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Giuseppe Tomasi di Lampedusa - IL GATTOPARDO

letteratura



Giuseppe Tomasi di Lampedusa

IL GATTOPARDO


Piccoli Martina 4^BI 

ITC "L. Luzzati" sede di Valdagno

Casa editrice De Agostini



Anno pubblicazione: 1958 (conforme il manoscritto del 1957)

Genere romanzo storico


Riassunto: 



Personaggi:

Don Fabrizio Corbèra Principe di Salina

Don Fabrizio è un uomo dalla corporatura tanto massiccia da esser definibile gigantesca, dagli occhi chiarissimi che spiccano sul colorito roseo incorniciato dalla zazzera bionda; dettagli che denunciano l'origine tedesca di sua madre, la Principessa Carolina.

Possedeva forti e reali inclinazioni alle matematiche che, applicate all'astronomia, lo aveva reso possessore di molteplici riconoscimenti pubblici e gioie private.

Aristocratico siciliano dotato di un temperamento autoritario e di una certa rigidità morale che, forse a causa dell'ambiente palermitano, si trasformano di anno in anno in prepotenza capricciosa.

Può essere definito un uomo moderno: se pur siciliano fin nel midollo, la sua mente comprende i cambiamenti che stanno avvenendo, anche se, il suo cuore p 151h74b referisce ignorarli.

Dall'animo inquieto e spesso iracondo, egli sembra quasi possedere una duplice personalità. Da una parte l'uomo d'onore del sud, capofamiglia di una stirpe patriarcale, che osserva pacifico ed orgoglioso i figli sottomessi, la moglie ubbidiente, i plebei umili. Forte della sua posizione di prestigio e dello stemma nobiliare, il Principe indugia sotto il sole cocente ad osservare le meraviglie della sua terra, le gioie sensuali della vita, i piaceri terreni. Ma dall'altra parte emerge Don Fabrizio quasi estraneo all'uomo iracondo che si conosce di fama, spesso immerso in pensieri di morte, consapevole dei cambiamenti che stanno avvenendo, che quasi corteggia la morte (intesa come passaggio nell'al di là) perché la considera il raggiungimento della perennità. Egli ha bisogno di stabilità desidera un ambiente immutevole che gli dia quella sicurezza, quella stabilità, che egli considera felicità.

Don Fabrizio è l'impersonificazione di un avo di Giuseppe Tomasi (il suo bisnonno, Principe Giulio di Lampedusa), attraverso cui l'autore vuole raccontare una faccenda che egli sente viva dentro di se, tanto che talvolta il personaggio e l'autore si sovrappongono

Principessa Maria Salina:

Moglie di Fabrizio, a lui molto affezionata e talvolta anche sottomessa, è orgogliosa di appartenere alla famiglia dei Salina. Profondamente credente (come del resto tutta la famiglia), nonostante provi del genino affetto per Tancredi, mal sopporta il fidanzamento di quest'ultimo con Angelica, bellissima, ma pur sempre contadina.


Concetta:

Figlia di Fabrizio e Maria Stella, sottomessa ed ubbidiente, è amata dal padre proprio per questo suo carattere docile e rispettoso. È timida, riservata, ma ben conoscente della sua posizione di prestigio e della potenza del nome che porta. Le sue movenze aristocratiche, il suo portamento autoritario e superbo (tutti atteggiamenti che andranno evidenziandosi nel corso del tempo), la rendono altezzosa ed antipatica.

Troppo sicura dell'amore di Tancredi, troppo innamorata per incolpare lui del suo "tradimento", considera Angelica il motivo della sua sofferenza. L'odio per quella contadina che prende il suo posto nel cuore di Tancredi e di Don Fabrizio cresce negli anni avvelenandole l'esistenza.

Diverrà una bisbetica, arrogante ed inacidita "zitella" dura con tutti, perfida con Angelica; e solamente alla fine scoprirà di non aver nulla da odiare, d'aver sprecato la sua esistenza rincorrendo e ricordando un amore mai realmente esistito.


Tancredi Falconeri:

Nipote del Principe, Tancredi è un giovane sul cui viso magro e triangolare spicca un'espressione beffarda che tanto attrae. Gli occhi di un azzurro torbido, spuntano a fatica, ma pur sempre ridenti, dalle fessure delle palpebre.

Tancredi, nobile ma senza un soldo, brilla per la sua ambiziosità, per la parlata maliziosa, per la sua elasticità mentale. Testardo ed affettuoso, si conquista la simpatia del Principe, che di lui apprezza (e forse invidia) la carica emotiva, la forza, la gioia di vivere, la rapida adattabilità, quell'arte innata delle sfumature che gli dava il modo di parlare, il linguaggio demagogico di moda, quel suo fare e poi riflettere. Dongiovanni per natura, dimentica senza indugi i pochi ma significativi gesti compromettenti nei confronti di Concetta: gli basta uno sguardo ad Angelica ed il suo cuore selvaggio s'innamora di quella bellezza così vera, così prorompente. Nonostante le origini contadine della sua amata non siano per lui fonte di preoccupazioni, plasma Angelica rendendola consona all'ambiente che dovrà frequentare.

Tancredi affascina e seduce, coinvolge col suo fare diretto, stupisce per il suo impegno politico e l'incorruttibilità dei suoi pensieri.


Angelica:

Unica figlia di Don Calogero, bellissima ragazza dagli occhi verdi, la bocca a forma di cuore, l'incarnato lucente e la chioma corvina, diviene subito l'oggetto dell'interesse di Tancredi. Spontanea e schietta, con la sua irruenza porta una ventata d'aria fresca fra le mura polverose di Palazzo Salina.

Forse per amore, certamente per interesse, è ben felice di accettare la corte del suo nobile pretendente; entra nella famiglia Salina aggiungendo il proprio patrimonio al nome di Tancredi.

Fiore di Sicilia, bellezza procace e sfacciata tipica del suo ambiente, abbandona presto le sue origini contadine, acquisendo facilmente quell'aria scontenta e distaccata diffusissima tra le giovani nobildonne.

Il suo carattere è molto simile a quello del fidanzato: entrambi caparbi, tenaci e strafottenti, complementari e necessari l'una all'altro, scorrazzano nella tenuta a Donnafugata divertendosi a scomparire per interi pomeriggi alla scoperta dei saloni inutilizzati.

Essi sono il simbolo della giovinezza, e come tali sono i pupilli di Don Fabrizio, che si affeziona subito ad Angelica ed al suo fare scanzonato. Quando decenni dopo, rimane vedova di Tancredi Angelica lo nomina spesso ed i suoi occhi si inumidiscono ogni volta; la voce rotta dall'emozione confessa quell'unione era stata per amore.


Don Calogero Sedara:

Contadino arricchito arrampicandosi fino a divenire sindaco di Donnafugata, Don Calogero è il simbolo della nuova classe sociale che sta per sostituirsi alla nobiltà.

La sua corporatura tarchiata tipica dei braccianti, i lineamenti grossolani, la parlata volgare la pulizia non esattamente assidua della sua persona, la totale mancanza di stile, la cultura che sarebbe eccessivo definire sommaria, fanno comprendere quanto patetico fosse ogni suo sforzo di avvicinarsi alla nobiltà ("come non sorridere davanti a quel frac di pessima fattura portato con nessun stile?")

Ricco quanto avido, ostenta i suoi averi. Assiduo frequentatore dei Salina, cerca in ogni modo di arruffianarsi il Principe che però lo vede come fumo negli occhi, non per lui stesso, ma per quello che rappresenta.

Padre Pirrone:

Unico figlio maschio di una modesta famiglia siciliana, a soli sedici anni sceglie la via del convento. Confessore di casa Salina, profondo conoscitore dell'animo umano, attento osservatore, misura bene le parole soprattutto durante i colloqui con Don Fabrizio.

Religioso per pura vocazione, si interessa e partecipa vivamente alla vita dei Salina, fungendo talvolta da intermediario (per Concetta) ed in altri casi da capro espiatorio (viaggio a Palermo in tarda notte).


Quadro culturale, politico e storico:

La lettura degli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale nasce in Italia all'insegna del neorealismo. La poesia passa in secondo piano rispetto alla prosa, e in questo campo la prosa d'arte (genere dominante negli anni '30) cede il passo ad una narrativa di taglio naturalistico, impegnata e popolare.

Per il futuro il modello avrebbe dovuto essere l'opposto di quello degli anni '30 dell'anteguerra, quando la letteratura si barricò dietro l'ermetismo. Ma si trattò di un progetto destinato ad esaurirsi nell'arco di pochi anni: la fine del quarto decennio del secolo, con la rottura del patto d'unità nazionale, con la sconfitta elettorale delle sinistre ('48), con il clima da guerra fredda che ormai si respira, mette alle corde l'ottimistico e un po' astratto ideale di questa narrativa fondata sui valori della Resistenza, fondamentalmente retorica e borghese. Mentre in varie riviste si intensifica la discussione teorica sulle strade che la letteratura deve imboccare, nella pratica si fanno strada un diffuso pessimismo, la scelta del fantastico, lo sperimentalismo linguistico e formale. E la comparsa del Gattopardo, con il suo apparente "qualunquismo storico", non fece altro che inasprire le polemiche. Il Gattopardo fu un fatto assolutamente imprevisto; e il suo successo, invano contrastato dai molti detrattori, segnò il declino di un periodo letterario caratterizzato dall'egemonia culturale di sinistra.

Tempi & Luoghi:


Le vicende de "Il Gattopardo" iniziano nel 1860, in piena unificazione italiana. Il giorno 11 maggio di quell'anno si compiva a Marsala lo sbarco di ottocento camice rosse guidate da Garibaldi. L'obbiettivo, che venne raggiunto dopo la capitolazione di Palermo e la battaglia di Milazzo, era di conquistare l'isola. Dopo aver attraversato lo stretto di Messina, Garibaldi si diresse a Napoli, entrandoci, con Vittorio Emanuele II, il 20 agosto. Il controllo dell'Italia meridionale era stato conquistato, ma i problemi riguardanti l'unificazione dovevano essere ancora risolti. La questione dell'organizzazione fu risolta dividendo il territorio in province (dirette da un prefetto nominato dal ministro degli interni) e centralizzando il potere. Un aumento delle imposte ed un taglio alle spese furono attuati nel tentativo di diminuire il debito pubblico. La situazione era particolarmente grave, che, a causa del brigantaggio e delle cattive condizioni di vita, non riesce ad integrarsi con un settentrione già abbastanza sviluppato. Il 3 ottobre 1866, con la pace di Vienna, l'Italia alleata della Prussia, riuscì ad acquisire il veneto (rimasto sotto il controllo austriaco). Nel 1870 anche Roma, che sarebbe diventata la capitale, entra a far parte del regno d'Italia.

Il "Gattopardo" inizia nel maggio del 1860. Le vicende proseguono di mese in mese (II Capitolo: agosto, III Cap.: ottobre, IV Cap.: novembre.), di anno in anno (V Cap.: febbraio 1861, VI Cap.: novembre 1862.) fino al capitolo VII che, compiendo un brusco salto temporale porta nel luglio 1883 ( più di vent'anni dopo l'inizio della vicenda), interrompe quella tranquilla continuità. L'ultimo capitolo, l'ottavo, è datato addirittura 1910. Il maggio del 1910 chiude la storia iniziata nel maggio 1860: cinquant'anni di avvenimenti sono bastati a cambiare l'Italia e a distinguere la dinastia dei Salina.


Sebbene il romanzo si apra a Palermo, la maggior parte degli avvenimenti ha luogo a Donnafugata, sperduto paesino meta per i Salina nelle torride estate siciliane. La strada che conduce a questo gruppetto di case in pietra è lunga e polverosa: il sole cocente ha prosciugato ogni umidità. La Sicilia appare qui desolata e sterile, secca e disabitata, consolata solamente dal mare, limpido e vitale.

Il palazzo dei Salina a Donnafugata è una costruzione immensa. Costruito dall'insieme di più "fabbricati di stile differenti, armoniosamente uniti però intorno a tre cortili e terminanti in un ampio giardino tutto cintato", comprende innumerevole stanze e saloni, di cui solo una piccola parte viene utilizzata. Quegli appartamenti inutilizzati stuzzicano la fantasia, nascono ricordi e testimonianze degli avi, sono la memoria della famiglia Salina.


Stile: 

Il linguaggio utilizzato dal Lampedusa è duplice ed opposto. Gran parte dei termini possono essere definiti inusuali e ricercati, e sono facilmente separabili in due categorie opposte.

Da una parte troviamo vocaboli aulici letterati, antiquati che compongono espressioni come:" le parole rigavano l'atmosfera lunare della camera chiusa, rossa come torce iraconde", "la semioscurità glauca della stanza".

Dall'altra parte è possibile ritrovare nel romanzo un tipo di espressioni e di vocaboli di origine completamente differente: " schifosissimo rospo", "sputando continuamente per lo schifo", "pisciata di mulo", " s'inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacciano via".

Quella de " Il Gattopardo" è una lingua composita e complessa, come la materia che il romanzo tratta. Questo vocabolario eterogeneo permette a Tomasi di cogliere i più diversi aspetti della realtà, alla rappresentazione della quale non potevano adattarsi termini esclusivamente aulici o solamente volgari.

L'uso della punteggiatura è molto particolare, Tomasi unisce spesso due momenti successivi utilizzando i due punti, momenti che non vuole dividere col punto fino a quando la sequenza non sia conclusa. Attraverso questo tipo di frasi descrive oggetti, azioni oppure vari aspetti di uno stesso stato d'animo o ancora le differenti reazioni della famiglia dei Salina senza collegarli attraverso la normale punteggiatura. Questo modello di frase, abbastanza semplice, è mantenuto in tutto il romanzo.

Sono presenti anche delle brevi frasi di commento dal tono distaccato ed oggettivo, che consentono una riflessione ma che non fanno si che il lettore si stacchi alla vicenda che sta leggendo.

La posizione dell'autore non è ne di distacco ne di partecipazione, ma bisogna parlare di una presenza di entrambi di questi atteggiamenti, che si intrecciano in tutto il corso del romanzo.



Temi trattati:

Scontro tra scienza e fede


Eroismo di Galileo:


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