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Tecnologia e Produzione - Funzione di produzione

economia



Tecnologia e Produzione


Produzione

In senso tecnico, è l'attività che consente la combinazione di input e la loro trasformazione in output; in senso economico, è l'attività diretta ad ottenere, in termini di valore, un output superiore agli input.

Gli input sono rappresentati da fattori naturali, fattori riproducibili, e dal lavoro. Gli output, invece, sono beni e servizi. Le regole e le modalità per decidere quali beni e servizi produrre, per la società contemporanea sono riconducibili a due modelli:

il mercato, che opera attraverso un sistema di prezzi: ossia la qualità e la quantità dei beni e servizi viene a dipendere dalla domanda dei consumatori;



la pianificazione economica, propria delle economia pianificate, nella quale quantità e qualità sono in parte o totalmente regolate dallo stato.

Un sistema di produzione è costituito dall'intreccio di due sottosistemi:

un complesso di mezzi e di unità operatrici che determinano la trasformazione fisica del prodotto;

un complesso di mezzi che assicurano il flusso dei semilavorati e dei componenti nel processo produttivo, fino al completamento del prodotto finito.

L'intero sistema di operazioni o fasi prende il nome di genealogia della produzione e, in forma diagrammatica può essere rappresentato da un albero, mentre in forma algebrica può essere rappresentato per mezzo di due matrici.


Funzione di produzione

In senso lato, per funzione di produzione si intende qualunque relazione matematica in forma di funzione, che permetta di calcolare la massima quantità di prodotti ottenibili con date quantità di fattori produttivi. Mette in relazione diretta la quantità dei prodotti ottenuti con i fattori di produzione disponibili; rappresenta anche l'economia del cambiamento tecnologico o meglio la dinamica del cambiamento stesso, ossia il processo attraverso il quale una nuova tecnologia ne rimpiazza una vecchia. La versione più comune della funzione di produzione (neoclassica) mette in relazione la produzione finale di un bene con le quantità dei fattori produttivi richieste per ottenerla. Nuove conoscenze conducono a nuove funzioni di produzione. Il rapporto tra singolo input ed output prende il nome di "coefficiente tecnico"; questi ultimi possono essere fissi o variabili; nel caso di coefficienti fissi, ossia nel caso esista un sol modo o una sola tecnica di produzione, si può verificare il caso che alcuni input risultino in eccesso, mentre la scarsezza di altri limitino l'output ottenibile. Il rapporto tra input impiegati ed output ottenuti, si dice rendimento del processo produttivo; si hanno 3 possibilità: rendimenti crescenti, decrescenti e costanti a seconda che il rapporto sia meno che proporzionale, più che proporzionale o proporzionale.

Prende il nome di "progresso tecnico" ogni modificazione della funzione di produzione per la quale sia richiesta una minore (uguale) quantità di input per ottenere pari (maggiori) output.

Economie di scala e progresso tecnico sono due concetti strettamente interconnessi: infatti, la realizzazione di economie di scala avviene in presenza di aumenti della produzione (in parte determinati dal progresso tecnico), così come rendimenti crescenti possono a loro volta, favorire l'assorbimento di progresso tecnico. Effetti simili al progresso tecnico si hanno nel cosiddetto "apprendimento attraverso l'esperienza" (learning by doing). La funzione di produzione aggregata o macroeconomica rappresenta ancora una relazione tra prodotto netto interno, i fattori produttivi aggregati in due categorie (capitale e lavoro) ed il tempo:

Y=f(K,L,t)

per ogni tempo t, il prodotto nazionale Y è una funzione di K e L

Y/Y=f(K/Y,L/Y,t)

1=F(k,l,t)

k=f(l,t) [equazione dell'isoquanto unitario]

Gli isoquanti, sono il luogo geometrico dei punti che, con le loro coordinate, danno le quantità dei fattori di produzione che sono tecnicamente equivalenti, al fine di ottenere una data quantità di prodotto; vale a dire che una certa quantità di prodotto può essere ottenuta con diverse combinazioni quantitative di fattori produttivi. Le funzioni aggregate sono state impiegate per individuare quanta parte dell'aumento della produzione nazionale, verificatasi con la crescita economica, sia attribuibile al maggiore impiego dei fattori produttivi e quanta parte sia invece da attribuire al progresso tecnico ed organizzativo.

La tecnica che, in un dato momento si rivela migliore nella pratica, è quella che tiene conto tanto delle condizioni tecniche quanto di quelle economiche e che consente i costi minimi in termini di funzione di produzione e di prezzi relativi vigenti a quella data. La funzione di produzione aggregata, ha consentito agli economisti neoclassici di chiarire le implicazioni economiche del progresso tecnico; in effetti attraverso processi di analisi di correlazione, è stato sostenuto che il progressivo miglioramento delle tecniche di produzione è causa importante, insieme alle economie di scala, dei miglioramenti della produttività. Altri studiosi hanno dimostrato che questo restava un utile strumento di analisi statistica, qualora si aumentasse il numero e si specificassero meglio i fattori produttivi. Secondo questi studiosi, una parte cospicua dell'aumento della produttività del lavoro precedentemente attribuita al progresso tecnico era imputabile all'aumento della qualità del lavoro. Un'altra parte, ugualmente cospicua di quell'aumento era imputabile alle cosiddette economie di scala, o rendimenti crescenti. Questi ultimi fanno sentire tutta la loro forza in relazione all'economia nel suo complesso: l'aumento della produzione e dell'occupazione e l'allargamento e l'unificazione dei mercati favoriscono una migliore utilizzazione delle tecniche esistenti (economie di scala in senso stretto) e diventano in effetti uno stimolo allo stesso progresso tecnico. Conseguenza importante del progresso tecnico incorporato nelle moderne economie è che l'esistenza di beni capitali che incorporano vecchie tecniche può diventare un impedimento alla diffusione delle nuove tecniche, quando le imprese riescano a influire sostanzialmente sui prezzi dei loro prodotti (in modo da mantenere profittevoli i vecchi beni capitali) o esistano notevoli ostacoli alla mobilità delle risorse impiegate con i vari beni capitali. Un 525i82f superamento della funzione di produzione neoclassica è rappresentato invece dalla teoria del progresso tecnico basato sul principio del learning by doing, o apprendimento attraverso l'esperienza. Questo processo di apprendimento consente di aumentare la produttività del lavoro mano a mano che aumenta la produzione ottenuta da un certo impianto o il numero di beni capitali di un certo tipo impiegati nella produzione, anche se gli incrementi di produttività diminuiscono rapidamente da un certo punto in poi.

Il cambiamento tecnologico può arrecare beneficio alla maggior parte delle persone, ma molte volte, per non dire sempre, a discapito di qualcun altro. La nozione di "conseguenze esterne" del cambiamento è ben riconosciuta dalla letteratura "sulla valutazione tecnologica" che è un'estensione dell'analisi costi-benefici che, a sua volta è la tecnica di misurazione dei costi e benefici sociali riscontrati in seguito all'introduzione di un'innovazione.

Spesso, in tempi di recessione economica, si accusa l'innovazione tecnologica, di essere la causa della disoccupazione. Il dibattito non è però esaurito, per 3 importanti motivi:

il ritmo esplosivo con cui continua a procedere l'innovazione tecnologica

l'ampiezza dei mutamenti socioeconomici

il permanere di una pesante disoccupazione, particolarmente in Europa.

Secondo gli economisti preclassici i cambiamenti tecnologici erano visti con favore, anche se le preoccupazioni per le gravi e sconvolgenti conseguenze sull'occupazione portarono spesso ad una legislazione restrittiva dell'uso dei macchinari. Tra questi Steuart spiega come un'improvvisa meccanizzazione potesse condurre ad una temporanea disoccupazione, comunque, pur riconoscendo che ci sarebbero stati effetti compensativi nel lungo periodo, tramite la crescita occupazionale nelle fabbriche che producevano macchinari e tramite la riduzione di prezzo che avrebbero stimolato la domanda, non credeva che i mercati si equilibrassero sempre.

Gli economisti classici invece, si basarono sulla dimostrazione dei benefici del libero commercio e della concorrenza e su un atteggiamento generalizzato improntato al "laissez faire". Sorprendente fu l'affermazione di Ricardo, secondo il quale, l'introduzione delle macchine che riducessero la manodopera era negativa per gli operai, provocando disoccupazione mentre i salari reali non potevano essere abbassati. Ferme restando le riserve di Ricardo e tenuto conto del riconoscimento degli economisti classici che i meccanismi "compensativi" nel mercato del lavoro non erano assolutamente immediati né automatici, i governi dei vari paesi approntarono necessarie misure per costringere la gente a cercare lavoro e scoraggiare la "disoccupazione volontaria", oltre che a far fronte a rivolte come quella luddista. In conclusione, per gli economisti classici il progresso tecnico era una variabile cruciale del sistema economico.

W.H. Beveridge riassume la posizione degli economisti neoclassici nei confronti della disoccupazione prima della grande guerra, e ne indicò le cause soprattutto nelle imperfezioni del mercato del lavoro; nell'economia neoclassica, la disoccupazione tecnologica poteva manifestarsi a causa dell'incapacità del mercato di assorbire interamente la maggior produzione risultante dal cambiamento tecnico e a causa di un'offerta di capitale insufficiente ad assorbire la manodopera sostituita. Per gli economisti neoclassici, raramente il cambiamento tecnologico viene visto come improvviso o rivoluzionario; al contrario l'introduzione di una nuova tecnologia e la sua diffusione vengono considerate un processo lento e graduale anche a confronto con le grandi rigidità del mercato: la disoccupazione che ne scaturisce non avrà niente a che vedere con il cambiamento tecnologico.

La scuola Keynesiana si distingue da quella neoclassica per il rifiuto della nozione che l'equilibrio implica necessariamente la piena occupazione; mentre in effetti, la legge di Say è valida solo in caso di piena occupazione, essa non funziona in nessuna posizione di equilibrio in presenza di sottoccupazione. Keynes trascura il ruolo della tecnologia cosicché per la sua teoria era sostanzialmente indifferente quali fossero le nuove tecnologie e le industrie a più rapida crescita.

Per Schumpter e gli strutturalisti il processo tecnologico era al centro delle dinamiche del sistema economico a sua volta trainato dalle innovazioni tecniche e dalla loro diffusione. Il processo innovativo è un'importante forza squilibratrice del sistema economico, anziché un tipo di trasformazione uniforme ed incessante che può infliggere robusti scossoni all'economia. Per quanto riguarda l'occupazione, Schumpter attribuì la comparsa di disoccupazione tecnologica "ciclica" alle trasformazioni tecnologiche. Gli economisti di questo periodo, svilupparono la teoria che i nuovi sistema tecnologici spesso hanno le loro origini molte decine di anni prima di venire largamente adottati nell'economia, e non nella depressione immediatamente precedente.

Nessuno mai considera l'adeguamento dell'occupazione al cambiamento tecnico un processo istantaneo ed automatico. Tutti riconoscono che ci sono periodi in cui i problemi di adeguamento strutturale e di disoccupazione strutturale sono particolarmente acuti.

I problemi legati agli effetti negativi esterni, ambientali, di lungo periodo dell'industrializzazione e dell'impiego della tecnologia, non riguardano solo la qualità della vita di persone di certe regioni o certi paesi, ma riguardano il benessere delle future generazioni, talvolta a livello planetario. Mano a mano che ogni sistema di infrastrutture collegate cresce e prosegue nel suo sviluppo, assieme alle conseguenze esterne positive se ne possono manifestare sempre alcune negative finché la traiettoria di crescita raggiungerà i suoi limiti. Ciò che la tendenza continua verso il miglioramento tecnologico nasconde, è il crescente costo ambientale della maggiore mobilità sia delle persone che delle merci; in certi casi, tali costi potrebbero essere anche superiori ai benefici convenzionali del commercio, specialmente quando manca una politica ambientale per ridurre l'inquinamento nei paesi interessati o nei paesi che beneficiano solo di scambi di attraversamento. Attualmente si assiste ad un cambiamento del "paradigma tecno-economico" indirizzato verso una modernizzazione ecologica basata sul risparmio energetico e su prodotti e processi più puliti, ossia basata su principi di sviluppo ambientale sostenibile, raggiunti con lo spostamento verso un modello di crescita e sviluppo basato meno sulla mobilità e la specializzazione e più sulla prossimità e la flessibilità. Per ridurre la mobilità occorre dare maggior impulso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in modo da ridurre i contatti personali con la riduzione della frequenza dei viaggi per recarsi al lavoro, etc. La prossimità e la flessibilità si raggiungono con un nuovo modello di commercio internazionale in cui gli scambi di beni lavorati avvengono sulla base di un'integrazione regionale e di una maggiore trasferibilità di servizi, si tratta di un modello in cui le materie prime sono lavorate vicino al luogo d'estrazione elevando così il valore aggiunto delle merci trasformate che vengono spedite e riducendo i trasferimenti di produzione oltremare a favore degli investimenti all'estero. Dopo la metà degli anni 90 è iniziata la fase di transizione verso un'economia ecologicamente sostenibile e che alla sua conclusione farà seguito un più completo paradigma tecno-economico "verde" durante il secolo venturo.


Progresso tecnico ed evoluzione economica

Il *, inteso da un punto di vista economico, come acquisizione di conoscenze che consentono di impiegare nuovi processi produttivi e di ottenere nuovi beni è stato contrassegnato da uno sviluppo tecnologico molto marcato, ossia è il risultato di invenzioni ed innovazioni. Gli sviluppi tecnologici sono avvenuti in modo diseguale tra i vari paesi, mentre la supremazia tecnologica passava da un paese ad un altro; in aggiunta, i settori industriali non avanzano in modo uniforme. Secondo Schumpter, l'invenzione, cioè la scoperta di una tecnologia potenzialmente utile era una "esternalità" (variabile esogena) un qualcosa che gli industriali assorbivano dall'esterno (ossia al di fuori del loro sistema di lavoro) e facevano proprio sfruttandolo. Per Schmookler, l'invenzione era una variabile endogena, ossia i periodi di sviluppo tecnologico e di investimenti suscitavano le invenzioni che erano appropriate alla domanda ed alle possibilità dell'industria; in altre parole sviluppo tecnologico e investimenti rapidi producono ulteriore sviluppo tecnologico.

Lo sviluppo tecnologico presenta alcuni aspetti diversi tra i quali hanno particolare rilevanza quelli finanziari e quelli dell'organizzazione industriale.

Per quanto riguarda gli aspetti finanziari le nuove invenzioni non sono di per sé sufficienti a provocare il progresso tecnologico: in effetti, la disponibilità di capitale per sfruttarle ha sempre costituito un fattore di primaria importanza.

Preso atto delle grandi risorse occorrenti per sostenere i principali sviluppi tecnologici attraverso il passaggio dell'invenzione - innovazione, allo sfruttamento vantaggioso, Freeman dimostra come, in un'industria che attraversa un rapido processo di sviluppo tecnologico per la sopravvivenza, sia necessario un volume minimo di risorse per ricerca e sviluppo.

Per quanto riguarda gli aspetti dell'organizzazione industriale, gli sviluppi tecnologici, insieme ad altri fattori, causano concentrazione di risorse produttive con conseguente formazione di grandi aziende e grandi società per azioni.

Bain illustra la relazione tra tecnologia e concentrazione aziendale, distinguendo 3 periodi:

dal 1870 al 1905: concentrazione delle industrie manifatturiere;

dal 1905 al 1935: rapida concentrazione delle industrie di servizi;

dal 1935 al 1960: lenta concentrazione industriale.

I fattori che secondo Bain favoriscono le concentrazioni sono:

considerazioni tecnologiche: alcuni sviluppi tecnologici favoriscono la concentrazione per consentire vantaggi dalle risultanti economie di scala;

promozione delle vendite;

considerazioni monopolistiche;

spinta ad innalzare barriere;

operazioni finanziarie;

I fattori che invece contrastano le concentrazioni sono:

la legislazione antitrust;

il desiderio di conservare l'indipendenza nelle operazioni commerciali;

la crescita del mercato;

il nazionalismo economico

Una conseguenza importante del processo di concentrazione industriale fu la fabbricazione all'estero, ossia l'apporto della tecnologia anziché di prodotti in altri paesi.

Si può affermare che l'impresa industriale ha risposto alle esigenze socioeconomiche organizzandosi via via in modo appropriato alle situazioni, ossia con:

organizzazione nazionale: quando le barriere internazionali sono molto alte e pertanto occorrono strutture nazionali autosufficienti e sensibili alle esigenze ed occasioni locali;

organizzazione multinazionale: cadute le barriere agli scambi internazionali, le imprese decentrano le proprie filiali nei diversi Stati che agiscono in base al proprio ambiente operativo;

organizzazione internazionale: federazioni di imprese coordinate; attività, risorse, responsabilità e decisioni continuano ad essere decentralizzate, ma controllate dalla sede centrale secondo la logica del prodotto ciclico internazionale;

organizzazione globale: fabbricare prodotti standard distribuendoli su mercati in ogni parte del mondo;

organizzazione transnazionale: flessibilità multinazionale nel rispondere alle attese del mercato locale, competitività globale per le efficienze di scala, abilità di apprendimento a livello internazionale, per un'innovazione di scala mondiale.

Il progresso tecnico è il risultato di invenzioni ed innovazioni. Schumpter distingue tra invenzione (atto che contribuisce al progresso tecnico) ed innovazione (introduzione di nuovi processi produttivi o di nuovi beni dell'attività economica). L'invenzione è il concetto, l'idea o percezione di nuove tecnologie utili; l'invenzione si pone molto più a valle, essendo la realizzazione della nuova tecnologia nelle mani di chi la usa.

Il rapporto tra invenzione ed innovazione e tra entrambe ed il progresso economico in un certo settore, si è presentato storicamente in forme troppo diverse per poter accettare generalizzazioni. Sia le ricostruzioni storiche di importanti eventi della storia economica, quanto puntuali ricerche quantitative su singoli settori (o particolari periodi) hanno dimostrato che invenzioni ed innovazioni sono spesso il risultato di un unico processo, mosso da particolari condizioni economiche.

E' possibile individuare, nel corso del 19esimo secolo, due tendenze: invenzioni realizzate da inventori indipendenti ed invenzioni messe a punto nelle imprese operanti nei vari settori. La prima metà del 20esimo secolo, tuttavia, segnò l'inizio di un profondo mutamento nelle fonti dell'innovazione: da un lato l'industria iniziò a costruire centri stabili di R&S per disporre di una sorgente interna di innovazioni, mentre, dall'altro, i governi diedero inizio ad una politica di investimenti in R&S, sia per la produzione di armi sempre più efficaci, sia, in tempi più recenti, di quei prodotti che l'industria, lasciata senza sostegno, avrebbe finito per trascurare. Questi cambiamenti integrarono, senza soppiantarle, le fonti di innovazioni tipiche del secolo precedente e cioè l'inventore indipendente e l'imprenditore industriale. Dopo la 2° guerra mondiale, il legame tra ricerca scientifica e ricerca industriale è diventato sempre più stretto e soprattutto nei settori a tecnologia avanzata le scoperte più significative hanno avuto luogo unicamente in laboratori industriali in quanto la ricerca richiede mezzi e strumenti sempre più sofisticati ed impieghi sempre più cospicui di risorse finanziarie ed organizzative. Ritornando alle motivazioni delle innovazioni, si distinguono ragioni economiche e non. Gli impulsi provenienti  da fattori economici, possono essere, secondo Sylos Labini, di 3 ordini, perché possono derivare:

dall'espansione del mercato;

dalla convenienza di ridurre i coefficienti di produzione e quindi i costi;

dalle variazioni dei prezzi relativi dei prodotti e dei mezzi di produzione.

Dal punto di vista dell'azienda nel suo insieme, la motivazione all'innovazione sta nel fatto che un nuovo prodotto offre un monopolio temporaneo che consente di accrescere le vendite e di incrementare i margini di profitto, così che anche un nuovo processo avvantaggerà l'impresa in termini di costi di produzione o di qualità di prodotto, consentendo di ridurre i prezzi ed aumentare le vendite. In altre parole, l'invenzione tecnica, per divenire innovazione, deve portare un vantaggio economico, altrimenti rimane inefficace.

Gli impulsi provenienti dagli strumenti di certi costi e certi prezzi relativi o l'aumento dei salari, mettono in moto innovazioni tendenti a compensare tali aumenti attraverso un aumento della produttività del lavoro. La spinta militare s'è dimostrata prevalente in tutte le epoche. Per quanto riguarda le spinte intellettuali, ossia solamente scientifiche, occorre riconoscere che Scienza e Tecnologia, per lungo tempo, hanno obbedito a leggi differenti: la prima ricerca la conoscenza dell'universo, la seconda ciò che è utile; di rado si è riscontrata una concatenazione casuale della ricerca di base a quella applicata, e dove c'era un collegamento, ad eccezione della fissione nucleare, tra la scoperta scientifica e la sua applicazione pratica non intercorre che raramente un intervallo breve.

Schumpter vede l'innovazione come il fenomeno centrale dello sviluppo economico; ogni fase storica è caratterizzata da un numero ristretto di innovazioni tecnologiche essenziali per lo sviluppo economico e sociale. Così, da 2 secoli circa, si sono succeduti periodi di durata di 50/60 anni caratterizzati da una, due o al massimo 3 grandi invenzioni. Fu lo stesso Schumpter a definire questi periodi "onde lunghe di Kondrat'ev" o "cicli economici di Kondrat'ev". Ogni ciclo è caratterizzato da una trasformazione fondamentale nella struttura economica e sociale della società, e rappresenta una vera e propria rivoluzione industriale.

Le rivoluzioni industriali dell'epoca moderna sono 4 e sono caratterizzate da una progressiva sostituzione di forme di energia, di materie prime, di processi produttivi e di organizzazioni del lavoro. La 1° rivoluzione industriale (1770-1840) si ebbe con l'introduzione e la diffusione della macchina a vapore per usi fissi. La 2° avvenne nella seconda metà del secolo scorso, e fu dominata dalla macchina a vapore per usi mobili. Nascono in questo periodo le organizzazioni dei sindacati, le S.p.A. i grandi complessi industriali ed il sistema del credito. La 3° comprende la prima metà del nostro secolo, ed è caratterizzata da un maggior numero di innovazioni rispetto ai due precedenti periodi, e quindi si assiste ad un maggior sviluppo produttivo, sotto l'effetto combinato dell'uso dell'elettricità, del motore a scoppio, dell'industria siderurgica e di quella chimica. La 4° rivoluzione industriale, riguarda gli ultimi 50 anni ed è stata caratterizzata dalla produzione di massa (ciclo fordista), dalla petrolchimica e dall'elettronica.

Secondo un'opinione molto diffusa, staremmo vivendo una 5° rivoluzione industriale, caratterizzata dalla microelettronica come innovazione trainante.

Schumpter, accanto ai cicli lunghi, considera dei cicli brevi di 6/9 anni durante i quali si hanno industrie trainanti che sviluppano ed impongono le innovazioni, industrie che sotto l'effetto della concorrenza delle trainanti, entrano in crisi, scomparendo o riconvertendosi, ed industrie trainate che crescono e si sviluppano sotto l'effetto di tante piccole innovazioni.


Tecnologia

Può essere definita come qualcosa di intermedio tra scienza e tecnica, ossia qualcosa di equivalente alla scienza applicata. Per tecnica, in genere, si intende il complesso di regole da seguire nel praticare un'arte, un mestiere, una scienza e simile, mentre per tecnologia viene intesa quella parte della scienza che si occupa dei procedimenti tecnici e dei macchinari attraverso i quali le materie prime si trasformano in prodotti lavorati. I termini tecnica e tecnologia vengono quindi ad indicare l'insieme delle regole cui è affidato un processo produttivo e, rispettivamente, la trattazione sistematica di tali regole. È andato diffondendosi l'uso di tecnologia come nuovo sinonimo di tecnica. La correlazione tra scienza e tecnologia viene così ad essere diretta ed induce una immediata correlazione tra ricerca scientifica ed innovazione tecnologica, l'una indicando l'attività intesa a modificare il sapere, e l'altra l'introduzione di cambiamenti nelle regole di un processo produttivo.

Di fatto, il passaggio dalla scienza alla tecnologia si è sviluppato attraverso l'analisi di teorie scientifiche o per mezzo di esperimenti, ossia risposte empiriche ad esigenze economiche. La teorizzazione scientifica (una teoria razionale o matematica, generata combinando tecniche matematiche con principi fisici o meccanici) ha influito notevolmente sulla tecnologia in vari settori. Con l'esperimento, ossia con il ricorso a tecnologie empiriche realizzate a prescindere dalle conoscenze scientifiche che sottendevano, sempre nel campo della progettazione, si cercano verifiche quantitative appropriate di una macchina, di una struttura o di un processo. Le scoperte scientifiche e l'applicazione di principi scientifici hanno fortemente sviluppato la tecnologia dando luogo alla nascita di numerose industrie confermando il principio, affermatosi in questo secolo, secondo il quale è la scienza a generare la tecnologia.

Il rapporto tra scienza e sviluppo tecnologico cambiò notevolmente nel periodo della Seconda guerra mondiale; infatti lo sfruttamento della fissione nucleare è il frutto della ricerca della fisica nucleare, che portò, con il valido contributo di E. Fermi, alla dimostrazione pratica delle reazioni di fissione. Molte nuove tecniche sarebbero certamente irrealizzabili senza le conoscenze scientifiche che ne stanno alla base. Ma anche la scienza riceve dei contributi dalla tecnologia; così la ricerca fondamentale in fisica dipende sempre di più dai progressi della tecnologia. Si può perciò affermare, che i confini tra lo sviluppo ulteriore della scienza e la tecnologia diventano sempre più labili.

Attualmente, diventa molto difficile distinguere ciò che è ricerca di base da ciò che non lo è; lo scienziato può agire come ingegnere e l'industria conduce ricerca fondamentale in condizioni e con scopi conoscitici non molto dissimili da quelli dell'Università; le linee di demarcazione sono semmai temporali e spaziali: l'ambiente determina il grado di libertà delle applicazioni con cui viene impostata la ricerca. Si può concludere che per tecnologia si deve intendere correntemente un sistema complesso di informazioni e di elementi conoscitivi necessari ad esempio, per produrre su scala industriale un determinato prodotto a partire dai prodotti di base. Questo insieme di conoscenze può estendersi a un intero processo produttivo: dalla ricerca alla vendita dei prodotti, dall'organizzazione della produzione al marketing etc. In altre parole, la tecnologia è il modo di operare, il funzionamento complessivo del processo produttivo, che coinvolge persone non meno che cose; ossia la tecnologia non è un'entità singola, ma la combinazione di molti elementi.

In questi ultimi 200 anni, ossia dalla macchina a vapore all'intelligenza artificiale, la tecnologia è cresciuta nei paesi industrializzati secondo un modello di sviluppo definito "tecnologia dura" e caratterizzato da: alta sofisticazione, elevata intensità energetica e di capitale, ridotta richiesta di manodopera, scarsa attenzione verso i problemi ambientali. I limiti di siffatto modello di sviluppo si manifestarono in parte a metà degli anni '60 allorché cominciava a diffondersi un senso di crescente preoccupazione per i problemi ambientali e di sicurezza e soprattutto allorché si cercò di trasferirlo nelle aree dei paesi in via di sviluppo.

Disoccupazione ed indebitamento crescente verso l'estero furono conseguenze inevitabili dell'introduzione delle nuove tecnologie che richiedevano forti capitali di investimento e di esercizio (scarsi nei PVS), molte materie prime (spesso d'importazione) e poca manodopera (in abbondanza). Preso atto del fallimento del trasferimento delle nuove tecnologie nei PVS (causa principale l'arretratezza in cui tali paesi si trovavano) e del peggiorato quadro economico internazionale si cercò di definire un nuovo quadro tecnologico con un migliore equilibrio tra i fattori di produzione, suggerendo in particolare per i PVS tecnologie più semplici a metà tra quelle tradizionali e quelle moderne, ed adatte alle capacità locali. A metà degli anni '60 era nata, in contrapposizione alla tecnologia dura, una "tecnologia soffice", ovvero una tecnologia valida per tutti in ogni tempo. Ciò ha portato a considerare che la tecnologia dovrebbe essere semplice ed a buon mercato, in modo da poter essere condivisa da tutti e non solamente dai paesi ricchi ed industrializzati; inoltre, per essere valida per tutti i tempi, la tecnologia non dovrebbe dipendere dall'uso irreversibile di risorse naturali non rinnovabili, o che possono essere rinnovate solo a velocità molto minore di quella di consumo.

Le tecnologie intermedie, caratterizzate da semplicità di produzione, di utilizzo e manutenzione, avrebbero dovuto consentire ai PVS l'autonomia tecnica in un primo momento e finanziaria successivamente. Si sarebbe dovuto realizzare un modello tecnologico a ridotta intensità di capitale, a basso consumo di manodopera a professionalità scarsa ed orientato verso impianti su piccola scala. Il fallimento, da una parte, della proposta delle tecnologie intermedie nei PVS e dall'altra parte la già ricordata crisi strutturale e di lungo periodo che colpì i Paesi industrializzati nel corso degli anni '70, rimisero in discussione il modello di sviluppo dei paesi industrializzati e con esso le tecnologie impiegate.

Si fece strada la convinzione che le tecnologie dovessero essere ripensate in modo nuovo ed articolato verso soluzioni che tenessero conto in modo appropriato delle singole situazioni politiche, economiche, sociali, culturali, ambientali e territoriali; nasce così nel corso degli anni '70, il concetto di tecnologie appropriate. Primo requisito non è quello della semplicità, bensì quello di un grado di sofisticazione e complessità pari ai bisogni ed alle opportunità espressi dalle varie realtà locali. Queste ultime infatti, richiedono per la loro progettazione e realizzazione, competenze pluridisciplinari e per le modalità di esercizio e di manutenzione si configura l'apporto di manodopera qualificata, che comporta tuttavia una maggiore disoccupazione sia intellettuale che manuale. Inoltre, alle tecnologie appropriate corrisponde una scienza appropriata, sviluppata da organizzazioni scientifiche locali, collegate a strutture specialistiche che hanno lo scopo di svolgere ricerche di base o di interesse generale, di gestire apparecchiature complesse e costose poste al servizio delle organizzazioni periferiche, di definire standard e metodologie comuni, di raccogliere e diffondere le informazioni provenienti dal sistema di ricerca decentrato. Anche se l'uso delle tecnologie appropriate si presenta come un efficace strumento per venire incontro alla trasformazione dell'assetto scientifico, economico e sociale in atto nei vari paesi, bisogna ammettere, attualmente, che anche il concetto delle tecnologie appropriate è ancora più sulla carta che nella pratica effettiva, cosicché le attuali tecnologie non sono altro che le tecnologie convenzionali con incorporati i principi delle nuove tecnologie, con il preciso scopo da una parte di accrescere enormemente il numero di opzioni disponibili per assicurare un'efficiente risposta al mercato, e dall'altra di tenere nella massima considerazione aspetti quali la sicurezza, la salute dell'uomo e la qualità dell'ambiente, aspetti fino ad ora tenuti spesso in secondo piano.

Le nuove tecnologie presentano un elevato grado di reattività ed una particolare capacità di penetrare orizzontalmente in tutte le attività economiche, coinvolgono tutti i settori e tutte le aree geografiche ed offrono ogni giorno ed in ogni settore soluzioni utili nei campi più disparati. L'uso delle nuove tecnologie ha permesso lo sviluppo di importanti settori high-tech o science based ossia di settori ad elevato contenuto tecnologico e frutto di forti investimenti in ricerca e sviluppo. La sfida delle tecnologie hi-tech è ancora in pieno svolgimento, ed ha come obiettivo al conquista di vantaggi competitivi nel mercato di prodotti e servizi; un obiettivo molto difficile, dato il ciclo di vita sempre più breve dei prodotti a seguito della forte concorrenza di altri produttori. Lo scontro si svolge innanzitutto tra USA e Giappone, mentre l'Europa, attualmente, risulta ancora indietro.

Infine, tra le nuove tecnologie, una menzione particolare meritano le cosiddette "tecnologie intelligenti"; tali tecnologie emergenti sono in grado di intervenire anche in via autonoma e diretta su alcuni problemi chiaramente formulati, adeguandosi ai cambiamenti delle situazioni e delle esigenze, riconoscendo l'iter da seguire per perseguire gli obiettivi prefissati. Sono in genere associate alla microelettronica, ed in particolare al controllo ed alla gestione di attività varie con l'ausilio di microprocessori, minicomputer, sensori etc.

Nell'arco di questi ultimi 2 secoli, la rivoluzione industriale è nata e si è sviluppata attraverso il succedersi di diverse ondate tecnologiche dovute ad innovazioni straordinarie che hanno radicalmente modificato la struttura economica e sociale delle nazioni coinvolte. La rivoluzione industriale si è mossa dapprima concentrando l'attività sulla macchina a vapore e sull'industria tessile e successivamente su altre industrie. Ciascuna di queste ha dominato per decenni lo sviluppo economico concorrendo al miglioramento della qualità della vita. Fino agli anni 70 si è continuato a produrre con il modello della società industriale caratterizzato dalla rigidità delle strutture economico-produttive. Allorché la richiesta sociale si orientò verso un miglioramento non più quantitativo, ma qualitativo dei prodotti, dei servizi e della vita in generale, il paradigma socio-tecnologico della società industriale venne messo in discussione e si pose il problema per un uso più efficiente delle tecnologie, in armonia con il mutato quadro socio-economico. Con l'avvio del passaggio dalla società industriale alla società post industriale si sviluppano le nuove tecnologie, in grado di dare una risposta alle nuove domande della società per soluzioni specifiche, originali e personalizzate. In pratica, la tecnologia diventa sempre più scientifica ed interdisciplinare.

La sfida High-Tech

La sfida delle tecnologie avanzate è in atto tra i maggiori paesi industrializzati ed in particolare nella "triade": USA Giappone ed Europa. La supremazia attuale degli USA, è concretamente minacciata dalla crescente capacità tecnologica del Giappone, mentre l'Europa, i cui Stati membri non sono ancora perfettamente integrati a livello di sistema, appare in notevole ritardo, e fortemente limitata per recuperare il divario, soprattutto nei settori di punta. Gli investimenti in ricerca e sviluppo, insieme alla competitività dei prodotti ed alle strategie di vendita, hanno avuto ed avranno un ruolo determinante per la supremazia nei settori delle tecnologie avanzate.

Il "sistema ricerca" è articolato principalmente in tre sottosistemi: le Università, gli Enti e le Agenzie Nazionali di Ricerca, ed i Laboratori industriali.

Le Università, per la loro natura, privilegiano la ricerca di base, ossia teorica, così come, i Laboratori industriali quella di sviluppo, mentre per gli Enti e le Agenzie, la caratterizzazione è più difficile. Occorre tuttavia sottolineare che i confini e le distinzioni tra i vari tipi di ricerca sono sempre più labili, mentre crescono le interazioni tra i vari sottosistemi.

Se si tiene conto dell'incidenza delle spese di ricerca e sviluppo sul PIL, i vari paesi possono essere distinti in 3 fasce:

una prima fascia in cui le spese di ricerca e sviluppo sono comprese tra il 2 ed il 3% del PIL (grandi paesi industrializzati);

una seconda fascia in cui le spese di ricerca e sviluppo sono comprese tra l'1 ed il 2% del PIL (Italia e Canada);

una terza fascia in cui le spese per ricerca e sviluppo sono inferiori all'1% (Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia).

Considerando la suddivisione dei fondi pubblici per ricerca e sviluppo per settori, ed in particolare considerando:

il settore privato o dell'industria;

il settore dell'educazione superiore;

il settore degli Enti governativi e Centri privati "non profit"

si configurano 3 modelli:

il modello statunitense, nel quale l'industria riceve la quota più alta (2/5) dei fondi pubblici;

il modello giapponese, nel quale i 9/10 dei fondi sono destinati a settori non industriali o di mercato (università statali e laboratori governativi) e solo il 5% all'industria;

il modello standard, che può essere definito come una via di mezzo tra quello giapponese e quello americano.

Prendendo poi in considerazione il numero dei brevetti, si nota che l'Italia presenta una ridotta attività innovativa rispetto agli altri paesi  industrializzati. Tra i paesi avanzati, USA, Giappone e Germania rivelano la maggiore attività brevettuale; in particolare gli USA mostrano la più elevata attività innovativa.

I dati relativi alla bilancia tecnologica dei pagamenti rivelano per gli USA una tendenza alla contrazione dell'attivo, per la Gran Bretagna e la Svezia delle situazioni di attivo, mentre Francia e Germania presentano un leggero disavanzo; la situazione italiana è di debolezza, ma quello che preoccupa, è l'andamento della situazione nel tempo, che non lascia intravedere una inversione di tendenza della scarsa capacità dell'Italia ad innovare e della vocazione ad importare le conoscenze indispensabili per il settore tecnologico; da ciò deriva una bassa competitività delle imprese italiane e dell'economia nel suo complesso.

L'Italia si trova quindi in una posizione anomale, rispetto agli atri paesi comunitari, per quanto riguarda gli scambi di prodotti ad alta tecnologia e ciò pesa notevolmente sulla bilancia commerciale del settore, e ciò diventa un punto debole per l'intera struttura competitiva italiana, soprattutto in vista la posizione di ritardo tecnologico dell'Italia sia nei confronti degli Usa che del Giappone (paesi leader del settore) che di alcuni paesi europei ed addirittura, relativamente ad alcuni settori, nei confronti di alcuni paesi dell'est Asia.

Questa situazione non esclude per alcune imprese italiane posizioni di  nicchie a livello continentale o mondiale per certi settori o prodotti e d'altra parte la competizione mondiale non avviene unicamente sulle tecnologie avanzate, ma anche in settori considerati "maturi" che è possibile rivitalizzare con adeguati processi di innovazione.

E' chiaro che per quanto riguarda la competitività nel settore delle tecnologie, l'Europa presenta punti di forza (in genere nella media tecnologia) e di debolezza (nei settori avanzati); un quadro generale può essere così sintetizzato:

computer: il mercato europeo è per il 60% in mano alle imprese americane e per il 40% è controllato da quelle europee; ma le imprese europee dipendono pesantemente da Usa e Giappone per componenti chiave;

elettronica di consumo: l'olandese Philips e la francese Thomson sono rispettivamente le numeri 1 e 2 del mercato mondiale dei televisori;

superconduttori: la scoperta del 1986 è stata fatta da ricercatori IBM a Zurigo, ma da allora in Europa non si è fatto granché, in contrasto con l'estremo dinamismo giapponese;

macchine utensili: l'Europa è leader in molti comparti;

telecomunicazioni: l'Europa può contare su 3 leader mondiali: la francese Alcatel, la tedesca Simens e la svedese Ericsson;

aerospaziale: il programma Arianne è riuscito a conquistare in pochi anni la metà del mercato mondiale dei lanci commerciali;

farmaceutici: sei di dieci leader mondiali sono europei;

biotecnologie: l'Europa è indietro rispetto a giganti americani come Genetech, ma sta rapidamente recuperando il ritardo grazie anche alle acquisizioni.

Per quanto riguarda l'Italia, negli ultimi anni è cresciuta l'attenzione del Governo, degli Enti e delle imprese verso i processi di ricerca e sviluppo e di innovazione tecnologica, tant'è vero che sono stati realizzati progetti con fondi dei vari ministeri. In conclusione, però, l'Italia, pur avendo seguito negli anni 70 una politica di ristrutturazione industriale basata sull'innovazione, si trova ancora in una posizione di ritardo rispetto agli altri paesi industrializzati per quanto attiene allo sviluppo tecnologico, come ben evidenziano i vari indicatori. Il rilancio tecnologico italiano si è limitato a settori di media tecnologia senza sviluppare una vera politica di innovazione nei settori delle tecnologie avanzate. Pertanto, dinanzi alla sfida high-tech, occorre una vera e propria riprogettazione tecnologica dei processi produttivi e dei mercati basata su linee guida caratterizzate da chiari obiettivi tecnico-economici; in altre parole per poter disporre di un quadro di riferimento affidabile, occorre che anche l'Italia come i paesi più industrializzati ed i maggiori organismi, si doti di nuovi strumenti quali il forecasting tecnologico e l'assessment tecnologico. Inoltre, in Italia manca una vera interazione tra imprese, università e centri di ricerca pubblica ed un vero sistema di incentivazione della ricerca. Il continuo sostegno delle spese di ricerca e sviluppo è necessario per mantenere il vantaggio competitivo conquistato nei confronti delle continue innovazioni e dei processi imitativi degli "inseguitori" sempre più rapidi, tanto da ridurre a pochi mesi il "ciclo di vita" economicamente utile dei prodotti.

Risulta sempre più chiaro che la sfida delle alte tecnologie, a livello nazionale e continentale, è fondata sul trinomio "scienza - tecnologia - industria", il quale influenzerà sempre di più la struttura economica dei vari paesi con ripercussioni in misura determinate sui vantaggi competitivi, per i quali, come rivelato da Freedman è fondamentale l'efficienza con la quale vengono organizzate le varie risorse. Il diverso gradi di efficienza nella gestione delle risorse disponibili consente di valutare le performances competitive dei diversi paesi industrializzati negli ultimi due decenni, così come rivela l'esistenza di una stretta relazione tra le attività scientifiche - tecnologiche e di ricerca e sviluppo.

Il panorama industriale è oggi caratterizzato dalla presenza dei cosiddetti parchi scientifici e tecnologici, così come un tempo era caratterizzato dalle fabbriche fordiste e successivamente dai distretti delle piccole imprese. I parchi scientifici e tecnologici sono sia realizzazioni di progetti territoriali e urbanistici che delineano nuove città tecnologiche o modificano in tal senso quelle già esistenti, sia ambienti di innovazione i cui presupposti si basano su progetti imprenditoriali per immettere prodotti nuovi in mercati nuovi. In altre parole gli obiettivi principali dei parchi scientifici e tecnologici sono:

lo sviluppo urbano e regionale;

i grandi rinnovamenti aziendali;

la gestione di risorse per la formazione e la ricerca.

L'innovazione tecnologica è un processo che permette di introdurre sul mercato nuove tecnologie ed innovazioni sotto forma di prodotti, processi o servizi, metodi di produzione o di commercializzazione e tecniche di gestione a tutti i livelli dell'economia. Il processo innovativo, vuoi che sia determinato da esigenze dell'ambiente economico (demand market pull), vuoi che sia una conseguenza dell'avanzamento tecnologico (technology push) è di tipo dinamico e rafforza l'impresa.

Le innovazioni rientrano fra le condizioni necessarie dello sviluppo; al giorno d'oggi, in un sistema economico caratterizzato da una forte tensione competitiva, in cui la velocità del processo tecnologico è tale da modificare rapidamente gli equilibri in atto, il poter disporre di tecnologie innovative diviene fondamentale:

per l'impresa che voglia mantenere il suo livello di competitività;

per l'impresa che voglia realizzare con successo una politica di crescita e di espansione verso nuovi mercati.

Pertanto, l'innovazione tecnologica è una reale necessità per le imprese e non deve limitarsi alle tecnologie di punta, ma deve estendersi anche a quelle convenzionali.

Nel passato, l'innovazione tecnologica era stata il frutto dell'impiego di grandi investimenti fissi e di grandi quantità di lavoro per lo più entro le frontiere nazionali; negli ultimi decenni, invece, l'innovazione è stata caratterizzata soprattutto dalla raccolta, dall'analisi e dall'utilizzo dell'informazione su vasta scala, reso possibile dallo sviluppo della microelettronica e dall'ampliarsi della conoscenza scientifica; cosicché per le imprese la competizione diventa globale, con grandi cambiamenti in tempi relativamente brevi, legati alle nuove frontiere tecnologiche ed agli sforzi di commercializzare per primi i nuovi prodotti e di crearsi quote di mercato prima dei concorrenti, ottimizzando nell'industria manifatturiera le economie di scala, il design e la qualità. I protagonisti di questa competizione sono sempre meno le imprese nazionali e sempre più le grandi associazioni nate da accordi internazionali tra imprese.

La diffusione dell'innovazione tecnologica su base sempre più globale ha attenuato la distinzione tra settori a tecnologia matura, intermedia e ad alta tecnologia; in pratica, i paesi in grado di produrre tecnologie avanzate e di diffonderle efficacemente hanno potuto imprimere maggiore competitività all'intera gamma della propria produzione industriale, all'agricoltura ed ai servizi, con la rivitalizzazione di settori al tramonto a bassa e media tecnologia, dando così vita anche a nuova occupazione.

L'innovazione tecnologica può essere:

radicale quando dà origine a nuovi paradigmi tecnologici, ovvero si basa su nuove invenzioni di particolare rilievo per un'azienda o un'intero settore; sono eventi discontinui e, soprattutto al giorno d'oggi, sono il risultato di attività di ricerca e sviluppo svolta da laboratori industriali e/o governativi; sono inoltre distribuite in maniera diseguale tra settori e nel tempo; sono importanti per lo sviluppo di nuovi mercati, per la riduzione dei costi di produzione e per il miglioramento della qualità dei prodotti già esistenti; possono implicare una combinazione di innovazioni di prodotto, di processo e di organizzazione. Non sempre sono mosse dal mercato sulla base dell'ipotesi di un processo decisionale che genera il cambiamento tecnico sotto la spinta di "scelte razionali" suggerite dalla conoscenza della domanda dei consumatori o dall'accumulo delle conoscenze dei miglioramenti apportati ai prodotti ed ai processi già esistenti. E' chiaro che i tecnici e gli scienziati responsabili delle invenzioni e dello sviluppo delle innovazioni radicali, oltre che dalla curiosità scientifica, sono mossi dall'interesse per la conquista del mercato e per lo sviluppo socio - economico.

incrementale: quando sviluppa paradigmi preesistenti; è il risultato cioè di miglioramenti o nuove applicazioni di un prodotto o di un procedimento già esistente. Avvengono in modo più o meno continuo in ogni industria o attività di servizio, comunque, con ritmi diversi nei settori, a seconda della combinazione di opportunità tecnologiche e pressioni dal lato della domanda; sono, in genere, il risultato di invenzioni e suggerimenti degli ingegneri e del personale che si occupa dei processi produttivi, più che di precise attività di ricerca e sviluppo, e possono comunque essere prodotte da iniziative e proposte degli utilizzatori finali.  Hanno un'importanza di rilievo nel migliorare l'efficienza di utilizzo di tutti i fattori della produzione sulla produttività e sulla competitività dell'impresa.

In genere si parla di cambiamenti del "sistema tecnologico" quando i cambiamenti della tecnologia producono effetti ampi ed influenza su uno o più settori dell'economia e danno origine anche a settori completamente nuovi. Si parla invece di "rivoluzione tecnologica" o cambiamenti del "paradigma tecno-economico" quando i cambiamenti nel sistema tecnologico hanno effetti così profondi da esercitare una grande influenza sul comportamento dell'intera economia e tali comunque da rientrare nella teoria schumpteriana dei "cicli lunghi" dello sviluppo economico.

Un nuovo paradigma tecno - economico deve avere la caratteristica di influenzare la struttura de le condizioni necessarie per la produzione e la distribuzione in quasi tutti i settori dell'economia e, come sostengono vari autori implica un nuovo "best practice set" di regole ed abitudini che differisce in molti aspetti importanti dal paradigma prevalente in precedenza. In effetti, la nuova "rivoluzione tecnologica" dà origine ad una completa serie di funzioni di produzione in rapido cambiamento sia per i vecchi che per i nuovi prodotti, con risparmio di lavoro e capitale e quindi con vantaggi sia economici che tecnici derivanti, appunto, dall'applicazione della nuova tecnologia. Tali vantaggi, dovuti al "salto di qualità" della produttività si verificheranno prima in alcuni settori guida e successivamente negli altri, man mano che si realizzeranno i necessari cambiamenti sociali ed organizzativi.

I cambiamenti del paradigma tecno - economico sono basati su combinazioni di innovazioni radicali di prodotto, di processo e di organizzazione; essi si verificano in modo relativamente raro, ma quando si presentano comportano cambiamenti della struttura sociale, istituzionale e di impresa affinché il loro potenziale venga sfruttato in maniera completa.

L'andamento temporale delle principali specifiche funzionali di una data tecnologia ha il caratteristico andamento di una curva ad S; si distinguono 3 fasi:

iniziale: coincide con il periodo di introduzione di un'innovazione radicale, il tasso di crescita del progresso tecnologico ha un andamento esponenziale;

di consolidamento: rapida crescita, il tasso di crescita del progresso tecnologico ha un andamento lineare;

di maturità: il rallentamento del tasso di crescita del progresso tecnologico si accentua e la tecnologia raggiunge i limiti naturali consentiti dal principio scientifico sul quale è basata.

Il legame tra il cambiamento tecnologico e la crescita del mercato è rappresentato dalla curva del "ciclo di vita" della tecnologia, caratterizzato da 4 fasi:

lancio: il settore è fortemente innovativo; lo sviluppo della tecnologia è rapido; si sviluppano varie tecniche alternative;

sviluppo: il settore non è molto innovativo; si entra nella fase di standardizzazione della tecnologia; la diffusione è rapida;

maturità: il tasso innovativo rallenta ulteriormente; la dimensione del mercato raggiunge il massimo;

obsolescenza: la tecnologia diventa soprassata e dev'essere rinnovata per dare competitività all'impresa.

La rivoluzione tecnologica è stata, insieme al processo di integrazione dei sistemi economici, un fattore determinante dello sviluppo economico dell'ultimo trentennio. L'innovazione tecnologica ed il processo scientifico dell'ultimo trentennio hanno in effetti trasformato quasi ogni aspetto dell'esistenza: dalla medicina all'agricoltura, dai servizi all'industria manifatturiera ed a quella militare.

Gli sviluppi e le applicazioni della microelettronica, dell'informatica, delle telecomunicazioni, delle biotecnologie, dell'automazione, delle tecnologie di processo hanno determinato in molti settori forti aumenti di produttività:

del lavoro: l'automazione ha ridotto fortemente la manodopera;

del capitale: l'automazione ha introdotto nel processo lavorativo macchine flessibili e multiuso;

di sistema: la crescente integrazione lascia poco spazio alle operazioni non coordinate ed inefficienti.

La rivoluzione che molte aziende stanno attuando corrisponde in un certo senso, al passaggio dall'era industriale a quella informatica. Fabbriche ed uffici sono oggi in grado di aumentare la propria efficienza, la propria flessibilità e la qualità del servizio, utilizzando nuove tecnologie computerizzate, il cui costo, tra l'altro, è in netta discesa.

Oggi, il pericolo di immobilizzare il denaro in tecnologie superate è sceso sensibilmente: gli impianti possono essere modernizzati, i vecchi microprocessori possono essere sostituiti con modelli più veloci senza dover buttare la macchina, ed i costi sono notevolmente scesi. Questa volta, gli aumenti di produttività non si esauriranno in pochi anni, ma saranno duraturi. L'impiego di sistemi computerizzati nel terziario (in particolare nel settore dei servizi finanziari), ha già prodotto enormi miglioramenti nella qualità del servizio per i clienti.

Ma non è solo nel terziario che l'impiego delle nuove tecnologie è evidente. L'uso di computer e di stazioni di lavoro impiegati nella progettazione, fa si che i clienti possano richiedere prodotti con caratteristiche adatte ai propri bisogni; il computer, quindi, consente grande flessibilità e riesce a soddisfare le esigenze specifiche della clientela. Lo scopo tradizionale degli investimenti fissi è tuttavia quello di aumentare la qualità dei prodotti e la produttività delle fabbriche; e questo, negli Usa sta avvenendo in modo molto visibile. Forse il miglior esempio viene dal settore automobilistico, un settore messo in ginocchio dalla concorrenza giapponese negli anni 80 e "resuscitato" di recente grazie ad oculati investimenti, soprattutto in campo manifatturiero.

In futuro, i più alti tassi di sviluppo della produttività si verificheranno nei settori dell'elettronica e delle industrie collegate che, per la progettazione, la produzione, il controllo delle scorte ed il marketing impiegheranno le loro stesse tecnologie, attraverso un meccanismo virtuoso in cui l'output rappresenta anche l'input a beneficio della produttività e qualità del prodotto. La flessibilità e l'adattabilità offerte dalle diverse opzioni tecnologiche hanno consentito e consentono di realizzare strutture altamente produttive di dimensioni adeguare alle circostanze:

di dimensioni grandi e accentrate nel caso di produzioni standardizzate ed in serie

di dimensioni ridotte per prodotti e servizi specializzati

L'azienda flessibile rappresenterà il principale obiettivo dell'economia del XXI secolo e la sua competitività a livello internazionale verrà a dipendere oltre che dalla sempre maggiore produttività anche dalla possibilità di sviluppare alternative più vantaggiose nei processi produttivi.

L'alta produttività e la produzione di alta qualità saranno fattori determinanti per il decentramento di alcune realtà industriali. Con questa forma di decentramento potrebbe essere possibile, negli anni a venire, avviare lo sviluppo dei paesi del terzo mondo favorendo la produzione di una vasta gamma di beni e servizi, inclusi taluni di quelli sofisticati oggi prodotti dai paesi industrializzati. Questa forma di decentramento, propria delle nuove tecnologie, rappresenta il modo migliore per contrastare la tendenza prevalente nella società industriale verso l'accentramento, che comporta la disintegrazione dei tessuti sociali più tradizionali. Una tendenza al decentramento è chiaramente rappresentata dal comportamento di quelle imprese che, orientate verso il mercato, commissionano la manifattura ad altre imprese, dedicandosi sempre più alla ricerca, alla progettazione e all'assemblaggio, che diventano le attività centrali dell'azienda, mentre la manifattura viene a rappresentare un servizio dell'azienda.

L'impresa è l'organismo maggiormente interessato dal cambiamento tecnologico, in quanto è sottoposta a processi di innovazione continua diversi:

rinnovare i propri prodotti per rispondere alle esigenze del mercato;

rinnovare i propri processi per accrescere la produttività e rispondere ad esigenze di qualità, sicurezza e tutela dell'ambiente;

adattare la propria organizzazione al mutare delle condizioni e delle strutture economico - sociali del paese in cui opera ed al mutare della missione che deve compiere.

Tutte le imprese sono interessate dal cambiamento tecnologico. L'implicazione di fondo è, per l'impresa che persegue obiettivi di qualità e competitività sui mercati internazionali, la necessità di un'innovazione continua e ciò comporta per l'impresa una più forte domanda di nuove capacità professionali e di servizi. Le nuove tecnologie vengono pertanto ad influenzare non solo la struttura dell'economia in termini di nuove industrie e servizi, ma anche la struttura interna del management di ogni impresa e le relazioni tra le imprese. Cresce la tendenza delle aziende di maggior successo all'integrazione orizzontale della ricerca e sviluppo, del design, della produzione e del marketing, in contrasto con la vecchia concezione del modello Tayloristico unicamente orientato al controllo gerarchico e verticale, così come cresce la tendenza delle aziende a realizzare fusioni e/o acquisizioni, alleanze e forme di partecipazione e cooperazione al fine di una maggiore presenza sui mercati, di una migliore ripartizione dei costi per ricerca e sviluppo e di una riduzione del rischio d'impresa.

Esistono 4 tipi di approcci con cui l'innovazione può essere utilizzata come vantaggio competitivo:

applicando direttamente i minori costi di sviluppo e prodotto/servizio per fornire più valore al cliente a parità di costo;

attaccando aggressivamente i concorrenti, essenzialmente con ondate inesorabili di nuovi prodotti in genere significativamente superiori ala concorrenza;

rivitalizzando business maturi

riorientando e diversificando l'azienda. L'innovazione ha permesso a molte aziende di ridefinire il proprio business e di diversificarsi in attività radicalmente nuove, spesso per compensare il declino naturale del proprio core business.

Si delineano 3 leva a disposizione del management: la strategia, la gestione e l'organizzazione.

Per quanto riguarda la strategia d'impresa, molto importante è l'innovazione orientata al cliente, da cui proviene la gran parte dell'innovazione; per quanto riguarda la gestione di impresa è molto importante il tempo di realizzazione dell'innovazione (time to market); mentre invece, per l'organizzazione d'impresa, l'obiettivo è quello di spingere l'azienda ad un'innovazione continua, ossia aumentare la capacità dell'impresa ad essere totalmente orientata al prodotto ed al cliente.

Dall'analisi dell'esperienza storica degli ultimi tre decenni le spinte all'innovazione delle imprese europee sono risultate essere:

v spinte esterne: il risultato di più fattori quali il livello delle spese pubbliche in ricerca e sviluppo, il livello di internazionalizzazione del sistema economico, il grado di maturità del sistema tecnologico e scientifico nazionale, le dotazioni infrastrutturali e le politiche industriali;

v spinte interne: risultato di fattori diversi quali il miglioramento e l'ottimizzazione del ciclo produttivo, lo sfruttamento tecnologico, la flessibilità della produzione e della gestione.

L'Italia è in posizione di ritardo rispetto agli altri paesi europei, soprattutto nei settori delle alte tecnologie, e ciò è il risultato del ritardo con il quale l'Italia ha risposto alla sfida tecnologica.

Secondo M.Porter, nel settore produttivo italiano si manifesta un netto divario tra i settori produttivi tradizionali, quelli industriali e di supporto e quelli a monte.

Nel caso dei settori tradizionali, orientati spesso in nicchie al consumatore finale e rappresentati da piccole e medie aziende a basso livello tecnologico, l'innovazione rapida è stata alla base del successo internazionale. I settori in oggetto, orientati al consumatore finale ed organizzati a cluster sono quelli del tessile/abbigliamento, del domestico/abitativo e dei prodotti personali. I settori produttivi industriali e di supporto e quelli a monte sono in una posizione competitiva di debolezza che non permette miglioramenti per il prossimo futuro.

Attualmente, nei paesi industrializzati, il settore dei servizi, ossia il terziario, dà lavoro alla maggior parte degli occupati e concorre al prodotto nazionale lordo per il 65% circa dell'insieme dei paesi industrializzati. Il settore dei servizi è molto eterogeneo ed ingloba compiti e mestieri diversi, per cui, sono difficili considerazioni univoche sui servizi in un contesto così ampio; in effetti, l'unico elemento comune è rappresentato dalle nuove tecnologie che li hanno interessati tutti in modo più o meno significativo. Le crescenti attività di servizio, a loro volta, generano la produzione di nuove macchine e sistemi, ossia nuova tecnologia, come nel campo delle tecnologie biomediche; in altre parole il processo di modernizzazione e di creazione di nuovi servizi è strettamente dipendente dal livello tecnologico raggiunto.

Nella società futura, i servizi, come ed ancor più dei prodotti, dovranno essere personalizzati, ossia corrispondere alle esigenze dei consumatori sempre più esigenti e diversi tra loro per cultura, bisogni e tradizioni. Allo stesso modo dei prodotti, anche i servizi presenteranno un ciclo di vita sempre più breve. Il processo di "terziarizzazione" della produzione manifatturiera verrà accompagnato da uno sviluppo crescente di investimenti immateriali.

Alle sfide poste dall'innovazione tecnologica e dalla globalizzazione dei mercati le aziende rispondono con un crescente sforzo in termini di risorse destinate alla ricerca e sviluppo, di ricercatori, strumentazioni e di apparecchiature, mentre si stringono i rapporti tra università ed industria e si erodono i confini tra scienza e tecnologia. L'obsolescenza dei prodotti e dei processi diventa sempre più rapida sotto le nuove spinte innovative, aumentano i tempi ed i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e cresce, di conseguenza, la necessità di abbreviare i tempi tra l'invenzione e la sua applicazione industriale, di recuperare i costi sostenuti in ricerca e sviluppo onde poter finanziare i nuovi progetti, di massimizzare l'utilizzo della propria tecnologia nel modo più ampio sui mercati mondiali; in conclusione, cresce per l'impresa la necessità di valorizzare al massimo le tecnologie disponibili. Questo processo richiede la creazione di un vero e proprio business internazionale delle tecnologie, ovvero l'attivazione di una molteplicità di rapporti e collegamenti con altre imprese; in ultima analisi si richiedono strategie tecnologiche adatte ad ogni tipo di impresa ed alla realtà socio - economica in cui la stessa si trova ad operare e che possono essere ricondotte a due possibilità:

intensificare la ricerca interna (make);

acquistare tecnologia all'esterno (buy).

Il "trasferimento delle tecnologie", ossia l'attivazione di una molteplicità di rapporti e di collegamenti con altre imprese e di strategie articolate attraverso acquisizioni, cessioni e scambi di tecnologie agisce da propulsore dello sviluppo tecnologico; consente di valorizzare al massimo le tecnologie disponibili; accelera il processo di internazionalizzazione.

La tecnologia oggetto di scambio riguarda quell'insieme organico di conoscenze definibili come esclusive, disponibili cioè ad un numero limitato di soggetti, oggetto quindi di monopolio. Tale monopolio può essere di diritto o di fatto: è di diritto quando l'esclusività sulla tecnologia è garantita da brevetto, che conferisce al titolare il potere di vietarne ad altri l'uso, e di fatto quando l'esclusività è determinata dalla segretezza delle informazioni costitutive della tecnologia senza che queste ultime siano tutelate da brevetto. Il sistema di conoscenze segrete che consentono l'applicazione della tecnologia è generalmente chiamato know-how.

Esistono varie modalità di trasferimento tecnologico in relazione al tipo di tecnologia ed alle esigenze delle imprese:

licensing (licenza): è una forma di cooperazione a lungo termine con la quale un'impresa permette ad un'altra la produzione di un prodotto o l'uso di un processo, secondo determinate condizioni; in pratica è un contratto stipulato tra due soggetti:

il licenziante: titolare di diritto o di fatto di una proprietà industriale

il licenziatario: al quale viene concesso di operare industrialmente entro determinati limiti produttivi, commerciali e territoriali.

La licenza fissa i diritti e/o l'uso delle conoscenze necessarie per l'applicazione della tecnologia che viene trasferita. Si distinguono a seconda del tipo di diritti oggetto di concessione, tre tipi di licenze:

di brevetto: sono le più semplici e scaturiscono dalla richiesta del licenziatario di essere autorizzato ad operare all'interno del terreno protetto dal brevetto del licenziante;

di tecnologia: è il caso in cui il licenziante comunica al licenziatario informazioni industriali segrete e gli concede il diritto di operare nei limiti previsti dal contratto;

miste: sono le più frequenti; alla concessione dei diritti brevettuali si accompagna quella dei diritti di impiego del know-how.

Nel processo di licensing si possono avere i seguenti casi:

licensing out: nel caso di cessione di licenza;

licensing in: nel caso di acquisto di licenza;

licensing cross: nel caso di scambio di licenze.

Rappresenta la forma più semplice come impegno e più flessibile.

Vantaggi:

consente al licenziante di strutturare la propria tecnologia su uno e più mercati esteri più rapidamente e senza impiego di capitale;

consente un ritorno economico aggiuntivo per i propri investimenti per la ricerca, lo sviluppo e la messa a punto della tecnologia;

impegna ed incentiva il licenziante ad un continuo aggiornamento della sua tecnologia;

consente al licenziante di accrescere le prospettive di sviluppo della tecnologia stessa riducendo i costi di ricerca.

Svantaggi:

per il licenziante vi è il rischio della creazione di potenziali concorrenti, così da vedersi sottrarre aree di mercato dall'impresa licenziataria;

il contratto di licenza può non permettere il controllo diretto sulla diffusione della tecnologia trasferita.

Joint-venture: è una vera e propria nuova società: la cooperazione tra chi trasferisce tecnologia e chi la riceve si concretizza nella gestione comune della nuova società destinataria del trasferimento, consentendo lo sfruttamento di possibili sinergie e reciporche complementarità per valorizzare al meglio la tecnologia trasferita. Nasce dall'esigenza di collaborazione tra aziende che, compartecipando ai rischi ed agli utili, integrano o potenziano in qualche modo le rispettive risorse: tecnologie, beni, conoscenze, entrate, clientela, conoscenza dell'ambiente, etc.

La costituzione di una joint-venture, rispetto al licensing, presenta un grado di complessità più elevato. Per il trasferente, se è vero che esistono prospettive di maggior profitto, esistono anche elementi di rischio legati agli investimenti necessari per la formula della joint-venture. Per l'acquirente di tecnologia, il coinvolgimento diretto da parte del trasferente nell'iniziativa offre una maggiore garanzia in termini di validità della tecnologia e di accessibilità ad ulteriori miglioramenti tecnologici.

Investimento diretto: è una forma di trasferimento che può avvenire tra paesi o tra imprese. Il trasferimento da un paese all'altro consente ad un'impresa, mediante l'investimento diretto, di superare impedimenti del tipo di barriere d'ingresso o del tipo politico - economici, che renderebbero irrealizzabili o poco convenienti altre forme di partecipazione.

L'impresa che intende insediarsi all'estero ha due possibilità:

Aprire una propria filiale creando un polo produttivo totalmente nuovo;

Acquisire il controllo di una società preesistente operante nel settore di interesse.

L'apertura di una società filiale consente all'impresa di penetrare un nuovo mercato mantenendo il massimo controllo della propria tecnologia, mentre l'acquisto di un'impresa locale nasce dall'interesse di acquisizione di tecnologie in possesso dell'impresa locale o dalla necessità di salvaguardare la diffusione della propria tecnologia alla scadenza della protezione brevettuale.

L'insediamento diretto di un'impresa all'esterno comporta difficoltà e rischi e, pertanto, tale formula può essere riservata alle multinazionali ed alle grani imprese che possiedono un notevole grado di maturità; sono dotate di elevati livelli di risorse finanziarie e di risorse complementari specializzate. Quando non è possibile l'acquisizione di un'impresa locale, è sempre possibile l'internazionalizzazione d'impresa, attraverso forme di partecipazione di minoranza in una società operante in un settore o mercato d'interesse.

Accordi di tipo partecipativo: intervengono tra imprese di diverse dimensioni e diverse competenze tecnologiche; si tratta in effetti di joint-venture limitate alla gestione ed allo sfruttamento successivo delle innovazioni. In effetti vengono a costituirsi dei consorzi tra imprese di grandi dimensioni, piccole imprese ed eventualmente enti o amministrazioni pubbliche; questa formula consente di sviluppare particolari sinergie, quali la propensione delle imprese alla realizzazione di processi innovativi e le capacità delle grandi imprese nello sfruttamento commerciale dell'innovazione.

Produzione su commissione (toll production): rappresenta una forma di trasferimento di tecnologia; le motivazioni che muovono un'azienda a ricorrere alla produzione su commissione, ossia ad un'impresa terzista, sono in particolare:

fattori contingenti, come ad esempio necessità di disporre di una maggiore capacità produttiva;

necessità di ridurre i rischi di realizzazione dell'innovazione in tecnologia.

I vantaggi per l'azienda che affida la produzione ad un'azienda terzista consistono in una riduzione dei rischi ed in un'abbreviazione dei tempi di sviluppo; l'impresa terzista, a sua volta, accede a nuove conoscenze che accrescono le sue potenzialità operative.

Venture capital: è un finanziamento con "capitale di rischio" di imprese giovani, per l'avvio di progetti relativi ad un prodotto o un processo innovativi con prospettive di rapido sviluppo, ma dotati di elevato rischio. In genere ricorrono al finanziamento del tipo descritto, aziende interessate a diversificare le proprie attività tradizionali entrando in campi tecnologicamente più avanzati con conseguente aumento dei rischi di impresa. Gli investimenti avvengono generalmente nelle due seguenti forme:

Partecipazione in fondi di venture capital gestiti da investitori professionali;

Investimento diretto in società sussidiarie o affiliate.

Nel primo caso l'investitore ha la possibilità di seguire da vicino i nuovi settori e, in caso di successo, acquistare nuove tecnologie mediante licenze, joint-venture o acquisizioni. Nel secondo caso si conseguono programmi di sviluppo aziendale e si possono cedere diritti di sfruttamento di propri brevetti o di tecnologie di base in settori diversi. È considerato un veicolo di trasferimento di tecnologie, adatto soprattutto nei casi in cui un'azienda sia interessata a diversificare le proprie attività professionali verso aree tecnologicamente avanzate con elevati rischi.

I trasferimenti di tecnologie sono accompagnati dalla fornitura di alcuni servizi a seconda dell'esigenza dell'acquirente; tali servizi si configurano come:

prestazioni di ingegneria e di assistenza tecnica: a seconda che l'acquisizione comporti la costruzione di un nuovo impianto, l'adattamento di un impianto già esistente o nessuna modifica a livello impiantistico, i servizi richiesti possono essere distinti in:

prestazioni di natura strettamente ingegneristica quali progettazione dell'impianto, acquisto delle apparecchiature, montaggio, collaudo e messa in marcia;

assistenza tecnica e commerciale anche nel caso in cui il trasferimento non comporti interventi all'impianto.

Nel caso di vendita di un impianto la tecnologia si intende incorporata nello stesso; distinguiamo 2 forme di contratto:

chiavi in mano: è prevista la fornitura di un impianto completo e di quanto occorra per la produzione di quanto previsto nel contratto di trasferimento tecnologico;

mercato in mano: prevede che il trasferente fornisca l'impianto e si impegni a garantire la collocazione sul mercato di tutta o una parte della produzione ottenuta dall'impianto oggetto di contratto.

trasferimenti di risorse umane già formate: è fondamentale per mettere l'acquirente di tecnologia in condizioni di usarla in modo appropriato, ossia consente un innalzamento del livello tecnologico del destinatario che, con tale acquisto, incorpora la cosiddetta esperienza implicita: delle menti, dell'esperienza diretta, delle capacità individuali. Il trasferimento di personale esperto dev'essere accompagnato da un processo d'informazione e riqualificazione del personale interno all'azienda acquirente per il completo successo del trasferimento tecnologico.

I prerequisiti di un'impresa per il successo del trasferimento di tecnologie sono così individuabili:

poter disporre di informazioni sul mercato delle tecnologie trasferibili: per poter essere scambiata una tecnologia dev'essere portata a conoscenza delle aziende interessate. Per poter conseguire un vantaggio competitivo nello scambio di tecnologie occorre tempestività ed aggiornamento sulla letteratura tecnica.

avere la capacità di valutare la tecnologia: la valutazione della tecnologia può essere rappresentata dalla funzione : ;

nella capacità di valutare l'opportunità di un trasferimento (luoghi, affidabilità dell'acquirente, possibilità di ricerca e sviluppo e rendimento a lunga scadenza);

nell'attenta valutazione del partner (competenza, serietà, validità e compatibilità);

nella capacità di gestire una contrattualistica complessa

nell'efficace gestione della tecnologia (adattabilità della ricerca e sviluppo, realizzazione di innovazioni organizzative e manageriali, continua riqualificazione delle risorse umane).

La formalizzazione degli accordi per il trasferimento di tecnologie comprende gli aspetti amministrativi, fiscali e valutari connessi con il trasferimento stesso.

Fasi contrattuali

Fase esplorativa non confidenziale, per accertare il reciproco interesse per il trasferimento

Accordo di segretezza

Esame delle informazioni confidenziali sulla tecnologia da trasferire

Fase negoziale, per la definizione delle specifiche del contratto e la successiva sottoscrizione

L'acquirente ha facoltà di chiedere la stipula di un contratto di opzione che gli concede un certo periodo entro il quale esercitare il proprio diritto di accettazione del contratto.

Le principali forme di pagamento avvengono:

in contanti (lump sum o somma fissa pagata in una o più rate, o tramite royalties);

in merce (counter trade buy-back/counter-purchase/swith-trading)

in tecnologia.


Tecnologia ed organizzazione del lavoro e della produzione, coordinamento e controllo dell'organizzazione aziendale

Negli ultimi decenni, il dibattito sindacale e sociologico sull'organizzazione del lavoro e della produzione è stato molto ampio. Oggi, l'organizzazione del lavoro e della produzione si pone come fattore strategico per il governo delle aziende per raggiungere le nuove frontiere della produttività o della nuova economia della produzione. L'organizzazione del lavoro è un fenomeno dinamico ed evolutivo determinato in gran parte da:

fattori oggettivi quali la diffusione di nuovi principi innovatori;

scelte discrezionali del management che possono essere influenzate fa fattori diversi.

Il sistema organizzazione comprende elementi strutturali e culturali; le principali scuole organizzative sono state:

il management scientifico introdotto da Taylor

la scuola delle relazioni umane

la scuola dei sistemi

Gli esperti affermano che non esiste una "migliore forma organizzativa"; tuttavia un criterio per giudicare se un'organizzazione di progetto o di un'azienda possa funzionare potrebbe essere quella di sottoporla al test delle 7S di McKinsley (strategia, sistemi, skills, struttura, staff, stile e sistema dei valori prevalente) che si basa sull'idea che "per attuare qualcosa di realmente essenziale (ossia non tattico) occorre mettere in movimento la cultura nel suo complesso. Immaginando il modello delle 7 s come un insieme di frecce, quando queste sono orientate nello stesso verso si ha una buona organizzazione, altrimenti no.

Il grado di innovatività dell'organizzazione del lavoro è influenzato in maniera diretta da:

grado di innovatività dei macchinari per la trasformazione fisica;

logiche di flusso dei materiali nel processo produttivo

dal flusso delle conoscenze e dell'informazione.

Ogni principio innovatore determina una nuova organizzazione del lavoro che cambierà a sua volta con la scoperta di un ulteriore principio innovatore; ogni scoperta comporta nuovi assetti organizzativi, fa scomparire alcuni mestieri, ne determina la nascita di altri nuovi; più è elevata la velocità del cambiamento, maggiore è lo sforzo di adattamento dei lavoratori. In quest'ottica la dinamica tecnologica ha comportato modelli organizzativi diversi: un modello meccanico dal 1900 al 1970 ed un successivo modello organico dal 1970 ai giorni nostri.

Per il modello meccanico, una buona organizzazione è quella in cui funzioni, compiti, strutture organizzative, mansioni, procedure e processi sono massimamente specificati e razionalmente interconnessi attraverso un piano preordinato, allo scopo di assicurare la massima efficienza globale e la massima prevedibilità e governabilità delle singole parti. Punti fondamentali sono:

burocrazia gerarchica;

divisione del lavoro spinta;

gli uomini come parti di ricambio dell'organizzazione;

cultura della dipendenza e dell'esecuzione.

Ma dall'inizio degli anni 70 l'avvento di alcune variabili strutturali quali:

il cambiamento dei criteri economici di condotta dell'impresa legato all'accresciuta turbolenza dei mercati;

il processo di terziarizzazione all'interno delle imprese industriali e nel sistema economico;

l'avvento di nuove tecnologie;

imposero un nuovo modello che venne detto "organico" basato su una organizzazione che assomiglia ad un organismo ad alto livello di complessità in cui le singole parti sono sistema aperti che svolgono si funzioni specializzate ma operano in base ad ambiti di autonomia e non per delega, interagiscono fra loro sulla base di regole dei giochi influenzati anche da loro stesse, si modificano sia per processi di adattamento all'ambiente esterno sia per input interni. Gli uomini sono componenti del sistema, non solo risorse da utilizzare: il rapporto fra attore e sistema viene definito da una continua dialettica fra cooperazione e conflitto, fra partecipazione e distanza. Cultura, informazione e cibernetica, cultura imprenditoriale e scienza sociale sono alla base di questo modello, che ha per presupposti fondamentali:

network di sistemi autoregolati;

ruoli professionali basati sulla minima specificazione critica;

risorse umane come componenti del sistema;

cultura dell'iterazione e della soluzione.

Questo modello è stato alla base della "produzione flessibile" fino a tutti gli anni 80 e del nuovo modello sviluppatosi nel corso degli anni 90 per rispondere alla sfida della complessità (soddisfazione del cliente, competizione internazionale, nuove tecnologie, mercati globali)

Le diverse forme di organizzazione del lavoro e della produzione si sono sviluppate sulla scia dello sviluppo tecnologico. Da un punto di vista cronologico si possono distinguere le seguenti organizzazioni del lavoro e della produzione:

organizzazione del lavoro basata sull'esperienza pratica (learning by doing) caratteristico del periodo manifatturiero, basato sull'organizzazione molecolare ed orizzontale del lavoro;

[artigianato con artigiani liberi e non liberi; corporazioni di artigiani con artigiani e lavoratori a giornata; manifatturiere con specializzazione e suddivisione del lavoro; imprese industriali con energie motrici; gigantismo aziendale; macchine universali/specializzate; standardizzazione delle attività; divisione molecolare ed orizzontale del lavoro]

organizzazione del lavoro tradizionale, caratteristico del taylorismo, del fordismo è l'organizzazione scientifica del lavoro;

[organizzazione scientifica del lavoro; i lavoratori producono molto di meno se non gestiti scientificamente e con incentivi salariali; marcata divisione verticale del lavoro (netta separazione di progettazione, esecuzione e controllo); divisione orizzontale del lavoro; progettazione ingegneristica dell'operaio, che diviene anch'esso una macchina; compenso correlato alla quantità prodotta; controllo gerarchico centralizzato; selezione manodopera per one best way; annullamento della discrezionalità; automatismi come conduzione; macchine monovalenti e lavoro a catena; capo reparto rappresentante dell'organizzazione centrale, con mansioni tecniche di produzione; semplicità estrema del lavoro per completa intercambiabilità operaia; Scuola delle Relazioni umane con introduzione di facilitazioni per i lavoratori, test e studi di psicologia aziendale per sfruttare al meglio gli operai e le loro caratteristiche = contrasto con Taylorismo/Fordismo; avvento della grande produzione: imprese multisettoriali e società conglomerate con possibilità di gestione per singola divisione (incentivate dalle migliori comunicazioni) e comparsa dell'integrazione verticale come protezione dalle fluttuazioni dei mercati; diversificazione con maggiori carichi per la dirigenza; passaggio dal macchinismo (macchina singola per produzione di serie) alla meccanizzazione a spinta rigida (sistema rigido di macchine collegate tra loro, con controllo umano) con sviluppo della figura del manutentore (lavoratore specializzato e con discrezionalità)]

organizzazione del lavoro allargata: i tentativi degli anni 70 di spezzare la rigidità e la parcellizzazione del lavoro;

[Job enrichment/enlargement (maggiori richieste professionali); meccanizzazione flessibile con l'introduzione di controlli elettronici; spinta tecnologica all'assetto ed alla configurazione delle officine, che però mantengono la base tayloristica; le variabili tecnologiche iniziano ad essere influenti; macchinari "intelligenti" ma non in rete; periodo difficile per rigidità manodopera causa sindacati; frazionamento della produzione in linee parallele con magazzini polmone interoperazionali; perturbazioni economiche internazionali (rincaro materie prime, instabilità finanziaria internazionale); il cliente governa il mercato; introduzione della flessibilità del sistema produttivo e forte crescita dei costi di funzionamento correlati (anche minore produttività); il manutentore diviene meccatronico (quindi sia meccanico che elettronico che elettromeccanico)]

organizzazione del lavoro sistematica: le nuove organizzazioni del lavoro, che puntano su figure professionali polivalenti, operanti in un ambiente concepito come un sistema;

[variabili interrelate con le nuove tecnologie, processi decisionali, aspetti cognitivi e linguistici, rapporti di scambio e strutture manageriali formative; interrelazioni sistemiche, introduzione delle intelligenze artificiali applicate alle macchine, automazione dei sistemi produttivi; flessibilità sui volumi e sui mix, e quindi adattabilità dell'impresa al cliente; interdipendenza tra organizzazione del lavoro e tecnologia; il lavoro diventa di conduzione delle macchine: nasce il conduttore, con mansioni di trasformazione, programmazione di primo livello, manutenzione corrente, attrezzaggio, controllo della qualità movimentazione materiali ed inventario dei flussi (ha autonomia e discrezionalità di cambiamento); il meccatronico confronta dati e situazioni di fatto di volta in volta rilevate sul campo in condizioni standard, mentre il conduttore non ha un confronto diretto, ma ha una percezione filtrata dalle procedure informatiche (ha maggiori capacità del meccatronico); viene introdotto il monitoraggio]

organizzazione del lavoro ad integrazione totale: per indicare modelli organizzativi flessibili ed integrati chiamati di tipo giapponese.

[forma avanzata dell'organizzazione sistemica; piena integrazione dei compiti; lavoratore con ruolo gestionale; massima discrezionalità, e massima motivazione al conseguimento degli obiettivi produttivi; richieste: elevata specializzazione tecnico scientifica, capacità funzionali adatte per una gestione discrezionale e creativa, coinvolgimento e partecipazione convinta, interfacciatura globale; questo tipo di organizzazione si riferisce a medie e grandi imprese]






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