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IL NEOCLASSICISMO NELL'ARTE - Antonio Canova (1757-1822)

storia dell arte



IL NEOCLASSICISMO NELL'ARTE


Introduzione

Con il termine "Neoclassicismo" si indica l'esplicita ripresa di modelli desunti dall'antichità greca e romana. Nei modelli veniva ricercata non solo la forma, ma anche l'ispirazione che aveva consentito agli antichi di raggiungere quella purezza e quella armonia che la sola imitazione della natura non era in grado di dare. L'antichità classica era quindi studiata anche per i valori umani e civili che vi erano ravvisati. L'imitazione dell'antichità è considerata l'unica via per ritrovare la purezza della natura, e giungere alla bellezza ideale. Nella teoria neoclassica è ben distinta l'idea di copia da quella di imitazione. Copiare la natura conduce a prodotti meschini. L'imitazione si configura, invece, come un perpetuo esercizio dello spirito, un'invenzione continua, e quindi come una creazione artistica autonoma, solo colui che effettivamente studia e osserva le opere dei grandi uomini con il sincero desiderio di imitarle, si rende capace di riprodurre opere che a loro assomigliano, poiché considera le ragioni con le quali sono state fatte. Si ha l'idea di una natura "nobile", caratterizzata da un maggior grado di purezza, liberata da ogni imperfezione. Questo movimento ebbe come sede privilegiata Roma, fonte inesauribile d'ispirazione classica; il suo massimo teorico fu il tedesco Winckelmann




Antonio Canova (1757-1822)

Arriva a Roma da Venezia nel 1779 per co 353d36d mpletarvi la propria formazione. Nell'ambiente romano C. approfondisce e fa proprie le teorie di Winckelmann, ricercando nel fare artistico la nobile semplicità, e la quiete grandezza. C. si impegna, sin dalle prime opere romane, nella creazione in cui si incarni l'ideale neoclassico del Bello, forme da cui siano bandite le passionali torsioni barocche. C. sintetizza anche quella che era stata la ricerca perseguita in tutta la sua attività di scultore: la comprensione e l'imitazione dell'arte classica che era riuscita a far coesistere la "vera carne" con la bella natura.

C. si cimenta in questa sintesi ideale già nel 1781 con il gruppo Teseo sul Minotauro. Si concentra nel momento che segue la lotta, il momento della vittoria, ma anche della riflessione e della quiete. Il vincitore non è più scosso dall'ira né dall'eccitazione della vittoria, i suoi muscoli non sono contratti dallo sforzo, una pace sovrana ricompone i due sfidanti, annientando sentimenti d'odio nel gesto di Teseo che si appoggia, con un atteggiamento prossimo alla pietà, al corpo del Minotauro.

L'azione e la lotta sono temi che attestano, nel repertorio canoviano, la ricerca costante di nuove soluzioni formali. Nel 1795 inizia la composizione di Ercole e Lica. In quest'opera C. non si rifugia nel riposo dopo la lotta per decantare i sentimenti e rasserenare i gesti. Il soggetto stesso non lo consente. C. affronta la rappresentazione dell'azione nel suo pieno svolgimento, ritraendo Ercole mentre sta per scagliare lontano Lica; il dramma però è depurato dalla crudeltà e dalla violenza insite nel tema in quanto i movimenti, fortemente accentuati, rendono l'azione didascalica più che sofferta: Ercole si inarca come un lanciatore di disco e la scena è ricomposta in una circolarità che chiude l'azione e la schematizza.

Nel 1787 inizia lo studio per il gruppo Amore e Psiche terminato nel 1793. Il soggetto è tratto da Apuleio: le due figure si sfiorano appena, rapite in una reciproca, incantata contemplazione. La passione amorosa è sfumata in una sensualità raffinata, giocata sull'intreccio armonioso delle braccia, più allusiva che reale, e la bellezza, l'ideale neoclassico della Bellezza, non è turbato dal trasporto delle passioni, bensì è esaltato dalla reciproca contemplazione degli amanti. Anche in successive opere C. tratta soggetti mitologici ricercandovi la grazia che elude le grandi passioni e i forti sentimenti.

Dei rapporti tra C. e Napoleone sono testimonianza diverse sculture eseguite per lui e i suoi familiari. Tra il 1803 e il 1806 scolpisce la statua Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore che raffigura l'imperatore idealizzato come il dio greco con l'asta e il globo sormontato dalla Vittoria; alla nudità viene così riconosciuto il ruolo di "rendere illustri" i personaggi illustrati. come specificherà anche David. Esempio illustre è poi il ritratto di Paolina Borghese (1804-8) sorella di Napoleone. E' rappresentata come Venere vincitrice. Infatti, con gesto grazioso tiene in mano il pomo della vittoria offerto da Paride alla dea giudicata da lui la più bella. La giovane donna è ritratta adagiata su un divano con una sponda rialzata. Il busto, sollevato e appoggiato da due cuscini, è nudo fin quasi all'inguine mentre la parte inferiore del corpo è velata da un drappo che, sottolineando e sostituendo le vele inguinali, riveste il ritratto di un evidente erotismo. L'idealizzazione del volto e le sembianze divine collocano Paolina al di fuori della realtà terrena.




Jacques-Louis David

Nato a Parigi, D. compì gli studi nella capitale francese; soggiornò in Italia dal 1775 al 1780; rientrato in Francia ebbe numerosi incarichi di lavoro. Successivamente subì il fascino di Napoleone e nel 1804 fu nominato Primo Pittore dell'Imperatore, ma dopo la sua caduta l'artista fu costretto all'esilio a Bruxelles. Anche per lui Roma rappresenta il punto di partenza di una nuova concezione dell'operare artistico: è spinto verso un'arte capace di stimolare, attraverso l'esempio del passato, virtù morali e civiche.

Nel 1784 su commissione di un conte che ne faceva richiesta per la Corona, dipinge Il giuramento degli Orazi. D. sceglie di rappresentare il momento in cui i tre fratelli giurano di sacrificare la propria vita per la patria esaltando le virtù morali e civili dei protagonisti con l'uso di semplici mezzi compositivi e cromatici. L'azione si svolge davanti a un portico a tre archi, ognuno dei quali racchiude uno dei gruppi di personaggi che animano la scena. Le figure si trovano allineate su uno stesso piano, in modo che i gesti appaiono strettamente concatenati: dai fratelli che giurano la loro abnegazione, al padre che ne congiunge le spade, alle donne che piangono. Quest'ultimo gruppo fa da contrappeso, con il proprio abbandono emotivo, alla ferma energia che si sprigiona dalle altre figure. La composizione, scandita da poche e chiare partizioni che accentuano la gravità psicologica del momento, fa pensare ai bassorilievi romani ma anche a opere del primo Rinascimento. L'uniformità del colore e della superficie pittorica sottolineano l'esplicita volontà di D. di creare un'opera in cui la storia degli antichi, è ripresa per esaltare un mondo eroico di volontà e di valori rigorosi. Ai contemporanei apparve come la perfetta attuazione dello stile Neoclassico. L'opera fu commissionata dalla Corona e solo successivamente con l'avvento della rivoluzione, fu letta come esaltazione della fede repubblicana.

Nel 1789 gli fu commissionato il dipinto I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli. Bruto condannò i propri figli perché colpevoli di tradimento verso la patria e gli intellettuali francesi videro nel dipinto l'espressione più eloquente di rigorosi principi morali, della fede nella ragione, della volontà di sacrificare i propri sentimenti in difesa di una nuova idea di patria in cui si riconoscevano. D. approfondisce l'indagine filologica dell'antico: ogni particolare è studiato per non lasciare il dubbio di una casuale e superficiale ripresa archeologizzante dell'ambiente.

Il Marat è stato commissionato a D. subito dopo l'uccisione dell'"amico del popolo", avvenuta nel luglio 1793. Gli elementi ambientali sono ridotti alla più scarna essenzialità; pochi oggetti: la lettera di Carlotta Cordei, il coltello strumento dell'assassinio, il calamaio e le penne, il rudimentale scrittoio; ogni gesto è annullato nell'abbandono della morte. Sulla tela grandeggia la figura di Marat che emerge dalla vasca come da un sarcofago avvolto in un sudario; la composizione, studiata su prevalenti ritmi orizzontali, spezzati dalla caduta del braccio destro, lascia ampio spazio ad uno sfondo senza connotazione di tempo né di luogo. La sobrietà e l'essenzialità dell'arredo quasi monastico stanno a dimostrare la virtuosa povertà di Marat, repubblicano incorruttibile, ucciso a tradimento proprio per le sue virtù, alle quali l'assassina ha fatto appello per essere ricevuta.

L'adesione al principio neoclassico che impone di evitare l'azione è evidente anche ne Le Sabine (1794). L'evento narrato è quello della leggenda secondo la quale i Sabini, guidati da Tazio, tentano di riprendere le loro donne rapite dai romani, guidati da Romolo, per popolare la neonata Roma. Per evitare spargimento di sangue, i due condottieri decidono di ricorrere ad un duello, ma nel frattempo arrivano le donne con i loro bambini ad interporsi fra i contendenti che cessano così ogni ostilità. Il sentimento di amore coniugale, di amore fraterno e paterno ha la forza di evitare molte morti e di far sì che due popoli si uniscano divenendo una sola entità. Probabilmente il significato più profondo del dipinto è quello politico legato al momento dell'ideazione, il 1794. Per mezzo del soggetto scelto D. vuole invitare i suoi connazionali ad abbandonare ogni desiderio di rivalsa e di vendetta per arrivare alla pacificazione nazionale. Ma non si può sottovalutare la qualità artistica della composizione con i nudi statuari di Tazio e di Romolo in procinto di lanciare il giavellotto e con la dolce presenza della risoluta Ersilia, la compagna di Romolo. Nel dipinto sono evidenti sia lo studio dei modelli antichi, sia l'orientamento verso la traduzione del linguaggio scultoreo in quello pittorico.


Il periodo napoleonico

In età napoleonica, il mito dell'antichità sopravvive: ma essa non è più evocata con intento educativo, quanto propagandistico e celebrativo. Nel processo di allontanamento dei simboli dal significato le tendenze decorative prendono il sopravvento sulla volontà di essenzialità formale ( il simbolo scade a puro motivo decorativo).


David tra il 1805 e il 1807 dipinge l'enorme tela raffigurante l'Incoronazione di Napoleone e Giuseppina avvenuta nel 1804: il fatto storico è contemporaneo e l'intento è quello di consegnare ai posteri un'immagine apologetica e quasi sacrale. Rinuncia all'essenzialità compositiva delle sue opere precedenti indulgendo nella descrizione di elementi spettacolari e rituali con ricerca di effetti grandiosi e di sonorità cromatica.

Allievo di David, Antoine-Jean Gros (1771-1835) opera il superamento del classicismo con una visione della storia drammatica, umana, antieroica. Ne Gli appestati di Jaffa (1804) crea un'opera che supera ormai i limiti dell'ordine classico e vi introduce la cruda rappresentazione della malattia che diviene anch'essa funzionale all'apologia delle virtù del monarca: Napoleone, raffigurato mentre sfiora la piaga di un appestato, è esaltato per la sua umanità.

Nei grandi dipinti celebrativi Napoleone arringa le folle, visita gli accampamenti, si preoccupa dei feriti, riceve gli sconfitti, cavalca trionfante. L'intento è di realizzare un ciclo celebrativo completo, da contrapporre alle gesta degli imperatori romani.

La rappresentazione di Napoleone, del nuovo Cesare diventa una delle iconografie più diffuse durante il consolato e l'impero, la più esplicitamente propagandistica e celebrativa. Il passaggio delle Alpi, è stato rappresentato nel dipinto di David Napoleone al passo del Gran San Bernardo accostando simbolicamente il generale a eroi del passato come Annibale e Carlo Magno. Bonaparte è rappresentato avviluppato in un turgido mantello che lo inserisce pienamente nella tradizione delle rappresentazioni eroiche di condottieri militari. A David si deve anche Napoleone nel suo studio uno dei ritratti più incisi di Bonaparte che si distacca dall'iconografia militare: l'ambiente è rischiarato dalle candele quasi completamente consumate e l'orologio indica che sono le quattro del mattino. L'imperatore sta in piedi accanto alla scrivania alla quale ha lavorato tutta la notte, con ai piedi il volume di Plutarco e affianco un rotolo di carta relative al codice. La scelta di rappresentarlo nelle vesti di pacifico governatore non impedisce a David di celebrarne la grandezza, la forza e la calma eroicità.

Con ben altri risultati Jean-auguste dominique Ingres (vd pag.___) muove alla ricerca delle possibilità costruttive ed espressive della linea, anteposta al colore e alla composizione spaziale. Allievo di David, Ingres sviluppa il gusto per il disegno purista e arcaicizzante. Nella recensione ufficiale al dipinto Giove e Teti (1811) si osserva che "questo quadro, che contiene parti eseguite abilmente e la cui composizione poteva dare luogo ad un effetto migliore, manca nell'insieme di rilievo e profondità; non ha volume, il colore è debole e monotono". Viene contestata a Ingres proprio l'attenzione ai valori lineari a scapito di un'accentuata profondità spaziale e cromatica, valori che saranno alla base del suo successivo, enorme successo e che costituiranno un punto di riferimento per i pittori del maturo '800.

Anche Anne-Louis-Girodet-Trioson (1767-1824) compie la sua formazione nell'atélier di David ed esordisce con quadri neoclassici moraleggianti. Ben presto avverte però l'influenza nell'ambiente culturale che si va formando intorno al rinnovato sentimento religioso. La vera rottura con gli insegnamenti del maestro si manifesta incontestabilmente con Ossian riceve nel Walhalla i generali della repubblica. Siamo ormai molto lontani dall'idea di un'arte governata dall'ordine e dall'armonia nella ricerca della "quiete grandezza": Ossian è rappresentato come un cantore del misterioso e del soprannaturale che accoglie gli eroi della repubblica francese in un turbinio di aquile, spiriti di eroi del passato, immagini legate ad un'idea di religione non chiaramente identificabile, ma di grande suggestione e soprattutto di grande effetto.




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