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ALBERT EINSTEIN - Prime pubblicazioni scientifiche

storia



ALBERT EINSTEIN


Albert Einstein (Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955), fisico tedesco naturalizzato statunitense, fu probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e l'ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, segnarono una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a dodici anni imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Visse un anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda preparazione culturale e, concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna.


Prime pubblicazioni scientifiche




Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido. Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli afferm 646f53g ò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hn, dove E rappresenta l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e n è la frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente, cosicché fu violentemente criticata, finché circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale.

Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.

Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu cos venne offerto un posto presso  l' "Institute for Advanced Study" di Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici Il mondo fu un po' più piccolo quando morì, a Princeton, nel 1955.

Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Autobiografia scientifica (1979); Relatività: esposizione divulgativa (1980); Idee e opinioni. Come io vedo il mondo (1990); Evoluzione della fisica (1985), in collaborazione con Leopold Infeld; Riflessioni a due sulle sorti del mondo (1989), in collaborazione con Sigmund Freud.


RISTRETTA (PICCOLA)


Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro. La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, e che è una naturale estensione del precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.

Sulla base del risultato dell'esperimento di Michelson e Morley e delle precedenti considerazioni di Lorentz, egli suggerì inoltre che le trasformazioni galileiane dovessero essere sostituite con quelle di Lorentz. Queste ultime prevedono che la variabile temporale vari in due sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo uniforme, e quindi che un orologio in moto relativo rispetto a un osservatore rallenti. Il principio di tempo assoluto della meccanica newtoniana fu sostituito dal principio di invarianza della velocità della luce dallo stato di moto dell'osservatore. La scoperta dell'elettrone fornì poi la possibilità di verificare la correttezza delle trasformazioni di Lorentz; gli elettroni emessi dalle sostanze radioattive, infatti, hanno velocità prossime a quella della luce, tali cioè da far assumere al fattore beta valori apprezzabili. Gli esperimenti confermarono le predizioni di Einstein; la massa di un elettrone dotato di velocità prossime a quelle della luce risulta maggiore della massa a riposo, esattamente nella misura prevista. L'incremento della massa dell'elettrone era dovuto alla conversione dell'energia cinetica in massa, secondo la formula E=mc . La teoria di Einstein fu confermata anche mediante esperimenti sulla velocità della luce in corpi d'acqua in moto e sulle forze magnetiche in alcune sostanze.

L'ipotesi fondamentale su cui poggiava tutta la teoria einsteiniana era che per due osservatori in moto relativo uno rispetto all'altro a velocità costante valessero le stesse leggi della natura. L'abbandono del concetto di simultaneità comporta che due eventi registrati come simultanei da un osservatore non risultino tali rispetto a un secondo osservatore in moto rispetto al primo. In altre parole, non ha senso assegnare l'istante in cui avviene un evento senza definire un riferimento spaziale. L'evoluzione di ogni particella o oggetto nell'universo viene descritta da una cosiddetta linea universale in uno spazio a quattro dimensioni (tre per lo spazio e la quarta per il tempo), detto spazio-tempo. La nuova geometria si adattava perfettamente alle equazioni di Maxwell.

La "distanza" o "intervallo" tra due eventi qualsiasi può essere accuratamente descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e di tempo.




GENERALE PICCOLA


La teoria della relatività generale

Ancor prima di lasciare l'Ufficio Brevetti nel 1907, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto relativo non uniforme. Enunciò il principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o alla accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale non venne pubblicata sino al 1916. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale. Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma di quest'ultimo fenomeno, durante l'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza. Per il resto della sua vita Einstein dedicò molto tempo alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria e alla ricerca di una teoria dei campi, che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti. Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, che Einstein aveva già prima ritenuto necessario, nonché il principio di indeterminazione, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione, per certi versi intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, affermò che "Dio non gioca a dadi con il mondo". La relatività ha trovato un gran numero di conferme sperimentali da quando è stata introdotta. Ad esempio, durante l'eclisse del 1919 è stata verificata la deflessione di un raggio di luce nelle immediate vicinanze del Sole, come previsto dalla teoria. Recentemente sono stati effettuati test analoghi per misurare la deflessione delle onde radio emesse da quasar lontani, mediante l'uso di interferometri a radiotelescopio. I risultati di questi test concordano entro un margine di errore dell'1% con le previsioni della relatività generale.

Un'altra conferma sperimentale viene dal moto del perielio (il punto in cui un pianeta passa più vicino al Sole) dell'orbita di Mercurio. Tale moto, che non trova spiegazione nell'ambito della fisica classica, è invece previsto dalla teoria della relatività e le recenti misure radar effettuate sono in ottimo accordo con le previsioni. Un altro fenomeno prescritto dalla relatività generale è lo spostamento verso il rosso della lunghezza d'onda della radiazione emessa da oggetti posti in intensi campi gravitazionali; esso è stato più volte osservato mediante misurazioni astronomiche.





GALILEO E IL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ

Nel suo "Dialoghi sui Massimi Sistemi" Galileo Galilei dà una descrizione molto chiara del cosiddetto "principio di relatività galileiana". Egli immagina uno sperimentatore, rinchiuso nella stiva di una nave, che esegue una serie d'osservazioni sulla caduta dei gravi. Galileo spiega, molto chiaramente, come in nessun modo sia possibile per quest'osservatore trarre alcun'indicazione sulla velocità del moto (uniforme) della nave mediante esperimenti che si svolgano esclusivamente nel suo interno. La formulazione galileiana originale è descrittiva e segna tuttavia l'ingresso nella fisica moderna del concetto di relatività: "E' impossibile mettere in evidenza il moto assoluto di un oggetto e si può solamente parlare di velocità relativa di due oggetti". Il principio di relatività è verificabile nella vita di tutti i giorni; seduti nello scompartimento di un treno che sta partendo dalla stazione, con un altro treno a fianco, facciamo fatica a capire se ci stiamo movendo noi o l'altro treno. La relatività galileiana è in perfetto accordo con la meccanica di Newton e con la legge di gravitazione universale. Non è dunque possibile stabilire lo stato di moto assoluto misurando la forza gravitazionale tra corpi. Il mondo relativistico può essere codificato da un'infinità potenziale d'osservatori, detti inerziali, e in moto relativo uniforme. Nessuno di questi ha preminenza sugli altri e le leggi della fisica si scrivono nello stesso modo per tutti. Nella relatività ristretta non sono ammessi osservatori in moto non uniforme e sarebbe invero possibile avvertire il moto della nave con il mare mosso. L'esistenza d'osservatori inerziali è un fatto empirico e al momento non discende da alcun principio superiore. La relatività galileiana è rimasta in ottimo accordo con i dati osservativi, sino alla fine dell'Ottocento, e continua a essere usata con successo per trattare i fenomeni non relativistici, ossia quelli che si svolgono con velocità molto inferiori a quella della luce (c = 299.792,458 km/s). A velocità prossime a c - dette relativistiche - essa si rivela invalida e occorre usare la relatività einsteiniana.


CONFRONTO TRA GALILEO E EINSTEIN

GALILEO

EINSTEIN

velocità di propagazione delle interazioni infinita

velocità di propagazione delle interazioni uguale a quella della luce

il Principio di Relatività vale solo per la Meccanica

il Principio di Relatività vale per tutte le Leggi

il tempo è assoluto, le proprietà del tempo sono indipendenti dal sistema di riferimento, l'intervallo di tempo è lo stesso in tutti i sistemi di riferimento

il tempo scorre diversamente nei diversi sistemi di riferimento



NEWTON E CONTEMPORANEI

Newton era convinto di poter dare una definizione di moto e di spazio e tempo assoluto usando un sistema di riferimento (o osservatore) ancorato rispetto alle stelle fisse. Nei Principia di Newton si legge che "Si postula l'esistenza di un corpo di riferimento, (o spazio di riferimento tridimensionale, rispetto cui studiare i fenomeni fisici che in esso si svolgono) di natura "sui generis", caratterizzato a priori dalle seguenti proprietà fisiche e geometriche: 1. Per definizione fisso, inerte rispetto all'evolversi in esso dei fenomeni fisici, rigido e trasparente alla penetrazione ottica. 2. Le sue proprietà geometriche si identificano con quelle di uno spazio euclideo tridimensionale." Tale corpo di riferimento è chiamato "PIATTAFORMA SPAZIALE" Inoltre si legge ancora che "Si postula l'esistenza di un ente fisico unidimensionale, che fluisce uniformemente ed indipendentemente dai fenomeni naturali e dallo stato di quiete o di moto della sede in cui essi si svolgono. Tale ente fisico è idoneo a stabilire senza ambiguità: 1. Se due eventi A e B sono simultanei oppure uno di essi precede o segue l'altro; 2. La durata di un fenomeno, intesa come intervallo temporale che separa due eventi. Newton propose anche un esperimento concettuale con un vaso ruotante pieno d'acqua per mettere in evidenza il moto assoluto. Come fu osservato, questo metodo evidenzia solamente i moti accelerati. Un enunciato molto chiaro del principio di relatività si trova in Christiaan Huygens, che nel 1669 scriveva: "La quiete e il moto possono venire considerati solo relativamente e lo stesso corpo che uno dice in quiete rispetto a certi corpi può venir detto in movimento rispetto ad altri e ritengo che non ci sia più realtà di movimento nell'uno piuttosto che nell'altro".


ELETTRICITÀ E MAGNETISMO

H.C. Oersted fu il primo a osservare la deviazione indotta sull'ago di una bussola da un filo conduttore percorso da corrente elettrica, mettendo così in luce una connessione nuova e profonda tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici. Dobbiamo a M. Faraday uno studio sistematico e profondo dei fenomeni elettromagnetici e una prima formulazione della teoria dei campi attraverso il concetto di linee di forza. La sintesi finale per i fenomeni elettromagnetici fu portata a termine da J.C. Maxwell nel 1865. Le equazioni di Maxwell mostrarono che la luce è un fenomeno elettromagnetico, permisero a H.R. Hertz di provare sperimentalmente l'esistenza delle onde radio, aprirono la strada alla relatività ma anche a una serie straordinaria di conquiste tecnologiche e scientifiche che non ha confronti nella storia. Secondo la convinzione corrente in quel tempo, e condivisa da Maxwell, il campo elettromagnetico altro non era che un modo molto preciso di descrivere le deformazioni, tensioni interne e propagazione ondosa in un mezzo ipotetico chiamato etere. In sostanza la luce si sarebbe propagata nell'etere in modo analogo alla propagazione del suono nell'aria. Ma poiché la velocità della luce è altissima, circa un milione di volte quella del suono, ne seguiva che l'etere doveva essere un mezzo allo stesso tempo rigidissimo e leggerissimo, e che doveva permeare tutti i corpi, anche i solidi, come prova il fatto che la luce e i campi elettromagnetici passano attraverso i vetri più densi. Le equazioni di Maxwell segnano l'inizio della crisi che ha condotto alla scoperta della relatività.


L'ESPERIMENTO DI MICHELSON E MORLEY

L'esistenza dell'etere agì come meccanismo di rottura e crisi entro la fisica tradizionale rappresentata dalla relatività galileiana. Si ragionava nel seguente modo: se l'etere esiste, allora dovrebbe essere possibile sostituirlo alle stelle fisse di Newton e dichiarare fermo in assoluto l'osservatore immobile rispetto all'etere. Quello che ci si attendeva era che quei fenomeni fisici che dipendevano dal moto dell'etere (o meglio rispetto all'etere) potessero venire usati per stabilire il moto assoluto dell'osservatore in contrasto con il principio galileiano. Tra questi fenomeni fisici il più adatto era la propagazione della luce. Se soffia vento sappiamo che dobbiamo sottrarre la velocità del vento a quella del suono se questo si propaga controvento, e dobbiamo aggiungerla se questo si propaga sottovento. Sostituendo la luce al suono e l'etere all'aria vediamo che in presenza di movimento rispetto all'etere (o "vento d'etere") la luce dovrebbe propagarsi con velocità diversa nelle varie direzioni. A.A. Michelson e E.W. Morley decisero appunto di misurare la velocità della luce in funzione della direzione nella speranza di mettere in evidenza il vento d'etere. Utilizzarono un interferometro costituito da una serie di specchi posti su due bracci ortogonali e di ugual lunghezza. L'apparato doveva mettere in evidenza il tempo impiegato dalla luce per percorrere (andata, riflessione e ritorno) un dato braccio e confrontarlo con quello impiegato a percorrere l'altro braccio. Il vento d'etere doveva causare una variazione nei tempi di transito che cadeva entro i limiti di precisione dell'apparato. L'intero apparato poteva ruotare su di una piattaforma in modo da scambiare il ruolo dei due bracci. L'esperimento fu ripetuto più volte ma nel 1887 dette un risultato nullo con grande delusione dei due sperimentatori e sorpresa nel mondo accademico. L'esperimento fu poi ripetuto con altre tecniche ma con gli stessi risultati.


LA CONTRAZIONE DI LORENTZ

H.A. Lorentz fu il primo a raggiungere una spiegazione del fallimento e una prima, sia pure incompleta, formulazione della relatività. Secondo Lorentz, che credeva nell'etere, il vento d'etere aveva anche altre conseguenze di rilievo. Egli concepiva i corpi materiali come composti da particelle dotate di cariche opposte e tenute insieme dalle forze elettromagnetiche. Se queste forze sono propagate dall'etere, dipendono dal vento d'etere (come d'altronde la propagazione della luce), allora anche la forma dei corpi deve dipendere dal loro stato di moto rispetto all'etere. In base ad alcune assunzioni sulle forze elettromagnetiche, egli dimostrò che il vento d'etere doveva produrre un accorciamento dei corpi lungo la direzione del vento. Questo accorciamento, pure predetto da G.F. Fitzgerald, alterava i tempi di percorso della luce entro l'apparato di Michelson e Morley in modo da nascondere completamente l'effetto cercato. L'etere possedeva dunque una proprietà straordinaria, quella di rendersi completamente inosservabile. Nel corso delle sue ricerche Lorentz dimostrò che il vento d'etere doveva alterare il ritmo degli orologi. Se dunque spirava il vento d'etere le misure convenzionali di spazio e tempo risultavano alterate ed erronee in modo tale da simulare una realtà fisica in cui l'etere appariva sempre immobile e la velocità della luce era ancora la stessa in tutte le direzioni. Questo risultato di Lorentz va sotto il nome di "principio degli stati corrispondenti". In sostanza asserisce l'esistenza dell'etere e di un sistema di riferimento privilegiato ancorato all'etere anche se non rilevabile attraverso esperimenti di natura elettromagnetica. In questo senso esso è in contrasto con il principio di relatività galileiano. Nella teoria di Lorentz, il moto dell'etere induceva delle distorsioni nell'apparato di misura per cui le trasformazioni di Galileo andavano corrette. Da questa analisi Lorentz dedusse delle nuove trasformazioni che portano il suo nome e che tengono conto del moto dell'etere e delle distorsioni da esso indotte. La teoria di Lorentz contiene molti dei punti essenziali della relatività einsteiniana ma rimane rivolta al passato.




RELATIVITA'

Fin da giovane, Einstein si interessò alle teorie sull'elettromagnetismo, formulate da Faraday, Maxwell, e sulle teorie della propagazione delle onde nell'etere. Einstein voleva capire cosa succede quando la luce si propaga da un posto all'altro e cercò di rappresentare, in modo semplice, il suo comportamento. La prima domanda che si pose fu: " che cosa succederebbe se si viaggiasse con un onda luminosa alla velocità della luce?". Supponiamo di tenere in mano uno specchio, e di muoverci alla velocità della luce: in teoria, la luce proveniente dal nostro viso, non dovrebbe arrivare allo specchio. Einstein, pensava che con qualsiasi mezzo la luce vada da un posto all'altro, l'immagine nello specchio non dovrebbe sparire, poiché la velocità delle onde dipende solo dal mezzo e non dalla sorgente. Ma allora un osservatore da terra vedrebbe la luce muoversi ad una velocità doppia del normale (300.000 Km/sec + 300.000 Km/sec = 600.000 Km/sec).Einstein, cominciò a cercare di scoprire se fosse possibile che la velocità della luce fosse la stessa per chi si muove e per chi osserva da terra. La teoria della relatività è la soluzione di Einstein a questo quesito apparentemente impossibile.Partendo dalla relatività di Galileo, si prenda come esempio il caso di un osservatore all'interno di un sottomarino; questo non può stabilire se il sottomarino sia fermo o si muova di moto uniforme, se non guardando fuori dall'oblò. Quindi, se il sottomarino si muovesse costantemente alla velocità della luce e se, come abbiamo ipotizzato prima, l'immagine nello specchio sparisce movendosi alla velocità della luce, all'osservatore all'interno del sottomarino, basterebbe guardarsi in un specchio per affermare di muoversi. Tutto ciò è in contrasto con il principio di relatività di Galileo secondo il quale l'osservatore doveva necessariamente guardare fuori dall'oblò. Per questo motivo Einstein concluse che l'immagine dello specchio dovesse continuare a vedersi. Ma come può l'osservatore in movimento vedere la luce allontanarsi dal suo volto alla velocità della luce relativa a lui (300.000 Km/sec), mentre l'osservatore a terra vede la luce lasciare il suo volto alla stessa velocità della luce relativa a loro (600.000 Km/sec)?. Per spiegare questo Einstein analizza il concetto di velocità: la velocità è la distanza percorsa divisa per il tempo impiegato. Einstein si rese conto che se la velocità doveva essere la stessa per i due osservatori, allora la distanza e il tempo dovevano essere diversi. Quindi una persona in movimento vede la luce percorrere una data distanza d in un dato tempo T ottenendo una velocità della luce c, mentre una persona fera vede la luce percorrere una distanza diversa in un tempo diverso ottenendo la stessa velocità c: Einstein passò così allo studio degli eventi simultanei. Immaginiamo di avere una carrozza ferroviaria in movimento al cui centro è posto un passeggero con un congegno in grado di emettere un fascio di luce in avanti e contemporaneamente all'indietro. Supposto che la porta anteriore e quella posteriore possano essere aperte dai fasci di luce. Allora, per la persona che tiene il congegno, le porte si apriranno simultaneamente, ma, afferma Einstein, per una persona a terra, la porta posteriore si aprirà prima di quella anteriore. Questo avviene poiché per la persona a terra la porta posteriore si muove in avanti, incontrando il fascio di luce, mentre quella anteriore se ne allontana. Quindi lo scienziato ne dedusse che, eventi che sono simultanei rispetto al treno, non lo sono rispetto a terra e viceversa. Così Einstein afferma che il tempo trascorso è una misura relativa, poiché per la persona nella carrozza, l'apertura delle porte è simultanea e il tempo trascorso tra la apertura della porta anteriore e quella posteriore è zero; mentre per la persona sulla banchina, il tempo trascorso tra l'apertura delle porte non è zero, e dipende dalla velocità a cui si muove il treno. Facciamo un esempio più semplice: immaginiamo che una persona al centro della carrozza si alzi e vada verso la porta anteriore; ora, di quanto si è spostata la nostra ipotetica persona? Relativamente al treno, ha percorso metà della lunghezza della carrozza, ma relativamente alla banchina ha percorso una distanza maggiore: così anche la distanza è una misura relativa. Schematizziamo ora la carrozza come un sistema di riferimento all'interno di un sistema di riferimento S più grande (la terra) (fig. 1). Poniamo all'interno del sistema un orologio luminoso particolare (ideato dal fisico statunitense R.P. Feynman) (fig. 2). La lampadina emette impulsi luminosi regolari che vanno verso lo specchio, vengono riflessi e rimbalzano fino al contatore che ticchetta. Immaginiamo adesso che al sistema venga impressa una velocità v, in modo che diventi un sistema in moto rispetto al sistema S. L'osservatore in vede il suo orologio funzionare esattamente come quando è in quiete, ma l'osservatore fermo in S, guardando l'orologio in vede qualcosa di completamente diverso. (fig. 3). Einstein rimarca che la velocità della luce è la medesima per tutti gli osservatori. Così, l'osservatore fermo, si accorge che passa più tempo fra i ticchettii dell'orologio in moto che fra quelli dell'orologio in quiete a causa della maggiore distanza vista da terra. Einstein afferma che gli orologi in moto vanno più lentamente di quelli in quiete e studia il rapporto tra i due tempi, mediante una serie di passaggi:

Il tempo tra i ticchettii del sistema in moto, è il tempo necessario affinché la luce raggiunga lo specchio, più il tempo L/C perché ritorni indietro; Quindi T' = .

Ma il tempo fra i ticchettii nel sistema in quiete è il tempo che la luce impiega per coprire il percorso triangolare h. .

Ora, nel tempo , il sistema in moto percorre una distanza uguale a .

E adesso possiamo usare il millenario teorema di Pitagora, dal quale si deriva che .

Sostituendo al punto 4. le formule ottenute ai punti 1. 2. e 3. otteniamo che

da cui: .

Cerchiamo di applicare questa formula ad un problema: due gemelli si separano e , mentre uno resta sulla terra, l'altro viaggia su un razzo ad una velocità pari all'80% di quella della luce cioè a 0.8c. Dopo che sul razzo sono passati 30 anni, quanto tempo è passato sulla terra?

= 30 anni   v = 0.8 c = tempo passato sulla terra

= = 50 anni

Dopo aver analizzato il rapporto tra i tempi, studiamo il giusto legame tra la velocità, poiché, come abbiamo detto prima, ogni osservatore deve rilevare la stessa velocità della luce, indipendentemente da come egli si muove (in modo costante, naturalmente). Riprendendo la stessa carrozza di prima, immaginiamo che la nostra persona al centro di questa, si alzi e vada verso la porta anteriore, ad una velocità W = 5 Km/h, mentre il treno si sta movendo ad una velocità V = 35 Km/h. A che velocità si muove la nostra persona rispetto alla banchina? Secondo la fisica classica questa si dovrebbe muovere ad una velocità U = V + W, cioè a 40 Km/h. Secondo Einstein invece questa misurazione è imprecisa, poiché gli spazi e i tempi misurati sul treno non sono gli stessi misurati sulla banchina e, dopo una serie di passaggi, ottiene che la velocità U osservata dalla banchina è uguale a

Ora come possiamo notare questa velocità è diversa da V + W, ma poiché la velocità della luce è enorme (299.792,5 Km/sec) normalmente la correzione è molto piccola. Ma proviamo la formula supponendo che il treno vada alla velocità della luce e la nostra persona all'interno di esso invii un raggio di luce verso la parte anteriore del treno. Secondo la formula di Albert si ottiene che

V = c    W = c

Così U, la velocità del raggio rispetto a terra, è uguale a

c

Con ciò Einstein dimostra che in natura non esistono interazioni istantanee poiché niente può viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce!

Einstein deve ora dimostrare cosa accade quando si cerca di far superare ad un oggetto la velocità della luce. Per far muovere un qualsiasi oggetto, bisogna applicare ad esso una forza e, quando questo oggetto guadagna velocità, diciamo che accelera. Fu Newton a postulare un nesso tra forza ed accelerazione: egli affermava che F = ma oppure a =. Da quest'ultima se ne deduce che l'accelerazione a è direttamente proporzionale alla forza F applicata, mentre è inversamente proporzionale alla massa dell'oggetto m, chiamata anche inerzia; maggiore è la forza più rapidamente il corpo guadagna velocità; maggiore è la massa più sarà difficile farlo muovere. Einstein sostituì alla formula di Newton la sua, dove e ancora una volta dimostra che nulla può andare più veloce della luce, poiché quando V = c, a = 0. Così, man mano che un corpo si avvicina alla velocità della luce diventa sempre più difficile aumentarne la velocità e, una volta che si è raggiunta la velocità della luce, anche se si continua a spingere il corpo, questo non guadagna altra velocità! Einstein modificò inoltre la formula del lavoro di Newton () in così quando V = c, . Ma non è tutto; se il lavoro contribuisce a dare al corpo più inerzia, allora l'inerzia deve contenere energia. Questa energia è descritta dalla formula . E poiché, come detto prima, , se ne deduce che


Così,. anche quando L = 0, il corpo avrà ancora un'energia uguale a

CENNI STORICI

Gli anni 80 del 1800, segnarono l'inizio dell'era dell'imperialismo e del capitalismo monopolistico. Nel 1873, avvenne un grande crac finanziario mondiale: i successivi 17 anni comportarono miseria per la gente comune e grandi profitti per pochi; i piccoli uomini d'affari, come il padre di Einstein, vennero duramente colpiti. Di questa crisi finanziaria, furono ritenuti responsabili gli ebrei e successivamente, nel 1879, Wilhelm Marr, conia il termine "antisemitismo" e fonda la "Lega degli antisemiti".





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