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LA DOLCE VITA di Federico Fellini

storia dell arte



LA DOLCE VITA di Federico Fellini


.non è un film molto divertente nel senso che qualcuno si può aspettare; non è un film polemico.; non è un film satirico; non è un film grottesco; non è un film moralistico.e non è neanche un film terrificante;.non è un film né pessimistico né disperato.

In questo modo si pronuncia Fellini a proposito di La dolce vita nel febbraio del 1960, nel momento in cui le sale italiane proiettavano quello che sarebbe stato un pezzo di storia del nostro paese .Un pezzo di storia che non si potrebbe comprendere guardandolo con gli occhi di un ragazzo del 2000, abituato a vedersi sfilare davanti agli occhi di tutto, senza provare alcun sentimento di stupore, meraviglia o indignazione. L'unico modo per comprendere oggi a 40 anni di distanza, è forse quello di sforzarsi di guardare La dolce vita con gli occhi di quella società piccola, provinciale, conservatrice e intrisa di cattolicesimo che sputò sul regista nella serata inaugurale al cinema Capitol. In effetti tutto il film è pieno di riferimenti alla religione, in modo più o meno simbolico. Basti pensare che il film si apre con la scena di una statua del Cristo che sorvola, appesa ad un elicottero, Roma. Sembrerebbe quasi un tentativo di far aprire gli occhi a Cristo su che cosa si nasconda sotto l'aspetto rassicurante di una città, centro del cattolicesimo e simbolo, quindi, della società che esso ha prodotto. E poi, come non pensare alla procace diva in abito talare che domina dall'alto il Vaticano (papa di una nuova religione?!). Ancora, il ritratto quasi surreale, caricaturale, a tratti spaventoso dell'apparizione della Madonna ai due bambini, apparizione il cui unico fine sembra quello di far costruire una chiesa. (Come non pensare alle scene di qualche anno fa con le statue della Madonna che piangevano?).



La dolce vita non ha un vero e proprio soggetto nel senso convenzionale del termine (un racconto a intreccio con uno scioglimento finale), ma nasce piuttosto da una serie di annotazioni di cronaca e di costume intrecciate in una complessa struttura cosicché acquistano corpo e unitarietà in virtù della forma filmica.

Tutto ruota intorno alla figura del giornalista Marcello Rubini (Mastroianni) che si muove di notte tra via Veneto e i locali che contano per raccogliere notizie, in una "Roma che è come una giungla dove ci si può nascondere bene". Abbandonate le sue ambizioni letterarie, vive con superficialità e insoddisfazione, nel costante tentativo di dare una svolta alla propria vita, di entrare a far parte pienamente di quegli ambienti dove lo porta la sua professione che però non gli appartengono, dove è accolto o tenuto a distanza a secondo dell'interesse delle persone che incontra. Ambienti come quello in cui si muove l'intellettuale Steiner, tra artisti, poetesse e personaggi eccezionali tra i quali Marcello può rivelare quella parte di sé che rifiuta la vita di giornalista di cronachette. Marcello gli invidia la casa, la moglie, i figli, gli amici straordinari mentre lui sente che non riuscirà a fare più nulla di importante nella sua vita. In effetti, lui non riesce neanche a mettere fine a una storia con una donna mediocre, che gli promette una vita fatta di cucina e camera da letto.

In realtà lo stesso Steiner è infelice, il quale considerato un grande si ritiene un uomo piccolo e sente di non essere adeguato tanto da affermare che "è meglio la vita di un miserabile". Steiner dice di temere la pace che sembra nascondere necessariamente l'inferno, teme il mondo futuro in cui vivranno i suoi figli, teme le passioni da cui vorrebbe essere distaccato tanto da uccidere i suoi figli e suicidarsi. E' da questo momento che Marcello sembrerà aver perso ogni speranza, calandosi sempre di più nella degradazione.

Ugualmente infelici sono le donne sempre bellissime e complicate che popolano il film. Figure opposte nella loro inquietudini sono Maddalena e Emma. La prima è una ricca donna annoiata, infelice e scontenta della propria vita, che riesce a trovare la "carica vitale" solo attraverso l'amore (o meglio il sesso). Amore che è invece distruttore per la fidanzata di Marcello, Emma, figura sicuramente più confortante per la mentalità dell'epoca rispetto alla prima. Emma, infatti, è la classica piccolo-borghese italiana, fragile, depressa, gelosa fino all'inverosimile, di piccoli ideali che soffre mendicando un po' d'amore al suo uomo. A suo modo, in fondo, soffre anche la diva svedese Silvia.

Dopo tutto questo verrebbe da chiedersi quanto sia dolce una vita che spinge Steiner al suicidio, Marcello alla degradazione, borghesi a fare spogliarelli per non annoiarsi e nobili a organizzare festini e sedute spiritiche. Ne viene fuori un tentativo di Fellini di guardare in faccia l'angoscia esistenziale di un mondo senza più nessun punto di riferimento, "un viaggio nella notte, durante il sonno della ragione, attraverso una civiltà corrotta e putrescente nella quale tutto crolla di schianto,valori autentici e falsi miti, tradizioni secolari e convinzioni nate appena ieri".

Pasolini diceva su La dolce vita:"E troppo importante perché se ne possa parlare come si fa di solito con un film". In effetti, con la preveggenza che hanno solo i poeti, Pasolini aveva già previsto ciò che oggi rappresenta questo film,che ha iscritto le sue immagini sul paesaggio romano e ha inciso per sempre nella memoria collettiva. Oggi è inevitabile guardando la Fontana di Trevi non pensare al bagno di Mastroianni e Anita Ekberg, quasi fosse la Fontana stessa una citazione felliniana, una creazione della sua immaginazione com'è la parola "paparazzo" entrata a far parte poi della lingua italiana.

In fondo, però, quella dolce vita fu, forse, solo un invenzione dell'immaginazione di Fellini, non è mai esistita come Fellini l' ha raccontata, se non in luoghi tanto segreti dove il regista non aveva accesso se non con un'immaginazione ingenua e insieme maliziosa, che vedeva meraviglie e squallori nei castelli degli aristocratici come negli appartamenti dei borghesi. Fellini, in effetti, non frequentava via Veneto e le folli notti romane tanto che per realizzare le scene della vita notturna si servì solo di servizi fotografici. Allo stesso modo, non frequentava i festini borghesi o aristocratici cosicché per conoscerne le dinamiche chiese aiuto a Pier Paolo Pasolini, che comunque non lo potè aiutare.Si dice che, durante le riprese di questi festini osè, una straniera della troupe disse: "Poverino, vuole fare il porco ma non ci riesce".

Comunque quello che è importante, è che, alla fine, quella via Veneto che Fellini aveva inventato l'hanno presa tutti molto sul serio all'epoca, tanto che l'originale si è dovuta adeguare alla copia. Tutto il film fu preso così sul serio da scatenare una Guerra Santa che vide scendere in campo contro il regista l'Osservatore Romano che ribattezzò il film "La schifosa vita", il Prefetto di Milano, i fascisti che addirittura presentarono alla Camera delle interrogazioni parlando di "offesa alla virtù e alla probità della popolazione romana" e "canzonatura dell'alta missione di Roma quale centro del cattolicesimo", l'Azione Cattolica, la nobiltà romana, la DC ecc. Il film, infatti, fu bollato dal Centro Cattolico Cinematografico con un "VIETATO PER TUTTI". La cosa singolare è che la scena considerata più offensiva dalle autorità ecclesiastiche fu quella dello spogliarello (considerato dal gesuita Angelo Arpa, tra i pochi difensori del film in ambito cattolico, "così casalingo"), segno, forse, che la maggior parte degli "inquisitori" non avevano neanche visto il film.







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