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LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA ITALIANA - IL DOPOGUERRA E LA RICOSTRUZIONE (45-55)

economia



LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA ITALIANA - di A. Graziani

1 – IL DOPOGUERRA E LA RICOSTRUZIONE (45-55)

I. Aspetti generali

Gli anni subito dopo la 2° guerra mondiale formano il PERIODO DELLA RICOSTRUZIONE ma è un’espressione impropria perché gli eventi andarono oltre il mero restauro materiale, in quanto vennero prese decisioni determinanti per lo sviluppo economico successivo.

Nella Resistenza era confluito un vasto movimento operaio sotto la protezione del Pci: la resistenza armata era accompagnata da una resistenza in fabbrica tramite scioperi nelle industrie del Nord tra fine 43 e inizio 44.

A fine guerra, l’Italia era caduta nel blocco occidentale senza dissensi da parte delle grandi potenze.

C’era differenza tra Nord e Sud Italia sul piano delle linee di politica economica:

al Nord viene rafforzato l’apparato produttivo in continuità con il passato



al Sud disoccupazione, decade l’agricoltura estensiva, si ha la riforma fondiaria pertanto i vecchi ceti della proprietà terriera persero peso politico e sociale mentre emerse una classe di burocrati con potere (borghesia di stato); elementi d’innovazione prevalgono sulla continuità.

I tentativi delle sinistre di imporre un indirizzo diverso alla politica economica del paese naufragarono a causa di:

- carenza di idee e azione della sinistra

- lunga assenza delle sinistre dalla politica attiva

- scarso sostegno del Pci

pertanto le forze del padronato imposero il “ricatto della congiuntura” e le riforme strutturali di lungo periodo vennero abbandonate.

II. I problemi immediati e quelli di fondo

Problemi immediati del dopoguerra:

danni alle attrezzature produttive: case, strade, ferrovie distrutte; i danni all’apparato produttivo erano meno del previsto: settori più colpiti sono siderurgia, industria meccanica, marina mercantile. Più danni al Sud che al Nord.

Inflazione: negli anni di guerra le autorità economiche avevano emesso titoli di stato collocati forzosamente presso banche e privati e sottraendo alla circolazione la liquidità in eccesso. L’inflazione esplose invece nell’Italia liberata: prima al Sud poi anche al Nord. Nel 47 divenne galoppante.

strozzatura bilancia pagamenti: per pagare le importazioni si doveva aumentare l’export ma per fare questo bisognava ricostruire la capacità produttiva importando macchinari e materie prime. Il problema poteva essere affrontato con finanziamenti esterni da ripagare una volta ottenuto guadagni. Invece il problema delle importazioni fu riconosciuto prioritario rispetto alla ricostruzione e gli aiuti esteri furono destinati a rafforzare le riserve valutarie.

Agricoltura arretrata: politica autarchica fascista aveva esasperato alla coltivazione di cereali a danno dell’allevamento zootecnico e delle altre colture; l’agricoltura era in crisi.

Problemi alla struttura produttiva: l’industria che col fascismo aveva sviluppato i settori moderni (auto, prodotti petroliferi, fibre sintetiche), restava basata su settori poco dinamici e tecnologicamente arretrati. Quanto a manodopera occupata, erano importanti l’industria alimentare, tessile, costruzioni, energia elettrica, siderurgia (impianto di Cornigliano); il resto aveva impianti modesti. Il settore chimico e automobilistico era avanzato quanto a tecnologie (catena di montaggio) ma non contribuiva al reddito nazionale.

Disoccupazione: circa 2 milioni di disoccupati. La CGil nel congresso di Genova (49) propone un insieme di misure dette “Piano del Lavoro”: interventi coordinati in 3 settori chiave: energia elettrica, edilizia, trasformazione fondiaria, e procedeva a un primo calcolo della spesa necessaria. Il Piano proponeva la nazionalizzazione delle industrie produttrici di energia elettrica, una politica agraria basata su investimenti produttivi per l’irrigazione e la trasformazione di colture e sull’espropriazione oltre alla politica della casa.

squilibri territoriali.

III. Il dibattito sui grandi temi.

Economia fascista = esperimento di economia controllata.

Francia: Piano Monnet, programmazione, nazionalizzazione ferrovie, energia elettrica, gas, Renault.

Questioni importanti di politica economica:

razionamento dei generi alimentari:

sì = far fronte alla scarsità di generi distribuendoli egualmente fra tutti;

no = affidare la distribuzione alle forze del mercato, favorendo i più abbienti.

Controllo assegnazioni di valuta estera:

sì = concentrare le importazioni nei settori di interesse più importanti per la ricostruzione;

no = liberalizzare il mercato delle valute cioè assegnare la capacità di importare ai settori che ne hanno più possibilità in quel momento.

Imposta extra sul patrimonio = eliminare i sovrapprofitti extra degli speculatori e attenuare la concentrazione di ricchezza in mano a pochi.

Sul piano di principi generali, i liberisti erano a favore dell’abolizione dei controlli, e difendevano il mercato libero (esperti di industria, Einaudi, Corbino, Dal vecchio).

IV. La grande scelta: verso un’economia aperta.

Decisione di abbandonare la politica di protezionismo per orientare l’economia italiana all’apertura commerciale e intensificazione di scambi esteri. L’Italia è povera di materie prime pertanto sviluppo industriale significa sviluppo importazioni, e quest’ultimo esige sviluppo parallelo delle esportazioni.

L’apertura degli scambi con l’estero non implicava per forza verso l’Europa ma di fatto lo era.

Nel 46 le importazioni dai paesi Oece erano il 3,5% del totale, nel 54 erano salite al 99%!

Nel 49 in seguito all’accordo di Annecy, venne approvata una nuova tariffa doganale che comportava una revisione delle tariffe in senso liberista; la vecchia tariffa del 21 era ormai vanificata dall’inflazione.

Nel 48 l’Italia comincia a stipulare accordi con altri paesi europei.

Nel 46 è ammessa al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale; nel 49 aderisce all’Oece; nel 50 all’Unione europea pagamenti, nel 53 alla Ceca e infine nel 57 stipula il Trattato di Roma che dà vita al Mercato comune europeo.

V. La lotta contro l’inflazione

Dibattito destra liberista e sinistra riformatrice sul piano politico ed economico:

Sinistra riformatrice:

Finanziamento ricostruzione: chiedono l’introduzione dell’imposta sul patrimonio, la tutela dei salari, il razionamento dei generi di consumo e il cambio della moneta (per ridurre la circolazione ma anche per applicare l’imposta sulle liquidità).

Come usare i fondi disponibili? Propongono la nazionalizzazione dei colossi industriali, il controllo dei cambi, il convoglio di valuta verso settori più bisognosi.

Destra liberista:

Finanziamento ricostruzione: idea che l’inflazione dipende solo da eccesso di spesa pubblica, si raccomanda massimo rigore nello stanziamento fondi pubblici, propone politica di espansione entrate tramite prestiti pubblici e imposta sul patrimonio (unico punto in comune con la sinistra). Contrarie al cambio moneta che avrebbe ridotto la fiducia del pubblico nella moneta.

Come usare i fondi disponibili? Smantellare i residui controlli amministrativi sul mercato. Contrarie al controllo dei cambi.

Conflitto vinto dalla linea liberista.

Inflazione contenuta durante la guerra, aumenta vorticosamente dopo la guerra a causa di:

  1. immissione di moneta cartacea da parte delle autorità militari alleate (sulle quali le autorità italiane non avevano controllo) per pagare stipendi ai militari e comprare beni e servizi nei territori occupati (“amlire”).
  2. cambio far lira e dollaro fissato a 19 lire per 1 dollaro, svalutando la lira di 5 volte.

Soluzioni: cambio della moneta decisa da Parri con l’appoggio di esperti anglo-americani, idea che gradualmente perse convinzione delle autorità militari alleate. Il piano per il cambio fu approntato dalla Banca d’Italia nel 46, lentamente per l’avversione di Corbino. L’unico provvedimento del governo Parri fu estendere al Nord liberato il Prestito della Liberazione lanciato dal precedente governo Bonomi.

Nel 45 de Gasperi al Governo si dichiarò avverso all’operazione di cambio della moneta.

Nel 46 inizia la politica di “liberalizzazione progressiva” e abolizione dei controlli, con iniziative a favore degli esportatori:

concesso un “premio di esportazione”

concessa la libera disponibilità del 50% della valuta ricavata dalle esportazioni, così che metà della valuta poteva essere commerciata su un mercato libero (“mercato parallelo”).

Durante il 2° governo De Gasperi l’inflazione si arrestò, ma tuttavia si continuò la politica di limitazione delle opere pubbliche (nonostante l’utilità che avevano per la ricostruzione); si lasciò inoltre crescere il flusso di liquidità a favore del privato, nella convinzione che l’investimento non influisse sull’inflazione.

Il carbone e poche altre materie prime rimasero soggette ad assegnazione favorendo il mercato nero e la speculazione.

Fu lanciato un prestito pubblico detto “della Ricostruzione”, ma era necessaria la collaborazione delle banche: accadde così che il prestito anziché raccogliere liquidità giacente presso il pubblico, ebbe effetto di immettere liquidità nel circuito monetario, e l’inflazione riprese. Inoltre gli aiuti esteri erano usati per accrescere le riserve valutarie e consolidare la posizione della lira piuttosto che accelerare la ricostruzione. Nei primi anni dopoguerra l’Italia ricevette aiuti dall’UNRRA (United Nations Relief Rehabilitation Administrations) emanazione delle Nazioni Unite, sotto forma di alimenti inizialmente, di mezzi di produzione poi, che venivano ceduti a imprenditori privati mentre il governo tratteneva il ricavato.

Nel 48 agli aiuti dell’Unrra si sostituirono quelli del PIANO ERP (European Recovery Program) o PIANO MARSHALL che in realtà preservava l’economia USA dalla crisi e legava USA e paesi europei, cosa che determinò un raffreddamento del Pci. 858b13i Il Piano prevedeva prestiti e contributi ai paesi europei.

Agli inizi il fondo lire venne usato per accrescere le riserve valutarie; a questo si opposero gli esperti che volevano usare i fondi per alleviare la disoccupazione per paura di un rafforzamento del Pci.

Approvate la legge Tupini (per finanziare le opere pubbliche eseguite dai Comuni) e la Fanfani (alloggi per lavoratori).

Nel 46 il Pci proponeva un “nuovo corso di politica economica” che prevedeva ampia libertà all’iniziativa privata e chiedeva la nazionalizzazione dei colossi monopolistici, lotta all’inflazione, riforma agraria.

All’interno del sindacato, 2 orientamenti diversi:

più rivendicativo volto a ottenere progressi salariali e migliori condizioni di lavoro

più rivoluzionario volto a mettere in discussione le fondamenta del sistema economico e sociale.

Nel 44 il Patto di Roma aveva sancito l’unità sindacale spoliticizzando l’azione del sindacato.

Nel 45 al congresso Cgil di Napoli era prevalsa la linea della centralizzazione delle trattative sindacali.

Nel 46 accordi per sblocco licenziamenti vince la linea della Confindustria tesa ad arrestare le rivendicazioni salariali e restaurare il potere padronale in fabbrica. Vennero reintrodotti il cottimo, la scala mobile, l’indennità di contingenza.

L’azione del sindacato si ridusse a una linea di mera difesa del posto di lavoro.

Nel 47 De Gasperi si recò negli USA e al ritorno aprì una crisi di governo; nei mesi successivi le difficoltà economiche crebbero; si propose l’eliminazione immediata di tutti i prezzi politici (pane, ecc.) ma in questo modo l’inflazione continuò e raggiunse il 30%. Il governo che si ricostituì fu un monocolore Dc, cui facevano parte uomini di fede liberista.

Nel 47 venne creato il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio con poteri di controllo della situazione monetaria; vennero prese misure per ridurre la liquidità bancaria e l’erogazione del credito al settore privato.

Una parte dei depositi bancari venne vincolata producendo una drastica riduzione della liquidità e arrestando l’inflazione.

Venne approvata l’imposta sul patrimonio il cui effetto fu tenue perché si consentì la rateizzazione.

L’Italia fu ammessa al Fondo Monetario Internazionale nel 47; il cambio venne lasciato libero e la stretta creditizia provocò una caduta degli investimenti ritardando la ripresa della produzione.

Venne avanzata l’idea che la grande ondata di inflazione sia stata lasciata libera di gonfiarsi per far apparire inaccettabile l’azione delle sinistre e renderne impossibile la permanenza al governo; la brusca deflazione avrebbe avuto la funzione di stroncare l’azione sindacale.

VI. L’intervento nel Mezzogiorno.

Divario Nord-Sud SUD: modesta industria (tessile, meccanica, concentrati attorno a Napoli); agricoltura arretrata; montagne rovinate dal disboscamento; malaria; residui feudali.

Secondo alcuni il divario sarebbe stato consolidato dall’unificazione politica del paese. Dopo l’abolizione delle barriere doganali e completata la ferrovia, la concorrenza stroncò le industrie del Sud. La mancata evoluzione delle campagne dipese dall’alleanza fra i ceti industriali del Nord e la borghesia agraria del Sud, che sanzionò la subordinazione dei contadini e impedì il progresso tecnico.

Al Sud le poche risorse finanziarie furono usate per costruire infrastrutture viarie, ferrovie, porti.

Nel 1888 svolta protezionista: dazio sui cereali reazione della Francia che non compra più vini del Sud Italia. Il prezzo del grano aumenta e i salari crollano. Conseguenza: emigrazioni.

Tra le 2 guerre la politica di industrializzazione favorì ancora il triangolo industriale rispetto al Sud.

La battaglia del grano favorì la grande proprietà a discapito dei contadini; sacrificava i pascoli a favore del grano; interventi di bonifica dal 25 inadeguata perché lo stato pagava le opere base, il resto era lasciato ai privati.

Le campagne del Sud soffrivano di eccessiva pressione demografica, e i salari erano bassi nel 44 ribellioni contadine contro la grande proprietà e lo stato, con occupazione di latifondi: tutte represse. Soluzione: Decreto Gullo (44)  assegna ai contadini di terre incolte.

La possibilità di creare al Sud un’industria che assorbisse la manodopera in eccesso fu vista in modo scettico per motivi vari. Anzi, la politica del dopoguerra fu “di smantellamenti”.

Il Nord considerava il Sud come sbocco per i propri prodotti, pertanto faceva comodo che al Sud non ci fosse industria.

Non restava altra soluzione che intervenire con una politica di opere pubbliche nel Sud.

Riforma fondiaria legge Sila e legge stralcio (del 50 e 52), espropri terreni eccedenti al valore di lire 30.000 in cambio di indennizzi ai proprietari sotto forma di titoli del debito pubblico; terreni espropriati dati ai contadini (sotto forma di podere o quote) assicurando a ogni famiglia un reddito decente, e questi dovevano versare 30 annualità dopo di che diventavano padroni della terra. Si vennero così a creare tante piccole aziende contadine che assorbivano manodopera.

Nelle zone pianeggianti l’esproprio fu accompagnato da opere di trasformazione, sistemi di irrigazione; nell’interno l’agricoltura rimase arida e inefficiente.

Cassa per il Mezzogiorno istituita nel 50, sostenuta dai “nuovi meridionalisti” convinti che l’intervento pubblico fosse necessario per combattere l’arretratezza; dall’altra parte il Pci faceva leva sulla riforma agraria per riscattare i contadini dall’emarginazione politica e renderli partecipi dello sviluppo del Sud.

La Cassa i primi anni attuò una politica delle infrastrutture ispirata all’obiettivo di portar condizioni di vita civile al Sud: gli stanziamenti furono assorbiti dall’agricoltura, poi dalle infrastrutture civili, strade, opere idrauliche, scuole, ospedali.

Gli incentivi per l’industrializzazione furono destinati alle piccole e medie imprese; si ebbero agevolazioni creditizie, contributi a fondo perduto, con l’obiettivo di ridurre il costo iniziale di impianto (riducendo le imposte), ridurre il costo di esercizio (esenzione dall’imposta, sgravi di contributi previdenziali), incentivi per aumentare la domanda (pubbliche amministrazioni tenute a riservare a imprese del sud il 30-40% delle spese).

Tuttavia l’effetto fu debole perché i provvedimenti erano mirati più a ridurre i costi che ad accrescere la domanda.


2 – IL MIRACOLO ECONOMICO (55-63)

I. Sviluppo e squilibri

Nel periodo 55-63 l’Italia economica raggiunge 3 obiettivi simultaneamente:

investimenti produttivi più elevati

stabilità monetaria

equilibrio nella bilancia dei pagamenti

Lo stesso periodo ebbe però anche elementi negativi:

emigrazioni

dualismo nella struttura industriale

povertà del Sud

squilibrio nei consumi privati

carenze nei servizi pubblici

congestione delle grandi città.

Opinioni degli studiosi divisi in 3 correnti:

attribuisce gli squilibri agli eccessi di combattività sindacale e agli aumenti rapidi del costo del lavoro (tesi di Confindustria)

attribuisce gli squilibri a un inadeguato controllo pubblico del processo di sviluppo

attribuisce gli squilibri alle carenze della classe politica

II. Le esportazioni come fattore propulsivo

E’ questione aperta se sia possibile individuare un fattore dominante al quale attribuire l’avvio del processo di rapido sviluppo degli anni 50. Varie correnti di pensiero:

fattore dominante: l’espansione veloce delle esportazioni (condivisa dagli studiosi stranieri)

presenza simultanea di condizioni favorevoli: bassi salari, ampie possibilità di autofinanziamento, bassa conflittualità operaia, forte arretramento tecnologico

Quali sono state le conseguenze provocate dallo sviluppo delle esportazioni sulla struttura dell’economia italiana?

L’Italia invece di specializzarsi nei prodotti nei quali godeva di un vantaggio comparativo, si trova di fronte all’esigenza di acquisire un vantaggio nei settori in cui la domanda internazionale era in espansione; poiché la domanda di società ricche era di beni di lusso e di massa, l’economia italiana era costretta a produrre beni di lusso e massa, piegando l’industria a una struttura tipica di un’economia opulenta quando invece il livello di reddito modesto avrebbe giustificato una produzione orientata verso beni di consumo di immediata necessità.

Si formò così una struttura produttiva divisa in 2 gruppi di settori distinti:

industrie esportatrici

attività produttive orientate verso il mercato interno.

III. La tesi del dualismo economico.

Dibattito su quale sia il fattore principale dello squilibrio dell’industria italiana:

azione dei sindacati (tesi di Vera Lutz): i sindacati riescono a imporre il rispetto dei contratti solo nelle grandi imprese di conseguenza queste, trovandosi svantaggiate sul mercato del lavoro, avrebbero dovuto risparmiare il più possibile sull’uso del lavoro e introdurre metodi di produzione meccanizzati.

Le piccole imprese invece riescono a sfuggire all’applicazione dei contratti collettivi e a corrispondere salari più bassi di quelli pagati dalle imprese maggiori, pertanto trovano più conveniente tenere metodi di lavoro primitivi.

Discontinuità tecnologiche (tesi di Eckaus): nei paesi ricchi la manodopera è scarsa, il capitale abbondante e la ricerca tecnologica è diretta a scoprire metodi di produzione sempre più capitalistici. I paesi in via di sviluppo, non disponendo di un’elaborazione tecnologica propria, non possono che imitare i metodi di produzione dei paesi ricchi.

Diverse forme di mercato (tesi di Spaventa): contrapposizione settore concorrenziale e settore oligopolistico: quest’ultimo, al riparo dalla concorrenza, conduce una politica di investimenti più cauta, indirizzata non a espandere il mercato ma a sottrarre quote di mercato ai rivali; gli investimenti sono volti ad aumentare la produttività e non ad accrescere l’occupazione, contrariamente a quanto avviene nel settore concorrenziale.

Distinzione fra grande e piccola impresa (tesi di Fuà) ricollegandola al grado di avanzamento tecnologico: la grande impresa tecnologicamente avanzata, la piccola con tecnologie più semplici; di qui il fatto che le imprese minori riescono a sopravvivere solo pagando salari inferiori a quelli contrattuali.

IV. Esportazioni e sviluppo dualistico.

I settori che lavorano per il mercato interno non sono sottoposti ala pressione della competitività pertanto restano stagnanti: industria tessile e alimentare, costruzioni, commercio al dettaglio.

La possibilità di esportare si presentò di volta in volta solo per certi prodotti e mercati, e questi settori dovevano essere efficienti e competitivi sul piano internazionale: industria meccanica, chimica, abbigliamento, calzature.

Tali settori presentano tecnologie avanzate e creano poca occupazione rendendo scarsa l’attività sindacale e una caduta dei salari. L’export facilita l’equilibrio nella bilancia dei pagamenti.

I settori dinamici sono quelli produttori di beni di consumo tipici di società a reddito elevato come auto, elettrodomestici, ecc. Lo sviluppo di questi prodotti ne faceva cadere i prezzi mentre aumentavano i prezzi di alimenti.

Si ha così la “distorsione dei consumi” cioè nonostante il basso livello di reddito, si producono beni di lusso a scapito di quelli di consumo.

V. Debolezza sindacale e distribuzione del reddito.

Nel dualismo tecnologico fra settore avanzato e stagnante:

settore dinamico: tendeva a finalizzare gli investimenti più agli aumenti di produttività che all’occupazione forti guadagni di produttività e bassi aumenti di occupazione;

settore stagnante: assenza di motivazioni all’efficienza induca le imprese a evitare forti investimenti tecnologici ma ad aumentare l’occupazione. Settori che hanno assorbito la disoccupazione: costruzioni, commercio al dettaglio, pubblico impiego, accolgono i disoccupati provenienti dall’agricoltura.

La forza sindacale dei lavoratori viene di conseguenza ridotta e l’aumento dei salari frenato.

All’interno delle fabbriche, il controllo viene esteso anche alla vita privata del lavoratore es. sul partito politico dei singoli operai provvedendo a licenziarli per motivi politici (es. “schedature Fiat”).

I sindacati avevano imboccato la linea di collaborazione col padronato, per un aumento di produttività nell’industria e solo successivamente per l’aumento dei salari. I sindacati maggiori erano divisi sia in base ai partiti che alla condotta seguita:

- CGIL: legata al PCi – linea rigorosamente accentratrice

- CISL: legata alla Dc – via della contrattazione aziendale.

La debolezza del sindacato è provata dal fatto che negli anni 50 non ci furono scioperi nazionali ci contenuto economico.

1° ondata di scioperi nel 59, con scarso successo; nel 60 scioperi elettromeccanici “Natale in piazza”.

L’aumento dei salari fu modesto nel settore industria: ci fu, ma restò sempre al di sotto dell’aumento della produttività.

VI. Stabilità monetaria e bilancia dei pagamenti.

La propensione media al consumo diminuiva.

La lira nel 58 era riconosciuta la valuta più stabile del mondo occidentale.

La stabilità dei prezzi all’ingrosso non poteva che rendere sempre più competitive le nostre esportazioni.

I prezzi al consumo risultarono lievemente crescenti .

Nel dualismo fra settori esportatori e settori orientati al mercato interno:

settori stagnanti: salari crescevano più della produttività inflazione;

settori dinamici: salari crescevano meno della produttività prezzi stabili.

VII. I movimenti migratori.

La decisione di puntare su settori produttivi forti sul piano internazionale portò a concentrare gli sforzi per lo sviluppo industriale al Nord tralasciando il Sud corrente migratoria.

Nel dopoguerra, le scelte economiche avevano spinto i governi italiani a farsi fautori dell’emigrazione verso l’estero per uscire dalla miseria; con il miracolo economico le emigrazioni avevano cambiato volto:

le emigrazioni transoceaniche avevano perso importanza a favore dell’Europa

corrente crescente di migrazioni interne verso il triangolo dal Sud e dal Veneto

Le emigrazioni meridionali venivano dalle zone più povere, mentre le zone più ricche ricevevano popolazione: intensi spostamenti avvennero anche nell’ambito delle regioni meridionali.

VIII. Terziarizzazione e urbanizzazione.

L’esodo agricolo e le emigrazioni dal Sud accrescevano il n° di senza lavoro che si riversavano al Nord: unica soluzione: l’espansione del pubblico impiego (settore terziario) politica di “espansione degli addetti ai servizi”.

Le amministrazioni locali specie al Sud hanno gonfiato i quadri ponendo le basi per l’inefficienza crescente della p.a.

IX. Il Mezzogiorno nel miracolo economico

Con l’emigrazione, la struttura degli insediamenti al Sud cambia: le zone interne vengono abbandonate per prime; le opere pubbliche create dalla Cassa per il Mezzogiorno rimasero inutilizzate, cosi come la riforma fondiaria.

La popolazione emigrava al Nord o si spostava nelle zone costiere (uniche ad aver visto sorgere attività commerciali e industriali). La politica di interventi era diventata una forma di spreco.

Si inaugurò quindi una politica nuova più aderente alla realtà:

a)   svolta a favore dell’industrializzazione, che doveva accrescere l’efficienza del sistema produttivo meridionale aumentando il livello del reddito e della produttività del lavoro

b)   creazione di aree e nuclei di sviluppo industriale, costituzione di consorzi di enti locali che avrebbero individuato queste aree da destinare a sviluppo industriale e realizzato le opere necessarie (strade, ecc.). la legge concedeva alle industrie ubicate in queste aree alcune agevolazioni. Il n° di queste aree fu ristretto, si limitò a 4:

1. Na-Cs-Sa;     2. Ba-Ta-Br; 3. Ct-Sr; 4;Porto Torres.

Il numero di consorzi aumentò a circa 50 su pressioni locali.

Legge nel 57 apportò innovazioni:

contributi a fondo perduto concessi dalla Cassa per il Mezzogiorno per iniziative industriali nella misura del 20% del costo di costruzione;

ampliamento riserve a favore delle regioni del Sud: oltre all’obbligo per lo Stato di riservare il 30% delle forniture e lavori a imprese del Sud, si aggiunge l’obbligo di riservare il 40% degli investimenti statali al Sud. Inoltre il 60% delle imprese industriali a partecipazione statale doveva essere insediato al Sud.

Istituzione di un Comitato di ministri per il Mezzogiorno: operò fin o al 71 con funzione di coordinamento generale degli interventi: a) predispone piano quinquennale di coordinamento interventi al Sud

b) fissa i criteri di assegnazione incentivi e graduatorie agevolazioni

c) presenta al Parlamento una relazione annuale sull’attività di coordinamento .

La 1° ondata cospicua di investimenti industriali al Sud fu tra 58 e 63; venne toccata la quota del 25% degli investimenti industriali nazionali. I primi impianti con tecnologie avanzate diedero luogo ai primi nuclei di classe operaia organizzata.


3 – LOTTE SINDACALI (63-73)

I. Premessa.

Il decennio 63-73 è segnato dai conflitti. Il tasso di accumulazione rallenta, il padronato cerca di garantirsi aumenti di produzione anche con tassi di investimento minori, l’inflazione aumenta. Al tempo stesso, si cerca di attenuare i conflitti sociali. Sono anni di dibattito sulla programmazione economica, in cui si tracciano le linee di intervento delle autorità economiche e di sviluppo del paese. Al governo formazioni di centro-sinistra, basata sull’alleanza Pci-Dc.

Gli aspetti che dominano il periodo sono:

forza crescente delle organizzazioni sindacali: ottengono aumenti salariali, miglioramento condizioni di vita dei lavoratori, Statuto dei Lavoratori (70).

avvicendarsi delle strategie padronali per combatterle

Declino progressivo delle migrazioni non corrisposto da aumento posti di lavoro. Il padronato si trova a fronteggiare un’avanzata sindacale in 2 fasi:

1 – fino al 63 emigrazioni elevate, alto livello occupazione

2 – dopo il 69 disoccupazione crescente, emigrazioni in declino.

1962: apertura a sx;

1972: il Pci offre collaborazione al Governo per superare le difficoltà economiche (definito da Agnelli “periodo dell’emergenza”)

Fra 62 e 63: 1) nazionalizzazione dell’industria di energia elettrica e creazione ENEL nel 63

2) introduzione imposta cedolare sui dividendi azionari

3) Commissione nazionale per la programmazione economica.


II. La nuova situazione nel mercato del lavoro.

Fra 51 e 59 l’industria manifatturiera creò un numero ridotto di nuovi posti di lavoro, e molti emigrarono;

dal 60 la situazione si capovolse: ancora in aumento gli emigranti, ma anche nuovi posti di lavoro nell’industria, specialmente al Nord. I salari aumentarono, le organizzazioni sindacali si rafforzarono.

Le emigrazioni interne avevano portato a contatto masse rurali e nuclei operai, realizzando una presa di coscienza.

Nelle lotte operaie, aderiscono i lavoratori del Sud.

Dopo una prima ondata di scioperi (62-63) l’Intersind (associaz. Imprese a partecipazione statale) si distacca dalla linea di Confindustria e stipula un accordo separato, con il quale viene riconosciuta per la 1° volta la contrattazione aziendale.

Uno sciopero del 63 portò la capitolazione di Confindustria che accettò anch’essa la contrattazione.

Dal 62 la quota del prodotto dell’industria che negli anni precedenti era andata diminuendo, ora aumenta.

III. Inflazione e crisi.

Reazione del padronato alle conquiste operaie: aumento dei prezzi per difendere i profitti inflazione.

Crescono anche gli investimenti e la propensione al consumo che accelerano la domanda globale favorendo l’aumento dei prezzi. Questo era possibile sul mercato interno ma irrealizzabile sui mercati esteri.

Nei mercati internazionali prevaleva una stabilità monetaria. I mercati internazionali impedivano di aumentare i prezzi di vendita, pertanto i profitti degli imprenditori venivano compressi “relazioni annuali” della Banca d’Italia denunciano le difficoltà degli imprenditori.

Venne paventata l’eventualità di una svalutazione, ma le autorità monetarie non erano d’accordo.

In queste circostanze avvenne che l’inflazione interna e l’aumento della domanda globale furono accompagnate dal disavanzo crescente della bilancia commerciale. Le autorità monetarie internazionali furono pronte a finanziare il disavanzo della bilancia dei pagamenti mediante concessione di prestiti. Unica via d’uscita era arrestare l’inflazione con una manovra di compressione della domanda globale.

IV. Depressione e trasformazioni industriali.

Stretta creditizia del 63 mai vista prima, solo nel 47. Conseguenza: brusca caduta investimenti caduta occupazione caduta domanda beni consumo depressione e crisi dopo 12 anni di espansione Ripresa emigrazioni.

Le autorità economiche incolpavano il disavanzo della bilancia di pagamenti, che presentava un passivo dovuto a eccessive esportazioni di capitali cominciate nel 63 quando era stata applicata l’imposta cedolare sui redditi azionari e nazionalizzata l’en. elettrica: da allora capitalisti avevano venduto titoli sulle borse italiane trasferendo i proventi all’estero e comprando titoli stranieri che fuggivano all’applicazione dell’imposta. Nessun provvedimento amministrativo fu preso contro le fughe di capitali se non più tardi, nel 70.

V. La ristrutturazione in fabbrica.

La riorganizzazione avvenne fra 64 e 69 sul piano:

tecnologico: razionalizzazione produttiva consistette in modificazioni organizzative, forti aumenti dei ritmi di lavoro, uso esteso del lavoro straordinario e degli incentivi individuali; i lavoratori che riuscivano a resistere ai nuovi ritmi potevano conservare il posto di lavoro, gli altri venivano espulsi.

finanziario: fusioni ed incorporazioni, ma anche veloce espansione dell’industria pubblica (settore telefonico passa sotto controllo pubblico).

VI. L’autunno caldo del 69.

69: punto di svolta nella lotta sindacale; trattative per il rinnovo dei contratti collettivi danno luogo a violenti conflitti.

Strage di Piazza Fontana: bomba collocata da ignoti in una banca milanese STRATEGIA DELLA TENSIONE.

I collettivi delle singole fabbriche erano andati elaborando linee di conflittualità indipendenti, introducendo obiettivi nuovi:

non più l’aumento del salario ma rivendicazioni di carattere normativo:

riduzioni ritmi di lavoro,

limitazioni alla mobilità,

restrizioni all’uso dei cottimi e degli straordinari,

miglioramenti nell’ambiente di lavoro.

I vertici sindacali diedero avvio ad altri cicli di lotte, gli “scioperi per le riforme” cioè per la casa, i servizi sociali, ecc.

Si aveva così una doppia ondata di conflitti: dalla fabbrica e dai vertici sindacali.

Le conquiste normative ottenute furono:

abolizione gabbie salariali (differenze territoriali nei minimi salariali)

150 ore annuali per attività formative

Statuto dei diritti dei lavoratori

Aumenti salariali cospicui.

VII. La ristrutturazione fuori dalla fabbrica.

Strategie messe in atto dal padronato: ristrutturazione dell’apparato produttivo non solo all’interno ma soprattutto all’esterno della fabbrica attraverso il “decentramento produttivo”. La manovra venne affiancata sul piano politico da un’azione parallela di normalizzazione dei rapporti sindacali. La ristrutturazione avvenne su piani diversi:

a)   industria pesante: (siderurgia, chimica, petrolchimica): problema è reperire finanziamenti a basso costo.

- ricorso a fondi pubblici,

- revisione della dislocazione territoriale degli investimenti industriali verso il Sud

- imprese a partecipazione statale.

b)   Grande impresa ad alta intensità di lavoro (meccanica, gomma, tessile, apparecchi elettrici): gli obiettivi sono la lotta alla pressione salariale, riduzione costi di lavoro, clima di efficienza e pace in fabbrica. Le vie seguite sono 2:  ristrutturazione e riforme. La ristrutturazione consistette in una serie di misure volte a ridurre i salari e aumentare la produttività del lavoro senza fare investimenti: decentramento produttivo, cioè la riduzione del n° operai che lavorano dentro la fabbrica, per trasferirli fuori per tutti i processi che potevano essere distaccati.

Le fasi intermedie del lavoro vennero trasferite a opifici minori o a domicilio; le fasi fondamentali restarono in fabbrica. In questo modo il costo del lavoro venne ridotto e si ottenne una maggiore flessibilità sull’utilizzazione della forza-lavoro. Si realizzò infine un allentamento della pressione sindacale in quanto la classe lavoratrice dispersa e divisa era più difficile da coalizzare.

Lo sviluppo delle piccole imprese e del lavoro a domicilio si realizzarono utilizzando le frange marginali della popolazione cioè giovani, anziani, donne.

VIII. Il Sud nelle trasformazioni del 64-73.

La Comunità europea aveva optato per una linea che mirava a sostenere i redditi agricoli attraverso il sostegno dei prezzi: ma risultava selettiva perché e carica di favoritismi, inoltre agiva in maniera diseguale: cereali, prodotti lattiero-caseari, e altre produzioni tipiche padane ottennero il livello di protezione più alto mentre i prodotti tipici del Sud come vite, olivo, agrumi, ottennero scarsa protezione.

Memorandum Mansholt: prevedeva per l’agricoltura europea una progressiva concentrazione, meccanizzazione, produttività, mentre alle aziende contadine riservava solo forme di pensionamento che le avviasse alla scomparsa totale.

Le regioni del Nord e Sud entravano in conflitto per la 1° volta anche sul piano delle opere pubbliche perché le regioni industrializzate del Nord, congestionate, richiedevano urgenti infrastrutture. Nel 65 venne prorogata la scadenza della Cassa del Mezzogiorno e nel 66 vennero istituite una serie di provvidenze per le aree depresse del Centro-Nord.

Fra 64 e 66 l’espansione commerciale dell’industria settentrionale si aprì ai mercati meridionali mandando in crisi l’industria del Sud. (NB. L’industria del Sud non era carente in dimensioni o tecnologie, ma in iniziativa imprenditoriale).

Al Sud, la politica di incentivi alle imprese minori venne applicata anche a quelle più grandi altrimenti non avrebbero mai realizzato grandi investimenti al Sud: concessione sussidi finanziari, contrattazione programmatica, pieno riconoscimento legislativo (71). Parte delle competenze della Cassa per il Mezzogiorno vennero trasferite alle Regioni. Le funzioni di coordinamento vennero trasferite al CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica).

Fu introdotta l’autorizzazione preventiva che le imprese avrebbero dovuto chiedere al cipe prima di installare nuovi impianti, allo scopo di assicurare un’equilibrata distribuzione territoriale, ma di fatto restò inutilizzato.

Con una 2° ondata di investimenti industriali, il Sud ottenne ben il 37% degli investimenti industriali nazionali!

Quali fattori indussero vari settori dell’industria italiana a investire cosi tanto al Sud? Ipotesi:

sistema degli incentivi

pochi conflitti al Sud

sviluppo imprese a partecipazione statale.

Gli incentivi erano volti alla riduzione costi di produzione ma non offrivano nulla in termini di sbocco sul mercato pertanto le imprese che presero piede al Sud erano imprese capaci di risolvere da sé il problema del mercato. Tali imprese potevano essere o grandi imprese nazionali (che avevano già propri canali commerciali, rete pubblicitaria) o piccole imprese (che non avevano il problema degli sbocchi perché destinate a rifornire il mercato locale).

Infatti l’industria meridionale si polarizzò su 2 gruppi di imprese: stabilimenti maggiori e imprese minori.

IX. La programmazione economica.

Nel 1° dopoguerra i primi tentativi di pianificazione economica.

Nel 43 un membro del movimento cattolico elabora il “codice di Camaldoli”.

Nel 49 la Cgil presenta il Piano del Lavoro.

Il min. Vanoni presenta il Piano Vanoni, “schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 55-64”.

Il Piano Vanoni individuava 3 problemi dell’economia del paese:

disoccupazione

disavanzo bilancia pagamenti

squilibrio Nord-Sud

e proponeva 3 obiettivi:

1) creare 4 milioni di posti di lavoro ( fra 59 e 60)

2) portare al pareggio la bilancia ( realizzato nel 58)

3) eliminare il divario Nord-Sud (mai conseguito)

per raggiungere i quali si sarebbe dovuto realizzare un tasso di sviluppo del reddito reale pari al 5% annuo.

Il Piano non fu seguito da concrete realizzazioni.

Nel 62 il Min. La Malfa creò 3 commissioni per lo studio del settore economico tra cui la Commissione naz.le per la programmazione economica guidata da Saraceno, che scrisse una Relazione generale sulla situazione economica del Paese (63) nella quale venivano individuati 3 squilibri nel Paese:

di natura settoriale (fra agricoltura e industria)

di natura territoriale (fra Nord e Sud)

inerente la struttura della produzione (distorsione consumi pubblici-privati e all’interno dei privati)

All’interno della stessa, Napoleoni riteneva che alla classe lavoratrice si sarebbe dovuto offrire la possibilità di partecipare concretamente alla formulazione della programmazione economica facendoli decidere come utilizzare le risorse che essi stessi, grazie alle rinunce salariali, avevano reso disponibili per gli investimenti; ciò significava dare al sindacato una posizione attiva nella politica economica. Napoleoni chiedeva anche di eliminare le sacche di rendita improduttiva come l’eccesso di addetti al terziario (“parassitismo”). Agnelli e la grande industria erano d’accordo sull’eliminazione del parassitismo, che secondo loro si annidava nella p.a., facendo ricadere nell’impresa privata oneri impropri.

Tale interpretazione sarà usata per giustificare la privatizzazione degli anni 80.

Altri Piani proposti: documento Giolitti, Piano Pieraccini, Progetto 80, che non ebbero risultati.

Il “Documento programmatico preliminare” era destinato a fornire elementi per l’impostazione del Programma economico 71-75 e proponeva:

sforzo per generalizzare l’ambito della programmazione nazionale

riconosceva che il paese si trovava in situazione mutata rispetto a 10 anni prima, cioè ora l’economia aveva perso il suo impulso autonomo e doveva trovare la via dello sviluppo

Piani successivi: Piano annuale 72, Piano annuale 73, Piano triennale del 79 (Piano Pandolfi).


4 – IL QUADRO INTERNAZIONALE DEGLI ANNI 70 E 80

I. Premessa

Eventi principali:

a)   crisi del petrolio

b)   nuovi paesi industrializzati

c)   riforma sistema pagamenti

II. La crisi del petrolio

“Shock del petrolio” inizia nel 73: i paesi produttori di petrolio ne quadruplicano il prezzo: da 2-3 $ a 12 $ per barile.

Nel 79, 2° aumento a 32 $ al barile. Questi aumenti sono connessi:

alla forte richiesta

al timore di un esaurimento della risorsa

tra fine 60 e inizio 70, la gestione del petrolio era stata sottratta alle compagnie private internazionali e passata sotto controllo dei paesi produttori coordinati nell’OPEC.

L’aumento si verificò al termine di un periodo nel corso del quale tutti i prezzi delle materie prime erano andati crescendo, e anche il petrolio finì per crescere in simultanea.

Lo squilibrio domanda-offerta si tradusse dopo il 1980, in una tendenza al ribasso e nell’87 tornò al livello del 74.

L’aumento del prezzo rappresentava un trasferimento di risorse a carico degli importatori (“tassa petrolifera”).

La reazione non fu uniforme:

alcuni fecero in modo che i paesi produttori depositassero i maggiori proventi presso il proprio sistema bancario (es. Inghilterra); questa soluzione dava effetti nell’immediato ma non poteva durare nel tempo.

Altri aumentarono le export verso i paesi produttori o paesi terzi (es. Giappone).

Altri ridussero le import di petrolio accettando una caduta della produzione e dell’occupazione (RDF)

l’Italia seguì la 2° e 3° strada, la 1° era impraticabile perché non aveva una valuta solida e struttura finanziaria paragonabile a quelle di altri paesi. La 2° venne seguita sforzandosi di aumentare le export verso i paesi petroliferi mediante azioni volte a tutelare gli esportatori: ma questa via poteva dare risultati solo nel tempo; restava solo la 3° via, quella della contrazione dell’attività produttiva.

Venne proposta la “strategia delle locomotive”: i paesi forti avrebbero dovuto attuare una politica espansiva e fungere da forza trainante per le economie più deboli.

III. Aree commerciali e Nuovi paesi industrializzati

Nell’immediato dopoguerra l’economia occidentale era stata dominata dalla potenza economica degli USA; 30 anni dopo, la situazione era mutata: si sono definite “tre grandi aree economiche”, accentuate dalla crisi petrolifera:

USA

Germania federale

Giappone

I nuovi paesi industrializzati (NIC – New Industrialized Countries) sono paesi che emergono divenendo esportatori di manufatti: Europa meridionale (Grecia, Portogallo, Spagna, ex Jugoslavia), America Latina (Messico, Brasile), Oriente (Corea, Taiwan, Singapore, Hong Kong): hanno basato il loro sviluppo sull’industria esportatrice; il fattore che ha permesso la crescita e modernizzazione di questi paesi è oggetto di dibattito:

- alto livello di formazione professionale della manodopera locale

- bassi salari

- politica governativa che ha protetto l’industria locale tenendola al riparo dalla concorrenza

- strategie della grande industria mondiale sempre alla ricerca di nuovi territori di insediamento

L’ingresso di questi paesi nel mercato mondiale ha messo a dura prova l’industria italiana.

IV. Il sistema dei pagamenti internazionali

Rimase in vigore fino al 71 il sistema dei pagamenti internazionali fissato a Bretton Woods nel 44.

Nella conferenza si scontrarono 2 vedute opposte:

inglesi guidati da Keynes: sostenevano la possibilità di creare una moneta internazionale (il “bancor”) emessa da una banca mondiale di nuova istituzione; alcuni paesi sarebbero stati creditori, altri debitori rispetto a questa Banca;

americani guidati da White: in disaccordo, perché una ipotetica Banca mondiale abilitata a concedere crediti avrebbe potuto protrarre all’infinito i finanziamenti ai paesi in disavanzo con conseguenze un aumento di liquidità mondiale e inflazione. Questa linea prevalse.

Gli accordi di Bretton Woods stabilirono che i pagamenti internazionali del mondo occidentale sarebbero stati regolati con l’utilizzo di una qualsiasi valuta naz.le.: l’unica valuta convertibile in oro era il dollaro.

Gli accordi prevedevano un sistema di cambi stabili; ogni paesi s’impegnava a preservarne la parità.

Venne istituito il Fondo monetario internazionale con sede a Washington, che interveniva nei casi di disavanzo della bilancia di pagamenti di alcuni paesi.

Il sistema non poneva tra le sue finalità la creazione di un mercato finanziario strettamente integrato.

Ogni pese poteva dunque manovrare i tassi d’interesse per portare la domanda interna a livello da assicurare un’elevata occupazione.

Nel tempo, fu sempre più difficile per gli USA difendere la posizione del dollaro come unica valuta; lo sviluppo di Giappone e Germania rendevano sempre più solide le rispettive monete (yen e marco).

Dal 71 gli USA inaugurarono un apolitica di strenua difesa del $ per paura di svalutazione da minor domanda.

Le banche centrali europee autorizzarono le banche a ricevere crediti in $ che così iniziarono a circolare in Europa costituendo il mercato dell’Eurodollaro. Ciononostante il dollaro si svalutava; Nixon annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro il sistema di Bretton Woods poteva dirsi abbandonato e ogni paesi si sentì libero di fissare la propria parità a seconda delle esigenze. Nel 72 venne dichiarata fluttuante la sterlina, nel 73 la lira.

Si cercò di istituire un accordo di cambio limitato alle sole valute europee.

Nel 78 fu siglato a Bruxelles l’accordo per l’istituzione del sistema monetario europeo al quale aderì anche l’Italia.


5 – IL PERIODO DEI CAMBI FLESSIBILI (73 – 79)

I. Premessa

Il periodo in esame fu contrassegnato da sconvolgimenti politici: fra 76 e 79 il Pci si accostò al governo con atteggiamento più moderato, ed il grande padronato industriale reagì con favore.

Nel 77 per la 1° volta dopo 30 anni, il Pci s’incontrò ufficialmente con il Presidente del Consiglio per concordare un programma di governo in vista della “normalizzazione”. Le banche USA revocavano il “rischio Italia” e riprendevano a trattare finanziamenti a banche italiane.

Tra i sindacati prevalse la linea della moderazione, come affermato da Luciano Lama (leader sindacale) che condannava l’aggressività.

Nel 78 il governo Dc (governo dell’emergenza) ebbe la fiducia del Pci; l’Italia fu scossa dal terrorismo (omicidio Aldo Moro, fautore della convergenza Pci-Dc) anni di piombo, durante i quali la legislazione penale venne inasprita.

Il periodo critico si concluse nel 85. Il 1° problema del nuovo governo fu l’adesione al Sistema Monetario europeo, e qui venne a rompersi la convergenza politica perché le sinistre erano contrarie al Sistema Monetario, considerato vincolo dell’economia nel sistema dei paesi industrializzati. Il governo dell’emergenza si dimise nel 79 e l’anno successivo il Dc approvò la mozione “preambolo” che condannava ogni tentativo di intesa con la sx.

II. Cambi flessibili e inflazione

Nel 73 si passò dai cambi fissi a quelli flessibili e il prezzo del petrolio aumentò.

L’anno si aprì con un’ondata di inflazione causata dall’aumento prezzi delle materie prime nei mercati internazionali.

Tutti i paesi europei tra cui l’Italia dichiararono fluttuante la propria valuta. Ciononostante il cambio della lira venne pilotato dal governo con attenzione tramite una manovra di svalutazione differenziata svalutando la lira in misura più sensibile nei confronti del mercato tedesco e tenendola stabile (o svalutandola in misura minora) nei confronti del dollaro.

Questo perché le importazioni provenivano dall’area del dollaro mentre le export erano rivolte per lo più all’europa.

La lira veniva così rivalutata rispetto al dollaro, riducendo il costo delle importazioni, e veniva svalutata rispetto al marco rendendo più competitive le export. Questo era reso possibile perchè il dollaro si andava svalutando rispetto al marco.

La politica DEI CAMBI DIFFERENZIATI fu attuata tra 75 e 79, abbandonata con l’entrata in vigore del Sistema monetario europeo e perché il dollaro prese a rivalutarsi rispetto al marco.

III. Il periodo dell’emergenza

Alla fluttuazione della lira seguì un’ondata di inflazione interna. Il cambio fluttuante incoraggiava le imprese ad accrescere i prezzi interni, sicure che ogni aumento sarebbe stato seguito da un’ulteriore svalutazione esterna della lira; ma in questo modo, svalutazione esterna ed interna venivano a neutralizzarsi.

L’inflazione interna fu accompagnata da un disavanzo della bilancia dei pagamenti causato dall’aumento del prezzo del petrolio nel 73: di fronte a questa situazione, i paesi reagirono comprimendo la domanda interna allo scopo di ridurre l’importazione di energia e contenere il disavanzo dei conti con l’estero. L’economia italiana venne così colpita e le autorità decisero di attuare una drastica deflazione per ridurre la domanda di importazioni. Per la 1° volta il Parlamento fissò un tetto massimo al disavanzo del bilancio pubblico. Si aggiunse una stretta creditizia con l’aumento del tasso di sconto, l’introduzione di massimali all’espansione del credito bancario, nuovi inasprimenti fiscali, aumenti tariffe servizi pubblici: queste misure accrescevano l’inflazione e sottraevano reddito spendibile ai consumatori.

I sindacati reagirono all’inflazione chiedendo e ottenendo una revisione della scala mobile, con l’introduzione nel 75 del PUNTO UNICO DI CONTINGENZA. Per la 1° e unica volta la maggior parte dei lavoratori dell’industria godette di copertura totale contro l’inflazione e l’economia italiana divenne indicizzata al 100%.

L’indicizzazione poteva trasformare in inflazione qualsiasi aumento di prezzi; per gli imprenditori era facile prevedere che all’aumento dei salari sarebbe seguita un’ulteriore svalutazione della lira quindi divenne insensibile all’aumento salari.

Tutte queste misure nell’insieme produssero una caduta della domanda globale; il 75 fu anno di depressione per l’Italia e gli altri paesi industrializzati; si ebbe la caduta sia degli investimenti che del livello del reddito.

Gli USA sconsigliarono alle proprie banche di far prestiti all’Italia, considerata rischiosa e sull’orlo del collasso.


6 – IL SISTEMA MONETARIO EUROPEO

I. Premessa

L’accordo per l’istituzione del Sistema Monetario europeo fu siglato a Bruxelles nel 78; fu preceduto da un dibattito tra la Dc di Andreotti favorevole, il Pci contrario.

Le autorità monetarie italiane ottennero per l’Italia un regime di favore cioè un margine tollerato di oscillazione al 6% anziché al 2,75% al di sopra e sotto la parità centrale.

II. La struttura dello Sme

Lo Sme fu concepito come un accordo di cambio avente lo scopo di tenere stabili i cambi nell’ambito dei Paesi europei.

Vi aderirono prima i 6 paesi della Cee che nel 95 diventò Ue e con gli allargamenti ha coinvolto 15 paesi (NB Inghilterra fa parte dell’Ue ma non dello Sme).

Gli aderenti s’impegnavano a tenere stabilmente il rapporto di cambio fra la propria valuta e le altre all’interno della parità centrale. Ammesse oscillazioni entro margine del 2,5%, portato al 15% nel 93; l’Italia ebbe beneficio fino al 1990.

Il sistema stabiliva che quando il cambio di una valuta stava per passare il limite, il paese interessato doveva intervenire; lo Sme obbligava i paesi la cui valuta si fosse scostata dalla parità centrale sia in più che in meno, ad intervenire per riportare la valuta vicina alla parità centrale. Non erano previste sanzioni per i paesi che non intervenissero.

Si calcolò un corso intermedio (media ponderata dei singoli corsi) detto CORSO DELLO SCUDO EUROPEO o dell’ECU, che servì come termine di paragone.

Quando la valuta naz.le aveva raggiunto la soglia di tolleranza, si doveva intervenire utilizzando valute comunitarie; quando la valuta naz.le stava all’interno del margine ammesso, la scelta della valuta d’intervento era libera.

III. Le conseguenze dello Sme

Le regole dello Sme erano diverse dagli accordi di Bretton Woods: quest’ultimo non aveva tra i propri fini la creazione di un mercato finanziario. Fine principale dello Sme era invece creare uno spazio europeo integrato, in senso commerciale e finanziario. I paesi dello Sme si posero l’obiettivo di liberalizzare movimenti di merci e capitali (G.B. nel 79, Italia nel 90).

La creazione del mercato finanziario unico produsse come conseguenza la necessità per ogni pese di adeguare i propri tassi di interesse interni ai tassi vigenti nei mercati europei. Si perdeva così la possibilità di condurre una politica monetaria autonoma. Il primato degli obiettivi finanziari su quelli reali emerse con il fatto che ogni Banca Centrale avrebbe dovuto godere di un’autonomia e svincolarsi dal controllo delle autorità politiche.

Il fare affidamento sul mercato internazionale per avere capitali consentiva ai paesi di considerare meno rigido di prima il vincolo della bilancia commerciale.

Per quanto riguarda la politica dei cambi, l’obiettivo principale dello Sme era preservare la stabilità dei cambi senza ledere la libertà nei movimenti di capitali. Questo accoppiamento di obiettivi può essere raggiunto solo in situazione di pieno equilibrio.

I tassi di interesse di ogni paese devono adattarsi a quelli del mercato intern.le altrimenti un livello più basso scatenerebbe fughe di capitali.

L’obiettivo della stabilità dei cambi venne raggiunto completamente fra 87 e 92.

Giudizi contrastanti sullo Sme:

pro: per paesi come l’Italia, con facile inflazione e disavanzo, un vincolo esterno è salutare, un incentivo a combattere l’inflazione;

pro: la libera circolazione di capitali consentirebbe di compensare i disavanzi nella bilancia commerciale rafforzando il cambio estero;

pro: cambio stabile scoraggia la speculazione;

pro: libera circolazione capitali favorisce le imprese perché consente di indebitarsi a tassi più bassi;

contro: l’unificazione impedisce l’autonomia in politica monetaria e fiscale, sottraendo alle autorità strumenti preziosi per il controllo della domanda globale e del livello di occupazione; per contrastare quest’effetto, Mitterrand propose una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali (Tobin tax) per impedire che piccole divergenze sui tassi mettano in moto speculazioni; i proventi potrebbero essere usati per finanziare paesi in via di sviluppo;

contro: un disavanzo nei movimenti di merce di un paese finirebbe per minare la fiducia nella propria valuta;

contro: gli alti tassi di interesse (necessari per stimolare le importazioni di capitali e per rafforzare le valute deboli), finisce per indebolirla ancora di più perché tassi di interesse alti causano inflazione;

contro: l’obiettivo della stabilità dei tassi nominali dovrebbe esser perseguita non dallo Sme ma dai singoli Paesi ; lo Sme dovrebbe puntare se mai alla stabilità dei cambi reali;

contro: il sistema dello Sme poteva sopravvivere solo se o i paesi riuscissero a realizzare un equilibrio pieno o se i paesi con partite in avanzo fossero disposti a finanziare mediante continue export di capitali, i disavanzi altrui. Il sistema era destinato al naufragio appena i movimenti di capitali avessero mutato direzione o risultassero impediti, come avvenne in Germania dopo l’unificazione (89).

IV. La politica economica della Germania. Il corso del dollaro.

La Germania ha perseguito una politica di espansione commerciale e constante avanzo della bilancia commerciale (strategia NEOMERCANTILISTICA). Per fare ciò ha curato la tecnologia delle proprie industrie (elettronica, nucleare, aeronautica, militare) ed ha perseguito una politica monetaria volta a evitare ogni apprezzamento del marco, che avrebbe potuto compromettere le esportazioni.

L’avanzo commerciale fu compensato con l’esportazione di capitali: risultato della manovra furono tassi di inflazione assai inferiore rispetto agli altri paesi conservando cambi stabili; ciò significa che il marco è stato svalutato progressivamente rispetto alla altre valute europee mettendo in difficoltà le export degli altri paesi comunitari. La svalutazione del marco prosegue fino al 92.

Nell’ambito europeo si possono distinguere 2 gruppi di paesi:

1) Francia, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca: cambi reali stabili

2) Italia, Gran Bretagna, Spagna, Grecia, Portogallo: movimento di svalutazione reale del marco risulta accentuato, e continua fino al 92; dopo il 92, a causa della svalutazione di numerose valute europee, il marco si rivaluta del 10%.

Nei primi anni di Sme, i riallineamenti portarono tutti a rivalutazioni successive del marco; dal 87 i riallineamenti vennero di fatto sospesi in vista del passaggio a un regime di cambi fissi.

Il dollaro continua ad essere valuta internazionale, utilizzato dalle anche Centrali come valuta di intervento e fatturazione nei rapporti commerciali. Comunque il dollaro continua a svalutarsi rispetto a marco e yen, in corrispondenza a:

1) formazione di nuove aree commerciali che imponeva la sostituzione in parte del dollaro con altre valute

2) concorrenza dei Nic: gli USA si difendevano con la tecnologia, ma ogni tanto svalutava il $ per ridare competitività alle export e proteggere l’industria interna dalle import.

La tendenza alla svalutazione non è stata lineare ma con oscillazioni profonde.

Il $ è dichiarato inconvertibile nel 71, e da qui inizia una lunga discesa interrotta bruscamente nel 80 da una ripresa del corso che durerà fino all’85. Il corso del $ restava alto non per avanzo nella bilancia commerciale (anzi, era in disavanzo) ma a causa dei movimenti di capitali che portavano flussi di valuta in ingresso in quanto gli investitori avevano fiducia nella solidità dell’economia USA; secondo altri, i capitali in ingresso erano provocati dalla politica di tassi di interesse elevati, tanto che nell’85 i paesi europei ottennero che gli USA rivedessero la politica dei tassi elevati, portando il $ alla svalutazione.

Le cause dell’esplosione anomala del corso del $ tra 80 e 85 sono ancora in discussione; conseguenza: la competitività delle esportazioni manufatti USA rinnovo processi produttivi nelle industrie riammodernamento.

V. L’Italia nello Sme.

Una volta entrata nello Sme l’Italia non avrebbe più potuto contare sul meccanismo di inflazione e svalutazione per tener testa alla concorrenza ma avrebbe dovuto affidarsi ad aumento produttività e riduzione costo del lavoro.

“Nota aggiuntiva” del Min. La Malfa (63): si dava come obiettivo attenuare gli squilibri economici e sociali tutti i documenti successivi seguivano la stessa linea.

PIANO PANDOLFI (79): cambia linea, proponendo come esigenza primaria l’efficienza del sistema produttivo, mediante:

blocco salari per 3 anni

mobilità lavoro

riduzione spesa sociale

aumento trasferimenti alle imprese per l’ammodernamento

obiettivi realizzati ma in tempi più lunghi che nei 3 anni proposti dal Piano.

Mentre in passato si era cercato di finanziare la spesa pubblica sacrificando il settore privato, ora si fa il contrario.

1980: riforma delle emissioni dei Buoni Ordinari Tesoro (“divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia): mentre prima ad ogni emissione di Bot, la Banca d’Italia aveva acquistato i titoli non sottoscritti dal mercato, ora non ha più questo obbligo perciò il Tesoro farà affidamento solo sui titoli assorbiti dal mercato.

Effetto: riduzione debito del settore pubblico verso la Banca d’Italia.

Prima vigeva il criterio del controllo del credito totale interno cioè finanziamento del pubblico a scapito del privato, adesso viene dato più spazio al finanziamento del settore privato.

Nonostante tutto, gli anni dopo il 79 sono ancora di inflazione (20% annuo!) sopra la media europea. Origini inflazione:

a)   inflazione importata: aumento corso del $ provoca aumento del costo delle importazioni;

b)   inflazione da prezzi amministrati: aumenti delle tariffe pubbliche;

c)   inflazione da tassi di interesse: tassi di interesse cresciuti sui mercati internazionali

Negli anni dei cambi flessibili: inflazione gradita alle imprese in quanto via per aumentare i prezzi più dei salari e ridurre il costo del lavoro; dopo l’80: inflazione come fenomeno da subire per le imprese, che ne riduceva la competitività esterna.

La difficoltà in cui si trovavano le export italiane nei mercati esteri erano stimolo salutare per l’ammodernamento dell’industria. I benefici vengono meno dopo il 85, con la caduta del corso del dollaro.

Negli anni dei cambi flessibili, le imprese italiane erano diventate arrendevoli rispetto agli aumenti dei salari; ora divennero ostili a ogni aumento dei salari ed effettuarono ogni sforzo per accrescere la produttività del lavoro battaglia delle imprese per la riforma della scala mobile, ma anche veloce ristrutturazione dei processi produttivi.

Negli anni di adesione allo Sme, la bilancia commerciale italiana si andò progressivamente deteriorando sia per i movimenti di merci che per i servizi (assicurazioni, noli, ecc.) saldi passivi nella manifattura.

In passato, i saldi parziali della bilancia dei pagamenti (movimenti di merci e di capitali) venivano considerati obiettivi separati; adesso si compensano mediante importazioni di capitali: a questo scopo, i tassi di interesse vennero tenuti a livelli più alti degli altri mercati finanziari aprendo possibilità di investimento vantaggiose agli speculatori stranieri.

Vennero liberalizzati i mercati finanziari allo scopo di facilitare l’ingresso di capitali.

Politica dei tassi elevati - conseguenze:

  1. effetti depressivi sugli investimenti a discapito del progresso
  2. governo costretto ad intervenire a favore della grande industria con sussidi e investimenti aggravando il debito pubblico
  3. indebitamento dell’Italia verso l’estero avvio stagione delle vendite di imprese italiane a capitale estero.

VI. L’industria italiana nell’area commerciale comunitaria.

Nei primi anni della Ce, l’industria italiana aveva trovato il suo spazio nella tacita divisione del lavoro:

i paesi avanzati si dedicavano all’industria tecnologicamente d’avanguardia

l’Italia ha spazio nell’industria tradizionale: bevande, tessili, abbigliamento, cuoio, scarpe, mobili, legno, ceramica, vetro, materiali da costruzione, prodotti in metallo, macchine agricole e industriali, apparecchi elettrici, TV, auto, elettrodomestici.

Falliti tentativi di acquisire posizione nei settori avanzati (nel nucleare, nell’informatica ecc.)

fenomeni di “deviazione dei commerci” anziché di “creazione dei commerci”.

Negli anni 80 alcuni fattori contribuirono a rendere più fragile la politica italiana:

  1. concorrenza dei Nic dell’estremo Oriente (Taiwan, Singapore, Cina ecc.) specializzati negli stessi settori dell’Italia ma con manodopera a minor costo
  2. allargamento paesi della Ce (diventata Cee poi Ue nel 95), che comprende ora paesi concorrenti dell’Italia come Spagna, Grecia, Portogallo che hanno costi inferiori, anche se di poco, a quelli italiani;
  3. riunificazione Germania nuovo spazio economico che riporta all’interno dell’economia europea paesi in grado di concorrere con l’Italia.

Esemplare il caso della Fiat che pur avendo il monopolio quasi assoluto nella produzione italiana (dopo aver inglobato Ferrari, Lancia, Alfa, Autobianchi) vede cadere la propria quota del mercato italiano dal 60 al 40%.

Parte dell’industria italiana viene trasferita nei paesi in via di sviluppo es. abbigliamento in Ungheria, guanti in Oriente .

Conseguenze dell’integrazione europea per l’Italia:

quote d’importazione non saranno più decise unilateralmente dall’Italia ma concordate in sede europea

un grande mercato europeo rappresenterà una maggiore attrazione per le imprese americane e giapponesi ad aprire filiali in Italia

i negoziati Gatt e la creazione della Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) hanno portato a una più ampia liberalizzazione del mercato mondiale.

Per tutti gli anni 80 fino al 92, il commercio estero ha presentato saldi molto negativi nel settore petrolio, energia, prodotti agricoli, carni, latte, prodotti chimici, macchine per ufficio, auto; sono in attivo macchine utensili, motocicli, tessili, abbigliamento, cuoio, calzature, mobili, gomma, plastica. Nel complesso l’equilibrio degli scambi con l’estero è giudicato favorevolmente.

I settori considerati d’avanguardia tecnologicamente (chimica, elettronica, macchine di precisione), sono quelli nei quali la quota di export è cresciuta meno e viceversa.

In relazione ai conti con l’estero, la situazione migliora dopo il 92 (anno della svalutazione).

Nel settore servizi, sono in passivo: noli merci, spese per flotte, scambi brevetti e tecnologie, prodotti cinema e Tv; si riduce l’attivo nel turismo.

I servizi hanno avuto per molto tempo il ruolo di spugna contro la disoccupazione ruolo di stabilizzazione sociale.

Considerando che l’industria è stata spinta all’ammodernamento dall’inflazione, a questa inflazione ha contribuito anche il terziario


7 – L’ITALIA FUORI DALLO SME.

I. La svalutazione del settembre 92.

Con la riunificazione della Germania, il fabbisogno di investimento era aumentato e quindi non era più in grado di esportare capitali finanziari quanto prima; continuò ad esportare capitali a lungo termine solo per consolidare i legami con i mercati commerciali lontani (Estremo oriente) e ad importare capitali a breve termine per compensare.

L’espansione della domanda interna ed il disavanzo della Germania influirono sui suoi partner commerciali tra cui l’Italia, ormai abituata ad attingere capitali a breve termine dalla Germania.

Nel 92 la Bundesbank aumentò il tasso di sconto dall’8% al 8,75% e quindi anche l’Italia fu costretta ad alzarlo fino al 15%. Il presidente del Consiglio Amato presentò un disegno di legge (“legge dei pieni poteri”) secondo la quale in caso di emergenza economica il governo era autorizzato a prendere qualsiasi misura ; il disegno non venne mai discusso.

La Banca d’Italia, senza dichiarare l’uscita dallo Sme, in settembre annunciò l’astensione dell’Italia dall’effettuare la quotazione quotidiana della lira; ogni impegno a stabilizzare la nuova parità (annunciata dal Comitato monetario europeo poco prima) veniva abbandonato.

Da qui iniziò un periodo di svalutazione della lira che in 3 anni raggiunse il 40% rispetto al dollaro ed al marco.

Queste vicende riguardavano oltre all’Italia, Finlandia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Svezia, Gran Bretagna.

Gli sforzi per ricostituire lo Sme iniziarono subito (con una banda di oscillazione del 15%), e pure il cammino verso la moneta unica.

Le autorità economiche italiane convinte che la struttura dell’economia italiana non giustificasse una svalutazione e che si trattasse quindi di speculazione, tentarono di resistere impegnando 53.000 miliardi di riserve che poi, una volta stabilizzato il cambio al livello iniziale, gli speculatori (che si erano finanziati in lire per convertirle in valuta estera) sarebbero stati costretti a riconvertire nuovamente il lire senza alcun vantaggio.

Il tentativo di difendere la lira non andò a buon fine: l’Italia perse miliardi di riserve valutarie e gli speculatori ottennero guadagni vendendo lire per riacquistarle a svalutazione avvenuta.

II. Svalutazione e inflazione.

Svalutazione graduale eccita le aspettative di ulteriore svalutazione e induce le imprese a aumentare i prezzi in via precauzionale causando inflazione, in misura maggiore di una svalutazione secca.

Contrariamente alle aspettative, la svalutazione assunse andamento graduale ma l’inflazione rimase meno del previsto.

Interpretazioni contrastanti:

  • principio dell’inflazione da domanda: la svalutazione era stata accompagnata da una manovra di compressione della domanda globale attraverso il contenimento della spesa pubblica e l’aumento del prelievo fiscale:

sospesi pensionamenti anticipati

bloccati i contratti di assunzione nella p.a.

sospeso l’aggancio delle pensioni all’andamento dei salari

portato il riferimento delle pensioni all’ultimo decennio di attività

sospesa l’assistenza sanitaria per i titolari di reddito superiore a una certa soglia

istituita l’ICI

prelievo extra del 6% sui depositi bancari

tassazione minima presuntiva (minimum tax) per lavoratori autonomi

risultato: compressione domanda globale e quindi deflazione.

  • Inflazione da costi (Sylos Labini): prezzi manufatti determinati dalle imprese (costo+profitto) e insensibili alle fluttuazioni della domanda globale. L’inflazione sarebbe legata invece alla soppressione della scala mobile; il governo però si era premunito con l’”accordo sul costo del lavoro” che prevedeva la soppressione dell’indennità di contingenza. Anche se i prezzi dei manufatti vengono fissati con il metodo di cui sopra (mark-up) nulla garantisce che il margine debba essere costante. I prezzi pagati dal consumatore sono prezzi praticati dai dettaglianti che possono concedere sconti sensibili o meno all’andamento della domanda.

La manovra del governo è stata assistita comunque da un po’ di fortuna, infatti la svalutazione si è inserita in un periodo di prezzi calanti per le materie prime.

III. L’andamento dei cambi.

Fra settembre 92 e novembre 96 il corso dei cambi ha subito numerose fluttuazioni, non lineari ma a sbalzi.

La lira si è svalutata del 45% rispetto al marco, 41% rispetto al dollaro, 77% rispetto allo yen.

L’idea è che il corso della lira fosse legato non solo alle componenti strutturali dell’economia ma anche alla fiducia politica che il governo in carica riscuote.

1) sett. 92: le voci di crisi provocano corse agli sportelli da parte dei depositanti impauriti che ritirano i risparmi indebolimento lira.

2) nov. 92: il governo ottiene dal Parlamento ampie deleghe per le riforme nella sanità e nelle pensioni dando sicurezza di forza politica rafforzamento lira

3) inizio 93: eventi in parte estranei all’economia italiana provocano ancora l’indebolimento della lira.

4) apr. 93: Ciampi (governatore Banca d’Italia) incaricato di formare il governo: fiducia dei mercanti in un governo presieduto da un tecnico rafforzamento lira.

5) giu. 93: svalutazione lira

6) autunno 93: rafforzamento lira

7) dic. 93 – mag. 94: stabilità lira (governo Ciampi).

8) giu. 94: governo Berlusconi – genn. 95: governo Dini svalutazione lire

9) lug. 95: ripresa della lira.

IV. Lira e dollaro.

Nel triennio 92-95 i rapporti di cambio fra le 3 grandi valute mondiali (marco, yen,dollaro) hanno subito sensibili variazioni.

settembre 92, risparmi.n acorsa agli sportelli da parte dei depositanti impauritill' le materie prime.

bili o meno all' se

La lira non si è svalutata o rivalutata nello stesso modo in rapporto alle 3 valute. Si prende in considerazione la quotazione della lira rispetto al marco. Solo i primi mesi subito successivi alla svalutazione del settembre 92 furono mesi di svalutazione generale della lira rispetto alla altre valute. Dal luglio 93 la lira continua a perdere terreno confronto al marco e il cambio lira-dollaro assume andamento più stabile. Da metà 93 la lira è di fatto agganciata al dollaro.

Il legame lira-dollaro potrebbe esser frutto dell’agire spontaneo dei mercati; ma potrebbe scaturire anche dalla decisione delle autorità monetarie italiane di tornare alla vecchia linea del cambio differenziato già seguita fra 75e 79.

L’aver agganciato la lira al dollaro può essere inteso come misura ragionevole e coerente con l’obiettivo della stabilità monetaria. Questo assetto restò in vigore fino a nov. 96 (rientrò lira nello Sme).


8 – VERSO LA MONETA UNICA EUROPEA

I. Premessa.

L’ultimo decennio del 1900 fu per l’Italia un periodo di sconvolgimenti politici. Nel 92 vennero avviati processi per corruzione che coinvolsero Dc e PSi. Al governo si succedettero Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, Amato.

Nel 96 la riforma elettorale sostituiva al sistema proporzionale un sistema prevalentemente maggioritario. Con L’Ulivo la sinistra tornava al governo per la 1° volta dal 47 e si poneva come obiettivo l’integrazione economica dell’Italia nella compagine europea. Il 1° gennaio 99 l’euro (nuova moneta comune europea) entrò in funzione come moneta di conto.

II. dal sistema monetario europeo al Trattato di Maastricht

Lo Sme era stato inteso fin dalla sua creazione come passo preliminare verso la creazione di uno spazio monetario integrato con moneta unica.

TRATTATO DELL’UNIONE EUROPEA (di Maastricht) in vigore dal 1/11/93 modifica il Trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma, 1957)fissò i passi da seguire per realizzare l’UNIONE EUROPEA comunità di paesi aventi come mezzo di pagamento una moneta unica. Condizioni:

  • Moneta unica europea (EURO) dal 99 moneta di conto legata da cambi fissi con le monete nazionali dei paesi ammessi; dal 2002 unica moneta in circolazione.
  • Passaggio dalle singole Banche Centrali Nazionali a una BANCA EUROPEA unica, con la creazione dell’istituto Monetario Europeo dal 94 retto dai Governatori della Banche Centrali dei paesi partecipanti
  • La partecipazione all’unione monetaria venne limitata ai paesi con alcuni requisiti:

debito pubblico non superiore al 60% del Pil

disavanzo pubblico non superiore al 3% del Pil

inflazione non superiore per più di 1,5 punti il tasso dei 3 paesi più stabili

tassi interesse che non si discostano oltre 2 punti dalla media dei paesi con inflazione più bassa

Si stabilì che gli Stati dell’Unione monetaria non possono contrarre debiti con le rispettive Banche Centrali; questa norma venne criticata perché se uno dei paesi aumenta la liquidità, potrebbe produrre inflazione per l’intera Ue; è pertanto costretto a finanziarsi sul mercato dei capitali.

III. le vicende successive al Trattato

Il sistema dello Sme fu rimesso in vigore nel 93, con un accordo a Bruxelles, ma con una banda di oscillazione allargata al 15% rispetto alla parità centrale. La lira rimase fluttuante.

Le condizioni di equilibrio poste dal trattato di Maastricht erano gravose poiché dovevano essere realizzate da paesi costretti nei fatti a comportarsi come se appartenessero a uno spazio monetario unico, ma che rappresentavano ancora unità politiche indipendenti e non potevano quindi fare affidamento su un governo centrale per compensare eventuali squilibri fra un paese e l’altro. Molti chiesero una revisione del Trattato. Venne avviata una Conferenza intergovernativa nel 96 che si concluse nel 97 con il trattato di Amsterdam che riconfermò le clausole di Maastricht e portò all’approvazione del “Patto di stabilità e sviluppo”: il patto prevede che, entrata in vigore l’Unione monetaria, i paesi debbano contenere il disavanzo entro l’1% del Pil pena pesanti sanzioni.

Al vertice i paesi si impegnano a coordinarsi per la lotta alla disoccupazione.

L’Italia venne ammessa nel 98. Sempre nel 98 entrò in funzione la Banca Centrale Europea (presidente Duisenberg).

Il 1° gennaio 99 l’Euro diventò moneta di conto; le vecchie monete nazionali rimasero in circolazione fino al 1°/1/2001.

IV. l’euro e la BCE

L’insieme della Banca centrale europea e delle singole banche di emissione dei paesi partecipanti forma il “Sistema europeo delle Banche Centrali”. La BCE è organo indipendente dai governi dei paesi, ed è retta dal Comitato Esecutivo (6 membri) e dal Consiglio Direttivo (6 membri più i governatori delle banche centrali dei paesi).

La Bce non ha concentrato in sé tutte le funzioni tipiche della banca di emissione dei paesi, ma le banche nazionali fanno da tramite tra Bce e aziende di credito.

Con la nascita dell’€, i cambi mondiali significativi si sono ridotti a 3: €-dollaro, €-yen, yen-dollaro; l’€ si avviava a diventare valuta comune di un’economia ricca come quella degli USA, con un mercato di titoli pubblici e privati.

La Germania, dotata di industria tecnologicamente superiore, vinceva la concorrenza con la novità del prodotto, mentre altri paesi (Italia) con alta inflazione, dovevano ricorrere a svalutazioni per offrire le proprie esportazioni a prezzi competitivi.

La Bce ha tentato di tenere bassi i tassi di interesse indebolendo il corso dell’€, per 2 motivi:

la riduzione dei tassi d’interesse è stata auspicata dai governi che hanno in vista la riduzione oneri finanziari gravanti sul debito pubblico

la riduzione è stata chiesta anche da studiosi eminenti che la ritengono necessaria per una ripresa degli investimenti e dell’occupazione.

Il punto 2 è in dubbio perché: la disoccupazione italiana è particolare perché concentrata quasi tutta al Sud; la riduzione del costo del denaro potrebbe stimolare investimenti di approfondimento anziché di estensione della struttura produttiva, col risultato di ottenere una più intensa meccanizzazione a scapito dell’occupazione.

Il corso dell’€ si è progressivamente indebolito rispetto a dollaro e yen.

V. le conseguenze dell’inflazione monetaria

I paesi dell’Unione Monetaria devono far fronte a difficoltà.

In un sistema di pagamenti basato su cambi esteri flessibili, la bilancia dei pagamenti trova l’equilibrio attraverso il gioco dei mercati che realizza l’eguaglianza tra domanda e offerta di valuta estera; questo sistema può dar luogo a inconvenienti perché una svalutazione della moneta nazionale può mettere in moto un’inflazione importata, mentre una rivalutazione mette in difficoltà le esportazioni.

Nel sistema monetario aureo, il corso dei cambi è stabile e ogni moneta si scambia con le altre in rapporto al proprio contenuto aureo. Con cambi stabili, ogni squilibrio va sanato con movimenti dei prezzi interni: es. per eliminare un disavanzo i prezzi interni devono cadere rispetto ai prezzi esteri (per stimolare le export e scoraggiare le import).

Se cambi esteri e prezzi sono rigidi è possibile agire sul tasso d’interesse e stimolare movimenti di capitali: un disavanzo nei movimenti di merci può esser compensato con un avanzo di movimenti nei capitali. Movimenti prezzi, variazioni interesse, movimenti domanda globale sono gli strumenti utilizzabili quando i cambi esteri sono rigidi.

Maastricht imponeva come max disavanzo il 3% del pil, chi non ci riusciva doveva applicare manovre correttive: riducendo il disavanzo o aumentando il Pil; una manovra espansiva avrebbe rischiato di aumentare le import e indebolire la moneta naz.le rischiando di volare il principio della stabilità del cambio e non essere ammessi alla moneta unica; optarono quindi per manovre restrittive (riduzione spesa pubblica e aumento prelievo fiscale) con effetti depressivi.

VI. l’autonomia della Bce.

Conflitto fra 2 orientamenti:

1) piena autonomia della Bce nel settore politica monetaria

2) decisione (voluta dalla Germania) di lasciare ai singoli governi la responsabilità delle politiche per l’occupazione .

La piena autonomia della Bce le dà la possibilità di vincolare le politiche economiche nazionali, e questo è apparso a molti eccessivo per un organo che non è espressione dell’elettorato. E’ stata avanzata la proposta di affiancare alla Bce un consiglio dei capi di governo (Euroconcil) con funzione di contrappeso politico all’azione tecnica della Bce.

Il parere degli esperti oggi è che in ogni paese la banca di emissione debba essere indipendente dalle autorità di governo. La Banca d’Italia ha un’indipendenza pressoché assoluta.

Secondo il Trattato, le singole banche nazionali e la Bce emetteranno euro contro attivi equivalenti; quindi la Bce rimane sovrana nella fissazione del tasso ufficiale di sconto, ma non controllerà direttamente la quantità di moneta in circolazione.

Ad oggi, l’idea è che l’intervento del governo sia sempre tendente all’inflazione; la teoria dominante sostiene che le forze spontanee del mercato darebbero luogo al pieno equilibrio del mercato del lavoro e alla piena occupazione, quindi ogni spesa pubblica in disavanzo produrrebbe un eccesso di domanda sull’offerta e quindi una pressione sui prezzi.

Poiché l’atteggiamento tipico dei governi è largheggiare nelle spese ma rifuggire da nuove imposte, la spesa pubblica finirebe con l’essere finanziaria mediante emissione di debito pubblico o indebitamento con la Bce e creazione di nuova moneta.

La bundesbank tedesca è il miglior esempio di separatezza fra Banca e autorità di governo.

La Banca d’Italia negli anni ha consolidato la propria indipendenza; dall’80 non ha l’obbligo di acquisto dei titoli pubblici non sottoscritti dal mercato; dal 92 ha il compito di fissare il tasso di sconto, L’indipendenza è stata chiesta con forza dalla grande industria e dall’alta finanza privata.

La Banca d’Italia ha ritenuto spesso dare priorità all’obiettivo della stabilità del sistema creditizio agevolando il salvataggio delle banche in dissesto dal fallimento anche a costo di dare luogo a immissioni aggiuntive di liquidità.


9 – L’ITALIA DI FRONTE ALLA MONETA UNICA

I. Il problema del debito pubblico.

Le condizioni di Maastricht erano gravose per l’Italia a causa del peso del debito pubblico che si trascinava da tempo, ed era cresciuto fino a raggiungere e superare il livello del reddito naz.le annuo.

Era opinione prevalente che un debito pubblico così alto fosse un pericolo costante per la stabilità monetaria. Motivi:

un disavanzo elevato teneva alto il livello della domanda globale e alimentava l’offerta di moneta creando pericolo di inflazione; il pericolo in realtà veniva dall’inefficienza della spesa pubblica che alimentava la domanda senza accrescere la capacità di produzione del paese.

Ogni volta che una emissione di titoli pubblici veniva a scadenza, i sottoscrittori avrebbero potuto rifiutare di rinnovare la sottoscrizione e chiedere il rimborso dei titoli, spendere le somme ricavate sul mercato dei beni provocando inflazione interna e svalutazione della lira.

Persiste l’uso di misurare l’entità del debito prendendo come indicatore il rapporto fra debito pubblico e reddito nazionale; in Italia si accostava al 100%.

Dibattito sull’origine del debito:

Il disavanzo aveva origine dalla depressione degli anni 70:si era avuta un’espansione della spesa (ristrutturazione industriale) e dei pagamenti di indennità sociali accelerando la modernizzazione e alleviando il peso della disoccupazione ma accollando un onere enorme alle finanze pubbliche. Dopo il 79 il disavanzo era stato finanziato meno con emissione moneta e più con emissione titoli. L’espansione della spesa non era stata seguita da un aumento corrispondente delle entrate: imposte dirette sui redditi da lavoro dipendente (aliquote sempre maggiori), mentre evasioni si verificavano sui redditi industriali e professionali.

L’indebitamento del pubblico era stato accelerato da:

aumento tassi d’interesse: proveniente dai mercati intern.li; la maggior parte dei debiti veniva da oneri accumulati dagli interessi passivi. 2 interpretazioni:

il debito pubblico ha prodotto l’aumento dei tassi d’interesse

il debito pubblico non ha prodotto aumento tassi, ma sono state le autorità a tenerli alti per garantire afflusso di capitali.

inflazione: accresce i tassi d’interesse e induce i risparmiatori a chiedere titoli con scadenza breve (annuale o inferiore).

Rimedi consigliati:

allungare la vita media dei titoli pubblici proposta: titoli indicizzati emessi dallo Stato; si garantisce all’acquirente che alla scadenza il capitale verrà rivalutato in proporzione all’aumento dei prezzi. Una volta assicurata la conservazione del capitale, il risparmiatore può sottoscrivere titoli anche a più lunga scadenza e a tassi d’interesse più bassi; al momento del rimborso il debito del Tesoro sarà accresciuto ma se tutto va bene i titoli verranno rinnovati. Questa soluzione non è mai stata accolta pienamente dalle autorità monetarie.

Quale strategia mettere in atto per ridurre il debito?

Ridurre il “disavanzo di base” cioè quello calcolato al netto degli oneri finanziari. Dietro a questa idea sta il fatto che le autorità consideravano difficile attaccare il problema del disavanzo partendo dalla riduzione degli oneri perché questo avrebbe comportato una riduzione dei tassi d’interesse che a sua volta avrebbe scatenato fughe di capitali all’estero.

La riduzione del disavanzo di base avrebbe esercitato effetto depressivo sulla domanda globale e quindi sul rapporto fra debito e Pil che sarebbe peggiorato.

Sarebbe stata più saggia una politica espansiva, anche utilizzando una spesa pubblica, e concentrare gli sforzi nella riduzione dei tassi di interesse.

Aspetti positivi:

con la depressione degli anni 70 e gli aumenti salariali le imprese erano cadute in difficoltà: guadagni ridotti, più oneri finanziari da interessi. L’aumento salari negli anni 70 aveva superato l’aumento di produttività. Negli anni 80 la situazione era modificata: la ristrutturazione aveva alleggerito le grandi imprese dalla manodopera; la disoccupazione aveva ridotto la combattività operaia. Ristrutturazione e disoccupazione avevano risolto il problema del costo del lavoro.

Per la maggioranza delle imprese i bilanci erano attivi se calcolati escludendo gli oneri verso le banche, negatiovi se il calcolo veniva fatto includendo gli oneri.

Nei periodi di inflazione, l’impresa è penalizzata 2 volte: perché l’inflazione provoca aumento tassi d’interesse e fabbisogno di liquidità continuo.

Il disavanzo della spesa pubblica rispetto al privato è fonte gratis di risorse liquide: l’onere è sopportato dal settore pubblico che si indebita presso istituti di emissione o risparmiatori privati, mentre i privati ricevono liquidità gratuita.

La spesa pubblica in disavanzo risolse negli anni 80 il problema dell’indebitamento nei confronti delle banche.

Il risanamento è completato a fine anni 80: il governo seguì una linea di aumento entrate e contenimento spese.

Fra 90 e 92 il Pil crebbe del 61%, il prelievo fiscale aumentò del 77%.

Il bilancio fu alleviato dalla caduta dei tassi di interesse. Negli anni precedenti, il governo aveva fatto in modo di allungare la vita media dei titoli in circolazione: la % dei titoli pubblici a m/l termine in circolazione era aumentata, per cui si era allungato il periodo di tempo medio da attendere prima che, alla scadenza, i titoli potessero essere rinnovati a tassi più bassi. Per avere una riduzione del disavanzo fu necessario aumentare le entrate e contenere le spese diverse da quelle per interessi, allo scopo di creare un avanzo di base (cioè al netto delle spese per interessi) risultato ottenuto dal 91 quando il saldo complessivo per la 1° volta pur restando passivo, cominciò a declinare.

L’Italia ha ridotto il tasso d’inflazione, il disavanzo del pubblico, e si è allineata ai mercati internazionali nel calo interessi.

L’obiettivo imposto dalle autorità (ridurre il rapporto debito/Pil) può essere raggiunto aumentando le imposte e riducendo la spesa corrente ma anche riducendo i tassi di interesse o aumentando il tasso di crescita del Pil. Ma la politica di contenimento della spesa e aumento imposte ha viceversa ridotto il tasso di crescita del Pil producendo effetti inversi a quelli desiderati.

La linea dell’Unione europea è che gli organismi europei hanno solo la responsabilità dell’equilibrio monetario mentre la situazione dell’economia reale (produzione, occupazione) resta problema nazionale, e ogni paese provvede per sé.

II. disoccupazione e salari

Negli anni dopo Maastricht, l’economia italiana e di altri paesi è in crisi di disoccupazione; i nuovi lavoratori sono “atipici” cioè assunti temporaneamente, part-time, ecc. Non è più necessario il decentramento produttivo perché adesso si può far lavorare dipendenti di altre imprese con trattamenti inferiori. È abolito il divieto di lavoro notturno delle donne dal 99.

Varie forme di disoccupazione:

  • Disoccupato classico: ha perso il lavoro, non ne riesce a trovare un altro, resta forzosamente inattivo frequente nelle regioni di industria, e al Sud.
  • Disoccupazione giovanile
  • Disoccupazione femminile dovuta all’aumento di offerta di lavoro femminile

Il Centro nord Italia è tra le regioni con meno disoccupazione in europa.

Il decentramento produttivo praticato negli anni 70 (allora denunciato dai sindacati come antioperaio) è consentito oggi col termine di outsourcing: decentramento locale (affidamento a piccole imprese circostanti, specie per i servizi) e a grande distanza (per la manodopera a basso costo di paesi come Marocco, Albania, Oriente).

Fioriscono lavoratori autonomi (precari e senza limiti di orario, non sempre a basso reddito), precari (piccole imprese che corrispondono regolarmente salario ma non rispettano leggi sul lavoro, sicurezza, igiene), imprenditori che danno regolare salario ma popi se lo fanno restituire, laboratori sotterranei (lavoro sommerso).

Tra i lavoratori non regolari (35% circa al Sud, 15% al Nord):

irregolari: non registrati nei libri paga dei datori

occupati non dichiarati: svolgono attività non sufficiente

stranieri non in regola col permesso di soggiorno

secondo lavoro

l’opinione indica come strumento essenziale per aumentare la occupazione, la riduzione costi del lavoro (prova dell’efficiacia: USA e Gran Bretagna.

Extracomunitari impiegati al Nord nell’industria e edilizia, al Sud nell’agricoltura. Molti sono clandestini.

III. Il dibattito sulla scala mobile

Il punto unico di contingenza era stato ottenuto nel 75 aveva indicizzato i redditi da lavoro, e ridotto progressivamente le differenze di salario fra le diverse qualifiche. Si avvia il meccanismo di “inflazione conflittuale” (cioè le imprese reagiscono agli aumenti di prezzo delle materie prime aumentando i prezzi dei prodotti finiti e di conseguenza un aumento dei salari al quale le imprese rispondono con un nuovo aumento di prezzi rincorsa prezzi salari.

L’inflazione contrattuale è più rapido quanto gli scatti della scala mobile sono frequenti e quanto più le imprese sono veloci nell’adeguare i loro prezzi di listino.

Negli anni 80, 3 proposte sulle possibili modifiche al meccanismo della scala mobile per ridurre l’effetto inflazionistico:

  • DESENSIBILIZZAZIONE: se si stabilisse che la scala mobile non si mette in moto quando l’aumento dei prezzi è di natura esterna (es. aumento prezzi internazionali, aumento imposte indirette) verrebbero neutralizzati alcuni possibili fattori che producono inflazione non giustificata da ragioni interne. La soluzione proposta era di desensibilizzare la scala mobile e renderla sensibile solo agli aumenti di prezzi di origine interna. Le difficoltà di applicazione erano: di natura tecnica (come distinguere con certezza una svalutazione della lira da una rivalutazione di altre monete?) e di natura politica (un aumento prezzi intern.li comporta una caduta del reddito naz.le: perché addossarla solo ai salari salvaguardando il profitto?)
  • PREDETERMINAZIONE: (Cisl) idea che nelle contrattazioni salariali il sindacato cerca di commisurare gli aumenti ai miglioramenti desiderati ma anche all’aumento prezzi previsto; analogamente le imprese nel fissare i listini tengono conto degli aumenti salariali previsti per il futuro. Si potrebbero annunciare di anno in anno gli scatti massimi ammessi per l’indennità di contingenza dando così agli imprenditori la certezza che i salari non cresceranno di più. Quindi anche i prezzi non dovrebbero crescere se non nella misura degli scatti predeterminati. Se gli scatti corrispondono all’aumento previsto per la produttività del lavoro, i prezzi dovrebbero restare stabili. Qualora nonostante la predeterminazione i prezzi crescano più dei salari, i lavoratori avrebbero diritto a un indennizzo. Questo problema dell’indennizzo causò dibattiti: secondo alcuni dovrebbe essere corrisposto dagli imprenditori (salvo ipotizzare la tentazione di alcuni imprenditori di alzare prima e più degli altri i prezzi), secondo altri dallo Stato (in tal modo, ogni spinta ad aumentare i prezzi di vendita sarebbe stata eliminata).
  • SALARIO MINIMO GARANTITO protetto dall’inflazione (Cgil). Alla base, l’idea che si debba ridurre il potenziale inflazionistico della scala mobile diminuendo nel tempo gli adeguamenti dei salari all’aumento prezzi., per far in modo che il tasso di inflazione misurato su base annua venga proporzionalmente ridotto. Bisogna fissare un livello minimo al di sotto del quale il salario reale non può andare, indicizzato al 100%.

Nell’82 Confindustria (Merloni) disdice l’accordo che nel 75 aveva introdotto il punto unico di contingenza.

Nell’83 fu raggiunto un nuovo accordo sul costo del lavoro:

il valore del punto di contingenza viene ridotto del 15%.

Reintrodotti i contratti part time e precari

Le imprese possono chiamare il 50% dei nuovi assunti nominalmente (no liste di collocamento)

“Vertenza dei decimali” protratta fino all’86 prevede che gli scatti di indennità di contingenza non dovessero comprendere le cifre decimali del tasso d’inflazione, ma non chiariva se si dovesse tenerne conto nello scatto seguente.

Craxi emanò il “decreto di S. Valentino” (14.02.84): predeterminazione scatti della scala mobile per l’anno in corso. Su questo decreto si divisero i sindacati: cisl accetta, Cgil rifiuta. Sottoposto a referendum, il decreto restò in vigore.

Nel 86, un accordo applicato prima al settore pubblico e solo poi al privato, stabiliva che:

scatti della scala mobile, prima trimestrali, diventano semestrali

indicizzazione al 100% solo per salario base 580.000 lire; il rimanente della retribuzione veniva indicizzato al 25% e ogni indennità era senza copertura

punto unico di contingenza sostituito con indennità di contingenza sotto forma di incremento % salario.

Nel 91 un nuovo accordo Confindustria – sindacati eliminava l’indennità di contingenza.

Nel 92 si raggiunse un nuovo accordo sul costo del lavoro:

soppressa la scala mobile

eventuali aumenti di prezzi coperti tenendo conto dell’inflazione programmata

contrattazione aziendale integrativa avrebbe potuto prevedere aumenti al di là di quelli previsti dalla contrattazione nazionale tenendo conto dei risultati aziendali.

NB. Alcuni si dissociarono dal dibattito sostenendo che l’inflazione dovesse esser combattuta frenando gli aumenti delle tariffe pubbliche e dei prezzi controllati.

IV. la ristrutturazione dell’apparato produttivo

L’esigenza di rendere l’industria italiana competitiva nei confronti della concorrenza mondiale ha portato trasformazioni:

a)   sviluppo piccola e media impresa e declino grande impresa:

- i grandi impianti, per ridurre i costi di produzione, tendono a meccanizzare di più e ridurre il n° degli addetti;

- molte imprese vengono cedute a gruppi finanziari stranieri che le hanno ridotte, trasferendo presso le sedi centrali il personale tecnologico qualificato.

- le privatizzazioni portano alla divisione di grandi gruppi in imprese minori-

queste operazioni portano all’espulsione di lavoratori dai maggiori impianti e alla riduzione del numero di occupati nella grande industria. Al Centro e nord, il declino della grande impresa si accompagna alla nascita di imprese piccole e medie; grazie a queste, l’industria si estende oltre al tradizionale triangolo e invade il Nord Est e il Centro, lungo la “linea adriatica di sviluppo”. In Veneto, Friuli, Emilia le imprese piccole erano nate non come satelliti delle grandi ma come iniziative autonome 3 Italie:

triangolo industriale

Italia centrale e Nord Est (detto “sistema NEC”)

Mezzogiorno

Il sopravvento delle imprese minori ha portato un capovolgimento della situazione: l’occupazione dei lavoratori è divenuta molto più precaria, assai minore la tutela sul piano delle condizioni normative, dell’igiene e sicurezza.

b)   Dal decentramento al distretto industriale: nelle regioni di grande industria (es.area torinese, Fiat) la ristrutturazione prendeva questa forma: trasferimento parti della lavorazione dell’impianto centrale a opifici minori del tutto dipendenti della fabbrica maggiore. Questo sistema peggiorava le condizioni dei lavoratori: salari più bassi, orari più lunghi, ritmo di lavoro più intenso, lavoro extra, licenziamenti più facili. La pratica fu denunciata come antisindacale. Nel Veneto, Emilia, Centro si diffusero invece tantissime piccole e medie imprese, ma autonome. In altre parti, l’insieme delle piccole e medie industrie si configurò come distretto industriale: nell’ambito di un territorio delimitato, si raccolgono un insieme di imprese appartenenti al medesimo settore, che accumulano un patrimonio di conoscenze tecniche che si tramandano di generazione in generazione (es. ceramiche a Sassuolo, strumenti musicali nelle Marche). Aspetti positivi: imprese indipendenti, piena occupazione stabile, è vero che i salari sono più bassi però l’occupazione è piena e si realizzano redditi familiari più alti. Anche nei distretti si vanno delineando imprese più grandi, che finiscono per diventare committenti rispetto alle più piccole.

c)   Dalla piccola impresa al lavoro autonomo: svolto da operatori indipendenti. Solitamente si tratta:

- per la manifattura, di ex operai allontanati dalla fabbrica, quindi esposti a condizioni di lavoro più disagiate;

- per i servizi, gode di redditi più elevati anche se in situazione di precariato.

Pro: piena libertà del lavoratore; contro: lavoro discontinuo, incertezza perenne del reddito.

d)    Privatizzazioni: pericolo che la gestione pubblica sia inefficiente in quanto non sottoposta al vincolo del pareggio bilancio, e che i responsabili traggano vantaggi illeciti dalla gestione del patrimonio pubblico.

In Inghilterra col governo Thatcher (79) si avviò un’opera di retrocessione al privato di interi settori già nazionalizzati; la tendenza si propaga anche in Germania e Francia.

Tutela concorrenza e lotta alle posizioni di mercato dominanti sono 2 capisaldi del Ue, pertanto è considerato incompatibile col mercato comune ogni aiuto concesso dallo stato a un’impresa, che possa falsare la concorrenza. In Italia, la privatizzazione sorge da:

la convinzione che un’industria privata sia più efficiente di una pubblica; visti i successi delle piccole e medie imprese, ci si convinse che il privato fosse la forma ideale di organizzazione produttiva in quanto nata per vivere nel mercato, pronta al costante miglioramento e fonte di benefici per la collettività;

Problema pressante del debito pubblico.

Le privatizzazioni vengono avviate con decreto legge del 92 (governo Amato) “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica” e il “documento di programmazione economica e finanziaria” del 93. Questi stabilirono che i proventi delle privatizzazioni dovessero essere usati per ridurre il debito pubblico, a questo scopo nacque il “Fondo per l’ammortamento dei titoli di stato”. Il decreto stabilì la trasformazione in SpA dell’Iri, Eni, Ina, Enel e le azioni vendute ai privati. Provvedimenti complementari:

Il gran numero di titoli non poteva essere assorbito solo dai risparmiatori pertanto la riforma della legge bancaria (93) soppresse la separazione tra credito a breve e a lungo termine consentendo alle banche di operare nel mercato dei titoli

Riforma pensioni che prevede la nascita di Fondi pensione destinati a raccogliere gli accantonamenti dei lavoratori e investirli.

Dibattiti sulle modalità con cui effettuare le privatizzazioni:

imprese privatizzate rette da un gruppo ristretto di grandi azionisti (nucleo solido)

massa indistinta di piccoli risparmiatori (società pubblica)

In passato il governo aveva usato le imprese pubbliche per attuare l’industrializzazione forzata del Sud: con la privatizzazione non era possibile quindi si stabilì che ogni volta il governo potesse inserire la clausola “golden share” cioè per alcuni settori strategici (difesa, energia, trasporti) lo Stato conserva il diritto di opporsi ad alcune delibere strutturali. Le motivazioni a supporto crearono nell’opinione pubblica un’ideologia della privatizzazione.

Cedute a capitali privati: acciaierie Italsider, meccanica Nuovo Pignone, gruppo alimentare Sme; vennero privatizzate con vendita in borsa le grandi banche: Banca di Roma, credito Italiano, Imi. Parzialmente privatizzato l’Eni, privatizzato l’Enel, Telecom ecc.

Con la privatizzazione lo Stato si priva di un potente veicolo di progresso tecnologico e trasformazione.

d)   Ingresso capitali stranieri: nell’industria sia privata che pubblica es. Fiat ha ceduto il 20% del proprio capitale a General Motors. Le motivazioni che spingono gli stranieri ad acquistare imprese italiane sono:

per entrare in un nuovo mercato con un marchio già noto e una rete di distribuzione già costruita

eliminare un concorrente

chiudere le unità produttive ubicate in Italia e introdurre nel mercato italiano prodotti propri

qualora l’unità produttiva italiana viene tenuta in vita, essa viene posta sotto il controllo della direzione centrale situata all’estero.

Queste operazioni portano l’industria italiana ad abbandonare i settori d’avanguardia (farmaceutica, elettronica, nucleare, chimica) e rifugiarsi in quelli meno avanzati e tradizionali (tessili, calzature, abbigliamento, mobilio, macchine utensili).

V. trasformazioni nell’economia del Mezzogiorno

Allo scadere della Cassa, venne rinnovata fino all’80 affidando alle Regioni la responsabilità dell’intervento extra riservando alla Cassa i progetti speciali integrati a carattere interregionale e riguardanti per lo più il settore delle opere idrauliche e dell’assetto territoriale. Nell’84 il governo presentò un decreto che prevedeva la soppressione e la liquidazione della Cassa del Mezzogiorno e l’istituzione di 2 organismi:

Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno: sotto la vigilanza del ministero per il Mezzogiorno, con il compito di intervenire per il finanziamento di progetti regionali e interregionali di sviluppo e per la concessione di agevolazioni finanziarie. Doveva anche completare il lavoro della Cassa.

Dipartimento per il Mezzogiorno: sotto la vigilanza diretta del presidente del Consiglio, ebbe compiti di carattere generale.

Si stabilì che le imprese ammesse a fruire delle agevolazioni dovessero acquistare al Sud almeno il 50% dei materiali, e le p.a. erano soggette allo stesso obbligo per le forniture.

Nell’80 il terremoto colpì l’Irpinia e la Basilicata legge dell’81 per finanziare la ricostruzione di centri abitati + programma straordinario per la costruzione di 20.000 case a Napoli con facoltà di usare il regime della “concessione” che prevedeva che l’impresa concessionaria, scelta senza fare gara d’appalto, avrebbe anticipato i fondi necessari all’esecuzione delle opere e in cambio avrebbe gestito l’opera eseguita per un certo numero di anni; allo scadere della concessione, l’opera sarebbe passata allo stato. Al fine di usufruirne, si costruirono in ogni parte del paese consorzi di imprese costruttrici che però il più delle volte ne davano la realizzazione in subappalto a piccole imprese. Questo giro di affari portò corruzione, anche perché il Sud aveva molti esponenti in Parlamento.

La normativa della Comunità europea vietava ai governi nazionali di accordare sussidi a singoli territori o a territori specifici nell’intento di tutelare concorrenza e parità di trattamento fra imprese. Fu innovativo perché:

sancita la fine dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno sostituito da un intervento generale a favore di tutte le aree in difficoltà del Paese, da farsi non più mediante organi straordinari ma dall’amministrazione ordinaria dello stato;

le aree di intervento sono: aree depresse, aree in declino, zone rurali depresse

ogni intervento deliberato in stretto coordinamento con la commissione dell’Ue.

L’Ue stabilisce quali aree sono ammesse a interventi: sono aree depresse quelle con Pil medio per abitante inferiore al 75% della media della Comunità europea. Successivamente il governo italiano ha ottenuto di calcolare i parametri delle aree in declino del Centro-Nord non in rapporto alla media nazionale ma in rapporto alla media del Centro-Nord riduzione aiuto al Sud!

A fine 98 nasce una società chiamata “Sviluppo Italia” controllata dal ministero Tesoro, con lo scopo di dare nuovo impulso all’economia del Sud. Lo sviluppo dovrebbe articolarsi in 2 grandi settori operativi: promozione nuova imprenditoria e finanziamento nuove iniziative industriali. Ricresce il divario Nord-Sud.

Dopo le grandi ondate di investimenti industriali del 58-63 e 68-73, un ultimo grande investimento è la costruzione dell’impianto Fiat a Melfi (Basilicata) nel 91, in funzione dal 94 novità:

  1. s differenza della fabbrica tradizionale che fa scorta in base al principio del “non si sa mai” (just in case), la moderna cerca di acquisire i materiali dall’esterno solo all’ultimo momento (just in time);
  2. l’organizzazione esige dal lavoratore non solo l’esecuzione precisa delle mansioni, ma una collaborazione attiva e costante: il lavoratore deve osservare lo svolgimento e fermare la catena di montaggio se qualcosa non va.
  3. la lavorazione è continua per 6 giorni, la meccanizzazione è spinta per evitare agli operai fatiche e rischi.

In questi anni la disoccupazione al Sud tocca livelli mai raggiunti: tra il 23% e il 56% (tra i giovani); al Centro-Nord colpisce le classi estreme di età e la manodopera femminile. Al Sud cresce il lavoro irregolare.

Gli anni 92-94 producono un’inversione di tendenza nelle migrazioni: la caduta delle possibilità di impiego al Centro-Nord ha prodotto una riduzione dell’afflusso verso quelle regioni, e un flusso di rientri verso il Sud. Ma già dal 95 si registra una ripresa dell’esodo dal Sud da parte di lavoratori qualificati (diversamente dagli anni 60, in cui migravano non qualificati).

Si registrano divari fra le singole regioni del Sud; in Abruzzo e Puglia si sviluppa la piccola impresa simile a Emilia e Marche, dando vita a una ideale “linea adriatica dello sviluppo”.

E’ opinione diffusa oggi che l’economia del Sud non presenti più problemi di carattere strettamente economico ma di territorio e di fornitura di servizi sociali, malcostume, criminalità, corruzione. In mezzo secolo il Sud è uscito dalla povertà materiale ma c’è il problema dell’acqua, dei consumi pubblici, ecc. acqua razionata in estate!

Il distacco Nord-Sud quanto a ricchezza privata è contenuto, mentre è palese nel settore dei servizi pubblici.

Oggi la società del Sud è così: un nucleo di alta burocrazia, un nucleo di imprenditori che vivono di appalti e forniture pubbliche, una cintura di borghesia professionale ed intellettuale, una massa multiforme di lavoratori.






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