durante l'udienza, la dichiarazione di ricusazione deve essere in ogni caso proposta prima del termine dell'udienza.
Il giudice ricusato non può pronunciare sentenza fino ad un eventuale rigetto della richiesta stessa di ricusazione. Questo limite, previsto dal secondo comma dell'art. 37, non trova però applicazione qualora l'istanza di ricusazione sia fondata sugli stessi motivi di istanza già respinta (C. Cost. n. 10/'97).
Le norme che disciplinano la competenza penale provvedono a quella divisione del lavoro che è essenziale per l'efficienza di ogni organizzazione. L'esigenza della determinazione di criteri di competenza nasce dalla ripartizione del territorio nazionale in una serie di ambiti territoriali e dalla coesistenza in uno stesso ambito di una pluralità di giudici. Ne deriva la necessità di individuare per ogni procedimento il suo giudice secondo un duplice criterio di collegamento dello stesso ad una delle circoscrizioni territoriali (competenza
per territorio) e, in relazione a queste ad uno degli organi giudiziari che ivi svolgono la loro funzione (competenza per materia). Esistendo, peraltro, fra l'elevato numero dei procedimenti l'esigenza di una trattazione unitaria di taluni di essi, per particolari ragioni, la competenza territoriale o quella per materia ovvero entrambe, subiscono modificazioni allorché uno dei procedimenti attrae nella cognizione del giudice presso cui esso si incardina anche gli altri (competenza per connessione).
La competenza per territorio individua orizzontalmente il giudice chiamato a pronunciarsi ed è generalmente determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone. Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto[4].
Un'importante ipotesi riguarda il caso in cui a rivestire la qualità di imputato, di persona offesa dal reato o danneggiata dal reato, sia un magistrato (art. 11). In tal caso - al fine di garantire il principio di imparzialità - i procedimenti che secondo le regole generali sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto in cui il magistrato esercita le sue funzioni ovvero le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello più vicino, salvo che in tale distretto il magistrato stesso sia venuto successivamente ad esercitare le sue funzioni. In tale ultimo caso è competente il giudice che ha sede nel capoluogo di altro distretto più vicino a quello in cui il magistrato esercitava le sue funzioni al momento del fatto[5].
La competenza per materia individua verticalmente il giudice attenendo alla distribuzione dei procedimenti tra i giudici aventi in comune una stessa giurisdizione territoriale. Il codice di rito prevede i casi di competenza per materia relativi alla Corte di Assise (art. 5) e al Pretore (art. 7) lasciando al Tribunale una competenza per materia di tipo residuale (art. 6).
La Corte di Assise è competente:
a) per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni, esclusi il delitto di tentato omicidio comunque aggravato e i delitti previsti dall'articolo 630 comma 1 del codice penale e dalla legge 22 dicembre 1975 n. 685;
b) per i delitti consumati previsti dagli articoli 579, 580, 584, 600, 601 e 602 del codice penale;
c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi previste dagli articoli 586, 588 e 593 del codice penale;
d) per i delitti previsti dalle leggi di attuazione della XII disposizione finale della Costituzione, dalla legge 9 ottobre 1967 n. 962 e nel titolo I del libro II del codice penale, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.
Il Pretore è competente per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva. Sono inoltre previste alcune ipotesi di reato tassativamente individuate dal secondo comma dell'art. 7 quali il furto aggravato, la ricettazione, la truffa aggravata, la violazione di domicilio, l'omicidio colposo, i maltrattamenti ecc.
Per il Tribunale dei Minorenni non sorge questione per materia, avendo essi cognizione di qualsiasi reato commesso da un minore.
La connessione comporta la transmigrazione di procedimenti separati innanzi ad un unico giudice. L'art. 12 prevede tre casi di connessione:
a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento;
b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso;
c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri o in occasione di questi ovvero per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità.
Il fenomeno della connessione comporta ripercussioni in tema di giurisdizione, competenza per materia e competenza per territorio.
L'art. 13 prevede il caso di connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali. In particolare, se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della Corte costituzionale, è competente per tutti quest'ultima. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare: in tale caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario. Nel caso contrario, se cioè il reato militare è più grave di quello comune, ognuno dei procedimenti continua per la propria strada.
La competenza per materia, consequenziale alla connessione, viene determinata attribuendosi al giudice di competenza superiore la cognizione di tutti i procedimenti, secondo una scala di priorità che va dalla Corte di Assise, al Tribunale e quindi al Pretore (art. 15).
La competenza per territorio è influenzata dalla connessione nel senso che fra i giudici, tutti esercitanti la stessa funzione, la cognizione spetta al giudice competente per il reato più grave, bastando il radicamento territoriale di questo a determinare, per attrazione, anche quello dell'altro. In caso di parti gravità si guarda al reato commesso per primo.
L'art. 14 prevede infine dei limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni. Innanzitutto la connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al momento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi a imputati maggiorenni. La connessione non opera, altresì, fra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi quando era maggiorenne. In altre parole per i reati di competenza del Tribunale dei minorenni la connessione dispiega i suoi effetti solo sul piano spaziale della competenza per territorio.
La riunione di processi pendenti nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice può essere disposta quando non pregiudichi la rapida definizione degli stessi:
a) nei casi previsti dall'articolo 12;
b) nei casi di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre;
c) nei casi in cui la prova di un reato o di una circostanza di esso influisce sulla prova di un altro reato o di una sua circostanza.
Se alcuni dei processi pendono davanti al tribunale collegiale ed altri davanti al tribunale monocratico, la riunione è disposta davanti al tribunale in composizione collegiale. Tale composizione resta ferma anche nel caso di successiva separazione dei processi.
Ai sensi dell'art. 18, la separazione di processi è disposta, salvo che il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti:
a) se, nell'udienza preliminare, nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni è possibile pervenire prontamente alla decisione, mentre nei confronti di altri imputati o per altre imputazioni è necessario acquisire ulteriori informazioni a norma dell'articolo 422;
b) se nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni è stata ordinata la sospensione del procedimento;
c) se uno o più imputati non sono comparsi al dibattimento per nullità dell'atto di citazione o della sua notificazione, per legittimo impedimento o per mancata conoscenza incolpevole dell'atto di citazione;
d) se uno o più difensori di imputati non sono comparsi al dibattimento per mancato avviso ovvero per legittimo impedimento;
e) se nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni l'istruzione dibattimentale risulta conclusa, mentre nei confronti di altri imputati o per altre imputazioni è necessario il compimento di ulteriori atti che non consentono di pervenire prontamente alla decisione.
Fuori da questi casi, la separazione può essere altresì disposta, sull'accordo delle parti, qualora il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo.
La violazione delle norme sulla competenza è assoggettata ad una serie di sanzioni processuali correlate al tipo di violazione.
L'incompetenza per materia è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo[6]: solo la formazione del giudicato sana il difetto . L'incompetenza per territorio è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro la costituzione per la prima volta delle parti in dibattimento. Entro quest'ultimo termine deve essere riproposta l'eccezione di incompetenza respinta nell'udienza preliminare.
L'incompetenza derivante da connessione trova il medesimo sbarramento previsto per la incompetenza per territorio.
Se il giudice riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa nel corso delle indagini preliminari, pronuncia ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero; se ciò avviene dopo la chiusura delle indagini preliminari (anche nel corso dell'udienza di primo grado), la dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente[8].
Infine, nel caso in cui l'incompetenza venga dichiarata dal giudice di appello, gli atti vanno trasmessi al P.M. presso il predetto giudice.
Quanto alle conseguenze, identiche per qualunque tipo di incompetenza, possiamo così sintetizzare:
a) le prove già acquisite restano efficaci;
b) le misure cautelari conservano una efficacia provvisoria limitata a venti giorni dalla dichiarazione di incompetenza. Entro tale termine il giudice competente deve, eventualmente, riemettere una nuova misura cautelare.
Vi è conflitto quando in qualsiasi stato e grado del processo:
a) uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona;
b) due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona[9].
Nel corso delle indagini preliminari, non può essere proposto conflitto positivo fondato su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione.
La soluzione del conflitto può derivare dal provvedimento di uno dei giudici che dichiara, anche di ufficio, la propria competenza o la propria incompetenza (art. 29) oppure demandata alla Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 30[10].
A seconda della forma che assumono, i provvedimenti del giudice possono essere la sentenza, l'ordinanza, il decreto. Vengono invece chiamati provvedimenti innominati tutti quegli atti del giudice privi di una specifica denominazione, ma identificati solo in relazione alla loro funzione (es. avvisi, inviti, disposizioni ecc.).
La sentenza è il provvedimento che il giudice emette a definizione del processo, e deve essere sempre motivata a pena di nullità. E' nulla, oltre che in questo caso, anche se manca od è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice. La sentenza è un provvedimento che può essere adottato a conclusione dell'udienza preliminare, degli atti preliminari al dibattimento o del dibattimento, del giudizio abbreviato, del patteggiamento od a seguito del procedimento in camera di consiglio[11]. Dal punto di vista formale la sentenza è costituita dall'intestazione, dalla motivazione e dal dispositivo. Nell'intestazione sono indicati il giudice e le generalità delle parti nei cui confronti è adottata la decisione. Nella motivazione il giudice espone le ragioni di fatto e di diritto della decisione. Il dispositivo è costituito dalla sintesi del contenuto della decisione.
L'ordinanza è il provvedimento con cui si risolvono questioni incidentali o singoli punti del processo, pertanto non costituisce una decisione nel merito e non esaurisce il rapporto processuale.
Al pari della sentenza l'ordinanza deve essere sempre motivata a pena di nullità. E' un provvedimento normalmente revocabile.
Costituisce, per così dire, la forma meno importante dei provvedimenti del giudice. L'obbligo di motivazione sussiste solo se espressamente previsto dalla legge. A differenza dell'ordinanza, il decreto è un provvedimento normalmente non revocabile.
Il pubblico ministero è l'organo affidatario dell'esercizio dell'azione penale. Durante le indagini preliminari il P.M. è il soggetto attivo del procedimento - quale titolare delle indagini stesse - con il compito di raccogliere le informazioni e le conoscenze utili al fine dell'esercizio dall'azione penale[12]; deve svolgere anche accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona indagata (art. 358). Nella fase processuale o dibattimentale rappresenta l'accusa trasformandosi da soggetto attivo a vera e propria parte processuale : perde il ruolo di preminenza e assume una posizione di parità dialettica con la controparte imputato. Il pubblico ministero è magistrato addetto alla procura della Repubblica. Le funzioni di P.M. sono esercitate nelle indagini preliminari e nel giudizio di primo grado, dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale o presso la pretura circondariale; nei giudizi di impugnazione dai magistrati della procura generale presso la Corte di appello o presso la Corte di Cassazione.
La funzione del P.M. è pubblica e obiettiva: pubblica perché l'importanza degli interessi in gioco (come ad esempio la libertà personale) richiedono che la funzione di accusa sia affidata ad un organo pubblico. E questo - appunto - per garantire l'obiettività dell'operato. Quest'ultima può essere sintetizzata nella formula che il P.M. è un terzo nell'azione allo stesso modo in cui il giudice è un terzo nella giurisdizione.
I vari uffici del pubblico ministero sono strutturati in livelli organizzativi comprendenti:
la Procura Generale presso la Corte di Cassazione;
le Procure Generali presso le Corti di Appello;
le Procure della Repubblica presso i Tribunali ordinari;
le Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni;
le Procure della Repubblica presso le Preture Circondariali.
Nei rapporti tra i diversi uffici del P.M. non esiste una relazione di superiorità gerarchica, ma di mera sovraordinazione, collegata alla progressione del processo al grado di giudizio successivo. La struttura unitaria dell'ufficio ha comportato la sottrazione ai singoli magistrati addetti alla procura del potere di iniziativa, dovendo essi limitarsi a segnalare al titolare del proprio ufficio le notizie di reato ad essi pervenute o comunque acquisite, spettando al dirigente la designazione del magistrato incaricato. Così pure spetta al titolare dell'ufficio decidere sulla dichiarazione di astensione degli altri magistrati e provvedere alla loro sostituzione. Ciò vale anche nelle ipotesi di incompatibilità.
In caso di contrasti negativi o positivi tra diversi uffici del P.M., ognuno dei quali declina la propria competenza, spetta al Procuratore Generale determinare quale ufficio deve procedere.
Per garantire l'obbligatorietà dell'azione penale di fronte ad eventuali ritardi o omissioni delle procure, l'art. 372 prevede l'istituto dell'avocazione delle indagini. In particolare, il procuratore generale presso la corte di appello dispone con decreto motivato, e assunte, quando occorre, le necessarie informazioni, l'avocazione delle indagini preliminari quando:
a) in conseguenza dell'astensione o della incompatibilità del magistrato designato non è possibile provvedere alla sua tempestiva sostituzione;
b) il capo dell'ufficio del pubblico ministero ha omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato per le indagini nei casi previsti di astensione ai sensi dell'articolo 36 comma 1 lettere a), b), d), e);
c) se le indagini collegate relative a gravi delitti non sono state coordinate dai P.M. competenti[14];
d) se non viene richiesta l'archiviazione od il rinvio a giudizio entro il termine di compimento delle indagini preliminari;
e) se il GIP non accoglie una richiesta di archiviazione;
Infine, il Procuratore Nazionale Antimafia può avocare le indagini relative ai delitti c.d. mafiosi quando esse non siano state coordinate con effettività ed efficienza dai PM competenti.
Per arginare la crescente diffusione dell'attività criminale organizzata, mafiosa e camorristica, il legislatore ha ritenuto opportuno concentrare in poche mani le indagini preliminari relative a tali tipi di reati.
A tal fine ha ampliato la sfera di competenza territoriale delle maggiori Procure della Repubblica con le disposizioni contenute nel D.L. n. 367/91 che ha modificato l'art. 51 del codice di rito. E' previsto infatti che allorché si proceda per delitti mafiosi consumati o tentati, lo svolgimento delle indagini preliminari siano affidate alla Procura della Repubblica del capoluogo del distretto di Corte di Appello ove a sede il giudice competente[15]. Lo stesso D.L., modificando l'ordinamento giudiziario , ha previsto che presso ogni Procura della Repubblica sita nel capoluogo di Corte di Appello, sia costituito uno specifico ufficio destinato alla cura delle predette indagini e denominato Direzione Distrettuale Antimafia. A tale direzione sono assegnati magistrati scelti direttamente dal Procuratore della Repubblica che assume in prima persona la guida della direzione, eventualmente affidandola ad un suo delegato.
La modifica della competenza per lo svolgimento delle indagini preliminari ha determinato anche una parallela modificazione della competenza territoriale del G.I.P.. Infatti, per i delitti di mafia, le funzioni di G.I.P. sono esercitate dal giudice per le indagini preliminari del capoluogo del distretto nel cui ambito è stato commesso il reato.
Il collegamento e il coordinamento di tutte le direzioni distrettuali antimafia è affidato ad una Direzione Nazionale Antimafia costituita nell'ambito della Procura Generale presso la Corte di Cassazione. Al suo vertice è destinato il Procuratore Nazionale Antimafia[17] scelto dal C.S.M. tra i magistrati con specifica competenza. Alla D.N.A. sono assegnati, in qualità di sostituti, magistrati, con qualifica non inferiore a quella di magistrato di Corte di Appello, anch'essi nominati dal C.S.M.
La polizia giudiziaria è quel settore particolare della forze dell'ordine cui è affidata la tutela dell'ordine pubblico. Nel procedimento è un soggetto ma non una parte. Deve prendere notizia di reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro necessario per l'applicazione della legge penale (art. 55). L'attività della polizia giudiziaria è svolta direttamente o per delega dell'Autorità giudiziaria. Essa è comunque alle dipendenze dell'Autorità giudiziaria, ed agisce sotto la direzione della stessa (art. 56)[18]. La polizia giudiziaria può raccogliere informazioni utili per le investigazioni, dall'indagato, anche senza l'assistenza del difensore, solo sul luogo e nell'immediatezza del fatto, al solo scopo dell'immediata prosecuzione delle indagini, nonché da persone informate sui fatti per cui si indaga (art. 350). Compie tutti gli atti delegati dal p.m., compreso l'interrogatorio dell'indagato (art. 370); procede all'arresto di chiunque è colto in flagranza di delitto (art. 380), e al fermo della persona gravemente indiziata di un delitto (art. 384).
Il recente D.L. 345/91, al fine di rendere più efficace la lotta alla criminalità organizzata, ha creato - in seno al Dipartimento di pubblica sicurezza - la Direzione Investigativa Antimafia , con il compito di assicurare lo svolgimento in modo coordinato delle investigazioni preventive e di polizia giudiziaria con riferimento ai delitti di associazione mafiosa e reati connessi.
Ai sensi dell'art. 57, salve le disposizioni delle leggi speciali, sono ufficiali di polizia giudiziaria:
a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti di custodia e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;
c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando dell'arma dei carabinieri o della guardia di finanza
Sono agenti di polizia giudiziaria:
a) il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio.
Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55[20].
Nell'ambito dei compiti ad essa demandati, la P.G. non incontra limitazioni sul piano investigativo, fino al momento in cui la direzione delle indagini venga assunta dal P.M.[21].
Fra gli atti cui sono legittimati i soli Ufficiali di P.G. di propria iniziativa possiamo ricordare:
il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato;
l'assunzione di sommarie informazioni dell'indagato (libero o arrestato o fermato[22]) o dell'imputato in procedimento connesso;
perquisizioni personali e locali.
Fra gli atti eseguibili dai soli Ufficiali di P.G. su delega della A.G.:
ispezioni di luoghi, cose o persone;
sequestro di documenti, titoli, valori e corrispondenza;
intercettazioni.
Fra gli atti eseguibili anche da parte dei semplici agenti di P.G.:
informativa di reato al P.M.;
identificazione dell'indagato;
ricezione passiva di dichiarazioni spontanee dell'indagato;
arresto in flagranza di reato.
Infine, fra gli atti eseguibili anche da semplici agenti su delega della A.G. possiamo ricordare l'esecuzione delle ordinanze del giudice per le indagini preliminari.
Il soggetto passivo del procedimento penale assume una denominazione diversa a seconda che sia o non sia ancora stata formalizzata l'incriminazione da parte del P.M. (art. 405). Più precisamente, la qualifica di imputato è quella che si riferisce al soggetto passivo del processo e quindi dopo che sia stata esercitata l'azione penale. Durante le indagini preliminari può solo parlarsi di persona sottoposta alle indagini, ciò a naturale garanzia del principio Costituzionale richiamato dall'art. 27 Cost.
L'assunzione della qualifica di imputato presuppone tre requisiti:
l'identificazione o personalizzazione dell'imputato, essendo inammissibile un imputazione contro ignoti[23];
l'esistenza in vita, in quanto la morte estingue il reato;
la capacità processuale, in quanto la dialettica paritaria a base del processo accusatorio richiede che l'indagato e l'imputato abbiano la capacità di intendere e di volere onde avvalersi consapevolmente delle garanzie ed esercitare i diritti di difesa sin dall'inizio del procedimento.
Fra i molteplici diritti di cui è titolare l'imputato, occorre ricordare:
il diritto a scegliersi un difensore;
il diritto di rivolgersi direttamente al giudice;
il diritto alla prova e all'incidente probatorio;
il diritto a partecipare al processo;
il diritto a non presenziare all'udienza;
il diritto a scegliere un rito alternativo;
il diritto alle impugnazioni;
il diritto a non rispondere in sede di interrogatorio.
L'interrogatorio costituisce senza dubbio l'atto più rilevante che coinvolge direttamente l'imputato o l'indagato. Esso può essere svolto dal giudice, dal P.M. o dalla P.G. su delega del P.M.[24].
Al fine di evitare che le dichiarazioni rese da una persona contro se stessa siano utilizzate aggirando la formalistica disciplina dell'interrogatorio, è previsto che le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza (art. 62).
Inoltre, se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona rende dichiarazioni in qualità di persona informata dei fatti dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame[25], avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese .
La parte civile costituisce un soggetto eventuale del processo penale. Diviene tale colui al quale il reato ha recato danno, (danneggiato o soggetto passivo del reato), e che esercita nel processo penale l'azione civile per il risarcimento del danno e le restituzioni (art. 74 c.p.p.). L'azione civile viene esercitata mediante la costituzione di parte civile nel processo penale (art. 76 c.p.p.). Tale costituzione avviene, a mezzo di difensore che può essere nominato anche procuratore speciale, non prima dell'udienza preliminare, e non dopo l'apertura del dibattimento. La parte civile può citare nel processo penale il responsabile civile. Può proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (art. 576 c.p.p.). Eccezionalmente può proporre impugnazione anche agli effetti penali contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione.
Il responsabile civile è colui che a norma delle leggi civili, deve rispondere civilmente, per il fatto dell'imputato. La responsabilità di tale soggetto è di natura civile e non penale. E' parte eventuale del processo penale. La presenza nel processo presuppone quella della parte civile, la quale esercita nei confronti del responsabile civile l'azione civile per il risarcimento del danno. Il responsabile civile può essere citato in giudizio ad opera della parte civile, del p.m., ovvero può intervenire volontariamente, sino all'apertura del dibattimento, se vi è costituzione di parte civile. Il responsabile civile deve costituirsi per il tramite di un procuratore speciale.
Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria è il soggetto civilmente obbligato a pagare una somma pari all'ammontare della multa o della ammenda inflitta al colpevole, nella ipotesi che il condannato sia insolvibile. La fattispecie sostanziale è prevista dagli artt. 196 e 197 del codice penale; essa concerne le persone rivestite di autorità o incaricate della direzione o vigilanza sul colpevole, sempre che si tratti di violazioni che esse siano tenute a fare osservare. Concerne altresì le persone giuridiche per fatti commessi dai propri rappresentanti, amministratori e dipendenti, in violazione degli obblighi inerenti a tali qualità, ovvero commessi nell'interesse dell'ente[27].
La persona offesa dal reato è il soggetto passivo del reato titolare del
bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice (art. 90 c.p.p.), leso dal reato. E' soggetto autonomo della fase procedimentale del processo, nella quale, tuttavia, non è parte in senso tecnico. Soltanto nella fase processuale potrà divenire parte, e quindi, domandare, costituendosi parte civile. La persona offesa dal reato può , in ogni stato grado del procedimento, e quindi anche nel processo, presentare memorie e indicare elementi di prova. Può chiedere al p.m. di fare istanza di incidente probatorio; può opporsi alla richiesta di archiviazione del p.m..
L'art. 91 prevede in capo agli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, la possibilità di esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. L'esercizio dei diritti e delle facoltà spettanti agli enti esponenziali è subordinato al consenso della persona offesa. Il consenso deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e può essere prestato a non più di uno degli enti o delle associazioni. Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento: la persona offesa che ha revocato il consenso non può prestarlo successivamente né allo stesso né ad altro ente o associazione.
Il difensore è una parte puramente formale del procedimento in quanto l'interesse sostanziale appartiene all'assistito. Egli interviene in funzione di assistenza - consistente in una collaborazione di natura tecnica - e rappresentanza - esplicantesi con la sostituzione del difensore al soggetto interessato nell'esercizio di diritti e facoltà.
L'imputato ha il diritto di scegliersi fino a due difensori di fiducia[28]. Qualora non provveda o non intenda avvalersi di tale diritto, sarà a lui assegnato un difensore di ufficio secondo i principi di sussidiarietà, obbligatorietà, immutabilità e precostituzione . In particolare, la difesa di ufficio:
è sussidiaria in quanto il difensore di ufficio cessa le sue funzioni non appena viene nominato un difensore di fiducia;
è obbligatoria in quanto il difensore designato non può rifiutare l'incarico né abbandonare la difesa;
è immutabile poiché il difensore non può essere sostituito né dal giudice né dal P.M.;
è precostituita giacché la designazione del difensore scaturisce da un meccanismo precostituito di individuazione.
Caratteri comuni alla difesa fiduciaria e di ufficio sono la effettività - competendo al difensore un ruolo dinamico, partecipativo e creativo, nella vicenda processuale - e la libertà - sia nella sfera spaziale che funzionale[30].
Il procedimento penale è per definizione una successione di atti - provenienti dai vari soggetti coinvolti nel procedimento - che presentano profili formali e sostanziali.
Gli atti assumono in genere la forma di verbali - contenenti le indicazioni della data di formazione, dei soggetti presenti, delle attività compiute - e recano la sottoscrizione degli intervenuti. Altri atti sono quelli tipici del giudice (sentenza, decreto, ordinanza).
Diversi dagli atti sono le copie (mere riproduzioni di atti), gli estratti (copie parziali) e i certificati (attestazioni del contenuto di altri atti).
Le esigenze di segretezza[31] e il correlato divieto di pubblicità delle attività investigative e processuali si fondano su una serie di valori meritevoli di tutela, quali la speditezza ed efficienza delle indagini preliminari, la presunzione di non colpevolezza, la corretta formazione del convincimento del giudice. La tutela della segretezza si scontra, peraltro, con la libertà di stampa, il diritto ad una piena informazione e il c.d. ruolo di controllo dell'opinione pubblica. Il punto di equilibrio è stato rinvenuto in una limitazione sia quantitativa degli atti segreti, sia temporale sulla durata della segretezza. L'art. 114 disciplina la materia nei seguenti termini:
è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto;
è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare;
se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. E' sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni;
è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'articolo 472 commi 1 e 2[32]. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di grazia e giustizia;
se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del punto 4;
è vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione
è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.
Il Titolo 5 del Libro Secondo del codice di rito è dedicato alle notificazioni. Queste consistono in quelle attività poste in essere per assicurare la conoscenza degli atti, esigenza fondamentale e insopprimibile considerando che il procedimento penale è appunto una serie di attività e di atti-documenti che si susseguono nel tempo[33].
Le notificazioni degli atti, salvo che la legge disponga altrimenti, sono eseguite dell'ufficiale giudiziario o da chi ne esercita le funzioni[34].
L'atto è notificato per intero, salvo che la legge disponga altrimenti. La consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria ha valore di notificazione. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta. La lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi che sono dati dal giudice verbalmente agli interessati in loro presenza sostituiscono le notificazioni, purché ne sia fatta menzione nel verbale .
Nei casi di urgenza, il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria o della polizia giudiziaria. Sull'originale dell'avviso o della convocazione sono annotati il numero telefonico chiamato, il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione, il suo rapporto con il destinatario, il giorno e l'ora della telefonata. Alla comunicazione si procede chiamando il numero telefonico corrispondente ai luoghi indicati nell'articolo 157 commi 1 e 2. Essa non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero da persona che conviva anche temporaneamente col medesimo. La comunicazione telefonica ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta, sempre che della stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma. Quando non è possibile procedere nel modo indicato nei commi precedenti, la notificazione è eseguita, per estratto, mediante telegramma.
Salvo quanto previsto dagli articoli 161 e 162, la prima notificazione all'imputato non detenuto è eseguita mediante consegna di copia alla persona. Se non è possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l'imputato esercita abitualmente l'attività lavorativa, mediante consegna a una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l'imputato ha temporanea dimora o recapito, mediante consegna a una delle predette persone. Il portiere o chi ne fa le veci sottoscrive l'originale dell'atto notificato e l'ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. La copia non può essere consegnata a persona minore degli anni quattordici o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere. L'autorità giudiziaria dispone la rinnovazione della notificazione quando la copia è stata consegnata alla persona offesa dal reato e risulta o appare probabile che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato. La consegna alla persona convivente, al portiere o a chi ne fa le veci è effettuata in plico chiuso e la relazione di notificazione è scritta all'esterno del plico stesso. Se le persone precedentemente indicate mancano o non sono idonee o si rifiutano di ricevere la copia, si procede nuovamente alla ricerca dell'imputato, tornando nei luoghi indicati prima. Se neppure in tal modo è possibile eseguire la notificazione, l'atto è depositato nella casa del comune dove l'imputato ha l'abitazione, o, in mancanza di questa, del comune dove egli esercita abitualmente la sua attività lavorativa. Avviso del deposito stesso è affisso alla porta della casa di abitazione dell'imputato ovvero alla porta del luogo dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa. L'ufficiale giudiziario dà inoltre comunicazione all'imputato dell'avvenuto deposito a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata.
Le notificazioni all'imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona. In caso di rifiuto della ricezione, se ne fa menzione nella relazione di notificazione e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell'istituto o a chi ne fa le veci. Nello stesso modo si provvede quando non è possibile consegnare la copia direttamente all'imputato, perché legittimamente assente. In tal caso, della avvenuta notificazione il direttore dell'istituto informa immediatamente l'interessato con il mezzo più celere. Le notificazioni all'imputato detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari sono eseguite secondo la disciplina vista per l'imputato non detenuto. Le disposizioni che precedono si applicano anche quando dagli atti risulta che l'imputato è detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione o è internato in un istituto penitenziario. In nessun caso le notificazioni all'imputato detenuto o internato possono essere eseguite con le forme dell'articolo 159 (irreperibilità).
Ai sensi dell'art. 161, il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato non detenuto né internato, lo invitano a dichiarare uno dei luoghi indicati nell'articolo 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni, avvertendolo che, nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini o di imputato, ha l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. Della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale. Fuori dal caso appena visto, l'invito a dichiarare o eleggere domicilio è formulato con l'informazione di garanzia o con il primo atto notificato per disposizione dell'autorità giudiziaria. L'imputato è avvertito che deve comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in caso di mancanza, di insufficienza o di inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni verranno eseguite nel luogo in cui l'atto è stato notificato. L'imputato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo e l'imputato che deve essere dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza, all'atto della scarcerazione o della dimissione ha l'obbligo di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore dell'istituto. Questi lo avverte, iscrive la dichiarazione o elezione nell'apposito registro e trasmette immediatamente il verbale all'autorità che ha disposto la scarcerazione o la dimissione. Se la notificazione nel domicilio determinato diviene impossibile, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Nello stesso modo si procede quando la dichiarazione o l'elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o inidonee .
Il domicilio dichiarato, il domicilio eletto e ogni loro mutamento sono comunicati dall'imputato all'autorità che procede, con dichiarazione raccolta a verbale ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore. La dichiarazione può essere fatta anche nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale l'imputato si trova. In quest'ultimo caso il verbale è trasmesso immediatamente all'autorità giudiziaria che procede. Analogamente si provvede in tutti i casi in cui la comunicazione è ricevuta da una autorità giudiziaria che, nel frattempo, abbia trasmesso gli atti ad altra autorità. Finché l'autorità giudiziaria che procede non ha ricevuto il verbale o la comunicazione, sono valide le notificazioni disposte nel domicilio precedentemente dichiarato o eletto.
L'irregolarità è qualsiasi vizio formale dell'atto non sanzionato dalla legge con la nullità. Quando si verifichi, il giudice deve provvedere alla sua eliminazione, eventualmente facendo ricorso alla correzione degli errori materiali.
Si tenga presente che ai sensi dell'art. 124 i magistrati, i cancellieri e gli altri ausiliari del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a osservare le norme processuali anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale. I dirigenti degli uffici vigilano sull'osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare.
La decadenza consiste nella perdita o estinzione del diritto o facoltà di porre in essere un atto del procedimento[37]. Il presupposto naturale è che l'atto non sia ancora stato compiuto; in caso contrario l'atto sarebbe inammissibile. Pertanto la decadenza può rilevare sotto il duplice aspetto di:
a) divieto di compiere l'atto (preclusione);
b) invalidità (inammissibilità) dell'atto eventualmente compiuto nonostante il divieto.
L'inutilizzabilità consiste nel divieto di utilizzazione di un atto. Tale divieto scaturisce dal fatto che molti atti hanno una fungibilità limitata ad una precisa fase procedurale. Di norma - ad esempio - gli atti validamente compiuti durante le indagini preliminari hanno valenza limitata a tale fase.
L'inutilizzabilità è prevista, in via generale, per la violazione dei divieti probatori. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono, infatti, essere utilizzate e l'inutilizzabilità è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
In base all'art. 177 c.p.p., l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge. E' questo il principio di tassatività delle nullità, per il quale nessuna irregolarità degli atti procedurali può essere assoggettata al regime delle nullità se non quando espressamente previsto dalla legge. Si definisce dunque nullità di un atto processuale l'invalidità espressamente comminata dalla legge per talune gravi violazioni di essa. Le nullità possono dividersi in due grandi categorie:
a) quelle speciali, determinate di volta in volta per casi particolari con previsione specifica;
b) quelle generali, previste una tantum per tutti i casi in cui poi concretamente possano verificarsi.
Le nullità di ordine generale sono previste dall'art. 178 c.p.p. e si distinguono a loro volta in:
a) nullità assolute[38], come tali deducibili in ogni stato e grado del procedimento dalle parti e rilevabili d'ufficio dal giudice; si tratta di nullità che non possono in alcun modo essere sanate, salvo quello che si dirà più avanti;
b) nullità c.d. intermedie[39], rilevabili d'ufficio o su istanza della parte che ha subito danno dalla violazione, purché non vi abbia dato causa; a differenza della assolute, sono sanabili, in quanto sono previsti precisi termini per la loro rilevabilità (le nullità verificatesi durante le indagini preliminari si eccepiscono o si rilevano prima della sentenza di primo grado; quelle verificatesi durante il giudizio si eccepiscono o si rilevano prima della sentenza di grado successivo), trascorsi i quali vengono appunto sanate;
c) il terzo gruppo di nullità è costituito da quella relative, cioè esclusivamente deducibili dalle parti, purché la parte che le eccepisce abbia interesse a farlo e non via abbia dato causa. Anche queste sono ovviamente sanabili, nel senso che vengono sanate se non dedotte nei termini previsti, e cioè dall'esito dell'udienza preliminare per le nullità verificatesi in tutta la fase che precede l'esito stesso; entro il termine previsto per le c.d. questioni preliminari ex art. 491 c.p.p., per le nullità attinenti al decreto che dispone il giudizio e agli atti introduttivi del dibattimento; con l'impugnazione della sentenza relativa per le nullità verificatesi durante il giudizio.
Si ricordi che per espressa disposizione dell'art. 182, comma 2 o , c.p.p. tutti i termini per rilevare o eccepire le nullità sono previsti a pena di decadenza; inoltre gli artt. 183 e 184 c.p.p. prevedono un regime differenziato di sanatoria, a seconda che si tratti di nullità intermedie e relative da un lato, e di quelle riguardanti notificazioni, avvisi e citazioni dall'altro: le prime vengono sanate se la parte interessata non le eccepisce, se accerta gli effetti dell'atto nullo, ovvero se si avvale della facoltà cui l'atto nullo è preordinato; le seconde sono sanate se la parte compare o rinuncia a comparire; se compare al solo fine di eccepire la nullità, ha diritto ad un termine per la difesa.
Per quanto attiene agli effetti delle nullità, l'art. 185 c.p.p. dispone che, una volta dichiarata dal giudice, la nullità di un atto travolge gli atti consecutivi dipendenti da quello dichiarato nullo; il giudice dispone la rinnovazione dell'atto dichiarato nullo, ponendo eventualmente le spese a carico di chi abbia dato seguito alla nullità con dolo o colpa grave. A causa della dichiarazione di nullità di un atto, poi, il procedimento regredisce allo stato e grado in cui l'atto si è verificato, salvo che si tratti di nullità concernente le prove. La nullità non dichiarata, anche se assoluta, non invalida il procedimento, che prosegue fino alla sua conclusione, tanto che il passaggio in giudicato della sentenza sana anche le nullità assolute.
L'inammissibilità riguarda gli atti di parte e - in particolare - le impugnazioni. SI verifica qualora manchino le condizioni richieste dalla legge per il compimento di un dato atto. E' rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento e si sana soltanto con il giudicato.
La prova è l'elemento, il segno, l'attività volta a fornire la conoscenza di un fatto altrimenti sconosciuto o incerto. La prova può quindi definirsi come l'insieme degli elementi sui quali si basa il convincimento del giudice. L'oggetto della prova o thema probandi è costituito da una affermazione probatoria, è l'ipotesi da verificare nel processo penale: si riferisce all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. La prova è storica quando rappresenta un fatto, narrato da un testimone o contenuto in un documento. La prova è critica quando rappresenta un fatto dal quale, induttivamente, se ne ricava uno ulteriore. La prova è, quindi, metodo conoscitivo utilizzato dal giudice, tramite mezzi specifici; testimonianza, documento, massima di esperienza. Distinto è l'indizio, segno di un fatto, non univoco, che può condurre a conclusioni anche oppose, secondo un metodo interpretativo di tipo induttivo. Soltanto in presenza di indizi gravi precisi e concordanti può desumersi l'esistenza di un fatto e quindi la prova dello stesso. Il codice vigente indica come oggetto della prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza, ed altresì i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali, nonché i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato, se vi è costituzione di parte civile. Ciò costituisce una innovazione rispetto al codice previgente, che si riferiva ai fatti necessari per l'accertamento della verità. L'innovazione risponde alla necessità di adeguare la disciplina della prova al sistema accusatorio introdotto dal nuovo codice. Le prove sono ammesse da parte del giudice a richiesta di parte; il giudice è titolare di un autonomo potere di assunzione di nuovi mezzi di prova, soltanto se risulta assolutamente necessario. Il giudice, sulle richieste di parte, esclude le prove vietate dalla legge e quelle che sono manifestamente infondate o irrilevanti. Vige, in materia, il principio dispositivo, che si ritrova anche nel processo civile, per il quale incombe alle parti, ed in particolare al p.m., provare il proprio assunto, e il giudice non può decidere se non sulla base di quanto provato dalle parti stesse, salvo l'eccezionale potere di acquisizione della prova d'ufficio conferito al giudice. Di norma la prova si deve formare al dibattimento, secondo il principio dell'oralità, avanti al giudice che poco o nulla sa dell'attività svolta in precedenza dalle parti, e dei risultati della stessa. Le attività di indagine preliminare non hanno valore di prova, ma debbono essere ripetute avanti al giudice del dibattimento, salvo che si opti per uno dei riti dell'alternativa indagatoria. La prova illegittimamente acquisita non è utilizzabile. Il giudice deve valutare la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, tenuto conto dell'esito complessivo dell'istruttoria.
Sono le cose, i documenti, o le persone da cui può scaturire la prova. Tali fonti preesistono al giudice, tanto che funzione essenziale della P.G. e del P.M. è proprio quella di assicurare le fonti di prova (art. 55).
I mezzi di ricerca della prova sono quegli strumenti volti all'acquisizione di mezzi di prova e cioè di cose materiali, tracce o dichiarazioni da cui si possa ricavare la prova: ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni).
L'ispezione delle persone, dei luoghi e delle cose è disposta con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi, alterati o rimossi, l'autorità giudiziaria descrive lo stato attuale e, in quanto possibile, verifica quello preesistente, curando anche di individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica.
Prima di procedere all'ispezione personale l'interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'articolo 120. L'ispezione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto. L'ispezione può essere eseguita anche per mezzo di un medico. In questo caso l'autorità giudiziaria può astenersi dall'assistere alle operazioni. Esecuzione di perquisizioni e ispezioni personali. Le ispezioni sono fatte eseguire da persona dello stesso sesso di quella che vi è sottoposta, salvi i casi di impossibilità o di urgenza assoluta o nel caso che le operazioni siano eseguite da persona esercente la professione sanitaria.
All'imputato e in ogni caso a chi abbia l'attuale disponibilità del luogo in cui è eseguita l'ispezione è consegnata, nell'atto di iniziare le operazioni e sempre che essi siano presenti, copia del decreto che dispone tale accertamento. Nel procedere all'ispezione dei luoghi, l'autorità giudiziaria può ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore.
Le ispezioni e le perquisizioni negli uffici dei difensori sono consentite solo quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati, limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito e al fine di rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.
Nell'accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell'ufficio di un difensore, l'autorità giudiziaria - nella persona del giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, del P.M.[40] - avvisa il consiglio dell'ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento. Tali formalità sono richieste a pena di nullità.
La perquisizione consiste in un'attività volta ad acquisire al processo il corpo del reato e in genere le cose pertinenti al reato, quelle cioè sulle quali o a mezzo delle quali fu commesso il reato e quelle che ne costituiscono il profitto, il prezzo o il prodotto o un mezzo di prova.
Quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato, è disposta perquisizione personale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato o dell'evaso, è disposta perquisizione locale. La perquisizione è disposta con decreto motivato[41]. L'autorità giudiziaria può procedere personalmente ovvero disporre che l'atto sia compiuto da ufficiali di polizia giudiziaria delegati con lo stesso decreto.
Se attraverso la perquisizione si ricerca una cosa determinata, l'autorità giudiziaria può invitare a consegnarla. Se la cosa è presentata, non si procede alla perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini[42].
Le cose rinvenute a seguito della perquisizione sono sottoposte a sequestro con l'osservanza delle prescrizioni degli articoli 259 e 260.
Prima di procedere alla perquisizione personale è consegnata una copia del decreto all'interessato, con l'avviso della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'articolo 120. La perquisizione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto.
Nell'atto di iniziare le operazioni, copia del decreto di perquisizione locale è consegnata all'imputato, se presente, e a chi abbia l'attuale disponibilità del luogo, con l'avviso della facoltà di farsi rappresentare o assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'articolo 120. Se tali persone mancano, la copia è consegnata e l'avviso è rivolto a un congiunto, un coabitante o un collaboratore ovvero, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. L'autorità giudiziaria, nel procedere alla perquisizione locale, può disporre con decreto motivato che siano perquisite le persone presenti o sopraggiunte, quando ritiene che le stesse possano occultare il corpo del reato o cose pertinenti al reato. Può inoltre ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse. Il trasgressore è trattenuto o ricondotto coattivamente sul posto.
La perquisizione in un'abitazione o nei luoghi chiusi adiacenti a essa può essere svolta solo fra le ore sette e le ore venti. Tuttavia nei casi urgenti l'autorità giudiziaria può disporre per iscritto che la perquisizione sia eseguita fuori dei suddetti limiti temporali.
Il sequestro - operato personalmente dall'autorità giudiziaria con decreto motivato, o da ufficiali della polizia giudiziaria delegati con lo stesso decreto - è un mezzo di ricerca della prova. Durante la fase delle indagini preliminari la polizia giudiziaria può disporre di propria iniziativa il sequestro solo nel caso in cui vi sia pericolo che le cose sequestrande si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non possa intervenire tempestivamente[43]. Nel caso ricorrano i presupposti previsti dall'art. 354 c.p.p. (pericolo di alterazione o dispersione) il difensore della persona sottoposta ad indagini ha facoltà di assistere alle operazioni di sequestro, non ha invece il diritto di essere preavvisato. Nel caso in cui sia direttamente il p.m. a compiere gli atti di sequestro chiede alla persona sottoposta alle indagini se sia assistita da un difensore di fiducia, qualora ne sia priva nomina uno d'ufficio. Il sequestro operato d'iniziativa dalla polizia giudiziaria deve essere convalidato dal p.m., il quale provvede entro le quarantotto ore successive alla trasmissione del verbale di sequestri, che deve avvenire ad opera della polizia giudiziaria senza ritardo e comunque non oltre le quarantotto ore successive al sequestro. Qualora il verbale del sequestro documenti un atto irripetibile, lo stesso confluirà nel fascicolo del dibattimento, dove confluiscono anche il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, purché non occorra custodirli altrove.
Le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria. Quando ciò non è possibile o non è opportuno, l'autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un altro custode giudiziario. All'atto della consegna, il custode è avvertito dell'obbligo di conservare e di presentare le cose a ogni richiesta dell'autorità giudiziaria nonché delle pene previste dalla legge penale per chi trasgredisce ai doveri della custodia. Al custode può essere imposta una cauzione. Dell'avvenuta consegna, dell'avvertimento dato e della cauzione imposta è fatta menzione nel verbale. La cauzione è ricevuta, con separato verbale, nella cancelleria o nella segreteria.
Le cose sequestrate si assicurano con il sigillo dell'ufficio giudiziario e con le sottoscrizioni dell'autorità giudiziaria e dell'ausiliario che la assiste ovvero, in relazione alla natura delle cose, con altro mezzo idoneo a indicare il vincolo imposto a fini di giustizia. L'autorità giudiziaria fa estrarre copia dei documenti e fa eseguire fotografie o altre riproduzioni delle cose sequestrate che possono alterarsi o che sono di difficile custodia, le unisce agli atti e fa custodire in cancelleria o segreteria gli originali dei documenti. Se si tratta di cose che possono alterarsi, l'autorità giudiziaria ne ordina, secondo i casi, l'alienazione o la distruzione.
L'autorità giudiziaria, quando occorre procedere alla rimozione dei sigilli, ne verifica prima l'identità e l'integrità con l'assistenza dell'ausiliario. Compiuto l'atto per cui si è resa necessaria la rimozione dei sigilli, le cose sequestrate sono nuovamente sigillate dall'ausiliario in presenza dell'autorità giudiziaria. L'autorità giudiziaria e l'ausiliario appongono presso il sigillo la data e la sottoscrizione.
Quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza. Se occorre, l'autorità giudiziaria prescrive di presentare a ogni richiesta le cose restituite e a tal fine può imporre cauzione. La restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro conservativo o preventivo: in altre parole il giudice può "trasformare" il sequestro probatorio in sequestro conservativo o in sequestro preventivo. Dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia disposta la confisca.
E' consentito all'autorità giudiziaria procedere al sequestro di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza, qualora abbia fondato motivo di ritenere essere spediti dall'imputato, o a lui diretti, anche sotto nome diverso o per mezzo di persona diversa o che comunque possono avere relazione con il reato. Allorché al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria, questi deve consegnare all'autorità giudiziaria gli oggetti di corrispondenza sequestrati, senza aprirli e senza prendere altrimenti conoscenza del loro contenuto. In caso di urgenza gli ufficiali di polizia giudiziaria ordinano a chi è preposto al servizio postale di sospendere l'inoltro degli oggetti di corrispondenza per i quali è consentito il sequestro a norma dell'art. 254 c.p.p., ma, se il p.m. entro quarantotto ore dall'ordine della polizia giudiziaria non dispone il sequestro, gli oggetti di corrispondenza sono inoltrati. Tutte le carte e i documenti sequestrati che non rientrano fra la corrispondenza sequestrabile sono immediatamente restituiti all'avente diritto e non possono essere comunque utilizzati.
L'autorità giudiziaria può procedere al sequestro presso banche di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa, anche se contenuti in cassette di sicurezza, quando abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all'imputato o non siano iscritti al suo nome. In questo caso specifico è escluso che il provvedimento di sequestro venga preceduto da un'informazione di garanzia a coloro ai quali risultano appartenere le cose sottoposte a sequestro.
Esse possono riguardare qualsiasi forma di telecomunicazione. L'intercettazione non è consentita per tutti i reati, le fattispecie per le quali essa è consentita sono elencati dall'art. 266 c.p., e sono:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni[44];
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono ;
g) delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale (pornografia minorile).
Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi di privata dimora, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa. Affinché si possa procedere ad un intercettazione è previsto un procedimento autorizzatorio che prevede una richiesta da parte del p.m.[45] ed una autorizzazione da parte del giudice per le indagini preliminari da concedersi nell'ipotesi che sussistano gravi indizi di reato e l'intercettazione sia assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.
I mezzi di prova sono gli strumenti attraverso i quali le fonti di prova producono la prova.
La testimonianza è il tipico mezzo di prova, che garantisce, ad un tempo, l'oralità della stessa e il diritto al contraddittorio attraverso il c.d. esame incrociato[47]. Oggetto della testimonianza sono fatti determinati, specifici e non giudizi sulla moralità dell'imputato o apprezzamenti personali.
Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre: in caso contrario le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone sono inutilizzabili, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni[48].
Ogni persona ha la capacità di testimoniare. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge. I risultati degli accertamenti che siano stati disposti prima dell'esame testimoniale non precludono l'assunzione della testimonianza[49].
L'art. 497 prevede gli atti preliminari all'esame dei testimoni. Questi sono esaminati l'uno dopo l'altro nell'ordine prescelto dalle parti che li hanno indicati. Prima che l'esame abbia inizio, il presidente avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità. Salvo che si tratti di persona minore degli anni quattordici, il presidente avverte altresì il testimone delle responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: «Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza». Lo invita quindi a fornire le proprie generalità. Tali formalità sono richieste a pena di nullità. Le domande sono rivolte direttamente dal pubblico ministero o dal difensore che ha chiesto l'esame del testimone. Successivamente altre domande possono essere rivolte dalle parti che non hanno chiesto l'esame, secondo l'ordine indicato nell'articolo 496. Chi ha chiesto l'esame può proporre nuove domande[50].
Quanto alle regole da seguire durante l'esame testimoniale l'art. 499 prevede che:
l'esame testimoniale si svolga mediante domande su fatti specifici;
nel corso dell'esame sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte;
nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte;
il presidente cura che l'esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona;
il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti;
durante l'esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni.
L'art. 500 disciplina le contestazioni ai testi. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto. Le parti possono procedere alla contestazione anche quando il teste rifiuta o comunque omette, in tutto o in parte, di rispondere sulle circostanze riferite nelle precedenti dichiarazioni. Le dichiarazioni utilizzate per la contestazione possono essere valutate dal giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata. Quando, a seguito della contestazione, sussiste difformità rispetto al contenuto della deposizione, le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e sono valutate come prova dei fatti in esse affermati se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità[51]. Le dichiarazioni così acquisite sono valutate come prova dei fatti in esse affermati quando, anche per le modalità della deposizione o per altre circostanze emerse dal dibattimento, risulta che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso ovvero risultano altre situazioni che hanno compromesso la genuinità dell'esame. Le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 costituiscono prova dei fatti in esse affermati, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dall'art. 500 .
Poiché il giudice non è detentore di una verità processualmente acquisita, allorché un testimone renda dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice può solo farglielo rilevare rinnovandogli, se del caso, l'avvertimento previsto dall'articolo 497/2 [53]. Allo stesso avvertimento provvede se un testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge e, se il testimone persiste nel rifiuto, dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge.
Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi di falsa testimonianza (art. 372 c.p.), ne informa il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti.
L'esame inerisce alle dichiarazioni rese in qualità di parte processuale, così come la testimonianza a quella di qualità di testimone: costituisce un mezzo di istruzione probatoria che ha luogo nelle sedi in cui si forma la prova (dibattimento o incidente probatorio) e che investe le parti processuali private[54].
Mentre i testimoni hanno l'obbligo di deporre, le parti hanno solo la facoltà di assoggettarsi ad esame, essendo esse titolari di un interesse proprio nel processo e quindi legittimate ad esercitare il diritto di difesa anche mediante il rifiuto dell'esame[55].
Ai sensi dell'art. 503 il presidente dispone l'esame delle parti che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano consentito, secondo il seguente ordine: parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e imputato. L'esame si svolge nei modi previsti dagli articoli 498 e 499. Ha inizio con le domande del difensore o del pubblico ministero che l'ha chiesto e prosegue con le domande, secondo i casi, del pubblico ministero e dei difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, del coimputato e dell'imputato. Quindi, chi ha iniziato l'esame può rivolgere nuove domande. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, il pubblico ministero e i difensori, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare la parte abbia già deposto. Le dichiarazioni utilizzate per la contestazione possono essere valutate dal giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata. Le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni.
Qualora fra due o più persone già esaminate o interrogate sussistano divergenze, il codice prevede l'istituto del confronto (art. 211). Il giudice, richiamate le precedenti dichiarazioni ai soggetti tra i quali deve svolgersi il confronto, chiede loro se le confermano o le modificano, invitandoli, ove occorra, alle reciproche contestazioni. Nel verbale è fatta menzione delle domande rivolte dal giudice, delle dichiarazioni rese dalle persone messe a confronto e di quanto altro è avvenuto durante il confronto.
La ricognizione mira alla individuazione di persone, cose ed altre realtà sensoriali ad opera di un soggetto chiamato in sede processuale a riconoscere persone ed oggetti già caduti sotto i suoi sensi.
Quando occorre procedere a ricognizione personale, il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese. Tali formalità sono richieste a pena di nullità.
In seguito, allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone il più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest'ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti, sin dove è possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione. Nuovamente introdotta quest'ultima, il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa[56].
Quando, invece, occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato, il giudice procede osservando le disposizioni dell'articolo 213, in quanto applicabili. Procurati, ove possibile, almeno due oggetti simili a quello da riconoscere, il giudice chiede alla persona chiamata alla ricognizione se riconosca taluno tra essi e, in caso affermativo, la invita a dichiarare quale abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa.
In entrambi i casi, nel verbale è fatta menzione, a pena di nullità, delle modalità di svolgimento e ricognizione. Il giudice può disporre che lo svolgimento della ricognizione sia documentato anche mediante rilevazioni fotografiche o cinematografiche o mediante altri strumenti o procedimenti.
L'esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso. L'esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo (art. 218).
In fase di indagini preliminari, le esigenze cognitive che sono a fondamento dell'esperimento giudiziale sono assicurate mediante "accertamenti tecnici" da parte del P.M. e mediante "atti o operazioni tecniche" da parte della P.G., sempre, però, nell'ottica di finalità investigative, e mai probatorie.
Ai sensi dell'art. 220, 1. la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche[57].
Quanto alle modalità di espletamento, il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina[58]. Il giudice affida l'espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline. Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti dall'articolo 36. La necessarietà della perizia comporta che essa possa essere disposta anche di ufficio dal giudice, nella sua funzione di garante della correttezza del processo e delle procedure volte ad acquisire la verità reale, al di là delle deficienze di impulso delle parti.
Disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti[59]. Ai sensi dell'art. 230, i consulenti tecnici possono assistere al conferimento dell'incarico al perito e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale. Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione. Se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare l'esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali .
Il giudice, accertate le generalità del perito, gli chiede se si trova in una delle condizioni di incapacità o incompatibilità previste dagli articoli 222 e 223, lo avverte degli obblighi e delle responsabilità previste dalla legge penale e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: «consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell'incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali». Il giudice formula quindi i quesiti, sentiti il perito, i consulenti tecnici, il pubblico ministero e i difensori presenti.
Concluse le formalità di conferimento dell'incarico, il perito procede immediatamente ai necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale. Se, per la complessità dei quesiti, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un termine al giudice. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla sostituzione del perito; altrimenti fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il perito stesso dovrà rispondere ai quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai consulenti tecnici. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità, il termine può essere prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per periodi non superiori a trenta giorni. In ogni caso, il termine per la risposta ai quesiti, anche se prorogato, non può superare i sei mesi. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato a presentare relazione scritta.
Il perito procede alle operazioni necessarie per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti dei quali la legge prevede l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento. Il perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all'esame delle parti e all'assunzione di prove nonché a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni. Qualora, ai fini dello svolgimento dell'incarico, il perito richieda notizie all'imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell'accertamento peritale. Quando le operazioni peritali si svolgono senza la presenza del giudice e sorgono questioni relative ai poteri del perito e ai limiti dell'incarico, la decisione è rimessa al giudice, senza che ciò importi sospensione delle operazioni stesse.
Il perito indica il giorno, l'ora e il luogo in cui inizierà le operazioni peritali e il giudice ne fa dare atto nel verbale. Della eventuale continuazione delle operazioni peritali il perito dà comunicazione senza formalità alle parti presenti.
A norma dell'art. 234, è consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo[61].
I documenti che costituiscono corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga. Inoltre è consentita l'acquisizione, anche di ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto.
E' consentita l'acquisizione dei certificati del casellario giudiziale, della documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale degli enti pubblici e presso gli uffici di sorveglianza nonché delle sentenze irrevocabili di qualunque giudice italiano e delle sentenze straniere riconosciute, ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato o della persona offesa dal reato, se il fatto per il quale si procede deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali di questa[62].
L'art. 238 disciplina l'acquisizione dei verbali di prove assunte in alti procedimenti. In particolare:
è ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento[63];
è ammessa l'acquisizione di verbali di prove assunte in un giudizio civile definito con sentenza che abbia acquistato autorità di cosa giudicata;
è comunque ammessa l'acquisizione della documentazione di atti che anche per cause sopravvenute non sono ripetibili;
Al di fuori dei casi appena visti, i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati nel dibattimento solo nei confronti dell'imputato che vi consenta; in mancanza di consenso, detti verbali possono essere utilizzati per le contestazioni.
Con lo strumento dell'incidente probatorio si rende possibile, durante la fase delle indagini preliminari, assumere, e dunque acquisire al processo, prove la cui assunzione non appare rinviabile al successivo dibattimento. Il legislatore ha ritenuto opportuno nell'art. 392 c.p.p. elencare le specifiche ipotesi in presenza delle quali procedere con incidente probatorio, con ciò volendo sostanzialmente scongiurare il pericolo che l'uso dell'istituto esorbiti dall'eccezionalità. Durante le indagini preliminari, dunque, sia il p.m. che la persona sottoposta ad indagini possono chiedere al giudice che si proceda con incidente probatorio[64]:
a) all'assunzione della testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento;
b) all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso;
c) all'esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri;
d) all'esame delle persone imputate in un procedimento connesso;
e) al confronto tra persone che in altro incidente probatorio o al pubblico ministero hanno reso dichiarazioni discordanti, quando ricorre una delle circostanze previste dalle lettere a) e b);
f) a una perizia o a un esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile;
g) a una ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento.
Il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono altresì chiedere una perizia che, se fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni .
La richiesta di incidente probatorio è depositata nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, unitamente a eventuali cose o documenti, ed è notificata a cura di chi l'ha proposta, secondo i casi, al pubblico ministero e alle persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova.
Entro due giorni dalla notificazione della richiesta, il pubblico ministero ovvero la persona sottoposta alle indagini può presentare deduzioni sull'ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, depositare cose, produrre documenti nonché indicare altri fatti che debbano costituire oggetto della prova e altre persone interessate. Copia delle deduzioni è consegnata dalla persona sottoposta alle indagini alla segreteria del pubblico ministero, che comunica senza ritardo al giudice le indicazioni necessarie per gli avvisi[65].
Poiché l'incidente probatorio si risolve nella immediata acquisizione della prova, esso comporta la c.d. discovery di risultanze investigative. Se tale discovery è promossa dall'indagato, essa talvolta può risultare pregiudizievole alle indagini in corso; in tal caso, il P.M. può provocare il differimento dell'incidente probatorio per il tempo strettamente necessario ad esperire quegli atti investigativi messi anzitempo a rischio dall'incidente probatorio. La contraria esigenza di acquisizione urgente della prova può comportare o il rigetto dell'istanza di differimento o l'abbreviazione dei termini per l'assunzione della prova.
L'udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore della persona sottoposta alle indagini. Ha altresì diritto di parteciparvi il difensore della persona offesa. La persona sottoposta alle indagini e la persona offesa hanno diritto di assistere all'incidente probatorio quando si deve esaminare un testimone o un'altra persona. Negli altri casi possono assistere previa autorizzazione del giudice. Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento. Il verbale, le cose e i documenti acquisiti nell'incidente probatorio sono trasmessi al pubblico ministero. I difensori hanno diritto di prenderne visione ed estrarne copia.
In tema di libertà personale, il quadro sistematico è dettato dall'art. 13 della Costituzione il quale, dopo aver premesso il principio che la libertà personale è inviolabile, sancisce che non è ammessa forma alcuna di detenzione di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di Pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
L'arresto in flagranza fa riferimento all'atto regolato dagli artt. 385-391 c.p.p., con il quale una persona viene privata della libertà personale, poiché colta nell'atto di commettere un reato, o sorpresa con cose e tracce con le quali appaia avere commesso poco prima un reato.
L'arresto si ripartisce in obbligatorio e facoltativo a seconda che la sua effettuazione sia un atto dovuto o un atto discrezionale. Per la previsione obbligatoria deve trattarsi di delitti non colposi riconducibili ad una indicazione generale (la cui pena prevista sia nel minimo non inferiore a 5 anni e nel massimo non inferiore a 20) o analitica (casi cioè espressamente indicati dal codice). Per la previsione facoltativa deve ugualmente trattarsi di delitti ma in questo caso anche colposi. Se trattasi di delitto doloso è previsto l'arresto facoltativo se la pena prevista per il reato è superiore nel massimo edittale a 3 anni; se trattasi di delitto colposo la pena prevista deve essere superiore nel massimo a 5 anni. Anche per l'arresto facoltativo, oltre ad una indicazione generale è prevista una elencazione analitica.
Infine è da notare che il comma 4-bis dell'art. 381, introdotto dalla L. 332/95, vieta l'arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria o dal pubblico al fine di evitare pericolose coazioni psicologiche che la minaccia dell'arresto potrebbe comportare.
Il fermo attribuisce alla polizia giudiziaria o al p.m. un potere di cattura di carattere discrezionale, non sottoposto, come l'arresto, al requisito della flagranza di reato. In pratica, il fermo consiste in una privazione della libertà dopo la quale trovano applicazione le medesime norme previste per l'arresto (artt. 385-391 c.p.p.): la diversità fra i due istituti si coglie però nell'ambito dei presupposti, delle finalità e della titolarità del potere. Per quanto concerne i presupposti si può osservare che il fermo richiede gravi indizi di reità unitamente a elementi specifici dai quali possa desumersi il pericolo di fuga; non è richiesta la flagranza. Infine, il fermo deve essere consentito in ordine al titolo del delitto (o per l'entità della pena o per espressa previsione: art. 384 c.p.p.). Di chiara evidenza risultano le finalità che possono riassumersi nell'intento di evitare che l'indagato possa fuggire, soprattutto nei casi in cui, difettando la flagranza, non si può legittimamente procedere all'arresto. Infine, si deve rilevare che la titolarità del potere di procedere al fermo appartiene tanto alla polizia giudiziaria che al p.m.; alla polizia giudiziaria, in particolare, prima dell'assunzione della direzione delle indagini da parte del p.m. o in caso di sopravvenute emergenze (come ex art. 384, comma 3 o ). Il fermo non è consentito quando il fatto commesso è non punibile o coperto da una causa di giustificazione (art. 385 c.p.p.). I doveri della polizia giudiziaria e i casi di immediata liberazione del fermato sono disciplinati dagli artt. 386 e 389.
Premesso che le misure in esame non sono consentite quando il fatto commesso appaia non punibile o coperto da una causa di giustificazione, i doveri della P.G. hanno i seguenti contenuti, secondo una scansione logico-cronologica:
immediata notizia al P.M. competente del luogo ove la misura è stata eseguita;
avvertimento al soggetto in vinculis della facoltà di nominare un difensore;
se necessario richiesta al P.M. di nominare un difensore di ufficio;
immediata informativa al difensore appena designato dello stato di restrizione;
messa a disposizione del P.M. entro 24 ore del soggetto fermato o arrestato;
invio al P.M. nello stesso termine del verbale di arresto;
avviso dell'arresto o del fermo ai familiari, con il consenso dell'interessato.
L'art. 389 prevede l'immediata liberazione del soggetto se risulta evidente che l'arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge o se la misura dell'arresto o del fermo è divenuta inefficace a norma degli articoli 386 comma 7 e 390 comma 3. La liberazione è altresì disposta prima dell'intervento del pubblico ministero dallo stesso ufficiale di polizia giudiziaria, che ne informa subito il pubblico ministero del luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito.
Entro 48 ore il p.m. deve richiedere al giudice per le indagini preliminari della stessa sede la convalida; nelle successive 48 ore il G.i.p. deve celebrare in Camera di consiglio l'udienza di convalida e decidere, a pena di cessazione di efficacia del fermo o dell'arresto (art. 390 c.p.p.). L'eventuale ordinanza di convalida del G.i.p. ha riguardo unicamente al controllo giurisdizionale sull'atto privativo di libertà operato dalla polizia giudiziaria e dal p.m., ma non è sufficiente da sola a consentire l'ulteriore continuazione dello stato di fermo: infatti, il G.i.p., se non emette anche una contestuale ordinanza per l'applicazione di una misura coercitiva deve, comunque, ordinare la immediata liberazione del fermato o dell'arrestato; in pratica, la restrizione della libertà prosegue solo se la contestuale richiesta di misura coercitiva è accolta dal G.i.p.. Avverso il provvedimento di convalida può essere proposto unicamente ricorso per Cassazione ex art. 391, commi 1 e 4; mentre contro l'eventuale misura cautelare adottata può essere esperito l'ordinario mezzo di impugnazione del riesame previsto ex art. 309 c.p.p..
Le misure cautelari possono essere adottate dall'Autorità giudiziaria sia nel corso delle indagini preliminari che nella seguente fase processuale; esse si dividono in misure cautelari personali e reali, le prime, poi, possono essere coercitive o interdittive. Ai fini dell'applicabilità di queste misure cautelari, è necessaria in primo luogo la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ed inoltre l'assenza di cause estintive del reato, della pena, di giustificazione e di non punibilità. E' altresì necessaria la presenza di esigenze cautelari; la legge ne prevede tre, in alternativa:
la prima, comunemente chiamata pericolo di inquinamento delle prove, é inerente ad esigenze di indagine, in relazione al pericolo per l'acquisizione delle prove e la salvaguardia della loro genuinità;
la seconda sussiste qualora vi sia la fuga od il concreto pericolo di fuga dell'imputato, se il giudice ritiene che possa essere irrogata una pena superiore e due anni di reclusione;
la terza, infine, posta a tutela della collettività, è integrata dal pericolo che egli commetta gravi delitti di violenza o contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede.
L'applicabilità delle misure coercitive incontra una soglia minima inerente alla gravità del delitto commesso, dovendo essere prevista una pena edittale superiore ad un certo limite. Le soglie di pena previste sono le seguenti:
delitto punibile con l'ergastolo o con pena superiore nel massimo a tre anni, per le misure diverse dalla custodia in carcere;
delitto punibile con l'ergastolo o pena non inferiore nel massimo a quattro anni, per la misura della custodia in carcere;
delitto punibile con l'ergastolo o pena non inferiore nel massimo a quattro anni, se l'esigenza cautelare da tutelare è quella del pericolo di commissione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede e la misura da adottare è la custodia cautelare.
Le misure cautelari devono essere applicate mediante un procedimento giurisdizionale e comunque con i criteri di adeguatezza e proporzionalità sanciti dall'art. 275. In particolare, nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata. Non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 416-bis c.p. (associazione mafiosa) o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l'età di settanta anni o che si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.
Le misure cautelari coercitive incidono sulla libertà personale degli individui, possono essere applicate qualora sia prevista una pena edittale superiore nel massimo a tre anni, e si suddividono in:
misure custodiali - che comportano la soppressione della libertà fisica - e sono la custodia cautelare in carcere, gli arresti domiciliari e la custodia cautelare in casa di cura[66]. Il periodo di sottoposizione alle misure custodiali è detratto dalla eventuale pena da espiare con la sentenza definitiva;
misure non custodiali - che implicano la limitazione, ma non la soppressione della libertà fisica - e sono il divieto di espatrio, il divieto o l'obbligo di dimora, l'obbligo della presentazione alla polizia giudiziaria.
Tali misure sono adottate con ordinanza del giudice su richiesta del p.m. e sono revocate quando ne cessano i presupposti di applicazione.
Con il provvedimento che dispone la custodia cautelare, il giudice ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria che l'imputato sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria. Prima del trasferimento nell'istituto la persona sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione della libertà, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione. Per determinare la pena da eseguire, la custodia cautelare subita si computa a norma dell'articolo 657, anche quando si tratti di custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio a norma dell'articolo 11 del codice penale.
Con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza. Quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono. Se l'imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa. Il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, anche di propria iniziativa, possono controllare in ogni momento l'osservanza delle prescrizioni imposte all'imputato. L'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare.
Se la persona da sottoporre a custodia cautelare si trova in stato di infermità di mente che ne esclude o ne diminuisce grandemente la capacità di intendere o di volere, il giudice, in luogo della custodia in carcere, può disporre il ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga. Il ricovero non può essere mantenuto quando risulta che l'imputato non è più infermo di mente.
Con il provvedimento che dispone il divieto di espatrio, il giudice prescrive all'imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice che procede. Il giudice dà le disposizioni necessarie per assicurare l'esecuzione del provvedimento, anche al fine di impedire l'utilizzazione del passaporto e degli altri documenti di identità validi per l'espatrio. Con l'ordinanza che applica una delle altre misure coercitive, il giudice dispone in ogni caso il divieto di espatrio.
Con il provvedimento che dispone il divieto di dimora, il giudice prescrive all'imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede. Con il provvedimento che dispone l'obbligo di dimora, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi, senza l'autorizzazione del giudice che procede, dal territorio del comune di dimora abituale ovvero, al fine di assicurare un più efficace controllo o quando il comune di dimora abituale non è sede di ufficio di polizia, dal territorio di una frazione del predetto comune o dal territorio di un comune viciniore ovvero di una frazione di quest'ultimo. Se per la personalità del soggetto o per le condizioni ambientali la permanenza in tali luoghi non garantisce adeguatamente le esigenze cautelari previste dall'articolo 274, l'obbligo di dimora può essere disposto nel territorio di un altro comune o frazione di esso, preferibilmente nella provincia e comunque nell'ambito della regione ove è ubicato il comune di abituale dimora. Quando dispone l'obbligo di dimora, il giudice indica l'autorità di polizia alla quale l'imputato deve presentarsi senza ritardo e dichiarare il luogo ove fisserà la propria abitazione. Il giudice può prescrivere all'imputato di dichiarare all'autorità di polizia gli orari e i luoghi in cui sarà quotidianamente reperibile per i necessari controlli, con obbligo di comunicare preventivamente alla stessa autorità le eventuali variazioni dei luoghi e degli orari predetti. Il giudice può, anche con separato provvedimento, prescrivere all'imputato di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro. Nel determinare i limiti territoriali delle prescrizioni, il giudice considera, per quanto è possibile, le esigenze di alloggio, di lavoro e di assistenza dell'imputato. Quando si tratta di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero nell'ambito di una struttura autorizzata, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il programma di recupero prosegua. Dei provvedimenti del giudice è data in ogni caso immediata comunicazione all'autorità di polizia competente, che ne vigila l'osservanza e fa rapporto al pubblico ministero di ogni infrazione.
Con il provvedimento che dispone l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, il giudice prescrive all'imputato di presentarsi a un determinato ufficio di polizia giudiziaria. Il giudice fissa i giorni e le ore di presentazione tenendo conto dell'attività lavorativa e del luogo di abitazione dell'imputato.
Le misure cautelari interdittive, invece, comportano la limitazione o la perdita di diritti e potestà e sono la sospensione dalla potestà di genitore; la sospensione da un pubblico ufficio o servizio; il divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali o professionali. Anche queste misure sono applicabili in presenza di una pena edittale superiore nel massimo a tre anni e sono adottate con provvedimento del giudice su richiesta del p.m.
Con il provvedimento che dispone la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori, il giudice priva temporaneamente l'imputato, in tutto o in parte, dei poteri a essa inerenti. Qualora si proceda per un delitto contro la libertà sessuale, ovvero per uno dei delitti previsti dagli articoli 530 e 571 del codice penale, commesso in danno di prossimi congiunti, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 287 comma 1.
Con il provvedimento che dispone la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice interdice temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti. Qualora si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione, la misura può essere disposta a carico del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 287 comma 1. Nel corso delle indagini preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all'interrogatorio dell'indagato, con le modalità indicate agli articoli 64 e 65. La misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare.
Con il provvedimento che dispone il divieto di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, il giudice interdice temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti. Qualora si proceda per un delitto contro l'incolumità pubblica o contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio ovvero per alcuno dei delitti previsti dalle disposizioni penali in materia di società e di consorzi o dagli articoli 353, 355, 373, 380 e 381 del codice penale, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 287 comma 1.
Le misure cautelari personali sono applicate con ordinanza del giudice su richiesta del P.M. Il giudice incontra un duplice limite nell'applicare la misura: non può andare oltre la richiesta del P.M., né può fondare la sua decisione su elementi di prova diversi da quelli forniti dallo stesso P.M.[67].
Competente (funzionalmente) a decidere nel corso delle indagini preliminari e il G.I.P.; nel corso dell'udienza preliminare è il G.U.P.; nel processo il giudice presso cui si procede[68].
Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza[69]. L'ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio :
a) le generalità dell'imputato o quanto altro valga a identificarlo;
b) la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate;
c) l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato;
d) l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure;
e) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di evitare l'inquinamento delle prove;
f) la data e la sottoscrizione del giudice.
L'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell'imputato, di cui all'articolo 358, nonché all'articolo 38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie. L'incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione.
Salvo quanto previsto dall'articolo 156 (notificazioni all'imputato detenuto), l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare consegna all'imputato copia del provvedimento e lo avverte della facoltà di nominare un difensore di fiducia, informa immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato a norma dell'articolo 97 e redige verbale di tutte le operazioni compiute. Il verbale è immediatamente trasmesso al giudice che ha emesso l'ordinanza e al pubblico ministero. Le ordinanze che dispongono misure diverse dalla custodia cautelare sono notificate all'imputato. Le ordinanze dopo la loro notificazione o esecuzione, sono depositate nella cancelleria del giudice che le ha emesse insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati con la stessa. Avviso del deposito è notificato al difensore. Copia dell'ordinanza che dispone una misura interdittiva è trasmessa all'organo eventualmente competente a disporre l'interdizione in via ordinaria.
Nel corso delle indagini preliminari, il giudice se non vi ha proceduto nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo di indiziato di delitto procede all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita[71]. Nel caso di assoluto impedimento, il giudice ne dà atto con decreto motivato e il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazione dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stesso.
Mediante l'interrogatorio il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste dagli articoli 273, 274 e 275. Quando ne ricorrono le condizioni, provvede, a norma dell'articolo 299, alla revoca o alla sostituzione della misura disposta[72].
Nei casi in cui l'ordinanza che dispone la misura cautelare rimanga senza applicazione a causa della irreperibilità del soggetto destinatario, viene compilato il processo verbale di vane ricerche ai sensi dell'art. 295. Tale situazione può portare alla declaratoria di latitanza qualora la misura si sostanzi in una privazione della libertà personale.
Le misure cautelari personali vivono all'interno del procedimento e possono perciò venire interessate da molteplici vicende sfocianti in una loro estinzione, modificazione o cumulo con altre misure.
Ai sensi dell'art. 299, le misure coercitive e interdittive sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità ovvero le esigenze cautelari. Qualora le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, il giudice sostituisce la misura con un'altra meno grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità meno gravose[73].
Il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può assumere l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. Se l'istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il giudice deve assumere l'interrogatorio dell'imputato che ne ha fatto richiesta.
Quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un'altra più grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità più gravose.
In ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato. Gli accertamenti sono eseguiti al più presto e comunque entro quindici giorni da quello in cui la richiesta è pervenuta al giudice. Se la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere è basata sulle condizioni di salute di cui all'articolo 275, comma 4 (madre incinta, ultrasettantenni ecc.), ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, o risultano in altro modo al giudice, questi, se non ritiene di accogliere la richiesta sulla base degli atti, dispone con immediatezza gli accertamenti medici del caso, nominando perito, il quale deve tener conto del parere del medico penitenziario e riferire entro il termine di cinque giorni, ovvero, nel caso di rilevata urgenza, non oltre due giorni dall'accertamento.
Le misure disposte in relazione a un determinato fatto perdono immediatamente efficacia quando, per tale fatto e nei confronti della medesima persona, è disposta l'archiviazione ovvero è pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. Se l'imputato si trova in stato di custodia cautelare e con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere è applicata la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, il giudice provvede a norma dell'art. 312. Quando, in qualsiasi grado del processo, è pronunciata sentenza di condanna, le misure perdono efficacia se la pena irrogata è dichiarata estinta ovvero condizionatamente sospesa. La custodia cautelare perde altresì efficacia quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorché sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia già subita non è inferiore all'entità della pena irrogata. Qualora l'imputato prosciolto o nei confronti del quale sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere sia successivamente condannato per lo stesso fatto, possono essere disposte nei suoi confronti misure coercitive quando ricorrono le esigenze cautelari del pericolo di fuga o della pericolosità sociale.
Le misure disposte per le esigenze cautelari di pericolo di inquinamento delle prove perdono immediatamente efficacia se alla scadenza del termine previsto dall'ordinanza che disponeva la misura, non ne è ordinata la rinnovazione. La rinnovazione è disposta dal giudice con ordinanza, su richiesta del pubblico ministero, anche per più di una volta, entro i limiti previsti dagli articoli 305 e 308. Quando si procede per reati per il cui accertamento sono richieste investigazioni particolarmente complesse per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese, ovvero per reati il cui accertamento è richiesto il compimento di atti di indagini all'estero, la custodia cautelare in carcere disposta per il compimento delle indagini non può avere durata superiore a trenta giorni. La proroga della medesima misura è disposta, per non più di due volte ed entro il limite complessivo di novanta giorni, dal giudice con ordinanza, su richiesta inoltrata dal pubblico ministero prima della scadenza, valutate le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per le cui esigenze la misura era stata disposta e previo l'interrogatorio dell'imputato.
La custodia cautelare disposta nel corso delle indagini preliminari perde immediatamente efficacia se il giudice non procede all'interrogatorio entro il termine previsto dall'art. 294. Dopo la liberazione, la misura può essere nuovamente disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, previo interrogatorio, allorché, valutati i risultati di questo, sussistono le condizioni indicate negli articoli 273, 274 e 275. Nello stesso modo si procede nel caso in cui la persona, senza giustificato motivo, non si presenta a rendere interrogatorio.
Ai sensi dell'art. 309/10, se la decisione sulla richiesta di riesame contro una misura coercitiva non interviene entro il decimo giorno, l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e l'indagato deve essere scarcerato.
La misura perde inoltre efficacia qualora l'autorità giudiziaria procedente, richiesta di inviare gli atti al Tribunale del riesame, non fa pervenire gli stessi entro cinque giorni dalla richiesta.
Tutte le misure cautelari sono, per loro essenza, sottoposte a termini di durata massima, che costituiscono un limite invalicabile per il giudice.
Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare perdono efficacia quando dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall'articolo 303 (termini di durata massima della custodia cautelare). Le misure interdittive perdono efficacia quando sono decorsi due mesi dall'inizio della loro esecuzione. In ogni caso, qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione anche al di là di due mesi dall'inizio dell'esecuzione, osservati i limiti previsti dal comma 1 dell'art. 308. L'estinzione delle misure non pregiudica l'esercizio dei poteri che la legge attribuisce al giudice penale o ad altre autorità nell'applicazione di pene accessorie o di altre misure interdittive.
Ai sensi dell'art. 27, dopo l'adozione della misura cautelare, se il giudice si dichiara incompetente, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente, quest'ultimo deve adottare nuovamente la misura, sotto pena di perdita di efficacia della misura già disposta.
Ai sensi dell'art. 303 la custodia cautelare perde efficacia quando[74]:
a) dall'inizio della sua esecuzione sono decorsi i seguenti termini senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata pronunciata una delle sentenze previste dagli articoli 442 e 561 (giudizio abbreviato), 448/1 e 563 (patteggiamento):
tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;
sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni, salvo quanto previsto dal punto numero 3;
un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni;
b) dall'emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado:
sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;
un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dal punto numero 1;
un anno e sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;
c) dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello:
nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni;
un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni;
un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni;
d) dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4.
La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305, non può superare i seguenti termini:
a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;
b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a);
c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni.
I termini di durata massima della custodia cautelare, previsti dall'articolo 303, sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310, nei seguenti casi:
a) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per esigenze di acquisizione della prova o a seguito di concessione di termini per la difesa;
b) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione, dell'allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati;
c) nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall'articolo 544, commi 2 e 3 (quindici giorni in caso non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi della sentenza; novanta giorni in caso di motivazione complessa);
I termini previsti dall'articolo 303 possono altresì essere sospesi, nella fase del giudizio, quando si tratta di reati indicati dall'articolo 407, comma 2, lettera a), nel caso di dibattimenti particolarmente complessi, durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni.
I termini previsti dall'articolo 303, comma 1, lettera a), sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310, se l'udienza preliminare è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nei punti a) e b) del presente paragrafo.
In ogni stato e grado del procedimento di merito, quando è disposta perizia sullo stato di mente dell'imputato, i termini di custodia cautelare sono prorogati per il periodo di tempo assegnato per l'espletamento della perizia[75]. Nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero può altresì chiedere la proroga dei termini di custodia cautelare che siano prossimi a scadere, quando sussistono gravi esigenze cautelari che, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi, rendano indispensabile il protrarsi della custodia. Il giudice, sentiti il pubblico ministero e il difensore, provvede con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310. La proroga è rinnovabile una sola volta .
Tutte le misure cautelari, sia personali che reali, sono impugnabili. Di solito sono presidiate da mezzi di impugnazione autonomi rispetto alla sentenza che definisce il giudizio onde garantire una pronta tutela al soggetto impugnante. Tuttavia, l'impugnabilità della misura coercitiva non implica necessariamente l'autonomia del mezzo di gravame: l'ordinanza cautelare coeva alla sentenza di merito - ad esempio - è impugnabile solo congiuntamente con la sentenza e con il mezzo per questa previsto.
I mezzi di impugnazione previsti per le ordinanze cautelari personali si articolano in due gradi, uno di merito e uno di legittimità:
gravame di merito: riesame o l'appello, in alternativa tra loro;
gravame di legittimità: ricorso per cassazione.
Entro dieci giorni dalla esecuzione o notificazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva (non anche interdittiva), l'imputato può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, salvo che si tratti di ordinanza emessa a seguito di appello del pubblico ministero[77].
Il difensore dell'imputato può proporre la richiesta di riesame entro dieci giorni dalla notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la misura[78]. La richiesta di riesame è presentata nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza. Il presidente cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno, trasmette al tribunale gli atti presentati a norma dell'articolo 291, comma 1, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini.
Con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare i nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio. L'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato, almeno tre giorni prima, al pubblico ministero presso il tribunale; esso è notificato, altresì, entro lo stesso termine, all'imputato ed al suo difensore. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il tribunale, se non deve dichiarare l'inammissibilità della richiesta, annulla, riforma e conferma l'ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame non interviene entro il termine prescritto, l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia.
Fuori dei casi previsti per il riesame (l'appello ha infatti una valenza residuale), il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, enunciandone contestualmente i motivi[79]. Dell'appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria precedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l'ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne la copia. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti. L'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva.
Contro le decisioni sul riesame o l'appello emesse a norma degli articoli 309 e 310, il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento. Il ricorso può essere proposto anche dal pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 dell'articolo 309. Entro i termini previsti dall'articolo 309 commi 1, 2 e 3, l'imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva. La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame. Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero in quella del giudice che ha emesso l'ordinanza. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla corte di cassazione. I motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, ma il ricorrente ha facoltà di enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'articolo 127.
In pendenza di procedimento penale possono essere provvisoriamente applicabili (in anticipo rispetto al giudicato penale) solo misure di sicurezza di tipo personale. Le misure in esame consistono in misure di sicurezza assai raramente applicabili, nel corso del procedimento penale, nei confronti dell'indagato in presenza di esigenze di cautela processuale. I presupposti sono la pericolosità sociale e criminale dell'indagato e le esigenze cautelari di cui all'art. 274.
Destinatari delle misure di sicurezza sono sia i soggetti imputabili che i soggetti semi-imputabili e non imputabili; alle prime due categorie di individui le misure di sicurezza si applicano cumulativamente alla pena, dando così vita al sistema del doppio binario, alla terza si applicano in modo esclusivo. Presupposti di applicazione sono la pericolosità sociale del soggetto, desunta dai parametri previsti dall'art. 133 c.p. e la commissione di un reato. Tuttavia, quest'ultimo requisito subisce due eccezioni tassativamente previste dalla legge: il giudice infatti può, nelle ipotesi di quasi-reato ex art. 115 c.p. (accordo criminoso non eseguito o istigazione a commettere un delitto non accolta, o accolta, ma non seguita dalla commissione del delitto) e di delitto impossibile ex art. 49 c.p., comminare l'applicazione di una misura di sicurezza a prescindere dalla commissione di un vero e proprio reato. Ai sensi dell'art. 203 c.p. deve ritenersi socialmente pericolosa la persona che è probabile che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato. A tal proposito, la l. n. 663 del 1986 (legge Gozzini) ha provveduto ad abolire ogni forma di presunzione legale di pericolosità, abrogando l'art. 204 c.p. e statuendo che tutte le misure di sicurezza personali possono essere applicate solo previo accertamento che colui che ha commesso il reato sia una persona socialmente pericolosa. Le misure di sicurezza vengono applicate dopo l'esecuzione della pena e sono indeterminate nel massimo essendo la loro durata collegata al protrarsi o alla cessazione della pericolosità sociale; ne è però fissata dalla legge un durata minima, ma il Tribunale di sorveglianza può, ricorrendone i presupposti, revocare la misura anche prima che sia decorso il tempo corrispondente a tale durata. Il c.p. distingue le misure di sicurezza in due categorie: personali e patrimoniali. Le misure di sicurezza personali si distinguono, poi, in detentive e non detentive. Sono misure di sicurezza detentive: 1) l'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro. Le misure di sicurezza in questione si applicano ai soggetti imputabili e pericolosi, generalmente a coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali professionali o per tendenza, oltre a chi si trova nelle situazioni descritte dall'art. 216 c.p.. La distinzione tra queste due misure di sicurezza dovrebbe essere colta in relazione al tipo di attività che vi si svolge: agricolo nella prima, artigianale o industriale nella seconda, ma tale differenziazione non ha trovato riscontro pratico. 2) Il ricovero in una casa di cura e di custodia. Questa misura ricomprende in sé sia istanze curative che custodialistiche ed è prevista principalmente per i condannati ad una pena diminuita per infermità psichica, per cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per sordomutismo. 3) Il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. Il manicomio giudiziario si applica: a) ai prosciolti per infermità psichica o per intossicazione cronica da alcool o da stupefacenti ovvero per sordomutismo, salve le eccezioni previste dalla legge; b) ai minori degli anni quattordici e ai minori tra gli anni quattordici e diciotto prosciolti per incapacità di intendere e di volere che abbiano commesso un reato negli stati di cui sopra; c) ai sottoposti ad altra misura di sicurezza detentiva colpiti da una infermità psichica tale da richiedere il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. 4) Il ricovero in un riformatorio giudiziario. Il ricovero nell'istituto in esame è riservato ai minori di età. Esso si prescrive: a) ai minor degli anni quattordici e ai minori degli anni diciotto riconosciuti non imputabili ex art. 98 c.p., che abbiano commesso un delitto doloso, preterintenzionale o colposo e siano considerati socialmente pericolosi; b) ai minori tra gli anni quattordici e diciotto riconosciuti imputabili condannati a pena diminuita; c) ai minori degli anni diciotto dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza; d) ai minori tra gli anni quattordici e diciotto condannati per delitto durante l'esecuzione di una misura di sicurezza precedentemente applicata per difetto di imputabilità; e) ai minori degli anni diciotto nell'ipotesi contemplata dall'art. 212 c.p. terzo comma. Sono misure di sicurezza non detentive: 1) la libertà vigilata: consiste in una serie di limitazioni della libertà personale del reo mediante prescrizioni di carattere sia positivo che negativo, aventi come scopo il reinserimento sociale dell'individuo e l'impedimento della commissione di nuovi reati. La sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata è affidata all'autorità di pubblica sicurezza; 2) il divieto di soggiorno in uno o di più comuni o in una o più province: questa misura si applica facoltativamente a coloro che abbiano commesso un delitto contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, oppure, nel caso di delitti politici o occasionati da particolari condizioni morali o sociali esistenti in un determinato luogo; 3) il divieto di frequentare osterie o pubblici spacci di bevande alcooliche: destinatari sono i condannati per ubriachezza abituale o per reati commessi in stato di ubriachezza, sempre che questa sia abituale; 4) l'espulsione dello straniero dallo Stato: si applica agli stranieri condannati alla reclusione per un periodo non inferiore a dieci anni ed alla reclusione, quale che sia la pena inflitta, per un delitto contro la personalità dello Stato. Sono misure di sicurezza patrimoniali: 1) la cauzione di buona condotta: ai sensi della l. n. 689 del 1981, la cauzione di buona condotta è data mediante deposito, nella Cassa delle ammende, di una somma non inferiore al lire duecentomila, né superiore a quattro milioni ovvero nella prestazione di una garanzia mediante ipoteca o fideiussione solidale; 2) la confisca: questa misura di sicurezza patrimoniale consiste nella espropriazione da parte dello Stato delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. La confisca, generalmente facoltativa, è invece obbligatoria qualora si tratti di cose che costituiscono il prezzo del reato; di cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione, o alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
Le misure cautelari reali sono misure che incidono sul patrimonio dell'imputato e determinano l'indisponibilità di cose o beni. Esse sono:
il sequestro conservativo sui beni mobili e immobili dell'imputato a garanzia delle pene pecuniarie, delle spese del procedimento e delle obbligazioni civili nascenti da reato;
il sequestro preventivo delle cose pertinenti al reato, la cui disponibilità potrebbe agevolare le conseguenze di esso o la commissione di altri reati.
Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, il pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili o immobili dell'imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento[80]. Il sequestro disposto a richiesta del pubblico ministero giova anche alla parte civile.
Il provvedimento che dispone il sequestro conservativo a richiesta del pubblico ministero o della parte civile è emesso con ordinanza del giudice che procede. Se è stata pronunciata sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere, soggetta a impugnazione, il sequestro è ordinato, prima che gli atti siano trasmessi al giudice dell'impugnazione, dal giudice che ha pronunciato la sentenza e, successivamente, dal giudice che deve decidere sull'impugnazione. Dopo il provvedimento che dispone il giudizio e prima che gli atti siano trasmessi al giudice competente, provvede il giudice per le indagini preliminari. Il sequestro è eseguito dall'ufficiale giudiziario con le forme prescritte dal codice di procedura civile per l'esecuzione del sequestro conservativo sui beni mobili o immobili [c.p.c. 678, 679]. Gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non è più soggetta a impugnazione.
Contro l'ordinanza di sequestro conservativo chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'articolo 324. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.
Se l'imputato o il responsabile civile offre cauzione idonea a garantire i crediti indicati nell'articolo 316, il giudice dispone con decreto che non si faccia luogo al sequestro conservativo e stabilisce le modalità con cui la cauzione deve essere prestata. Se l'offerta è proposta con la richiesta di riesame, il giudice revoca il sequestro conservativo quando ritiene la cauzione proporzionata al valore delle cose sequestrate[81].
Il sequestro conservativo si converte in pignoramento quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l'imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile[82]. Sul prezzo ricavato dalla vendita dei beni sequestrati e sulle somme depositate a titolo di cauzione e non devolute alla cassa delle ammende, sono pagate, nell'ordine, le somme dovute alla parte civile a titolo di risarcimento del danno e di spese processuali, le pene pecuniarie, le spese di procedimento e ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato.
Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato[83]. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se vi è richiesta di revoca dell'interessato, il pubblico ministero, quando ritiene che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria.
Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell'intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l'emissione del decreto entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate.
Contro il decreto di sequestro emesso dal giudice l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'articolo 324. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento. Fuori da questi casi il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero. Sull'appello decide, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento. L'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento.
Con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ancorché soggetta a impugnazione, il giudice ordina che le cose sequestrate siano restituite a chi ne abbia diritto, quando non deve disporre la confisca a norma dell'articolo 240 del codice penale. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Quando esistono più esemplari identici della cosa sequestrata e questa presenta interesse a fini di prova, il giudice, anche dopo la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere impugnata dal pubblico ministero, ordina che sia mantenuto il sequestro di un solo esemplare e dispone la restituzione degli altri esemplari. Se è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate. La restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'articolo 316.
Alla notizia di reato sono dedicati i sei articoli (artt. 330-335) che costituiscono il titolo II del libro quinto del c.p.p.. In pratica, la notitia criminis rappresenta l'inizio dell'attività procedurale vera e propria, la molla che fa scattare il meccanismo processuale. In base all'art. 330 c.p.p. il p.m. e la polizia giudiziaria prendono di propria iniziativa notizie di reato e ricevono quelle presentate o trasmesse loro mediante:
a) denuncia da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio: si tratta di un dovere che riguarda i soggetti indicati per quanto attiene ai reati perseguibili d'ufficio di cui vengano a conoscenza nell'esercizio o a causa delle loro funzioni;
b) informativa della P.G.: è una forma qualificata di denuncia da parte di pubblico ufficiale poiché quest'ultimo - differentemente dal caso precedente - è un agente o un ufficiale della P.G. e non un generico pubblico ufficiale;
c) denuncia da parte di privati: è genericamente una facoltà, attinente anche in questo caso a reati perseguibili d'ufficio; la legge determina però anche casi specifici in cui la denuncia è obbligatoria (ad es., reati contro la personalità dello Stato puniti con l'ergastolo; reati relativi ad infortuni sul lavoro da parte di datori di lavoro);
d) referto: è una segnalazione obbligatoria che riguarda soggetti (segnatamente, quelli che esercitano la professione sanitaria) che per la loro particolare condizione, possono venire a conoscenza di notizie di reato perseguibili d'ufficio. Il referto deve pervenire entro 48 ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente, al p.m. o all'ufficio di Polizia giudiziaria del luogo in cui è stata prestata assistenza. Nel caso intervengano più soggetti obbligati, il referto deve essere steso da tutti;
e) notizie atipiche: quali scritti anonimi e delazioni confidenziali.
Il p.m. iscrive in un apposito registro le notizie di reato, oltre al nome della persona cui il reato è attribuito. L'iscrizione della notizia di reato nel registro assume nel nuovo processo un'importanza notevole, poiché da tale momento decorrono:
i termini della durata delle indagini preliminari;
i 90 giorni utili al p.m. per richiedere il giudizio immediato (art. 454);
i sei mesi utili al p.m. per richiedere il decreto penale di condanna ex art. 459;
i 15 giorni utili al p.m. per presentare al giudice del dibattimento l'imputato reo confesso ex art. 449/5;
i 30 giorni utili al p.m. per richiedere l'autorizzazione a procedere ex art. 344.
E' un istituto posto in deroga al principio della obbligatorietà dell'azione penale, per cui in relazione ai reati perseguibili a querela, l'azione penale è procedibile soltanto a seguito dell'esercizio del diritto di querela da parte del titolare. Il diritto di querela (art. 120 c.p.) spetta al soggetto passivo del reato, ossia il titolare del bene tutelato dalla norma incriminatrice. Non spetta, invece, al danneggiato dal reato, titolare di diritti che soltanto eventualmente possono essere lesi dal reato. Titolare del diritto di querela può essere anche una persona giuridica. Con la presentazione della querela, l'offeso richiede che l'autorità competente eserciti l'azione penale circa determinati fatti. La querela può essere orale o scritta, deve essere presentata entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto (art. 124 c.p.). Il diritto di querela si estingue con la morte della persona offesa; se la querela è già stata proposta, la morte della persona offesa non estingue il reato.
L'istanza di procedimento è una condizione di procedibilità analoga alla querela, tanto che la sua proposizione segue le forme della querela (art. 341): consiste nella domanda con la quale il privato, persona offesa, chiede che si proceda contro i responsabili di taluni delitti commessi all'estero - che se fossero commessi nello Stato sarebbero perseguibili d'ufficio -da stranieri o da cittadini. L'istanza è irrevocabile e si estende di diritto a tutti gli autori del fatto reato.
La richiesta di procedimento, da parte del Ministro della giustizia, è necessaria per i delitti in danno del Presidente della Repubblica (sostituisce la querela) e per taluni delitti politici o comuni commessi all'estero dal cittadino o dallo straniero. A seconda dei delitti, è talvolta necessaria, ai fini dell'esercizio dell'azione penale, anche la presenza dell'imputato nel territorio dello Stato ed in più la querela dell'offeso, se il reato è punibile a querela di parte.
A differenza dell'istanza, che promana dalla persona offesa, la richiesta di procedimento promana da una Pubblica Autorità; questa deve presentarla in forma scritta al P.M. o ad un ufficiale di P.G.
L'autorizzazione costituisce una condizione di promuovibilità o di proseguibilità dell'azione penale a seconda che intervenga per rimuovere un ostacolo iniziale o sopravvenuto all'esercizio dell'azione punitiva.
Anche l'autorizzazione a procedere si risolve in una dichiarazione di volontà di una Pubblica Autorità diretta a consentire l'esercizio del magistero punitivo in considerazione della natura del reato (es. reati contro la personalità dello Stato o vilipendio alle assemblee legislative) o della qualità del soggetto[84].
Le condizioni appena esaminate attengono a profili processuali. Ne consegue che il difetto della condizione si riflette sul tipo di provvedimento in relazione al momento processuale in cui esso si verifica: archiviazione per improcedibilità, sentenza di non luogo a procedere nell'udienza preliminare o sentenza di non doversi procedere in dibattimento. Non entrando nel merito, tali provvedimenti non sono di ostacolo alla riapertura del procedimento contro la stessa persona per il medesimo fatto. In attesa della condizione di procedibilità è comunque possibile portare avanti le indagini preliminari e procedere eventualmente ad incidente probatorio.
Per garantire i possibili interessi dell'indagato e assicurare ritmi accelerati alla fase investigativa, il legislatore ha previsto - a pena di inutilizzabilità degli atti comunque compiuti - termini di durata massima delle indagini preliminari. Il termine ordinario è di 6 mesi a decorrere dall'iscrizione dell'indagato nel registro delle notizie di reato; di 1 anno se si procede per reati di particolare gravità (art. 407/2 lett. a). Tuttavia tali termini sono suscettibili di proroga secondo una previsione che ne affida il compito al G.I.P. e calibra il susseguirsi delle proroghe ad un criterio di gradualità. Il P.M., indicandone i motivi e prima della scadenza dei termini, chiede la proroga al G.I.P. il quale provvede a notificare tale richiesta ai controinteressati . Questi possono controdedurre presentando memorie. Il G.I.P., dopo le opportune valutazioni, provvede alla proroga senza altre formalità qualora sia convinto di tale esigenza; convoca tutti i soggetti interessati in camera di consiglio per discuterne qualora sussistano dubbi sull'opportunità della proroga stessa.
In caso di rigetto il G.I.P. impone al P.M. di prendere subito la decisione se archiviare il caso o rinviare a giudizio l'indagato. In caso di accoglimento della richiesta, il G.I.P. dispone la proroga per un massimo di 6 mesi. La reiterazione delle proroghe incontra un limite di 18 mesi nei casi ordinari e 2 anni nei casi di criminalità organizzata.
La richiesta di archiviazione è rivolta al giudice per le indagini preliminari da parte del p.m. qualora quest'ultimo ritenga che la notizia di reato sia infondata ovvero che manchi una condizione di procedibilità o che il reato sia estinto o che il fatto non sia previsto dalla legge come reato. Con la richiesta il p.m. trasmette al giudice il fascicolo contenente l'intera documentazione relativa alle indagini espletate. Il giudice decide sulla richiesta di archiviazione secondo uno schema analogo a quello previsto per la decisione sulla richiesta di proroga del termine di indagine. Se accoglie la richiesta, pronuncia, de plano, il relativo decreto; se allo stato non ritiene che sussistano i presupposti per l'archiviazione, fissa l'udienza in camera di consiglio, dandone comunicazione al p.m., alla persona sottoposta alle indagine e alla persona offesa. Il giudice è tenuto in ogni caso alla fissazione dell'udienza quando la persona offesa presenti motivata opposizione. All'esito dell'udienza il giudice decide con ordinanza, ricorribile per cassazione solo nei casi di nullità previsti dall'art. 127/5. Questa regola limitativa riguarda, letteralmente, la sola ordinanza di archiviazione[86]. Le alternative all'accoglimento della richiesta di archiviazione sono due. La prima, di carattere interlocutorio, consiste in una sorta di invito che il giudice rivolge al p.m. affinché questi svolga le ulteriori indagini che sono ritenute necessarie ai fini della decisione sull'archiviazione. La seconda concreta sostanzialmente una forma di esercizio coartato all'azione penale: il giudice che ritenga non sussistere i presupposti per l'archiviazione, dispone che il p.m. formuli
l'imputazione e fissa (eccezionalmente) ex officio l'udienza preliminare. Il provvedimento che dispone l'archiviazione non impedisce la riapertura delle indagini. Questa è però subordinata all'autorizzazione del giudice, il quale la concede se ritiene formulata l'esigenza di nuove investigazioni: non occorre quindi la sopravvenienza di nuove prove.
L'udienza preliminare opera solo nei procedimenti penali di competenza della Corte di assise e del Tribunale e non anche nel procedimento pretorile. Giorno, ora e luogo dell'udienza preliminare sono fissati dal G.i.p., entro due giorni dalla ricezione della richiesta di rinvio a giudizio. Della fissazione dell'udienza preliminare viene dato avviso all'imputato, alla persona offesa ed al p.m.. Con tale avviso l'imputato viene inoltre avvertito della facoltà di prendere visione di tutti gli atti di
indagine compiuti e contenuti nel fascicolo del p.m.. Si consente così all'imputato di prendere per la prima volta conoscenza di tutto il materiale investigatorio posto a supporto della richiesta di rinvio a giudizio. Prima di tale momento, difatti, gli atti di indagine, ad esclusione di quelli c.d. garantiti, risultano coperti da segreto. La funzione essenziale dell'udienza preliminare è quella di consentire, di fronte ad un giudice terzo - il G.U.P. - ed in contraddittorio, essendo difatti necessaria la partecipazione del p.m. e del difensore dell'imputato (art. 420 c.p.p.), una prima verifica della fondatezza dell'imputazione. Al termine dell'udienza preliminare se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero risulta che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile o comunque se viene rilevata la sussistenza di una causa di improcedibilità, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo (art. 425 c.p.p.). Diversamente, non sussistendo le condizioni ora descritte, il giudice pronuncia decreto che dispone il giudizio fissando altresì la data del dibattimento (art. 424 c.p.p.). L'udienza preliminare si svolge in camera di consiglio. Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti il giudice dichiara aperta la discussione. Il p.m. espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. L'imputato può chiedere di essere sottoposto a interrogatorio. Prendono poi la parola i difensori delle altre parti (imputato, parte civile ecc.) intervenute. Le conclusioni sono formulate sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del p.m. o di altri eventuali atti ammessi dal giudice prima della discussione (art. 421 c.p.p.). Se il giudice non ritiene di poter decidere allo stato degli atti può farsi luogo, nella medesima o in altra udienza e su sollecitazione del giudice medesimo, ad un supplemento probatorio mediante acquisizioni diverse (documenti, audizione di persone, interrogatorio ecc.). Se quindi la funzione primaria dell'udienza preliminare può dirsi quella di rappresentare una sorta di primo controllo giurisdizionale nei confronti dell'ipotesi accusatoria, non meno importante può dirsi la funzione dell'udienza preliminare rispetto all'instaurazione dei riti speciali deflattivi del dibattimento. Difatti, attraverso la conoscenza del fascicolo dell'accusa l'imputato si trova nella condizione di valutare l'opportunità di rinunciare all'udienza preliminare sia chiedendo il giudizio immediato, sia decidendo di percorrere riti alternativi premiali quale il patteggiamento o il giudizio abbreviato.
I procedimenti speciali si distinguono da quello ordinario, che prevede la sequenza così composta: indagini preliminari, udienza preliminare, dibattimento. I procedimenti speciali, o alternativi, differenziati, consentono di eliminare una delle fasi successive alle indagini preliminari, per giungere più rapidamente alla decisione finale. Essi sono:
a) riti dell'alternativa inquisitoria: il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio per decreto;
b) riti dell'alternativa accusatoria: il giudizio immediato, il giudizio direttissimo.
I primi consentono di definire il giudizio nel corso delle indagini preliminari o all'udienza preliminare; i secondi permettono il passaggio diretto dalle indagini preliminari al dibattimento.
Il giudizio abbreviato (artt. 438 ss. c.p.p.) che trae origine dall'esperienza del summary trial dei paesi di common law, può dirsi l'unico rito speciale assolutamente nuovo tra quelli previsti dalla riforma processuale. Esso consiste in un giudizio di merito allo stato degli atti che, sull'accordo delle parti, è attribuito al giudice dell'udienza preliminare, il quale decide sulla base degli stessi elementi (atti di indagine del p.m., atti e documenti ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione, prove eventualmente assunte nell'udienza preliminare) su cui normalmente egli si basa per pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio del p.m.. I vantaggi di questo rito, ai fini della economia del processo, sono evidenti. Essendo un giudizio allo stato degli atti (v. direttiva n. 53 legge-delega), non deve essere compiuta alcuna ulteriore attività rispetto a quella già svoltasi nell'udienza preliminare: non soltanto, quindi, questo tipo di giudizio evita l'appesantimento della fase dibattimentale, ma addirittura non comporta alcuna attività procedimentale che non sia quella collegata alla mera valutazione dell'ammissibilità del rito e ai meccanismi decisionali. Ancor più, il sostanziale risparmio (fino quasi all'azzeramento) di attività processuali riverbera i suoi effetti anche nei gradi successivi, tenuto conto dei consistenti limiti all'appello previsti dall'art. 443. Per favorire il ricorso a questo rito, il legislatore ha dovuto naturalmente prevedere aspetti di convenienza per le parti: l'imputato ha la prospettiva di vedersi sensibilmente ridotta la pena, nel caso di condanna; il p.m. quella della utilizzazione piena degli atti di indagine ai fini della decisione nel merito. Presupposto del giudizio abbreviato è l'accordo tra imputato e p.m., che può essere considerato un patteggiamento sul rito, a differenza di quello che è alla base del c.d. patteggiamento sul merito (applicazione della pena su richiesta: artt. 444 ss.). L'accordo si articola in una richiesta (proposta personalmente dall'imputato o da un suo procuratore speciale) diretta ad ottenere che il processo sia definita nell'udienza preliminare, e nel consenso del p.m.. Ai fini della decisione sulla introduzione del rito, il giudice deve solo valutare se la richiesta e il consenso siano stati validamente espressi e se egli sia in grado di definire il processo allo stato degli atti. Diversamente da quanto disposto per l'applicazione di pena su richiesta (artt. 446/6, e 448/1), non è previsto che il p.m. debba motivare il dissenso, né che il giudice possa sottoporlo a sindacato. Trattandosi di una valutazione allo stato, l'art. 440 opportunamente prevede che, in caso di rigetto, la richiesta possa essere riproposta sino a che non siano formulate le conclusioni dell'udienza preliminare: una volta acquisiti più completi elementi di valutazione, il giudice può infatti rivedere la sua decisione. Come si è detto, una volta introdottosi il rito abbreviato, il procedimento si riduce alla discussione finale e alla deliberazione (artt. 441 e 442). Essendo applicabili le forme dell'udienza preliminare (art. 441), si tratta di un giudizio che si svolge senza la presenza del pubblico. Non possono essere assunte nuove prove, ma restano utilizzabili quelle acquisite nell'udienza preliminare a norma dell'art. 422 quando il rito abbreviato sia stato introdotto dopo tale momento. Oltre che sugli atti acquisiti all'udienza preliminare, il giudice può qui fondare eccezionalmente il suo convincimento su tutte le risultanze dell'attività di indagine del p.m.. La sentenza da lui emessa ha il valore di una sentenza dibattimentale di primo grado (l'art. 442 rinvia per l'appunto agli artt. 529 ss.). Nel caso di condanna, la pena in concreto determinata (dopo cioè l'eventuale valutazione di circostanze) è diminuita di un terzo. Alla pena dell'ergastolo è sostituita la pena di trenta anni di reclusione. Allo scopo di facilitare in tutte le situazioni il ricorso al giudizio abbreviato, e anche per evitare ingiuste discriminazioni, sono stati previsti meccanismi di trasformazione del rito in quello abbreviato in tutti i casi in cui l'esercizio dell'azione penale sia avvenuto con modalità diverse dalla richiesta di rinvio a giudizio (v. artt. 452, 458, 461, 556, 557, 566).
Tale rito speciale consiste in un accordo tra l'imputato e la pubblica accusa, che può avere ad oggetto sia il tipo di reato per il quale si procede, sia il tipo sia la misura della pena. E' stipulato al fine di evitare il dibattimento e quindi l'intero svolgimento del processo. Presupposto principale è la confessione o la assunzione di responsabilità da parte dell'imputato del reato patteggiato con la pubblica accusa (plea of guilty, ammissione di colpevolezza). Con l'introduzione del processo penale di natura accusatoria, è stato previsto nell'ordinamento italiano l'istituto della applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.). L'ambito di applicazione è limitato ai reati per i quali è prevista una sanzione sostitutiva, o una pena pecuniaria, ovvero una pena detentiva che, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo, non superi i due anni. Nel nostro ordinamento, di civil law, l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio. La pubblica accusa non potrà rinunciare a perseguire un dato reato grave, per uno meno grave. La proposta può essere congiunta o provenire da una delle parti e accettata dall'altra. Il p.m. può dissentire, ma deve motivare tale dissenso. Le parti chiedono una decisione sul merito indicandone al giudice i termini: configurazione giuridica del fatto, tipo ed entità della pena. Il giudicante valuta l'insussistenza degli estremi del proscioglimento, l'esattezza della configurazione giuridica operata dalle parti, e la congruità della pena (art. 444/2; Corte Cost. 2 luglio 1990, n. 313). Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda: la sentenza che applica la pena richiesta non ha alcun effetto nel successivo giudizio civile (art. 445 c.p.p.). La sentenza che applica la pena concordata non è appellabile, ma solo ricorribile per Cassazione.
E' il tipo di procedimento in cui è più marcato il carattere di accusatorietà , attesa la contiguità temporale tra notitia criminis e giudizio e considerata l'assenza del filtro giurisdizionale rappresentato dall'udienza preliminare. Tenuto conto di tale suo connotato, e delle buone prove da esso fornite nella precedente esperienza giudiziale, il giudizio direttissimo è stato recuperato dalla legge-delega del 1987 (direttiva 43) dopo la soppressione che ne era stata fatta dalla delega del 1974. Accanto al tradizionale modulo arresto in flagranza-convalida-giudizio la delega ha esteso al procedimento davanti al tribunale e alla Corte di assise quello introdotto nel procedimento pretorile della l. 27 luglio 1984, n. 397 (che ha novellato l'art. 505 c.p.p.): arresto in flagranza-convalida contestuale al giudizio. Si è inoltre previsto che, a prescindere dai casi di arresto e dallo status detentionis, il p.m. possa condurre direttamente a giudizio l'imputato che nel corso dell'interrogatorio abbia reso confessione. Alla base di tutti questi moduli procedimentali vi è comunque una situazione di evidenza probatoria che, da un lato, non rende necessaria particolari indagini, dall'altro giustifica il mancato controllo giurisdizionale sulla devoluzione della re giudicanda alla sede dibattimentale.
Previsto dalla direttiva 44 legge-delega, il giudizio immediato denuncia, sin dalla sua denominazione, l'appartenenza ai riti acceleratori del dibattimento. L'immediatezza che lo caratterizza è rappresentata dalla mancanza di un filtro sulla fondatezza dell'azione penale. A differenza del giudizio direttissimo, qui l'introduzione della fase dibattimentale deve passare attraverso il vaglio del G.i.p. il quale peraltro non solo è chiamato a pronunciarsi in assenza di contraddittorio, ma si limita a verificare l'esistenza di alcuni presupposti di ammissibilità del rito. Quando la prova appare evidente il p.m., previa interrogatoria dell'imputato, può chiedere al G.i.p., entro novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p., l'instaurazione del giudizio a carico dell'imputato (artt. 453 e 454). Quale secondo presupposto del rito, l'art. 453 prevede il previo interrogatorio dell'imputato. La ratio della norma è chiara: se l'evidenza della prova può giustificare il sacrificio del contraddittorio giurisdizionalmente garantito, il passaggio della re giudicanda al dibattimento non può venire se l'imputato non è stato in grado di esprimere le proprie difese: queste saranno prese in esame dal giudice, il quale, anche sulla base di essi, dovrà decidere se la prova è veramente evidente. Poiché la legge si riferisce all'interrogatorio, senza ulteriori specificazioni, non importa che questo sia stato condotto dal p.m. (artt. 364/1, 374/2, 388) ovvero dal giudice. Il terzo presupposto del rito è di ordine temporale: la richiesta di p.m. è ammissibile solo se presentata non oltre novanta giorni dalla notizia di reato. Vi è qui una sorta di presunzione legale di non evidenza della prova nei casi in cui le indagini non si concludano in tempi ragionevolmente contenuti.
Il procedimento che sfocia nel decreto penale si prefigge di evitare sia l'udienza preliminare, sia il dibattimento. La fase che porta all'emissione del decreto ha natura puramente cartolare e non contempla alcun contraddittorio, nemmeno scritto, tra P.M. richiedente il decreto e imputato: è lo stesso decreto a fungere da atto di contestazione formale del fatto e da affermazione di colpevolezza con contestuale irrogazione della pena. Presupposti del rito in esame sono la perseguibilità d'ufficio del reato ascritto e la esclusiva pecuniarità della pena in concreto inflitta, anche se la pena pecuniaria può avere natura sostitutiva di pena detentiva. La richiesta di decreto deve intervenire entro sei mesi dalla data in cui l'interessato ha acquistato la qualità di indagato. Quanto alla convenienza del decreto penale per l'imputato, il legislatore ha previsto la possibilità di irrogare una pena pecuniaria ridotta sino alla metà del minimo edittale. Le esigenze di semplificazione processuale permangono anche nel caso in cui il condannato faccia opposizione al decreto giacché in tal caso egli non potrà avvalersi dell'usuale sequela - udienza preliminare e dibattimento - ma dovrà scegliere un altro dei residui riti alternativi: giudizio immediato, giudizio abbreviato o patteggiamento[87].
Il presidente del tribunale o della corte di assise, ricevuto il decreto che dispone il giudizio, può, con decreto, per giustificati motivi, anticipare l'udienza o differirla non più di una volta. Il provvedimento è comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private, alla persona offesa e ai difensori; nel caso di anticipazione, fermi restando i termini previsti dall'articolo 429 commi 3 e 4, il provvedimento è comunicato e notificato almeno sette giorni prima della nuova udienza.
Durante il termine per comparire, le parti e i loro difensori hanno facoltà di prendere visione, nel luogo dove si trovano, delle cose sequestrate, di esaminare in cancelleria gli atti e i documenti raccolti nel fascicolo per il dibattimento e di estrarne copia.
Nei casi previsti per l'incidente probatorio (art. 392), il presidente del tribunale o della corte di assise dispone, a richiesta di parte, l'assunzione delle prove non rinviabili, osservando le forme previste per il dibattimento. Del giorno, dell'ora e del luogo stabiliti per il compimento dell'atto è dato avviso almeno ventiquattro ore prima al pubblico ministero, alla persona offesa e ai difensori. I verbali degli atti compiuti sono inseriti nel fascicolo per il dibattimento.
Le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni, periti o consulenti tecnici devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame. Il presidente del tribunale o della corte di assise, quando ne sia fatta richiesta, autorizza con decreto la citazione dei testimoni, periti e consulenti tecnici indicati nelle liste, escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti[88]. I testimoni e i consulenti tecnici indicati nelle liste possono anche essere presentati direttamente al dibattimento. In relazione alle circostanze indicate nelle liste, ciascuna parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria lista, ovvero presentarli al dibattimento. La parte che intende chiedere l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale deve farne espressa richiesta unitamente al deposito delle liste. Se si tratta di verbali di dichiarazioni di persone delle quali la stessa o altra parte chiede la citazione, questa è autorizzata dal presidente solo dopo che in dibattimento il giudice ha ammesso l'esame a norma dell'articolo 495. Il presidente in ogni caso dispone di ufficio la citazione del perito nominato nell'incidente probatorio a norma dell'articolo 392/2.
Se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo.
La disciplina dell'udienza e la direzione del dibattimento sono esercitate dal presidente che decide senza formalità; in sua assenza la disciplina dell'udienza è esercitata dal pubblico ministero. Per l'esercizio delle funzioni indicate in questo capo, il presidente o il pubblico ministero si avvale, ove occorra, anche della forza pubblica, che dà immediata esecuzione ai relativi provvedimenti.
L'udienza è pubblica a pena di nullità. Non sono ammessi nell'aula di udienza coloro che non hanno compiuto gli anni diciotto, le persone che sono sottoposte a misure di prevenzione e quelle che appaiono in stato di ubriachezza, di intossicazione o di squilibrio mentale. Se alcuna di queste persone deve intervenire all'udienza come testimone, è fatta allontanare non appena la sua presenza non è più necessaria. Non è consentita la presenza in udienza di persone armate, fatta eccezione per gli appartenenti alla forza pubblica, né di persone che portino oggetti atti a molestare. Le persone che turbano il regolare svolgimento dell'udienza sono espulse per ordine del presidente o, in sua assenza, del pubblico ministero, con divieto di assistere alle ulteriori attività processuali. Per ragioni di ordine, il presidente può disporre, in casi eccezionali, che l'ammissione nell'aula di udienza sia limitata a un determinato numero di persone.
Il giudice dispone che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell'autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato. Su richiesta dell'interessato, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse all'assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione. Quando l'interessato è assente o estraneo al processo, il giudice provvede di ufficio. Il giudice dispone altresì che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene, quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze ovvero quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati. Il dibattimento relativo ai delitti di violenza sessuale si svolge a porte aperte; tuttavia, la persona offesa può chiedere che si proceda a porte chiuse anche solo per una parte di esso. Si procede sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne. In tali procedimenti non sono ammesse domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto. Il giudice può disporre che avvenga a porte chiuse l'esame dei minorenni.
L'art. 496 apre la disciplina relativa all'istruzione dibattimentale indicando l'ordine da seguire nell'assunzione delle prove. In particolare l'istruzione dibattimentale inizia con l'assunzione delle prove richieste dal pubblico ministero e prosegue con l'assunzione di quelle richieste da altre parti[89]. Le parti possono concordare un diverso ordine di assunzione delle prove.
Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prove.
Se nel corso dell'istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio, e non appartiene alla competenza di un giudice superiore, il pubblico ministero modifica l'imputazione e procede alla relativa contestazione[91]. Se a seguito della modifica il reato risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nei casi indicati dagli articoli 519 comma 2 e 520 comma 2, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata a norma dei medesimi articoli.
Qualora nel corso dell'istruzione dibattimentale emerga un reato connesso a norma dell'articolo 12 comma 1 lettera b)[92] ovvero una circostanza aggravante e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il giudizio, il pubblico ministero contesta all'imputato il reato o la circostanza, purché la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice superiore . Fuori da questi casi (previsti dall'articolo 517), il pubblico ministero procede nelle forme ordinarie se nel corso del dibattimento risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e per il quale si debba procedere di ufficio. Tuttavia il presidente, qualora il pubblico ministero ne faccia richiesta, può autorizzare la contestazione nella medesima udienza, se vi è consenso dell'imputato presente e non ne deriva pregiudizio per la speditezza dei procedimenti.
Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica. Il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518/2. Nello stesso modo il giudice procede se il pubblico ministero ha effettuato una nuova contestazione fuori dei casi previsti dagli articoli 516, 517 e 518/2.
Se, in seguito ad una diversa definizione giuridica o alle contestazioni previste dagli articoli 516 comma 1-bis, 517 comma 1-bis e 518, il fatto risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero. L'inosservanza di tale disposizione deve essere eccepita, a pena di decadenza, nei motivi di impugnazione.
Esaurita l'assunzione delle prove, il pubblico ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato formulano e illustrano le rispettive conclusioni. La parte civile presenta conclusioni scritte, che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare. Il presidente dirige la discussione e impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione. Il pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare; la replica è ammessa una sola volta e deve essere contenuta nei limiti strettamente necessari per la confutazione degli argomenti avversari. In ogni caso l'imputato e il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la domandano. La discussione non può essere interrotta per l'assunzione di nuove prove, se non in caso di assoluta necessità. Se questa si verifica, il giudice provvede a norma dell'articolo 507. Esaurita la discussione, il presidente dichiara chiuso il dibattimento.
La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento (art. 525). Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Se alla deliberazione devono concorrere i giudici supplenti in sostituzione dei titolari impediti, i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati. Salvo quanto previsto dall'articolo 528, la deliberazione non può essere sospesa se non in caso di assoluta impossibilità. La sospensione è disposta dal presidente con ordinanza.
Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide separatamente le questioni preliminari non ancora risolte e ogni altra questione relativa al processo. Qualora l'esame del merito non risulti precluso dall'esito della votazione, sono poste in decisione le questioni di fatto e di diritto concernenti l'imputazione e, se occorre, quelle relative all'applicazione delle pene e delle misure di sicurezza nonché quelle relative alla responsabilità civile. Tutti i giudici enunciano le ragioni della loro opinione e votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre. Il presidente raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per ultimo. Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per età. Se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggiore gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza. In ogni altro caso, qualora vi sia parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all'imputato.
Qualora sia necessaria la lettura del verbale di udienza redatto con la stenotipia ovvero l'ascolto o la visione di riproduzioni fonografiche o audiovisive di atti del dibattimento, il giudice sospende la deliberazione e procede in camera di consiglio alle operazioni necessarie, con l'assistenza dell'ausiliario ed eventualmente del tecnico incaricato della documentazione.
Con la sentenza di proscioglimento, il giudice ordina la liberazione dell'imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventualmente disposte. La stessa disposizione si applica nel caso di sentenza di condanna che concede la sospensione condizionale della pena.
Se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel dispositivo. Il giudice provvede nello stesso modo quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità è insufficiente o contraddittoria.
Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo:
a) se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione;
b) quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile;
c) se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse.
Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.
Salvo quanto disposto dall'articolo 129/2 (obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità), il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo. Il giudice provvede nello stesso modo quando vi è dubbio sull'esistenza di una causa di estinzione del reato.
Se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli, il giudice pronuncia sentenza di condanna applicando la pena e l'eventuale misura di sicurezza[94]. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione. Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale o professionale o per tendenza. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena o la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, provvede in tal senso con la sentenza di condanna.
La sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali relative ai reati cui la condanna si riferisce. I condannati per lo stesso reato o per reati connessi sono obbligati in solido al pagamento delle spese. I condannati in uno stesso giudizio per reati non connessi sono obbligati in solido alle sole spese comuni relative ai reati per i quali è stata pronunciata condanna. Sono poste a carico del condannato le spese di mantenimento durante la custodia cautelare, a norma dell'articolo 692. Qualora il giudice non abbia provveduto circa le spese, la sentenza è rettificata a norma dell'articolo 130.
Conclusa la deliberazione, il presidente redige e sottoscrive il dispositivo. Subito dopo è redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, vi si provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, il giudice, se ritiene di non poter depositare la sentenza nel termine previsto, può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia.
La sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante la lettura del dispositivo. La lettura della motivazione redatta a norma dell'articolo 544/1, segue quella del dispositivo e può essere sostituita con un'esposizione riassuntiva. La pubblicazione equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all'udienza.
Ai sensi dell'art. 546, la sentenza deve contenere:
a) l'intestazione «in nome del popolo italiano» e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata;
b) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private;
c) l'imputazione;
d) l'indicazione delle conclusioni delle parti;
e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie;
f) il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati;
g) la data e la sottoscrizione del giudice.
La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore[95]. Oltre che nel caso previsto dall'articolo 125/3 (forme dei provvedimenti del giudice), la sentenza è nulla se manca o è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice.
La sentenza è depositata in cancelleria immediatamente dopo la pubblicazione ovvero entro i termini previsti dall'articolo 544/2e3. Il pubblico ufficiale addetto vi appone la sottoscrizione e la data del deposito. Quando la sentenza non è depositata entro il trentesimo giorno o entro il diverso termine indicato dal giudice a norma dell'articolo 544/3, l'avviso di deposito è comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private cui spetta il diritto di impugnazione. E' notificato altresì a chi risulta difensore dell'imputato al momento del deposito della sentenza. L'avviso di deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso notificato all'imputato contumace e comunicato al procuratore generale presso la corte di appello.
Il procedimento pretorile è semplificato rispetto a quello ordinario, in quanto non prevede l'udienza preliminare. E' lo stesso p.m. e non il giudice per le indagini preliminari che emette decreto di citazione a giudizio ossia dispone il rinvio a giudizio dell'indagato, che forma il fascicolo per il dibattimento. Nel procedimento pretorile sono particolarmente incentivati i riti alternativi, in modo che il dibattimento divenga un'ipotesi eccezionale. Tali riti possono essere richiesti durante le indagini preliminari, ovvero entro quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione a giudizio. Diffuso nei procedimenti avanti al pretore è il procedimento per decreto. Nei reati perseguibili a querela è previsto il tentativo di conciliazione da parte del p.m., che può citare avanti a sé il querelante e il querelato al fine di verificare se il primo è disposto a rimettere la querela.
Il D.P.R. n. 448/'88 detta una normativa speciale relativa al procedimento a carico di minorenni, lasciando al codice di rito una funzione integrativa residuale. Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne. Il giudice illustra all'imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni.
Nel procedimento a carico di minorenni esercitano le funzioni rispettivamente loro attribuite, secondo le leggi di ordinamento giudiziario:
a) il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni;
b) il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni;
c) il tribunale per i minorenni;
d) il procuratore generale presso la corte di appello;
e) la sezione di corte di appello per i minorenni;
f) il magistrato di sorveglianza per i minorenni.
Per quanto attiene alla competenza, il tribunale per i minorenni è competente per i reati commessi dai minori degli anni diciotto; il tribunale per i minorenni e il magistrato di sorveglianza per i minorenni esercitano le attribuzioni della magistratura di sorveglianza nei confronti di coloro che commisero il reato quando erano minori degli anni diciotto. La competenza cessa al compimento del venticinquesimo anno di età.
Il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l'imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili. Agli stessi fini il pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, anche senza alcuna formalità.
L'assistenza affettiva e psicologica all'imputato minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altra persona idonea indicata dal minorenne e ammessa dall'autorità giudiziaria che procede. In ogni caso al minorenne è assicurata l'assistenza dei servizi indicati nell'articolo 6. Il pubblico ministero e il giudice possono procedere al compimento di atti per i quali è richiesta la partecipazione del minorenne senza la presenza di tali persone nell'interesse del minorenne o quando sussistono inderogabili esigenze processuali.
Sono vietate la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento. Tale disposizione non si applica dopo l'inizio del dibattimento se il tribunale procede in udienza pubblica.
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere all'arresto del minorenne colto in flagranza di uno dei delitti per i quali può essere disposta la misura della custodia cautelare. Nell'avvalersi di tale facoltà gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono tenere conto della gravità del fatto nonché dell'età e della personalità del minorenne.
E' consentito il fermo del minorenne indiziato di un delitto per il quale può essere disposta la misura della custodia cautelare, sempre che, quando la legge stabilisce la pena della reclusione, questa non sia inferiore nel minimo a due anni.
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o il fermo del minorenne ne danno immediata notizia al pubblico ministero nonché all'esercente la potestà dei genitori e all'eventuale affidatario e informano tempestivamente i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Quando riceve la notizia dell'arresto o del fermo, il pubblico ministero dispone che il minorenne sia senza ritardo condotto presso un centro di prima accoglienza o presso una comunità pubblica o autorizzata che provvede a indicare. Qualora, tenuto conto delle modalità del fatto, dell'età e della situazione familiare del minorenne, lo ritenga opportuno, il pubblico ministero può disporre che il minorenne sia condotto presso l'abitazione familiare perché vi rimanga a sua disposizione. Oltre nei consueti casi di immediata liberazione dell'arrestato o del fermato (art. 389 c.p.p.), il pubblico ministero dispone con decreto motivato che il minorenne sia posto immediatamente in libertà quando ritiene di non dovere richiedere l'applicazione di una misura cautelare. Al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza, il pubblico ministero può disporre che il minorenne sia condotto davanti a sé[96].
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accompagnare presso i propri uffici il minorenne colto in flagranza di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e trattenerlo per il tempo strettamente necessario alla sua consegna all'esercente la potestà dei genitori o all'affidatario o a persona da questi incaricata. In ogni caso il minorenne non può essere trattenuto oltre dodici ore. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all'accompagnamento ne danno immediata notizia al pubblico ministero e informano tempestivamente i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Provvedono inoltre a invitare l'esercente la potestà dei genitori e l'eventuale affidatario a presentarsi presso i propri uffici per prendere in consegna il minorenne. L'esercente la potestà dei genitori, l'eventuale affidatario e la persona da questi incaricata alla quale il minorenne è consegnato sono avvertiti dell'obbligo di tenerlo a disposizione del pubblico ministero e di vigilare sul suo comportamento. Quando non è possibile provvedere all'invito o il destinatario di esso non vi ottempera ovvero la persona alla quale il minorenne deve essere consegnato appare manifestamente inidonea ad adempiere l'obbligo di tenere il minore a disposizione del pubblico ministero e di vigilare sul suo comportamento, la polizia giudiziaria né dà immediata notizia al pubblico ministero, il quale dispone che il minorenne sia senza ritardo condotto presso un centro di prima accoglienza ovvero presso una comunità pubblica o autorizzata che provvede a indicare.
Nei confronti dell'imputato minorenne non possono essere applicate misure cautelari personali diverse da quelle previste dal D.P.R. in esame. Nel disporre le misure il giudice tiene conto, oltre che dei criteri indicati nell'articolo 275 del codice di procedura penale, dell'esigenza di non interrompere i processi educativi in atto[97]. Quando è disposta una misura cautelare, il giudice affida l'imputato ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, i quali svolgono attività di sostegno e controllo in collaborazione con i servizi di assistenza istituiti dagli enti locali. Le misure diverse dalla custodia cautelare possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Nella determinazione della pena agli effetti della applicazione delle misure cautelari si tiene conto, oltre che dei criteri indicati nell'articolo 278, della diminuente della minore età.
Se non risulta necessario fare ricorso ad altre misure cautelari, il giudice, sentito l'esercente la potestà dei genitori, può impartire al minorenne specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione. Le prescrizioni perdono efficacia decorsi due mesi dal provvedimento con il quale sono state impartite. Quando ricorrono esigenze probatorie, il giudice può disporre la rinnovazione, per non più di una volta, delle prescrizioni imposte. Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni, il giudice può disporre la misura della permanenza in casa.
Con il provvedimento che dispone la permanenza in casa il giudice prescrive al minorenne di rimanere presso l'abitazione familiare o altro luogo di privata dimora. Con il medesimo provvedimento il giudice può imporre limiti o divieti alla facoltà del minorenne di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono. Il giudice può, anche con separato provvedimento, consentire al minorenne di allontanarsi dall'abitazione in relazione alle esigenze inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione. I genitori o le persone nella cui abitazione è disposta la permanenza del minorenne vigilano sul suo comportamento. Essi devono consentire gli interventi di sostegno e di controllo dei servizi nonché gli eventuali ulteriori controlli disposti dal giudice. Il minorenne al quale è imposta la permanenza in casa è considerato in stato di custodia cautelare, ai soli fini del computo della durata massima della misura, a decorrere dal momento in cui la misura è eseguita ovvero dal momento dell'arresto, del fermo o dell'accompagnamento. Il periodo di permanenza in casa è computato nella pena da eseguire, a norma dell'articolo 657 del codice di procedura penale. Nel caso di gravi e ripetute violazioni degli obblighi a lui imposti o nel caso di allontanamento ingiustificato dalla abitazione, il giudice può disporre la misura del collocamento in comunità.
Con il provvedimento che dispone il collocamento in comunità il giudice ordina che il minorenne sia affidato a una comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione. Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte o di allontanamento ingiustificato dalla comunità, il giudice può disporre la misura della custodia cautelare, per un tempo non superiore a un mese, qualora si proceda per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
La custodia cautelare può essere applicata quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. Anche fuori dei casi predetti, la custodia cautelare può essere applicata quando si procede per uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 380/2, lettere e), f), g), h) del codice di procedura penale nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale.
Il giudice può disporre la custodia cautelare:
a) se sussistono gravi e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, in relazione a situazioni di concreto pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova;
b) se l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga;
c) se, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato, vi è il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quelli per cui si procede.
I termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale sono ridotti della metà per i reati commessi da minori degli anni diciotto e dei due terzi per quelli commessi da minori degli anni sedici e decorrono dal momento della cattura, dell'arresto, del fermo o dell'accompagnamento.
Durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento, il pubblico ministero chiede al giudice sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne. Sulla richiesta il giudice provvede in camera di consiglio sentiti il minorenne e l'esercente la potestà dei genitori, nonché la persona offesa dal reato. Quando non accoglie la richiesta il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero. Contro la sentenza possono proporre appello il minorenne e il procuratore generale presso la corte di appello. La corte di appello decide con le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale e, se non conferma la sentenza, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. Nell'udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice pronuncia di ufficio sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, se ricorrono le condizioni suddette.
Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione. Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. Contro l'ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore. La sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato. La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte. Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo.
Con la sentenza di condanna il giudice, quando ritiene di dover applicare una pena detentiva non superiore a due anni, può sostituirla con la sanzione della semidetenzione o della libertà controllata, tenuto conto della personalità e delle esigenze di lavoro o di studio del minorenne nonché delle sue condizioni familiari, sociali e ambientali. Il pubblico ministero competente per l'esecuzione trasmette l'estratto della sentenza al magistrato di sorveglianza per i minorenni del luogo di abituale dimora del condannato. Il magistrato di sorveglianza convoca, entro tre giorni dalla comunicazione, il minorenne, l'esercente la potestà dei genitori, l'eventuale affidatario e i servizi minorili e provvede in ordine alla esecuzione della sanzione a norma delle leggi vigenti, tenuto conto anche delle esigenze educative del minorenne.
L'udienza dibattimentale davanti al tribunale per i minorenni è tenuta a porte chiuse. L'imputato che abbia compiuto gli anni sedici può chiedere che l'udienza sia pubblica. Il tribunale decide, valutata la fondatezza delle ragioni addotte e l'opportunità di procedere in udienza pubblica, nell'esclusivo interesse dell'imputato. La richiesta non può essere accolta se vi sono coimputati minori degli anni sedici o se uno o più coimputati non vi consente. L'esame dell'imputato è condotto dal presidente. I giudici, il pubblico ministero e il difensore possono proporre al presidente domande o contestazioni da rivolgere all'imputato.
L'attività del giudice può essere inficiata da errori sia di fatto, sia di diritto: le impugnazioni sono gli strumenti tecnici predisposti per porre rimedio proprio a tali errori grazie ad un riesame delle acquisizioni di fatto e ad un controllo in punto di diritto. Il codice prevede tre gradi ordinari di giudizio, di cui due di merito ed uno di legittimità (oltre alla impugnazione straordinaria per revisione). I principi a fondamento del sistema di impugnazione sono quelli di tassatività, interesse ad impugnare, convertibilità dell'impugnazione, ricorribilità immediata in cassazione, rinunciabilità dell'impugnazione.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre impugnazione, nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero. Il procuratore generale può proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. L'impugnazione può essere proposta anche dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni. Il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni e che ne fa richiesta nell'atto di appello può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte di appello. La partecipazione è disposta dal procuratore generale presso la corte di appello qualora lo ritenga opportuno. Gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale.
L'imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima della emissione del provvedimento. Il tutore per l'imputato soggetto alla tutela e il curatore speciale per l'imputato incapace di intendere o di volere, che non ha tutore, possono proporre l'impugnazione che spetta all'imputato. Può inoltre proporre impugnazione il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine. Tuttavia, contro una sentenza contumaciale, il difensore può proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste. L'imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore.
La parte civile, la persona offesa, anche se non costituita parte civile, e gli enti e le associazioni intervenuti a norma degli articoli 93 e 94, possono presentare richiesta motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale. Il pubblico ministero, quando non propone impugnazione, provvede con decreto motivato da notificare al richiedente.
La parte civile può proporre impugnazione, con il mezzo previsto per il pubblico ministero, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. Con lo stesso mezzo e negli stessi casi può proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 442, quando ha consentito alla abbreviazione del rito. Lo stesso diritto compete al querelante condannato a norma dell'articolo 542.
La persona offesa costituita parte civile può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione.
Il responsabile civile può proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato e contro quelle relative alla condanna di questi e del responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali. L'impugnazione è proposta col mezzo che la legge attribuisce all'imputato. Lo stesso diritto spetta alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria nel caso in cui sia stata condannata. Il responsabile civile può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali.
L'impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, e sono enunciati:
a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione;
b) le richieste;
c) i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Salvo che la legge disponga altrimenti, l'atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto vi appone l'indicazione del giorno in cui riceve l'atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione. Le parti private e i difensori possono presentare l'atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all'estero. In tali casi, l'atto viene immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che emise il provvedimento impugnato.
Le parti e i difensori possono proporre l'impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto allega agli atti la busta contenente l'atto di impugnazione e appone su quest'ultimo l'indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione. L'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma. Se si tratta di parti private, la sottoscrizione dell'atto deve essere autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore.
A cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione è comunicato al pubblico ministero presso il medesimo giudice ed è notificato alle parti private senza ritardo.
Per una esigenza di concentrazione dei gravami e quindi di deflazione dei procedimenti, le ordinanze emesse nel corso del dibattimento debbono essere impugnate con la sentenza che lo definisce (art. 586). Ragioni di giustizia sostanziale comportano, per i gravami, la capacità di estensione dei loro effetti, quasi come fenomeno di espansione, per altro solo pro reo; e quindi in direzione favorevole agli altri imputati non impugnanti e alle parti private contigue agli interessi dell'imputato impugnante: responsabile civile e civilmente obbligato (art. 587).
Quanto ai termini, la disciplina è dettata dall'art. 585. Il termine per proporre impugnazione - a pena di decadenza - per ciascuna delle parti, è:
a) di quindici giorni, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall'articolo 544/1 ;
b) di trenta giorni, nel caso previsto dall'articolo 544/2;
c) di quarantacinque giorni, nel caso previsto dall'articolo 544/3.
I termini appena visti decorrono:
a) dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio;
b) dalla lettura del provvedimento in udienza, quando è redatta anche la motivazione, per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura;
c) dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza ovvero, nel caso previsto dall'articolo 548/2, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito;
d) dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito con l'estratto del provvedimento, per l'imputato contumace e per il procuratore generale presso la corte di appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello.
Quando la decorrenza è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo. Fino a quindici giorni prima dell'udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti. L'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi.
La proposizione del gravame, infine, può essere vanificata, oltre che dalla rinuncia (art. 589), dalla inammissibilità scaturente altresì da violazione delle suindicate norme in tema di forme e termini ad impugnare, interesse e legittimazione a dolersi o mera inoppugnabilità della decisione (art. 591). In ipotesi di vana proposizione del gravame e di esito sfavorevole dello stesso, l'impugnante subisce la sanzione processuale della condanna alle spese del procedimento stesso.
Quanto agli effetti, oltre a quello estensivo in bonam partem già esaminato, vanno ricordati quelli sospensivi e devolutivi.
L'effetto sospensivo attiene alla paralisi dell'esecuzione del provvedimento sia durante il termine per impugnare, sia durante la pendenza del giudizio di impugnazione[99].
L'effetto devolutivo, soggettivamente inteso, comporta che il giudizio di impugnazione è normalmente devoluto ad un giudice diverso, di regola superiore; oggettivamente inteso, concerne l'ampiezza di cognizione del giudice di impugnazione, che può estendersi all'intera materia trattata dal primo giudice ovvero a parte della stessa. Ne consegue che il giudice del gravame ha cognizione nei limiti del devoluto.
L'appello rappresenta un mezzo ordinario di impugnazione. Ai sensi dell'art. 593, il pubblico ministero e l'imputato possono appellare contro le sentenze di condanna o di proscioglimento. L'imputato non può appellare contro la sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. Sono inappellabili le sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda e le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa. Sono altresì inappellabili talune sentenze emesse con rito abbreviato (art. 443) e le sentenze di patteggiamento (art. 448/2).
Quanto all'individuazione del giudice competente, l'art. 596 prevede che:
a) sull'appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale decide la corte di appello;
b) sull'appello proposto contro le sentenze della corte di assise decide la corte di assise di appello.
Salvo quanto previsto dall'articolo 428 riguardo all'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, sull'appello contro le sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari [presso il tribunale], decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello, a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale o della corte di assise.
La sfera di cognizione del giudice d'appello è per sua natura più ristretta di quella del giudice di primo grado, sia perché non tutte le sentenze sono suscettibili di pervenire alla sua verifica, sia perché l'ambito di questa è variamente limitato.
L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Quando appellante è il pubblico ministero:
a) se l'appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;
b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.
Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti visti nel caso precedente, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado. In ogni caso, se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita. Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'articolo 69 del codice penale.
La parte che non ha proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la comunicazione o la notificazione previste dall'articolo 584. L'appello incidentale del pubblico ministero produce gli effetti previsti dall'articolo 597/2; esso tuttavia non ha effetti nei confronti del coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio di appello. L'appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell'appello principale o di rinuncia allo stesso.
L'esigenza di semplificare e quindi accelerare il corso del giudizio di impugnazione si rispecchia nella previsione di un rito camerale, accanto a quello dibattimentale, sempre ai fini della decisione sul gravame.
Il codice prevede tassativamente le ipotesi di adozione del rito camerale con le forme previste dall'articolo 127. In particolare, la corte provvede in camera di consiglio:
quando l'appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo. Il giudice, se ritiene di non potere accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento;
nelle ipotesi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, sia per la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ovvero preesistenti ma non assunte; nonché nelle ipotesi di rinnovazione-ripetizione di prove già assunte, allorché si tratti di imputato, contumace in primo grado, che ne faccia richiesta e si trovi nelle medesime situazioni che gli consentirebbero di ottenere la restituzione in termini (art. 603);
nei casi di provvisoria esecuzione dei capi civili sollecitata dalla parte civile e di richiesta di sospensione della esecutività della condanna provvisionale quando ricorrano gravi motivi (art. 600).
In tutti gli altri casi, si ricorre alla celebrazione dibattimentale.
Il presidente ordina senza ritardo la citazione dell'imputato appellante; ordina altresì la citazione dell'imputato non appellante se vi è appello del pubblico ministero, se ricorre alcuno dei casi previsti dall'articolo 587 o se l'appello è proposto per i soli interessi civili. Quando si procede in camera di consiglio a norma dell'articolo 599, ne è fatta menzione nel decreto di citazione. Il termine per comparire non può essere inferiore a venti giorni. E' ordinata in ogni caso la citazione del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e della parte civile; questa è citata anche quando ha appellato il solo imputato contro una sentenza di proscioglimento. Almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato avviso ai difensori. Il decreto di citazione è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dall'articolo 429 comma 1 lettera f).
Nell'udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. Se le parti richiedono concordemente l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell'articolo 599 comma 4, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone la prosecuzione del dibattimento[100]. Nel dibattimento può essere data lettura, anche di ufficio, di atti del giudizio di primo grado nonché, entro i limiti previsti dagli articoli 511 e seguenti, di atti compiuti nelle fasi antecedenti.
Quando una parte, nell'atto di appello o nei motivi presentati ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l'assunzione di nuove prove, il giudice se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale[101]. Il giudice dispone, altresì, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'imputato, contumace in primo grado, ne fa richiesta e prova di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore o per non avere avuto conoscenza del decreto di citazione, sempre che in tal caso il fatto non sia dovuto a sua colpa, ovvero, quando l'atto di citazione per il giudizio di primo grado è stato notificato mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli articoli 159, 161 comma 4 e 169, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento. Alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si procede immediatamente. In caso di impossibilità, il dibattimento è sospeso per un termine non superiore a dieci giorni.
Il processo di appello può chiudersi con quello che viene definito il patteggiamento in appello. Trattasi di una forma semplificata del processo - esperibile, a seconda del momento in cui è domandata, in camera di consiglio o in udienza pubblica - consistente in un accordo sostanziale sul contenuto della emananda decisione per i capi diversi dalla responsabilità penale. Anche nei casi in cui non interviene o non è ammissibile il patteggiamento, il processo è comunque definito con sentenza trattandosi di provvedimento decisorio di un grado di giudizio. Viene, invece, emessa ordinanza di inammissibilità, anche questa ricorribile per cassazione, nei casi in cui l'appello non sia stato validamente instaurato.
L'art. 604 prevede le questioni di nullità delle sentenze annullate. In particolare, il giudice di appello, nei casi previsti dall'articolo 522, dichiara la nullità in tutto o in parte della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, quando vi è stata condanna per un atto diverso o applicazione di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti[102]. Quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state applicate circostanze aggravanti diverse da quelle viste nel paragrafo precedente, il giudice di appello esclude le circostanze aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e ridetermina la pena. Quando vi è stata condanna per un reato concorrente o per un fatto nuovo, il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni. Il giudice di appello, se accerta una delle nullità indicate nell'articolo 179, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado, la dichiara con sentenza e rinvia gli atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. Nello stesso modo il giudice provvede se accerta una delle nullità indicate nell'articolo 180 che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado. Se si tratta di altre nullità che non sono state sanate, il giudice di appello può ordinare la rinnovazione degli atti nulli o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non fornisce elementi necessari al giudizio. Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito. Quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione, il giudice di appello, se riconosce erronea tale decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento fissando un termine massimo non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute. Se il pagamento avviene nel termine, il giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento.
Fuori da tutti questi casi (previsti dall'art. 604), il giudice di appello pronuncia sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata. Le pronunce del giudice di appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive. Copia della sentenza di appello, con gli atti del procedimento, è trasmessa senza ritardo, a cura della cancelleria, al giudice di primo grado, quando questi è competente per l'esecuzione e non è stato proposto ricorso per cassazione.
Ai sensi dell'art. 111 Cost., il ricorso per cassazione si pone come un mezzo di gravame indefettibilmente esperibile in ordine a tutte le sentenze e a quei provvedimenti che incidono sulla libertà personale. Mentre possono aversi sentenze di primo grado appellabili e non appellabili, non esistono sentenze di secondo grado non ricorribili, né sentenze di primo grado inappellabili che siano sottraibili al ricorso per cassazione. Peraltro, il ricorso può costituire l'istanza di giustizia azionabile in relazione a qualsiasi decisione di primo grado, sia perché può essere l'unico mezzo di gravame[103], sia perché può elettivamente assurgere a mezzo immediato di impugnazione allorché la parte che abbia diritto di appellare la prima sentenza preferisca avvalersi immediatamente del ricorso ai sensi dell'art. 569 .
L'attività giurisdizionale della Corte di Cassazione è quella che non mira a riesaminare in terzo grado il merito del rapporto sostanziale, ma a giudicare le sentenze dei giudici di merito, annullandole dove appaiono viziate da errori di diritto, oltreché da difetti di motivazione. La Corte Suprema giudica sulle sole questioni di diritto, vale a dire in base alla interpretazione e all'applicazione della legge, senza scendere a discutere i fatti della controversia, bensì basandosi sull'accertamento compiuto dal giudice di merito nella sentenza che egli ha pronunciato. La Corte di cassazione inoltre, tanto in materia civile quanto in quella penale, ha la funzione di
uniformare le interpretazioni giurisprudenziali della normativa vigente, (art. 65 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12) anche se non ha nessun potere effettivo di indirizzo nei confronti dei giudici di grado inferiore (come succede nei paesi anglosassoni, dove le decisioni della Corte Suprema assumono valore di precedenti legali).
Il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i seguenti cinque motivi:
esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri;
inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale;
inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza;
mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta a norma dell'articolo 495 comma 2;
mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato.
La tassatività dei casi di gravame, provoca la inammissibilità di motivi diversi o sostanzialmente apparenti e manifestamente infondati.
L'imputato e il suo difensore possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di condanna o di proscioglimento ovvero contro la sentenza inappellabile di non luogo a procedere. Possono, inoltre, ricorrere contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali.
Il procuratore generale presso la corte di appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dalla corte di assise, dal tribunale o dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale.
Il procuratore generale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale possono anche ricorrere nei casi previsti dall'articolo 569 di ricorso immediato per cassazione e da altre disposizioni di legge.
Infine, la persona offesa, che sia costituita parte civile, può ricorrere anche per i capi penali, quando trattasi di reati di ingiuria o di diffamazione commessi in suo danno (art. 577).
Il presidente della corte di cassazione provvede all'assegnazione dei ricorsi alle singole sezioni secondo i criteri stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario. Il presidente, su richiesta del procuratore generale, dei difensori delle parti o anche di ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni. Il presidente della corte, se si tratta delle sezioni unite, ovvero il presidente della sezione fissa la data per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio e designa il relatore. Il presidente dispone altresì la riunione dei giudizi nei casi previsti dall'articolo 17 e la separazione dei medesimi quando giovi alla speditezza della decisione. La cancelleria dà immediata comunicazione al procuratore generale del deposito degli atti per la eventuale richiesta della dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Almeno trenta giorni prima della data dell'udienza, la cancelleria ne dà avviso al procuratore generale e ai difensori, indicando se il ricorso sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio. In quest'ultimo caso, l'avviso deve inoltre precisare se vi è la richiesta di dichiarazione di inammissibilità, enunciando la causa dedotta.
Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte procede in camera di consiglio quando deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento[105]. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall'articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza intervento dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica. Nello stesso modo la corte procede quando è stata richiesta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Se non dichiara l'inammissibilità, la corte fissa la data per la decisione del ricorso in udienza pubblica.
A richiesta dell'imputato o del responsabile civile, la corte di cassazione può sospendere, in pendenza del ricorso, l'esecuzione della condanna civile, quando può derivarne grave e irreparabile danno[106].
Salvo che la parte non vi provveda personalmente, l'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della corte di cassazione. Davanti alla corte medesima le parti sono rappresentate dai difensori. Per tutti gli atti che si compiono nel procedimento davanti alla corte, il domicilio delle parti è presso i rispettivi difensori. Il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente; in mancanza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte nell'ultimo giudizio, purché si tratti di un avvocato cassazionista[107]. Gli avvisi che devono essere dati al difensore sono notificati anche all'imputato che non sia assistito da difensore di fiducia. Quando il ricorso concerne gli interessi civili, il presidente, se la parte ne fa richiesta, nomina un difensore secondo le norme sul patrocinio dei non abbienti.
Le norme concernenti la pubblicità, la polizia e la disciplina delle udienze e la direzione della discussione nei giudizi di primo e di secondo grado si osservano davanti alla corte di cassazione, in quanto siano applicabili. Le parti private possono comparire per mezzo dei loro difensori. Nell'udienza stabilita, il presidente procede alla verifica della costituzione delle parti e della regolarità degli avvisi, dandone atto a verbale; quindi, il presidente o un consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. Dopo la requisitoria del pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato espongono nell'ordine le loro difese. Non sono ammesse repliche.
La corte di cassazione delibera la sentenza in camera di consiglio subito dopo terminata la pubblica udienza salvo che, per la molteplicità o per l'importanza delle questioni da decidere, il presidente ritenga indispensabile differire la deliberazione ad altra udienza prossima. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 527 e 546. Se non provvede a norma degli articoli 620, 622 e 623, la corte dichiara inammissibile o rigetta il ricorso. La sentenza è pubblicata in udienza subito dopo la deliberazione, mediante lettura del dispositivo fatta dal presidente o da un consigliere da lui delegato. Prima della lettura, il dispositivo è sottoscritto dal presidente.
Con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento[108].
Conclusa la deliberazione, il presidente o il consigliere da lui designato redige la motivazione. Si osservano le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili. La sentenza, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, è depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione. Qualora il presidente lo disponga, la corte si riunisce in camera di consiglio per la lettura e l'approvazione del testo della motivazione[109].
Gli errori di diritto nella motivazione e le erronee indicazioni di testi di legge non producono l'annullamento della sentenza impugnata, se non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo. La corte tuttavia specifica nella sentenza le censure e le rettificazioni occorrenti. Quando nella sentenza impugnata si deve soltanto rettificare la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la corte di cassazione vi provvede senza pronunciare annullamento. Nello stesso modo si provvede nei casi di legge più favorevole all'imputato, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto.
Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio:
a) se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è estinto o se l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita;
b) se il reato non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario[110];
c) se il provvedimento impugnato contiene disposizioni che eccedono i poteri della giurisdizione, limitatamente alle medesime;
d) se la decisione impugnata consiste in un provvedimento non consentito dalla legge;
e) se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'articolo 522 in relazione a un reato concorrente[111];
f) se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'articolo 522 in relazione a un fatto nuovo[112];
g) se la condanna è stata pronunciata per errore di persona;
h) se vi è contraddizione fra la sentenza o l'ordinanza impugnata e un'altra anteriore concernente la stessa persona e il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un altro giudice penale[113];
i) se la sentenza impugnata ha deciso in secondo grado su materia per la quale non è ammesso l'appello[114];
j) in ogni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari[115].
Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile.
L'art. 623 regola i casi di annullamento con rinvio. Fuori dei casi previsti dagli articoli 620 e 622:
a) se è annullata un'ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento;
b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall'articolo 604 comma 1, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado;
c) se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini;
d) se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
Se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata. La corte di cassazione, quando occorre, dichiara nel dispositivo quali parti della sentenza diventano irrevocabili. L'omissione di tale dichiarazione è riparata dalla corte stessa in camera di consiglio con ordinanza che deve trascriversi in margine o in fine della sentenza e di ogni copia di essa posteriormente rilasciata. L'ordinanza può essere pronunciata di ufficio ovvero su domanda del giudice competente per il rinvio, del pubblico ministero presso il medesimo giudice o della parte privata interessata. La domanda si propone senza formalità. La corte di cassazione provvede in camera di consiglio senza l'osservanza delle forme previste dall'articolo 127.
Nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento, salvo quanto previsto dall'articolo 25. Il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge. Se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'assunzione delle prove rilevanti per la decisione. Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa. Non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. Se taluno degli imputati, condannati con la sentenza annullata, non aveva proposto ricorso, l'annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo dell'annullamento sia esclusivamente personale. L'imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio.
La sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata con ricorso per cassazione se pronunciata in grado di appello e col mezzo previsto dalla legge se pronunciata in primo grado. In ogni caso la sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla corte di cassazione ovvero per non essere uniformata alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa.
La revisione, a differenza dell'appello e del ricorso per cassazione, è un mezzo straordinario di impugnazione ed, in quanto tale, si caratterizza per la sua idoneità a travolgere il giudicato. Infatti, ai sensi dell'art. 629, "è ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta". La revisione può essere richiesta[116]:
a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;
b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;
c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631;
d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.
Possono chiedere la revisione:
a) il condannato o un suo prossimo congiunto ovvero la persona che ha sul condannato l'autorità tutoria e, se il condannato è morto, l'erede o un prossimo congiunto;
b) il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna. Le persone indicate nella lettera a) possono unire la propria richiesta a quella del procuratore generale.
La richiesta di revisione è proposta personalmente o per mezzo di un procuratore speciale. Essa deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano e deve essere presentata, unitamente a eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11.
In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo. Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio. In caso di rigetto della richiesta, il giudice condanna la parte privata che l'ha proposta al pagamento delle spese processuali e, se è stata disposta la sospensione, dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.
Sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione. Se l'impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile. Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l'ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso. Il decreto penale di condanna è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile.
L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.
Salvo che sia diversamente disposto, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili. Le sentenze di non luogo a procedere hanno forza esecutiva quando non sono più soggette a impugnazione.
Salvo che sia diversamente disposto, il pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione (art. 665) cura di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti. Il pubblico ministero propone le sue richieste al giudice competente e interviene in tutti i procedimenti di esecuzione. Quando occorre, il pubblico ministero può chiedere il compimento di singoli atti a un ufficio del pubblico ministero di altra sede. Se per l'esecuzione di un provvedimento è necessaria l'autorizzazione, il pubblico ministero ne fa richiesta all'autorità competente; l'esecuzione è sospesa fino a quando l'autorizzazione non è concessa. Allo stesso modo si procede quando la necessità dell'autorizzazione è sorta nel corso dell'esecuzione. I provvedimenti del pubblico ministero dei quali è prescritta nel presente titolo la notificazione al difensore, sono notificati, a pena di nullità, entro trenta giorni dalla loro emissione, al difensore nominato dall'interessato o, in mancanza, a quello designato dal pubblico ministero a norma dell'articolo 97, senza che ciò determini la sospensione o il ritardo dell'esecuzione.
Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato. Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant'altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione. L'ordine è notificato al difensore del condannato. L'ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall'articolo 277. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni ovvero a quattro anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono consegnati al condannato con l'avviso che egli, entro trenta giorni, può presentare istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza, l'esecuzione della pena avrà corso immediato[117].
L'istanza deve essere presentata al pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza. La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. Qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione. La sospensione dell'esecuzione non può essere disposta:
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni;
b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva.
Il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato, anche se la custodia è ancora in corso. Allo stesso modo procede in caso di applicazione provvisoria di una misura di sicurezza detentiva, se questa non è stata applicata definitivamente. Il pubblico ministero computa altresì il periodo di pena detentiva espiata per un reato diverso, quando la relativa condanna è stata revocata, quando per il reato è stata concessa amnistia o quando è stato concesso indulto, nei limiti dello stesso[118]. Il condannato può chiedere al pubblico ministero che i periodi di custodia cautelare e di pena detentiva espiata, operato il ragguaglio, siano computati per la determinazione della pena pecuniaria o della sanzione sostitutiva da eseguire. In ogni caso sono computate soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire. Il pubblico ministero provvede con decreto, che deve essere notificato al condannato e al suo difensore.
Quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la carcerazione o la scarcerazione del condannato, il pubblico ministero che cura l'esecuzione della sentenza di condanna emette ordine di esecuzione con le modalità previste dall'articolo 656/4. Tuttavia, nei casi di urgenza, il pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza che ha adottato il provvedimento può emettere ordine provvisorio di esecuzione che ha effetto fino a quando non provvede il pubblico ministero competente. I provvedimenti relativi alle misure di sicurezza diverse dalla confisca sono eseguiti dal pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza che li ha adottati. Il pubblico ministero comunica in copia il provvedimento all'autorità di pubblica sicurezza e, quando ne è il caso, emette ordine di esecuzione, con il quale dispone la consegna o la liberazione dell'interessato.
L'estradizione è la consegna di un individuo da parte di uno Stato ad altro Stato, al fine della sottoposizione di esso alla giurisdizione penale dello Stato richiedente. E' prevista esclusivamente da norme convenzionali, quali la Convenzione europea di Parigi del 13 dicembre 1957 e disciplinata nell'ambito dei singoli ordinamenti interni. Lo Stato italiano la distingue in attiva (quando esso è il richiedente) e passiva (quando il richiedente è uno Stato estero), ponendo la condizione per quest'ultima che il fatto che forma oggetto della domanda sia previsto come reato sia dalla legge straniera che da quella italiana.
Per quanto concerne la disciplina codicistica dell'estradizione passiva (verso l'estero) si può affermare che essa contempla le ipotesi della condanna irrevocabile o del provvedimento cautelare comportanti limitazioni o privazioni della libertà personale: in base a ciò appare evidente la non applicabilità delle garanzie per procedimenti o provvedimenti non incidenti sulla libertà personale, adottati da autorità estere nei riguardi di persone, cittadini o stranieri che siano, presenti in Italia. In dottrina si registra comunemente l'affermazione secondo cui la procedura di estradizione passiva avrebbe carattere misto: amministrativo e giurisdizionale. La fase di carattere più strettamente amministrativo è di competenza del Ministro di grazia e giustizia: è a questo soggetto, infatti, che spetta l'iniziale potere di impulso, costituito dalla presentazione della domanda estera di estradizione al procuratore generale presso la Corte di appello, individuato in base alla residenza, dimora o domicilio del condannato da sottoporre a estradizione. Il procuratore generale, compiuti i necessari accertamenti preliminari sulla base del fascicolo pervenuto dall'estero, presenta la sua requisitoria alla corte (art. 703 c.p.p.). Da questo momento in avanti ha inizio la fase giurisdizionale nella quale saranno pienamente tutelati i diritti della difesa (art. 701 c.p.p.). Infatti, compito della corte è in primo luogo verificare se all'attività di estradizione sono di ostacolo principi fondamentali in materia di reati politici o lesioni di diritti fondamentali della persona. A questo scopo si procederà ad un'apposita udienza, in camera di consiglio, con la presenza necessaria di un difensore (eventualmente d'ufficio) e del p.m., dello stesso estradando e del rappresentante dello Stato richiedente (la presenza di questi ultimi due soggetti non è però obbligatoria). La corte emetterà sentenza favorevole o contraria all'estradizione e contro di essa potrà presentarsi ricorso per Cassazione (art. 706 c.p.p.). C'è da rilevare come la decisione favorevole possa comportare anche l'immediata riduzione in vinculis dell'estradando. Per quanto concerne il procedimento di estradizione passiva è necessario sottolineare che la sentenza favorevole del giudice ha valore di condizione necessaria ma non sufficiente per l'estradizione, costituendo in pratica una semplice autorizzazione per il Ministro: infatti spetterà poi a costui adottare la decisione finale entro un limite temporale prefissato, ed eventualmente curare la consegna dell'interessato allo Stato estero. C'è da notare infine che la estradizione concessa risulta vincolata al c.d. principio di specialità: essa infatti vale solo per il fatto per cui è stata concessa ed è ostativa a restrizioni di libertà (cautelari o definitive) per altra causa.
Passando ora ad analizzare la c.d. estradizione attiva o dall'estero, si può ribadire che essa mira a conseguire la disponibilità fisica dell'estradato su richiesta del nostro Stato, tramite un procedimento di tipo amministrativo: in Italia non è infatti previsto un procedimento preventivo di garanzia giurisdizionale a favore dell'estradando, dal momento che questi potrà eventualmente valersi di un simile beneficio tramite le apposite garanzie estere. Trattandosi di scelte che possono basarsi su valutazioni politiche attinenti a rapporti internazionali spetterà al Ministro per la giustizia formulare la richiesta di estradizione o differirne la presentazione, anche se richiesto dall'autorità giudiziaria, e accettare o meno le condizioni eventualmente apposte dallo Stato estero. Anche per l'estradizione in Italia dall'estero vige il limite dell'esperibilità in correlazione all'espiazione di pena detentiva in forza di sentenza irrevocabile o all'esecuzione di una misura di custodia cautelare detentiva. Infine c'è da rilevare che anche per l'estradizione attiva vige il c.d. principio di specialità con il conseguente divieto di riduzione in vinculis per ipotesi di reato differenti da quelle previste nella estradizione conseguita.
La rogatoria è quel procedimento tramite il quale l'autorità giudiziaria nazionale richiede alla corrispondente autorità straniera, o viceversa, comunicazione, notificazioni, o acquisizioni probatorie (artt. 723 e 727 c.p.p.).
Fuori dei casi previsti dall'articolo 726 (citazione di testimoni a richiesta dell'autorità straniera[119]), non si può dare esecuzione alla rogatoria dell'autorità straniera senza previa decisione favorevole della corte di appello del luogo in cui deve procedersi agli atti richiesti. Il procuratore generale, ricevuti gli atti dal ministro di grazia e giustizia, presenta la propria requisitoria alla corte di appello. Il presidente della corte fissa la data dell'udienza e ne dà comunicazione al procuratore generale. La corte dà esecuzione alla rogatoria con ordinanza.
L'esecuzione della rogatoria è negata:
a) se gli atti richiesti sono vietati dalla legge e sono contrari a principi dell'ordinamento giuridico dello Stato;
b) se il fatto per cui procede l'autorità straniera non è previsto come reato dalla legge italiana e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria;
c) se vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire sullo svolgimento o sull'esito del processo e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria.
L'esecuzione della rogatoria è sospesa se essa può pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso nello Stato.
Nell'ordinare l'esecuzione della rogatoria la corte delega uno dei suoi componenti ovvero il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono compiersi[120].
Le rogatorie dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero dirette, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, alle autorità straniere per comunicazioni, notificazioni e per attività di acquisizione probatoria, sono trasmesse al ministro di grazia e giustizia il quale provvede all'inoltro per via diplomatica. Il ministro dispone con decreto, entro trenta giorni dalla ricezione della rogatoria, che non si dia corso alla stessa, qualora ritenga che possano essere compromessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. Il ministro comunica all'autorità giudiziaria richiedente la data di ricezione della richiesta e l'avvenuto inoltro della rogatoria ovvero il decreto di diniego. Quando la rogatoria non è stata inoltrata dal ministro entro trenta giorni dalla ricezione e non sia stato emesso il decreto di diniego, l'autorità giudiziaria può provvedere all'inoltro diretto all'agente diplomatico o consolare italiano, informandone il ministro di grazia e giustizia. Nei casi urgenti, l'autorità giudiziaria trasmette la rogatoria dopo che copia di essa è stata ricevuta dal ministro di grazia e giustizia.
Il riconoscimento in Italia delle sentenze penali straniere può avvenire per taluni effetti penali (recidiva, pene accessorie, misure di sicurezza, delinquenza abituale, professionale o per tendenza), per l'esecuzione della pena principale (detentiva o pecuniaria), o anche soltanto agli effetti civili (risarcimento del danno).
La legittimazione a promuovere il riconoscimento spetta al Procuratore Generale presso la Corte di Appello. La competenza a decidere spetta a detta Corte.
Il procedimento assicura la garanzia giurisdizionale essendo la riconoscibilità sottoposta a precise verifiche di ordine giuridico, in tema di rispetto dei diritti fondamentali della persona e di giusto processo. I diritti della difesa sono salvaguardati dal rito camerale seguito dalla Corte, con designazione del difensore di ufficio, ove occorra. La Corte specifica gli effetti cui è preordinato il riconoscimento e, in caso di pena, opera le necessarie operazioni di ragguaglio e conversione, necessitati dalla diversità dei sistemi punitivi penali. In ogni caso, valorizza la pena già espiata all'estero, per evitare una duplice espiazione. Il doppio grado di giudizio è assicurato dalla esperibilità del ricorso per Cassazione.
Nell'ottica statuale italiana, il riconoscimento all'estero della sentenza di condanna nazionale è perseguito per la sola finalità, di interesse proprio, attinente all'esecuzione all'estero della pena restrittiva della libertà personale. L'esecuzione di pena limitativa della libertà personale è, peraltro, attuabile anche in Italia in ipotesi di estradizione nel nostro paese del condannato che si trovi all'estero; ed è questa la soluzione preferita. Pertanto, la espiazione detentiva all'estero, per una condanna italiana, è ricercata solo se non si ottiene o non è possibile la esecuzione in Italia, tramite estradizione.
Trattandosi di materia che incide sulla libertà personale, è previsto un procedimento, sempre innanzi alla Corte di Appello, promosso dal procuratore generale. Tale procedimento realizza la consueta salvaguardia giurisdizionale e si conclude con una sentenza, favorevole o contraria. L'interessato può ovviamente rinunciare a tale salvaguardia prestando il consenso per la espiazione all'estero. A seguito della deliberazione favorevole della corte o del consenso del condannato, il Ministro per la giustizia provoca all'estero l'esecuzione della nostra sentenza penale (artt. 742-746).
SOMMARIO
Introduzione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .....
La riforma del codice Rocco.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
L'originalità del nuovo modello processuale.......... ..... ...... .......... ..... ...... ................
I soggetti.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
Il giudice.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........
La rimessione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ......
L'incompatibilità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ........................
L'astensione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..
La ricusazione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
La competenza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
La competenza per territorio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
La competenza per materia.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........
Competenza per connessione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .....
La riunione di processi.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ................
La separazione di processi.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
L'incompetenza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........................
Conflitti di competenza e di giurisdizione.......... ..... ...... .......... ..... ...... ............
I provvedimenti del giudice.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
La sentenza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..
L'ordinanza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..
Il decreto.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Il pubblico ministero.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............
Strutturazione del Pubblico Ministero.......... ..... ...... .......... ..... ...... ..................
L'avocazione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .
La direzione distrettuale antimafia e la direzione nazionale antimafia.......................
La polizia giudiziaria.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
Attività della polizia giudiziaria.......... ..... ...... .......... ..... ...... ............................
L'imputato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....
I diritti dell'imputato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
L'interrogatorio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........................
Le altre parti private e la persona offesa dal reato........... ..... ......
La parte civile.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............................
Il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria.....................
La persona offesa dal reato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
Gli enti esponenziali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..................
Il difensore.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...
Gli atti e le attività.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
La segretezza e la pubblicità degli atti.......... ..... ...... .......... ..... ...... ........................
Le notificazioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
Organi e forme delle notificazioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............................
Notificazioni urgenti a mezzo del telefono e del telegrafo.......... ..... ...... ........................
Le notifiche all'imputato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............
Il domicilio dichiarato o eletto.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .....
Comunicazione del domicilio dichiarato o del domicilio eletto.......... ..... ...... .................
Le sanzioni processuali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
La irregolarità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
La decadenza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ......
L'inutilizzabilità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
Le nullità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
L'inammissibilità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ........................
Il fenomeno probatorio nel procedimento penale.......... ..... ...... ........
Nozioni generali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......................
Fonti di prova.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
I mezzi di ricerca della prova.......... ..... ...... .......... ..... ...... ........................
Le ispezioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...
L'ispezione personale.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
L'ispezione di luoghi o di cose.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....
Le ispezioni presso gli uffici dei difensori.......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
Le perquisizioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........................
Le perquisizioni personali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
Le perquisizioni locali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
I sequestri.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Il sequestro di corrispondenza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....
Il sequestro presso banche.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
Le intercettazioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ........................
I mezzi di prova.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........................
La testimonianza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
La testimonianza indiretta.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
La capacità a testimoniare.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
Le formalità di assunzione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
Le contestazioni nell'esame testimoniale.......... ..... ...... .......... ..... ...... ...................
La falsa testimonianza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
L'esame delle parti.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .....................
La disciplina dell'esame.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............
I confronti.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Le ricognizioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ............................
Gli esperimenti giudiziali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
La perizia e la consulenza tecnica.......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
I documenti.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....
L'incidente probatorio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ........
Libertà della persona e procedimento penale.......... ..... ...... ..................
L'arresto in flagranza e il fermo.......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............
L'arresto in flagranza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ................
Il fermo.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
Adempimenti e verifiche comuni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
La convalida del fermo o dell'arresto.......... ..... ...... .......... ..... ...... ....................
Le misure cautelari.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...............
Le misure coercitive.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....................
La custodia cautelare in carcere.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...
Gli arresti domiciliari.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...................
La custodia cautelare in luogo di cura.......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
Il divieto di espatrio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....................
Il divieto e l'obbligo di dimora.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....
L'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.......... ..... ...... .......... ..... ...... .....
Le misure interdittive.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
La sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori.......... ..... ...... ............................
La sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio.......... ..... ...... ................
Il divieto temporaneo di esercitare attività professionali o imprenditoriali.............................
L'applicazione delle misure coercitive ed interdittive.......... ..... ...... ......................
L'estinzione delle misure coercitive ed interdittive.......... ..... ...... ...........................
Casi di estinzione automatica delle misure.......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
Pronuncia di determinate sentenze.......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
Scadenza dell'esigenza cautelare probatoria.......... ..... ...... .......... ..... ...... ...............
Scadenza dei termini per l'interrogatorio.......... ..... ...... .......... ..... ...... ...................
Ritardata decisione del Tribunale del Riesame.......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
Scadenza dei termini per le misure non custodiali.......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Omessa reiterazione della misura dopo la declaratoria di incompetenza del giudice................
Decorrenza dei termini massimi di custodia.......... ..... ...... .......... ..... ...... ...............
Sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare.......... ..... ...... .........
Le impugnazioni delle misure coercitive ed interdittive.......... ..... ...... ...................
Il riesame.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
L'appello.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Il ricorso per cassazione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............
Le misure cautelari di sicurezza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
Le misure di sicurezza dal punto di vista sostanziale.......... ..... ...... .......... ..... ......
Le misure cautelari reali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..
Il sequestro conservativo.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ............
Il sequestro preventivo.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...............
Procedimento e processo.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....
Le indagini preliminari.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........
La notizia di reato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......................
Le condizioni di procedibilità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..
La querela.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .....
L'istanza di procedimento.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
La richiesta di procedimento.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
L'autorizzazione a procedere.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Il difetto di condizioni di procedibilità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......................
La chiusura delle indagini preliminari.......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
La proroga delle indagini.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............
L'archiviazione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ............................
L'udienza preliminare.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
I procedimenti speciali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........
Il giudizio abbreviato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ................
L'applicazione della pena su richiesta delle parti.......... ..... ...... ............................
Il giudizio direttissimo.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...............
Il giudizio immediato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
Il procedimento per decreto.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Il giudizio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
Gli atti preliminari al dibattimento.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......................
Il dibattimento.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
La pubblicità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ......
L'istruzione dibattimentale.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
Le nuove contestazioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............
La discussione finale.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..................
La sentenza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....
Le sentenze di proscioglimento.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ......
Sentenza di non doversi procedere.......... ..... ...... .......... ..... ...... .............................
Sentenza di assoluzione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............
Dichiarazione di estinzione del reato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
La sentenza di condanna.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...........
Il procedimento pretorile.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ......
Il procedimento minorile.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .
Provvedimenti in materia di libertà personale.......... ..... ...... .......... ..... ...... ..
Misure cautelari per i minorenni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
Permanenza in casa.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ...................
Collocamento in comunità.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........
Custodia cautelare.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .....................
Definizione anticipata del procedimento e giudizio in dibattimento.........................
Le impugnazioni.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........................
I titolari dell'impugnazione (art. 570 e ss.).......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
Il pubblico ministero.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
L'imputato.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .
La parte civile e la persona offesa.......... ..... ...... .......... ..... ...... ............................
Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria......................
Forme termini ed effetti dell'impugnazione.......... ..... ...... .......... ..... ...... ........
L'appello.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......
L'appello incidentale.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .................
Forme del processo di appello.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..
Il processo di appello.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ................
Le questioni di nullità e la sentenza.......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
Il ricorso per Cassazione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .
I soggetti ricorrenti.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....................
Il procedimento.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
L'annullamento senza rinvio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .....
L'annullamento con rinvio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ........
L'annullamento parziale.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ............
Il giudizio di rinvio.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ....................
La revisione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... .
L'esecuzione penale.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ................
Irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali.......... ..... ...... .......... ..... ...... ......
Esecutività delle sentenze e dei decreti penali.......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........
Funzioni del pubblico ministero.......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............................
Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo.......... ..... ...... ........
Esecuzione di provvedimenti del giudice di sorveglianza.......... ..... ...... ........................
Rapporti giurisdizionali con autorità straniere.......... ..... ...... .........
L'estradizione.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..........................
Le rogatorie internazionali.......... ..... ...... .......... ..... ...... .........................
Le rogatorie dall'estero.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ..............
Le rogatorie all'estero.......... ..... ...... .......... ..... ...... .......... ..... ...... ................
Effetti delle sentenze penali straniere.......... ..... ...... .......... ..... ......
Esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane..............................
pubblicato, poi, nel Supplemento della Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 1988, che prevede il termine di un anno per l'entrata in vigore del codice
102 Cost. - "La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario.
Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia".
Art. 36 - Astensione. "Il giudice ha l'obbligo di astenersi:
a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli;
b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge;
c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie;
d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private;
e) se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata;
f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero;
g) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario;
h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza.
I motivi di astensione indicati nel comma 1 lettera b) seconda ipotesi e lettera e) o derivanti da incompatibilità per ragioni di coniugio o affinità, sussistono anche dopo l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La dichiarazione di astensione è presentata al presidente della corte o del tribunale, che decide con decreto senza formalità di procedura.
Sulla dichiarazione di astensione del presidente del tribunale decide il presidente della corte di appello; su quella del presidente della corte di appello decide il presidente della corte di cassazione
Qualora la competenza non possa essere determinata seguendo le regole generali esaminate, competente sarà il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. Se tale luogo non è noto, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato. Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'articolo 335.
I procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del primo comma dell'art. 11.
Se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l'incompetenza è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall'articolo 491 comma 1.
Tuttavia, nel caso che un giudice di competenza superiore decida in luogo di un giudice sottordinato, la rilevabilità trova uno sbarramento nella costituzione per la prima volta delle parti in dibattimento.
La Corte costituzionale, con sentenza 26 febbraio-11 marzo 1993, n. 76 (Gazz. Uff. 17 marzo 1993, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) la illegittimità dell'art. 23, primo comma, c.p.p., nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo; b) non fondata la questione di legittimità dell'art. 23, primo comma, c.p.p., in riferimento agli artt. 102, primo comma, e 112 Cost.
Successivamente, la stessa Corte, con sentenza 7-15 marzo 1996, n. 70 (Gazz. Uff. 20 marzo 1996, n. 12, Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente, anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per territorio.
Qualora il contrasto sia tra giudice dell'udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest'ultimo.
"Il giudice che rileva un caso di conflitto pronuncia ordinanza con la quale rimette alla corte di cassazione copia degli atti necessari alla sua risoluzione con l'indicazione delle parti e dei difensori.
Il conflitto può essere denunciato dal pubblico ministero presso uno dei giudici in conflitto ovvero dalle parti private. La denuncia è presentata nella cancelleria di uno dei giudici in conflitto, con dichiarazione scritta e motivata alla quale è unita la documentazione necessaria. Il giudice trasmette immediatamente alla corte di cassazione la denuncia e la documentazione nonché copia degli atti necessari alla risoluzione del conflitto, con l'indicazione delle parti e dei difensori e con eventuali osservazioni.
L'ordinanza e la denuncia previste dai commi 1 e 2 non hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso
I conflitti sono decisi dalla corte di cassazione con sentenza in camera di consiglio secondo le forme previste dall'articolo 127. La corte assume le informazioni e acquisisce gli atti e i documenti che ritiene necessari. L'estratto della sentenza è immediatamente comunicato ai giudici in conflitto e al pubblico ministero presso i medesimi giudici ed è notificato alle parti private.
Particolari forme di sentenze sono quelle definite "di non doversi procedere" e di "non luogo a procedere".
La sentenza di non doversi procedere rientra nella più ampia categoria delle sentenze di proscioglimento. A differenza della sentenza di non luogo a procedere, pronunciata al termine dell'udienza preliminare, la sentenza di non doversi procedere, benché pronunciata nella fase del giudizio, non è subordinata, perché non necessario, ad un approfondimento nel merito. Sono sentenze di non doversi procedere:
a) le sentenze predibattimentali con la formula: perché l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita o perché il reato è estinto;
b) le sentenze dibattimentali con la formula: l'azione non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita o perché il reato è estinto o perché riconosciuta l'esistenza di un segreto di Stato.
La sentenza di non luogo a procedere è pronunciata al termine dell'udienza preliminare se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi altra causa. La sentenza di non luogo a procedere deve contenere:
a) l'intestazione in nome del popolo italiano e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata;
b) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo nonché le generalità delle altre parti private;
c) l'imputazione;
d) l'esposizione sommaria dei motivi di fatto e diritto su cui la decisione è fondata;
e) il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati;
f) la data e la sottoscrizione del giudice. In caso di impedimento del giudice, la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale previa menzione della causa della sostituzione.
La sentenza di non luogo a procedere è nulla se manca la motivazione, se manca od è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice. Salvo quanto previsto dall'art. 593, comma 3, che considera inappellabili le sentenze di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre appello:
a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale;
b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha commesso.
Su tale impugnazione decide la Corte d'appello in camera di consiglio, oppure la Corte di cassazione se il procuratore della Repubblica, il procuratore generale e l'imputato optano per il ricorso immediato.
L'attività di indagine è svolta personalmente dal P.M., che può delegare il compimento di specifici atti alla polizia giudiziaria, a meno che si tratti di interrogatorio dell'indagato o di confronti con il medesimo. Gli atti di indagine comprendono anzitutto quelli acquisitivi della notizia di reato derivanti da denuncia, querela, richiesta, istanza e referto; seguono gli atti investigativi per la ricostruzione del fatto reato e per la individuazione del colpevole.
Questa "trasformazione" è la conseguenza del promuovimento dell'azione penale che segna l'inizio del processo in senso stretto e che il P.M. può esercitare in uno dei modi contemplati dall'art. 60. Alternativa all'incriminazione è la richiesta di archiviazione consentita sia in caso di infondatezza della notizia di reato, sia quando manchi la condizione di procedibilità, il reato sia estinto, il fatto non sia previsto dalla legge come reato o quando sia ignoto l'autore del reato.
Il procuratore generale presso la corte di appello, assunte le necessarie informazioni, dispone altresì con decreto motivato l'avocazione delle indagini preliminari relative ai delitti previsti dagli articoli 270-bis, 280, 285, 286, 289-bis, 305, 306, 416 nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza e 422 del codice penale quando, trattandosi di indagini collegate, non risulta effettivo il coordinamento delle indagini previste dall'articolo 371 comma 1 e non hanno dato esito le riunioni per il coordinamento disposte o promosse dal procuratore generale anche d'intesa con altri procuratori generali interessati.
Questa previsione è stata aggiunta con l'art. 3, primo comma, D.L. 9 settembre 1991, n. 292, convertito, con modificazioni, in L. 8 novembre 1991, n. 356, è stato poi così sostituito dall'art. 8, D.L. 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, in L. 20 gennaio 1992, n. 8. Questa disposizione entra in vigore dalla data di pubblicazione del decreto di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia (art. 16) si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente a questa data (art. 15). Con D.M. 5 gennaio 1993 (Gazz. Uff. 13 febbraio 1993) è stata fissata al 15 gennaio 1993 la data di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia.
Ciò significa, ad esempio, che sebbene un reato di mafia sia commesso ad Agrigento, competente a svolgere le indagini è la Procura della Repubblica di Palermo.
In particolare, l'art. 70-bis regola in questi termini l'istituzione della Direzione Distrettuale Antimafia. - "1. Per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 51 comma 3-bis del codice di procedura penale il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto costituisce, nell'ambito del suo ufficio, una direzione distrettuale antimafia designando i magistrati che devono farne parte per la durata non inferiore a due anni. Per la designazione, il procuratore distrettuale tiene conto delle specifiche attitudini e delle esperienze professionali. Della direzione distrettuale non possono fare parte uditori giudiziari. La composizione e le variazioni della direzione sono comunicate senza ritardo al Consiglio superiore della magistratura. 2. Il procuratore distrettuale o un suo delegato è preposto all'attività della direzione e cura, in particolare, che i magistrati addetti ottemperino all'obbligo di assicurare la completezza e la tempestività della reciproca informazione sull'andamento delle indagini ed eseguano le direttive impartite per il coordinamento delle investigazioni e l'impiego della polizia giudiziaria. 3. Salvi casi eccezionali, il procuratore distrettuale designa per l'esercizio delle funzioni di pubblico ministero, nei procedimenti riguardanti i reati indicati nell'articolo 51 comma 3-bis del codice di procedura penale, i magistrati addetti alla direzione. 4. Salvo che nell'ipotesi di prima costituzione della direzione distrettuale antimafia la designazione dei magistrati avviene sentito il procuratore nazionale antimafia. Delle eventuali variazioni nella composizione della direzione, il procuratore distrettuale informa preventivamente il procuratore nazionale antimafia".
L'art. 76bis istituisce nei seguenti termini la figura del Procuratore Nazionale Antimafia. - "1. Nell'ambito della procura generale presso la Corte di cassazione è istituita la Direzione nazionale antimafia. 2. Alla Direzione è preposto un magistrato di cassazione, scelto tra coloro che hanno svolto anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci anni, funzioni di pubblico ministero o giudice istruttore, sulla base di specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata. L'anzianità nel ruolo può essere valutata solo ove risultino equivalenti i requisiti professionali. 3. Alla nomina del procuratore nazionale antimafia si provvede con la procedura prevista dall'articolo 11, terzo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195. L'incarico ha durata di quattro anni e può essere rinnovato una sola volta. 4. Alla Direzione sono addetti, quali sostituti, magistrati con funzione di magistrati di corte di appello, nominati sulla base di specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata. Alle nomine provvede il Consiglio superiore della magistratura, sentito il procuratore nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia designa uno o più dei sostituti procuratori ad assumere le funzioni di procuratore nazionale antimafia aggiunto. 5. Per la nomina dei sostituti, l'anzianità nel ruolo può essere valutata solo ove risultino equivalenti i requisiti professionali. 6. Al procuratore nazionale antimafia sono attribuite le funzioni previste dall'articolo 371-bis del codice di procedura penale. 6-bis. Prima della nomina disposta dal Consiglio superiore della magistratura, il procuratore generale presso la Corte di cassazione applica, quale procuratore nazionale antimafia, un magistrato che possegga, all'epoca dell'applicazione, i requisiti previsti dal comma 2".
Siffatta disponibilità implica un contenuto necessario di dipendenza funzionale, ma non una necessaria dipendenza organica. La stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 122/71, ha escluso che la disponibilità richieda una dipendenza strutturale della P.G., riconoscendo la legittimità di nuclei specializzati di P.G., solo funzionalmente dipendenti dalla A.G., in qualche modo salvaguardati da allontanamenti disposti dai superiori gerarchici dei corpi e delle armi di provenienza.
A secondo della diversità di dipendenza funzionale, l'art. 56 distingue fra:
a) servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge;
b) sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria;
c) ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato [c.p.p. 347].
Oltre alla diversa ubicazione, servizi e sezioni differiscono per il diverso rapporto con la A.G.. Infatti le sezioni di P.G. sono istituite presso ogni procura della Repubblica; i servizi, invece, presso le sedi di Questura e Comandi dei Carabinieri e Guardia di Finanza.
Per quanto riguarda la subordinazione, le sezioni dipendono dai rispettivi procuratori della Repubblica presso il Tribunale o la Pretura Circondariale; per i servizi invece non sussiste né la diretta dipendenza, né una funzione di autorizzazione del magistrato in ordine alla destinazione ad altre attività degli appartenenti ai servizi stessi. E' attribuito al procuratore della Repubblica presso il Tribunale soltanto un potere di sorveglianza e controllo sulla efficienza di tali servizi, e cioè sul modo di svolgimento dell'attività di P.G., che si esprime nella formula che l'ufficiale preposto ai servizi è responsabile verso il suo indicato procuratore, anche per l'attività di P.G. inerente ai reati di competenza della Pretura.
La Legge 30 dicembre 1991, n. 410, recante "disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata", indica le competenze della direzione ed i suoi rapporti con le forze di polizia. In particolare, alla DIA e' attribuita la funzione di prevenire le possibili evoluzioni del crimine organizzato di stampo mafioso, assicurando lo svolgimento in forma coordinata delle attività di investigazione preventiva. Questa è una delle maggiori novità fissate dalla legge: l'aver previsto cioè che si compia in via sistematica e con regolarità lo studio preventivo del "nemico" mafioso. La sintesi della fase conoscitiva rappresenta il punto di partenza per l'avvio delle attività investigative propriamente dette. Nell'ambito delle investigazioni giudiziarie, v'è da sottolineare che la DIA concentra la propria attenzione investigativa sui soggetti criminali piuttosto che sui singoli delitti. In conclusione la DIA privilegia la lotta al fenomeno nel suo complesso anziché alle sue singole manifestazioni. L'azione della DIA si sviluppa in stretto collegamento con gli uffici e le strutture delle forze di polizia.
Art. 55. Funzioni della polizia giudiziaria.
"1. La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale.
2. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità giudiziaria.
3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria
Se durante le indagini preliminari non si arriva a identificare il soggetto passivo - essendo ben possibile iniziare le indagini contro ignoti (del resto uno dei fini delle indagini preliminari può essere proprio "scoprire il colpevole") - il P.M. dovrà naturalmente chiedere l'archiviazione.
Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.
Il condannato economicamente insolvibile resta assoggettato a conversione di pena (art. 136 c.p.) a meno che la pena pecuniaria non venga corrisposta dal civilmente obbligato.
L'essenzialità della difesa comporta che anche ai non abbienti, italiani o stranieri, deve essere assicurato il gratuito patrocinio, anche in ossequio al diritto di difesa previsto dall'art. 24 Cost.
Ciò è reso possibile dalla previsione di una serie di garanzie attinenti ad esempio alle perquisizioni negli uffici dei difensori, alle intercettazioni e ai sequestri.
Per atto segreto si intende quello che l'indagato o imputato non conosce né ha diritto di conoscere.
"Il giudice dispone che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell'autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato.
Su richiesta dell'interessato, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse all'assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione. Quando l'interessato è assente o estraneo al processo, il giudice provvede di ufficio
Diversa dalla notificazione è la comunicazione mediante la quale il giudice - senza l'intervento dell'Ufficiale Giudiziario - rende noto al P.M. propri atti o determinazioni attraverso la consegna della copia a cura della cancelleria.
Il giudice, ove ne ravvisi la necessità, può disporre che le notificazioni siano eseguite dalla polizia giudiziaria.
Quando lo consigliano circostanze particolari, il giudice può prescrivere, anche di ufficio, con decreto motivato in calce all'atto, che la notificazione a persona diversa dall'imputato sia eseguita mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell'atto. Nel decreto sono indicate le modalità necessarie per portare l'atto a conoscenza del destinatario.
Tuttavia, quando risulta che, per caso fortuito o forza maggiore, l'imputato non è stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni degli articoli 157 e 159.
La decadenza non attiene direttamente all'atto, ma alla posizione del soggetto potenzialmente legittimato all'atto: si parla quindi di decadenza dal potere di compiere un atto.
precisamente: quelle riguardanti la capacità ed il numero degli giudici necessario per costituire i collegi; quelle riguardanti l'iniziativa del p.m. nell'esercizio dell'azione penale; quelle derivanti dall'omessa citazione dell'imputato e dall'assenza del suo difensore quando ne sia obbligatoria la presenza; quelle definite come assolute da altre disposizioni di legge.
precisamente: quelle riguardanti la partecipazione del p.m. al procedimento e a qualsiasi atto in cui la legge la dichiari obbligatoria; quelle riguardanti l'imputato che non siano definite ex lege come assolute; quelle relative alle altre parti private; quelle relative alla citazione in giudizio della persona offesa e del querelante.
Ovviamente, nei casi in cui la P.G. agisce di propria iniziativa e quindi nelle ipotesi di flagranza di reato, l'urgenza dell'atto è incompatibile con la formalità del preventivo decreto del P.M., ma in tale ipotesi il controllo di legalità del P.M., anziché preventivo, diventa successivo, essendo sottoposto il verbale di perquisizione a procedura di convalida.
Per rintracciare le cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini, l'autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria da questa delegati possono esaminare atti, documenti e corrispondenza presso banche. In caso di rifiuto, l'autorità giudiziaria procede a perquisizione.
I vigili urbani, essendo solo agenti di polizia giudiziaria con limitazioni territoriali, non possono eseguire alcun sequestro. Solo il comandante della polizia municipale può legittimamente procedere, atteso che costui riveste la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria sempre ovviamente nell'ambito dell'ente territoriale di appartenenza.
L'intercettazione è atto proprio del P.M., sottratto ad un potere di iniziativa della P.G., data la rilevanza degli interessi in gioco.
Nei casi di urgenza il P.M. può emettere lui stesso il decreto motivato ma con natura provvisoria essendo soggetto a caducazione ab initio se il G.I.P. non lo convalida entro le successive 48 ore.
Stante l'idoneità della testimonianza a formare la prova, nella fase delle indagini preliminari non si può parlare di testimonianza in senso tecnico ma solo di "informazioni" rese da persona informata sui fatti.
La Corte costituzionale, con sentenza 22-31 gennaio 1992, n. 24, ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 195, quarto comma, c.p.p. precisando che gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria possono comunque essere chiamati a deporre circa le dichiarazioni ricevute da testimoni con le modalità e limiti propri della testimonianza indiretta.
Non possono essere assunti come testimoni:
a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, anche se nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento o di condanna, salvo che la sentenza di proscioglimento sia divenuta irrevocabile;
b) le persone imputate di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b);
c) il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria;
d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario.
L'esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell'esame il presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile. Il presidente, sentite le parti, se ritiene che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, dispone con ordinanza che la deposizione prosegua nelle forme previste dai commi precedenti. L'ordinanza può essere revocata nel corso dell'esame.
La Corte Costituzionale, con sentenza 9-16 giugno 1994, n. 241 (Gazz. Uff. 22 giugno 1994, n. 26 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 101 Cost. Successivamente la stessa Corte, con sentenza 21-28 novembre 1994, n. 407 (Gazz. Uff. 7 dicembre 1994, n. 50, Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
La Corte costituzionale, con sentenza 18 maggio-3 giugno 1992, n. 255 (Gazz. Uff. 4 giugno 1992, n. 24 - Prima serie speciale), aveva dichiarato: a) l'illegittimità dell'art. 500, terzo comma c.p.p.; b) l'illegittimità dell'art. 500, quarto comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede l'acquisizione del fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate, per le contestazione previste dai commi primo e secondo, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero.
Dal rifiuto dell'esame non possono trarsi deduzioni sfavorevoli. Però se la parte sceglie di essere esaminata, il rifiuto di rispondere a talune domande è suscettibile di valutazione probatoria.
Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima.
Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.
Non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità:
a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente;
b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte;
c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione;
d) chi non può essere assunto come testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di interprete;
e) chi è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso.
Le parti private, nei casi e alle condizioni previste dalla legge sul patrocinio statale dei non abbienti, hanno diritto di farsi assistere da un consulente tecnico a spese dello Stato.
Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici. Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell'articolo 121. Qualora, successivamente alla nomina del consulente tecnico, sia disposta perizia, ai consulenti tecnici già nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall'articolo 230, salvo il limite previsto dall'articolo 225 comma 1.
Quando l'originale di un documento del quale occorre far uso è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, può esserne acquisita copia. La V sez. della Cassazione Penale, con sentenza n. 10309/93 (Limiti di utilizzabilità della copia) ha stabilito che in tema di documenti, l'art. 234 cod. proc. pen. richiede che essi vengano acquisiti in originale, potendosi acquisire copia solo quando l'originale non è recuperabile; ma poiché il vigente codice di rito non ha accolto il principio di tipicità dei mezzi di prova, tant'è che l'art. 189 cod. proc. pen. si occupa espressamente de "le prove non disciplinate dalla legge", il giudice può ben utilizzare quale elemento di prova, anziché l'originale, la copia di un documento, quando essa sia idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti. (Fattispecie in tema di copie di videoregistrazioni comprovanti la commissione del reato da parte dell'imputato).
Le sentenze e i certificati del casellario giudiziale possono inoltre essere acquisiti al fine di valutare la credibilità di un testimone.
Le dichiarazioni rese dalle persone imputate di reato connesso sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione.
Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale il pubblico ministero o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1 dell'art. 392.
La persona sottoposta alle indagini può prendere visione ed estrarre copia delle deduzioni da altri presentate.
Ai sensi dell'art. 286bis non può essere mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di chi sia affetto da infezione da HIV e ricorra una situazione di incompatibilità con lo stato di detenzione. L'incompatibilità sussiste, ed è dichiarata dal giudice, nei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria; negli altri casi l'incompatibilità per infezione da HIV è valutata dal giudice tenendo conto del periodo residuo di custodia cautelare e degli effetti che sulla pericolosità del detenuto hanno le sue attuali condizioni fisiche. La richiesta di accertamento dello stato di incompatibilità può essere fatta dall'imputato, dal suo difensore o dal servizio sanitario penitenziario. Nei casi di incompatibilità il giudice dispone la revoca della misura cautelare, ovvero gli arresti domiciliari presso l'abitazione dell'imputato. Con decreto emanato dai Ministri della sanità e di grazia e giustizia sono definiti i casi di AIDS conclamata e di grave deficienza immunitaria; sono altresì stabilite le procedure diagnostiche e medico legali per accertare l'affezione da HIV, nonché il grado di deficienza immunitaria rilevante ai fini della situazione di incompatibilità valutabile dal giudice. Quando ricorrono esigenze diagnostiche per accertare incompatibilità con lo stato di detenzione ovvero, al di fuori dei casi di cui al comma 1, ricorrono esigenze terapeutiche concernenti l'infezione da HIV e sempre che tali esigenze non possano essere soddisfatte nell'ambito penitenziario, il giudice può disporre il ricovero provvisorio in idonea struttura del Servizio sanitario nazionale per il tempo necessario, adottando, ove occorra, i provvedimenti idonei a prevenire il pericolo di fuga. Cessate le esigenze di ricovero, il giudice dispone a norma del comma 1 se risulta accertata l'incompatibilità, altrimenti ripristina la custodia cautelare in carcere, ovvero provvede a norma dell'articolo 299. Se dispone gli arresti domiciliari, l'esecuzione della misura avviene presso l'abitazione dell'imputato o presso una residenza collettiva o casa alloggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135.
Il giudice potrà comunque applicare una misura di minore gravità per le misure coercitive (es. arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere). Per quanto riguarda le misure interdittive, invece, basandosi queste su una differenziazione qualitativa, il giudice potrà solo ridurne la durata.
Il carattere di urgenza dei provvedimenti in esame legittima a provvedere anche il giudice incompetente con effetti provvisori: qualora il giudice competente non provveda entro venti giorni dall'ordinanza di trasmissione degli atti a disporre una nuova misura, quella adottata dal giudice incompetente perde efficacia.
Il giudice oltre che accogliere la richiesta può anche rigettarla - ritenendo l'insussistenza della gravità degli indizi e/o delle esigenze cautelari, ovvero per inammissibilità della richiesta (es. reato per cui non è ammessa la cattura) - oppure accoglierla parzialmente solo per taluni indagati o rispetto a talune imputazioni e rigettandola per altri soggetti o altre imputazioni.
L'ordinanza contiene altresì la sottoscrizione dell'ausiliario che assiste il giudice, il sigillo dell'ufficio e, se possibile, l'indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l'imputato.
Se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l'interrogatorio deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare deve avvenire entro il termine di quarantotto ore se il pubblico ministero ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare. La Corte costituzionale, con sentenza 24 marzo-3 aprile 1997, n. 77 (Gazz. Uff. 9 aprile 1997, n. 15 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma (art. 294 comma 1) nella parte in cui non prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice proceda all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio di esecuzione della custodia.
Per gli interrogatori da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice, qualora non ritenga di procedere personalmente, richiede il giudice per le indagini preliminari del luogo. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero non può precedere l'interrogatorio del giudice.
Il pubblico ministero e l'imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta. Il giudice provvede anche di ufficio quando assume l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell'assunzione di incidente probatorio ovvero quando procede all'udienza preliminare o al giudizio. Il giudice, prima di provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione delle misure coercitive o interdittive, di ufficio o su richiesta dell'imputato, deve sentire il pubblico ministero. Se nei due giorni successivi il pubblico ministero non esprime il proprio parere, il giudice procede.
Nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del procedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini esaminati nel presente paragrafo relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento. Allo stesso modo, in caso di evasione dell'imputato sottoposto a custodia cautelare, i termini decorrono di nuovo, relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento, dal momento in cui venga ripristinata la custodia cautelare.
La proroga è disposta con ordinanza dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, sentito il difensore. L'ordinanza è soggetta a ricorso per cassazione nelle forme previste dall'articolo 311.
Per l'imputato latitante il termine decorre dalla data di notificazione eseguita a norma dell'articolo 165. Tuttavia, se sopravviene l'esecuzione della misura, il termine decorre da tale momento quando l'imputato prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.
Nei termini previsti dai commi 1, 2 e 3 dell'art. 309 non si computano i giorni per i quali è stato disposto il differimento del colloquio, a norma dell'articolo 104, comma 3.
Allo stesso modo, la parte civile può chiedere il sequestro conservativo dei beni dell'imputato o del responsabile civile se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato.
Il sequestro è altresì revocato dal giudice se l'imputato o il responsabile civile offre, in qualunque stato e grado del processo di merito, cauzione idonea.
Salva l'azione per ottenere con le forme ordinarie il pagamento delle somme che rimangono ancora dovute, l'esecuzione forzata sui beni sequestrati ha luogo nelle forme prescritte dal codice di procedura civile.
Quando tali presupposti risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell'interessato.
L'autorizzazione a procedere nei confronti dei membri del parlamento è stata abolita (L. 3/93). E' richiesta solo per operare nei loro confronti perquisizioni, intercettazioni o arresti cautelari.
Ma si ritiene che essa valga, a fortiori, per tutte le ordinanze che possono essere emesse all'esito dell'udienza prevista dall'art. 409.
Il provvedimento non pregiudica la decisione sull'ammissibilità della prova a norma dell'articolo 495.
Nell'ordine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato.
L'inosservanza delle disposizioni previste dal codice per le nuove contestazioni è causa di nullità soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante.
La Corte Costituzionale, con sentenza 22-30 giugno 1994, n. 265 (Gazz. Uff. 6 luglio 1994, n. 28 - Prima serie speciale), ha dichiarato:
a) l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni;
b) inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 520 e 516 del codice di procedura penale, relativamente alla preclusione al giudizio abbreviato in ordine alle nuove contestazioni dibattimentali in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
La stessa Corte, con sentenza 15-29 dicembre 1995, n. 530 (Gazz. Uff. 3 gennaio 1996, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, in applicazione dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità del presente articolo, nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis del codice penale, relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento.
Se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso.
La Corte Costituzionale, con sentenza 22-30 giugno 1994, n. 265 (Gazz. Uff. 6 luglio 1994, n. 28 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni. La stessa Corte, con sentenza 15-29 dicembre 1995, n. 530 (Gazz. Uff. 3 gennaio 1996, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis del codice penale, relativamente al reato contestato in dibattimento. Precedentemente, la stessa Corte aveva dichiarato, con sentenza 12-28 dicembre 1990, n. 593 (Gazz. Uff. 9 gennaio 1991, n. 2 - Prima serie speciale), non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 560, primo comma, e 517 c.p.p., in riferimento all'art. 24 Cost.; con sentenza 25 marzo-1 aprile 1993, n. 129 (Gazz. Uff. 7 aprile 1993, n. 15 - Prima serie speciale), inammissibile la questione di legittimità dell'art. 517 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
Nei casi previsti dagli articoli 205 e 206 del codice penale e nelle leggi speciali, il giudice condanna la persona civilmente obbligata a pagare, se il condannato risulterà insolvibile, una somma pari alla pena pecuniaria a questo inflitta.
Se, per morte o altro impedimento, il presidente non può sottoscrivere, alla sottoscrizione provvede, previa menzione dell'impedimento, il componente più anziano del collegio; se non può sottoscrivere l'estensore, alla sottoscrizione, previa menzione dell'impedimento, provvede il solo presidente.
Non si applica la disposizione dell'articolo 275/3, secondo periodo, del codice di procedura penale.
"544. Redazione della sentenza.
1. Conclusa la deliberazione, il presidente redige e sottoscrive il dispositivo. Subito dopo è redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata.
2. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, vi si provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia.
3. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, il giudice, se ritiene di non poter depositare la sentenza nel termine previsto dal comma 2, può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia
La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall'accordo.
La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria.
Se annulla una sentenza della corte di assise o del tribunale collegiale, il giudice di appello dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla una sentenza del tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, dispone la trasmissione degli atti al medesimo tribunale; tuttavia il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
A condizione che le altre parti non seguano l'usuale iter dell'appello, giacché allora il ricorso si converte in appello a norma dell'art. 580.
La decisione sulla richiesta di sospensione della condanna civile è adottata dalla corte di cassazione con ordinanza in camera di consiglio.
Se l'imputato è privo del difensore di fiducia, il presidente del collegio provvede a norma dell'articolo 97.
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da lire cinquecentomila a lire quattro milioni. Nello stesso modo si può provvedere quando il ricorso è rigettato.
La corte dispone che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni.
Anche in questo caso, la corte dispone che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni.
In tal caso la corte ordina l'esecuzione della prima sentenza o ordinanza, ma, se si tratta di una sentenza di condanna, ordina l'esecuzione della sentenza che ha inflitto la condanna meno grave determinata a norma dell'articolo 669.
Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531.
Se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda, senza formalità, all'eventuale applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall'articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza.
In tal caso il condannato può chiedere al pubblico ministero che le sanzioni sostitutive espiate siano computate nelle sanzioni sostitutive da eseguire per altro reato.
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