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LO SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO

diritto



LO SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO


Nel rapporto di lavoro, oltre le due obbligazioni principali e qualificanti, vi sono altre obbligazioni che comunque qualificano il rapporto.


L'obbligo di fedeltà..del prestatore.


Con il contratto di lavoro, il prestatore assume l'obbligo di collaborare anche in modo federale e prendendosi cura degli interessi del datore di lavoro. In particolare l'art. 2105 del Codice vieta espressamente alcuni comportamenti, ma non esaurisce la gamma delle possibili violazioni dell'obbligo di fedeltà.

Fra gli altri vi è il divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore. Cessato il rapporto di lavoro viene meno il divieto di concorrenza; l'imprenditore può comunque, per tutelarsi da questa fattispecie, anche stipulare un patto di non concorrenza con l'ex prestatore d'opera.

Il patto di non concorrenza deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità e prevedere, per il prestatore, un corrispettivo che sia congruo rispetto ai limiti di oggetto, tempo e luogo che il patto deve comunque precisare.

La durata del patto non può eccedere i cinque anni per i dirigenti e i tr 454j96e e per gli altri lavoratori,



Inoltre il 2105 vieta anche , per il periodo successivo alla cessazione del rapporto, la divulgazione di notizie sui metodi di produzione dell'ex datore e l'uso personale di tali notizie con modalità che possano divenire pregiudizievoli.


L'obbligo di sicurezza del datore di lavoro


Una ulteriore obbligazione è quella del datore di lavoro di garantire la sicurezza personale del lavoratore previsto dall'art. 2087 del Codice. Questa norma va interpretata non nel senso che il datore di lavoro deve applicare qualunque innovazione risultante dall'evoluzione della scienza e della tecnica, ma solo quelle misure, utili ai fini della sicurezza, che corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e accorgimenti organizzativi generalmente acquisiti.

In materia di sicurezza del lavoro una forte spinta è venuta dalle direttive comunitarie recepite in Italia con il fondamentale DLGS 626/94 modificato nel 1996 e nel 2002.

Le norme obbligano il datore di lavoro a valutare preventivamente i fattori di rischio e elaborare un piano di sicurezza nel quale sono compendiate le misure di protezione e il programma per garantire il miglioramento dei livelli di sicurezza. Sono previste inoltre figure specifiche quali il medico competente che cura la sorveglianza sanitaria e il servizio aziendale di prevenzione e protezione


La partecipazione dei lavoratori alla sicurezza


Il dlgs. 626 assegna anche posizioni attive ai lavoratori nella realizzazione dell'obiettivo sicurezza sul luoghi di lavoro.

E' infatti stabilito che ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza. e adempiere a tutti gli obblighi di sicurezza (ad esempio usare i dispositivi di protezione individuale caschi, scarpe ecc.). Inoltre i lavoratori hanno diritto a una formazione adeguata e sufficiente e sono previsti "rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza" che hanno specifici poteri di proposta, consultazione, accesso ecc.


Altri diritti personali di natura non patrimoniale


La legge 300/70 (Statuto dei lavoratori) detta specifiche norma a tutela della libertà e dignità del lavoratore e della libertà e attività sindacale nei luoghi di lavoro. In particolare i lavoratori possono manifestare liberamente il proprio pensiero nei luoghi di lavoro; è espressamente vietata qualsiasi indagine sulle opinioni politiche, religiose e sindacali dei lavoratori. D'altro canto l'esercizio della libertà di opinione non può giustificare il mancato adempimento della prestazione lavorativa.

Ovviamente il datore di lavoro può fare indagini su quei fatti che assumono rilevanza ai fini della valutazione del personale con riferimento alle qualità o capacità necessarie per l'assunzione o l'esecuzione di determinati incarichi.

Anche per i lavoratori, come per tutti, trovano poi applicazione le particolari norme dettate dalla legge 675 e dal Garante per la Privacy a tutela dei dati cosiddetti sensibili (salute, razza. Idee ecc); deroghe sono previste dal garante in via preventiva per tutti i dati necessari al rapporto di lavoro.


I diritti sindacali


La legge 300/70 prevede che i lavoratori possano riunirsi in assemblea e costituire rappresentanze sindacali aziendali; che i rappresentanti possano fruire di permessi retribuiti per lo svolgimento del loro mandato e non possano essere trasferiti ad altra unità produttiva senza il consenso della propria organizzazione sindacale.

A fronte di questi diritti vi sono precise obbligazioni del datore di lavoro: ad esempio mantenere la retribuzione al lavoratore che partecipa ad assemblee o fa il rappresentante sindacale.

In questo modo l'azione sindacale è diventata sempre più efficace e si è accresciuta la capacità di controllare l'attività del datore di lavoro anche attraverso la previsione, nei contratti collettivi, di obblighi di informazione del sindacato sulle principali scelte aziendali.



La prestazione di lavoro: obbligo e diritto.


L'obbligazione di prestare lavoro è un'obbligazione strettamente personale per cui, salvo limitate eccezioni, non può essere adempiuta da sostituti e non è consentita la cessione del contratto.

La prestazione è anche un diritto del lavoratore. Lo è nei casi in cui il lavoratore ha un interesse qualificato all'esecuzione della prestazione ma lo è anche quando il mancato svolgimento della prestazione può determinare una riduzione della professionalità.

Infatti la giurisprudenza considera inadempiente il datore che lasci inutilizzato il lavoratore e lo obbliga al risarcimento del danno.


La mansioni


Sono la qualifica o il livello che determinano le mansioni che rappresentano il contenuto della prestazione. Peraltro la tipologia delle mansioni anche per una stessa qualifica è molto variegata e le mansioni stesso variano nel tempo per tenere conto dell'evoluzione tecnologica e organizzativa. Tant'è che l'oggetto dell'obbligazione raramente resta immutato per tutta la durata del rapporto e la legge attribuisce al datore di lavoro il potere  direttivo con il cui esercizio mantiene costante l'interesse alla prestazione lavorativa.


Il potere direttivo


Al datore di lavoro è attribuito il potere di individuare, tempo per tempo, quali fra le mansioni ricompresse nel livello o nella qualifica, il lavoratore è obbligato a eseguire. Si tratta di un potere giuridico in quanto specifica l'oggetto dell'obbligazione di lavorare e quindi stabilisce i modi e i termini in cui questa va adempiuta.

Rientra in esso anche il potere di controllo e vigilanza sul comportamento tenuto dal lavoratore nell'adempimento dell'obbligazione.


Il mutamento di mansioni.


Il datore di lavoro ha anche il potere di modificare unilateralmente l'oggetto dell'obbligazione del lavoratore, chiedendogli di svolgere un'attività non rientrante tra quelle che era obbligato a svolgere. Questo potere, che ha carattere eccezionale nel campo contrattuale, è soggetto a precisi limiti sanciti dall'art.2103 del Codice, novellato dalla legge 300/70. Infatti il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, a quelle della categoria superiore successivamente acquisite o a quelle equivalenti alle ultime svolte. Comunque il cambio delle mansioni non deve comportare riduzione della retribuzione. Si tratta dunque solo di spostamenti verso l'alto ovvero orizzontali verso mansioni considerate equivalenti in quanto  consentono l'utilizzo del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore. I patti contrari sono nulli, salvo che - come afferma parte della Giurisprudenza - non risultino stipulati nell'interesse del lavoratore al fine di garantire la conservazione dell'occupazione.


L'assegnazione a mansioni superiori e il diritto...


Si può ritenere che anche l'assegnazione a mansioni superiori sia possibile sempre che le stesse non richiedano una professionalità diversa da quella per la quale il lavoratore è stato assunto. E' stato quindi ritenuto che anche l'attribuzione di mansioni superiori richieda il consenso del lavoratore; in ogni caso è necessario adeguare il trattamento retributivo alle nuove mansioni. Inoltre la legge prevede che se le mansioni superiori sono svolte per un termine superiore a quello fissato dai contratti collettivi e comunque per più di tre mesi, il lavoratore acquisisce il diritto al definitivo riconoscimento della nuova qualifica, salvo alcune limitate eccezioni.

Nei rapporti con la P.A. mansioni superiori possono essere assegnate solo in caso di vacanza del posto in organico e di sostituzione del lavoratore assente con diritto al mantenimento del posto. Il lavoratore non ha però diritto alla promozione automatica ma solo alla maggiore retribuzione.


Il luogo di esecuzione delle prestazioni e le sue modificazioni




Di norma il luogo di esecuzione delle prestazioni lavorative è determinato contrattualmente o perché definito all'atto dell'assunzione o perché risulta dal comportamento concludente delle parti.

Peraltro la legge attribuisce al datore di lavoro il potere di modificare unilateralmente il luogo di lavoro per soddisfare le esigenze produttive. In particolare il datore di lavoro può inviare il lavoratore temporaneamente in trasferta ovvero missione. Peraltro egli può disporre anche il trasferimento definitivo del lavoratore.

Se il trasferimento è disposto all'interno di una stessa unità produttiva questo trasferimento non incontra limiti; se invece è da un'unità produttiva a un'altra esso è possibile solo per ragioni tecniche organizzative e produttive. Ragioni che devono essere obiettive e non arbitrarie e quindi devono essere comprovate. In sostanza il datore di lavoro deve dare prova delle effettività delle esigenze alla base del trasferimento.

Il datore non incontra nemmeno vincoli nell'individuazione del lavoratore da trasferire salvo che questi vincoli non siano previsti nella contrattazione collettiva.

Diverso da missione e trasferimento è il comando, per cui il lavoratore viene designato dal datore a svolgere la sua prestazione presso e a favore di un altro datore di lavoro.

Il distacco è legittimo se temporaneo e diretto a soddisfare un interesse giuridicamente lecito del datore di lavoro. Se esso comporta un mutamento di mansioni richiede il consenso del lavoratore; se è fatto ad un'unità produttiva distante più di 50 chilometri, deve essere motivato da ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive.


Il tempo della prestazione di lavoro


Si tratta di un contratto di durata in cui le prestazioni sono adempiute nel tempo. Ovviamente la dimensione temporale dell'adempimento deve tenere conto dell'esigenza di tutelare l'integrità fisica e psichica del lavoratore. Di norma comunque l'orario di lavoro può essere definito dal contratto individuale, più frequentemente lo disciplina il contratto collettivo. L'orario individua non solo la durata giornaliera ma anche la sua collocazione e distribuzione nel tempo (giorno, settimana, mese).


I limiti all'orario di lavoro


Il dlgs. 66/03 che ha accolto una direttiva comunitaria ha organicamente rivisto la materia dei limiti dell'orario di lavoro.  In particolare é previsto che il lavoratore abbia diritto ad undici di riposo consecutivo ogni ventiquattro. E' previsto poi un orario "normale" di lavoro di 40 ore settimanali ma é facoltà dei contratti collettivi di prevedere una durata minore.

La determinazione della durata massima settimanale é demandata alla contrattazione collettiva; é però previsto dalla legge che in un arco di tempo normalmente di quattro mesi la durata media dell'orario settimanale non possa superare le quarantotto ore, incluso lo straordinario.

Pur dovendo essere il ricorso al lavoro straordinario contenuto, il legislatore consente che i contratti collettivi ne regolino le modalità di esecuzione, entro il limite massimo dell'orario settimanale; in questo caso lo straordinario diventa obbligatorio. In mancanza di accordo sindacale il ricorso al lavoro straordinario richiede il consenso del lavoratore e non può superare le 250 ore annue.

La prestazione straordinaria deve essere richiesta a fronte di particolari esigenze produttive non fronteggiabili con il lavoro ordinario; data la gravosità della prestazione straordinaria i contratti collettivi devono prevedere una maggiorazione retributiva.


I riposi le festività e la ferie


Il prestatore di lavoro ha diritto, come detto di godere di almeno 11 ore di riposo ogni 24 e, se la prestazione supera le sei ore giornaliere, ha diritto a una sosta di 10 minuti tra l'inizio e la fine di ogni periodo giornaliero.

E' irrinunciabile il diritto al riposo settimanale, da godere ogni sette giorni, di norma in coincidenza con la domenica, e per una durata di almeno 24 ore consecutive.

Sono però ammesse eccezioni: in particolare per le attività che non possono essere sospese la domenica é ammesso lo spostamento del riposo domenicale ma in questo caso il lavoratore ha diritto a un compenso per la maggiore gravosità del lavoro svolto la domenica.

E' consentita anche, per apprezzabili interessi, la deroga al principio del riposo settimanale; ma in tal caso il lavoratore ha diritto a fruire di analoghi periodi di riposo compensativo.

Infine le ferie che hanno carattere annuale devono essere godute in maniera continuativa e avere una durata di almeno quattro settimane; ovviamente la fruizione delle ferie va effettuata tenendo anche conto delle esigenze dell'impresa.

Le ferie non possono essere godute durante il periodo di preavviso di licenziamento e quelle non fruite non possono essere sostituite da un compenso monetario, almeno limitatamente alle quattro settimane obbligatorie.


I limiti al potere direttivo


Il potere direttivo del datore di lavoro, che nella originaria accezione del Codice non aveva limiti, è stato regolamentato con lo Statuto dei lavoratori (L: 300/70): Così, a tutela della dignità dei lavoratori il datore di lavoro non può ad esempio utilizzare apparecchiature (ad esempio telecamere) per il controllo a distanza dei lavoratori; non può effettuare direttamente accertamenti sanitari sull'idoneità fisica del lavoratore, non può compiere indagini sulle opinioni politiche religiose e sindacali dei lavoratori.


I doveri del prestatore di lavoro...


Il prestatore di lavoro ha, nei confronti del datore, un dovere di obbedienza ovvero osservare le disposizioni impartite dal datore e dai suoi collaboratori, disposizioni che non riguardano solo l'esecuzione del lavoro ma anche il mantenimento della disciplina nei luoghi di lavoro.

L'obbligazione di lavoro deve essere eseguita dal lavoratore con la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, in relazione al tipo di lavoro per il quale il prestatore è stato assunto e alle sue caratteristiche oggettive e professionali.


Il potere disciplinare


La violazione dei doveri di diligenza e di fedeltà può portare all'applicazione di sanzioni disciplinari.

Si tratta di un potere di supremazia proprio del rapporto di lavoro in quanto, derogando al principio generale dei contratti, attribuisce a uno dei contraenti il potere di punire direttamente l'altro.

Le sanzioni inflitte dal datore di lavoro hanno natura privata, in quanto irrogate nell'esercizio di un potere che non è pubblico, e conservativa, in quanto mirano a consentire la proficua continuazione del rapporto di lavoro.

E' stato però ritenuto legittimo anche il licenziamento disciplinare, quando, per la gravità o la frequenza dell'inadempienza, non consentirebbe di applicare una sanzione che comporti la prosecuzione del rapporto di lavoro.


I limiti del potere disciplinare


Il codice civile prevede che le sanzioni possano esser irrogate solo per l'inadempimento dell'obbligazione di lavorare e la violazione del dovere di fedeltà e che debbano essere proporzionate all'infrazione.

Lo Statuto dei lavoratori ha poi previsto dei rigorosi vincoli procedurali per l'irrogazione della sanzione, il cui mancato rispetto determina la nullità della sanzione.


Il procedimento disciplinare


E' innanzitutto necessario che il datore di lavoro predisponga un codice disciplinare aziendale dal quale risultino le infrazioni che rappresentano illecito disciplinare e le sanzioni applicabili. Nel predisporre il codice il datore deve tenere conto di quanto previsto in materia dal contratto collettivo, il quale può anche,se sufficiente prendere il posto del codice.

Comunque il codice o il contratto deve essere portato a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti.

Il datore di lavoro non può irrogare nessuna sanzione, salvo il rimprovero verbale, senza aver contestato preventivamente per iscritto l'infrazione al lavoratore.

Questo da un lato assicura l'immutabilità dei fatti contestati e dall'altro abilita il lavoratore a esercitare il suo diritto di difesa; questo infatti entro cinque giorni dalla contestazione può presentare le sue giustificazioni, anche avvalendosi dell'assistenza di un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

La contestazione deve essere specifica. Quindi indicare le circostanze oggettive che sostanziano l'infrazione e deve essere tempestiva.

Per legge la multa inflitta eventualmente non può essere maggiore dell'importo di quattro ore di retribuzione e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione non può superare i dieci giorni.

Inoltre la legge non consente che si tenga conto delle sanzioni inflitte decorso due anni, sicchè si deve ritenere che la recidiva entro il biennio possa comportare una sanzione più grave.

Sono infine vietate le sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro, come ad esempio la retrocessione a un grado più basso.

Il lavoratore che ritiene gli sia stata imputata una sanzione ingiusta può impugnarla dinanzi al giudice o ricorrere ai procedimenti arbitrali previsti dai contratti collettivi. In ogni caso entro venti giorni dalla comunicazione della sanzione può promuovere la costituzione di un collegio di arbitrato presso la Direzione provinciale del lavoro, così determinando la sospensione della sanzione.

Disposizioni analoghe valgono anche per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.


L'OBBLIGAZIONE RETRIBUTIVA


La retribuzione corrispettivo


La principale obbligazione del datore di lavoro ha per oggetto la retribuzione che costituisce il corrispettivo dell'attività lavorativa pretta nel suo interesse.

Tenuto conto del valore che la retribuzione riveste ai fini del sostentamento del lavoratore e della sua famiglia, essa deve essere proporzionata e, in ogni caso, sufficiente.

Infatti la retribuzione non è solo il corrispettivo della prestazione (corrispettivo oggettivo) ma anche dell'impegno personale e complessivo del prestatore d'opera.

Speciali garanzie e privilegi tutelano il diritto del lavoratore alla retribuzione.


I requisiti della retribuzione


Come dice la Costituzione la retribuzione oltre essere proporzionata a quantità e qualità di lavoro, deve essere sufficiente a assicurare al lavoratore e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. Questa disposizione ha un carattere precettivo in quanto è idonea a regolare direttamente il rapporto di lavoro.

La retribuzione come detto deve essere sufficiente, sufficienza che va accertata secondo standard generali che prescindono dalla consistenza della famiglia di ogni singolo lavoratore.

Deve essere anche proporzionata in quanto il suo ammontare dipende non solo dalla quantità del lavoro reso ma anche dalla qualità professionale della prestazione: la Proporzionalità è demandata soprattutto alla disciplina sindacale che la definisce tramite i contratti collettivi. Peraltro una durata della prestazione inferiore a quella normale giustifica una correlata riduzione della retribuzione.



Retribuzione e contratto collettivo


Nel nostro ordinamento il legislatore non interviene direttamente ma preferisce rinviare alla contrattazione collettiva, per determinare la retribuzione minima che soddisfi i requisiti della proporzionalità e dell'efficienza nonché ne garantisca il costante adeguamento alle variazioni del costo della vita.

Restano naturalmente salve le clausole dei contratti individuali che prevedano trattamenti di maggior favore di quelli dei contratti collettivi.

Peraltro nel lavoro privato i contratti collettivi, diversamente da quello pubblico, non hanno efficacia nei confronti di tutti i lavoratori a causa della mancata attuazione dell'art. 39 della Costituzione, ma solo nei confronti degli iscritti al sindacato stipulante. In ogni caso peraltro, dal momento che l'art. 36 della Costituzione è una norma immediatamente precettiva, il lavoratore che riceva una retribuzione individuale insufficiente può far dichiarare la nullità della relativa clausola per contrasto con una norma imperativa e chiedere al giudice la differenza rispetto alla retribuzione definita dalla Costituzione.


La determinazione della retribuzione da parte del giudice


Il giudice che sia chiamato a verificare se, in assenza di un contratto collettivo, una retribuzione individuale rispetti i criteri di proporzionalità e sufficienza, doveva risolvere due problemi.

Innanzitutto doveva definire il criterio in base al quale accertare che la retribuzione prevista dal contratto individuale fosse illegittima e poi individuare le disposizioni in base alle quali, accertata l'illegittimità, poteva invece determinare con propria sentenza la retribuzione dovuta.

Per accertare l'insufficienza il giudice può fare riferimento ai minimi retributivi previsti dai contratti collettivi   mentre per la proporzionalità egli deve tenere conto delle caratteristiche concrete della prestazione interessata. Nel caso in cui, come si verifica, su una prestazione possono applicarsi più contratti collettivi, il legislatore, sia pure per altri fini, ha attribuito prevalenza a quelli stipulati dalle organizzazioni più rappresentative.

Per quanto riguarda il secondo problema, essi hanno fatto ricorso ad una interpretazione estensiva dell'art. 2099 del Codice che prevede, in caso di mancata determinazione del corrispettivo e in mancanza di contratto collettivo, che intervenga il giudice con propria sentenza; con questa interpretazione la norma è stata applicata anche ai casi di retribuzione fissata ma ritenuta insufficiente o non proporzionale.


Le forme dell'adempimento dell'obbligo...


Di norma la retribuzione deve essere erogata, con carattere posticipato, attraverso la corresponsione di una somma di denaro preso il luogo di lavoro. Il pagamento avviene solitamente con cadenza mensile e può essere anche erogata, i tutto o in parte, con prestazioni in natura.


La retribuzione a tempo e a cottimo


Il sistema retributivo più comune è quello a tempo per cui l'ammontare della retribuzione è commisurato alla durata della prestazione eseguita.

Nel sistema a cottimo la retribuzione, ancorché in funzione del tempo, è commisurata ai risultati realizzati dal singolo lavoratore (cottimo individuale) o dal gruppo nel quale è inserito (cottimo collettivo)

Il cottimo si applica solo in alcune attività industriali e non e la retribuzione a cottimo non può mai coprire tutta la retribuzione.

Il cottimo è vietato nel tirocinio ed è invece obbligatorio quando, in conseguenza dell'organizzazione del lavoro, il prestatore sia tenuto all'osservanza di un determinato ritmo produttivo; ad esempio è obbligatorio per il lavoro a domicilio.


Altre forme di retribuzione, la retribuzione variabile


Il prestatore d'opera può anche essere retribuito, in tutto o in parte, con partecipazione agli utili o ai prodotti o con provvigioni (ad esempio un tot per ogni vendita fatta).

Questa retribuzione variabile è naturalmente aleatoria e di regola viene applicata in concorrenza con quella fissa.

La provvigione è tipica dei lavoratori autonomi del commercio (agenti di commercio) ma trova applicazione anche per alcuni lavoratori subordinati del settore (piazzisti, propagandisti ecc.).

Infine la partecipazione agli utili è riferita a una quota degli utili netti quale risultante, per società soggette all'obbligo di pubblicazione del bilancio, dall'ultimo bilancio approvato e pubblicato.


L'articolazione delle voci della retribuzione: il lavoro privato


La retribuzione è composta da una pluralità di voci previste o dalle legge o dai contratti collettivi.

La prima componente fondamentale è la cosiddetta paga base che è il livello minimo stabilito dalla contrattazione collettiva in relazione alla qualifica assegnata al lavoratore. I contratti individuali possono anche stabilire la corresponsione di una paga superiore mediante aumenti o assegni ad personam detti superminimi.

Alla paga base di aggiungono varie voci quali gli scatti di anzianità che remunera la migliore qualità della prestazione che si presume derivi dalla crescita dell'anzianità; le mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima), i premi di incentivazione, particolari indennità che remunerano particolari condizioni del lavoro (ad esempio all'estero, o in locali sotterranei o con particolare rischio ecc,).


.nel pubblico impiego


Nel pubblico impiego è espressamente previsto (dlgs 165/01) che l'attribuzione di trattamenti economici può avvenire solo mediante i contratti collettivi; anche qui c'è un trattamento fondamentale e uno accessorio.


Retribuzione nominale e adeguamento...


L'obbligazione retributiva è adempiuta con moneta avente corso legale e secondo il suo valore nominale. L'applicazione del principio nominalistico può impedire l'effettiva funzione di sostentamento, soprattutto per effetto della svalutazione reale conseguente alla svalutazione della moneta

Per porre rimedio a tali effetti nel secondo dopoguerra venne introdotta la c.d. indennità di contingenza o scala mobile, che prevedeva un aggiornamento periodico di questa specifica voce sulla base della variazioni ISTAT dell'indice del costo della vita.

Questo Istituto, che tra l'altro ha conseguito solo in misura parziale i suoi obiettivi, cessò del 1992, sostituita da un accordo tra Governo e parti sociali del 1993.

In particolare il governo si impegna a realizzare una politica di difesa dei redditi da lavoro mantenendo l'inflazione entro tassi programmati; viene d'altro canto introdotto un rinnovo biennale della parte retributiva dei contratti di lavoro cos' da consentire più frequenti adeguamenti del valore nominale delle retribuzioni.

Infine va ricordato che spesso la retribuzione è presa a parametro di altre voci (ad esempio la liquidazione); è quindi importante definire quali siano le voci che rientrano realmente nella retribuzione utile; questa verifica va fatta di volta in volta avendo presenti le voci che sono tali sulla base della volontà delle parti.


La retribuzione assoggettata a imposizione tribut. e contrib. Previdenziale.


E' la legge che definisce quale sia la nozione di retribuzione utile ai fini dell'imposta sui redditi delle persone fisiche e per il calcolo dei contributi previdenziali. Peraltro tra le due accezioni ci sono alcune differenze.

A fini fiscali si considera tutte le somme percepite, nel periodo, a qualunque titolo in relazione al rapporto di lavoro. A fini previdenziali si considerano invece i redditi di lavor dipendente e cioè quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro.

In sostanza a fini fiscali rileva ciò che il lavoratore ha effettivamente percepito, a fini contributivila retribuzione non può comunque essere inferiore a quelle definite dai contratti collettivi.









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