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Engels, Friedrich (Barmen 1820 - Londra 1895), economista, filosofo e politico tedesco

storia



Engels, Friedrich (Barmen 1820 - Londra 1895), economista, filosofo e politico tedesco, fondatore con Karl Marx del socialismo scientifico, poi definito comunismo. Di famiglia protestante, iniziò a collaborare a diverse pubblicazioni letterarie e filosofiche mentre era impiegato nella manifattura tessile di famiglia, entrando in contatto tra il 1842 e il 1844 con il movimento cartista in lotta per il suffragio operaio.

Convinto che tanto la politica quanto la storia potessero essere spiegate solo in termini di sviluppo economico della società, giunse a considerare i mali sociali del proprio tempo come l'inevitabile risultato della proprietà privata, teorizzando che fosse possibile porvi rimedio solo attraverso la lotta di classe per una società comunista. Dopo aver pubblicato queste tesi nel saggio La condizione della classe operaia in Inghilterra (1845), diede vita a una lunga collaborazione politica e scientifica con Karl Marx, presto sfociata nella stesura del Manifesto del Partito comunista.

Engels contribuì notevolmente all'esposizione del pensiero comunista con interventi come La rivoluzione scientifica del signor Eugen Dühring (1878) - noto anche come Anti-Dühring, di cui nel 1892 fu pubblicata una parte con il titolo L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, ancora oggi la più nota esposizione di base del socialismo - o come L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884). Il suo apporto alla diffusione del marxismo è comunque legato soprattutto alla pubblicazione del Capitale, in particolare delle parti rimaste inedite alla morte di Marx.

Oltre che con l'elaborazione teorica, Engels partecipò attivamente alla nascita del movimento rivoluzionario. Trasferitosi a Londra nel 1870, entrò nel consiglio dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori.



Socialismo Dottrina politica associata sin dagli inizi alle istanze della classe operaia, il cui programma può essere riassunto nel seguente modo: abolire le classi, giungendo così a una reale eguaglianza sociale; porre le risorse economiche sotto il controllo diretto delle classi lavoratrici; limitare il diritto di proprietà; incoraggiare una nuova morale basata sulla solidarietà e la cooperazione. Benché nel corso dell'Ottocento e del Novecento il fine ultimo del socialismo sia stato spesso descritto come il raggiungimento di una società senza classi, il movimento socialista si è orientato sempre più verso una politica riformista, tesa alla realizzazione di sostanziali modifiche del sistema capitalista piuttosto che alla sua abolizione.


Il socialismo scientifico

Karl Marx e Friedrich Engels sono i fondatori del socialismo scientifico. Nel Manifesto del partito comunista, pubblicato a Londra nel 1848, essi formularono le premesse teoriche del comunismo, inquadrando l'evoluzione dell'umanità in una prospettiva socioeconomica. La concezione del materialismo storico e la teoria della lotta di classe trovarono in quest'opera una prima sistematizzazione e vennero perfezionate poi nel Capitale. Le teorie marxiste diedero impulso alle lotte sociali che si moltiplicarono nella seconda metà del XIX secolo e che influenzarono profondamente ideologie e movimenti rivoluzionari nel XX secolo.


Con Karl Marx e Friedrich Engels il socialismo acquistò una nuova dimensione teorica, al cui centro veniva posta la concezione materialistica della storia. Marx ed Engels cons 444f56e ideravano il capitalismo(Sistema economico-sociale caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, e dalla conseguente separazione tra classe dei capitalisti e classe dei lavoratori.) il risultato di un processo storico caratterizzato da un'incessante lotta di classe. Creando un'ampia classe di operai espropriati, il capitalismo creava le premesse del proprio superamento, cui avrebbe fatto seguito una società comunista(sistema che mira a realizzare l'eguaglianza sociale attraverso la comunione delle risorse e dei beni).

Marx criticò con asprezza i socialisti "utopisti". L'adozione di un metodo scientifico nell'analisi delle leggi della storia e dell'economia avrebbe dimostrato che il socialismo, lungi dall'essere un ideale da proporre alla parte illuminata della società, era invece un risultato necessario della stessa evoluzione storica e che sarebbe stato inoltre imposto dallo stesso proletariato impegnato in un processo di autoemancipazione. Secondo Marx, la sua teoria segnava quindi il passaggio del socialismo dal regno dell'utopia a quello della scienza. Nella seconda metà del XIX secolo la versione marxista del socialismo divenne l'ideologia dominante nei partiti operai europei, con l'eccezione del movimento dei lavoratori dei paesi anglosassoni


Comunismo Nel suo significato moderno, il termine è associato alle teorie di Karl Marx e Friedrich Engels che, insieme, stilarono il Manifesto del Partito comunista (1848), un testo scritto per un'organizzazione rivoluzionaria tedesca, la Lega dei comunisti, e destinato ad avere un'enorme risonanza nel mondo.


Per Marx il tratto fondamentale della società che sarebbe succeduta al capitalismo, quando questo avesse esaurito la propria funzione storica, era l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Egli non cercò mai di prefigurare nel dettaglio l'organizzazione della società futura, considerando gli sforzi in questa direzione fantasie di utopisti. Il principale compito del "socialismo scientifico", in quanto contrapposto al "socialismo utopistico", era piuttosto, secondo Marx, la comprensione delle "leggi di movimento" della società capitalistica. Da accenni disseminati nelle sue opere, si ricava comunque che la società comunista sarebbe stata caratterizzata da abbondanza di beni materiali, per cui gli esseri umani si sarebbero emancipati per sempre dalla necessità di lottare per sopravvivere. Divisione del lavoro e classi sociali sarebbero scomparse. Lo stato - che nel capitalismo ha il compito di regolare l'appropriazione della ricchezza prodotta nell'interesse delle classi dominanti - divenuto inutile si sarebbe dissolto.


In una fase successiva (Critica al Programma di Gotha, 1875), Marx distinse due fasi: nella prima, direttamente emergente dal capitalismo, la proprietà privata sarebbe stata abolita, ma la divisione del lavoro sarebbe rimasta e si sarebbe applicato il principio distributivo "a ciascuno secondo il suo lavoro"; nella seconda, realizzata l'abbondanza di beni, sarebbe subentrato il principio "a ciascuno secondo i suoi bisogni".

Marx e Engels

Marx ed Engels sono passati alla storia come coppia indisgiungibile, come rivoluzionari di professione inseparabili; eppure ebbero una formazione molto differente, quasi antitetica. Frutto della loro collaborazione è, ad esempio, il celebre Manifesto del partito comunista , redatto alla vigilia del rivoluzionario 1848 su richiesta di una piccola organizzazione operaia che aveva loro richiesto la stesura di un programma politico; e proprio per far sì che sia comprensibile a tutti gli operai, Marx ed Engels danno al Manifesto un taglio semplice e leggero. I due compagni negli anni Sessanta e Settanta vivono l'indimenticabile esperienza della Prima internazionale: tra gli organizzatori vi è Marx stesso, che polemizza aspramente sia contro la Sinistra borghese (di cui critica il rifiuto della lotta di classe) sia contro l'anarchismo alla Bakunin (a cui rimprovera il fatto di voler passare troppo bruscamente dallo Stato all'anarchia). Marx termina la propria esistenza nel 1883, ed Engels gli sopravvive fino al 1895, portando avanti l'attività filosofica e politica: già nel 1875 era nata la Socialdemocrazia Tedesca (SPD) dalla fusione di due partiti, uno di ispirazione marxiana, l'altro di ascendenza lassalliana. Ora, una volta nata la Socialdemocrazia sorgeva anche il problema riguardante quale prassi adottare (quella marxista della rivoluzione o quella lasalliana della riforma?), problema che resterà irrisolto per parecchio tempo fino alla scissione tra socialisti, favorevoli al riformismo, e comunisti, sostenitori della rivoluzione.

Come accennavamo, Engels sopravvive a Marx e diventa una sorta di padre spirituale della SPD e della Seconda internazionale e le modifiche che egli apporta al marxismo prefigurano quella svolta riformista e democratica della SPD che esploderà in tutta la sua violenza nel celebre "dibattito sul riformismo", con cui i comunisti rivoluzionari si distaccheranno dal partito. Tornando alla vita dei due filosofi, Marx, dopo aver frequentato il Liceo-ginnasio della sua città natale (Treviri), si era iscritto all'università laureandosi con la tesi Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro (1839-41): quest'opera mette in luce come Marx, ancora giovanissimo, nutrisse già particolare interesse per il materialismo (rappresentato dalle filosofie di Democrito e Epicuro), interesse che non abbandonerà mai e che anzi lo porterà a dar vita ad una filosofia passata alla storia sotto il nome di "materialismo storico"; curioso è il fatto che Marx per primo soffermi insistentemente la propria attenzione sulla teoria epicurea del clinamen , ovvero della deviazione che gli atomi subiscono nella loro caduta e che permette ad Epicuro di lasciare un margine di libertà all'agire umano. Per quel che riguarda la sfera filosofica, egli si è apertamente ispirato alla filosofia classica tedesca, quella cioè che da Kant giunge fino alla Sinistra hegeliana; per quel che invece concerne l'economia, ha preso spunto dall' "economia classica inglese", la quale trova il suo eroe in Adam Smith, acceso sostenitore del liberismo più sfrenato; oltre a Smith, Marx guarda anche a Davide Ricardo, che nei primi anni dell'Ottocento aveva sfatato il mito smithiano del capitalismo senza regole, facendo notare che gli interessi dei vari gruppi sociali sono inevitabilmente contrastanti tra loro e che, pertanto, non esiste quella mano invisibile ipotizzata da Smith che dovrebbe, dietro agli interessi personali perseguiti da ciascuno, aiutare in ultima istanza tutti. Per quel che riguarda la sfera politica, infine, Marx si ispira al socialismo francese, da lui bollato sarcasticamente come "utopistico" poichè si limita a tratteggiare società ideali sulla scia di quanto aveva fatto Platone.

Marx non vuole fare il profeta e sbizzarrirsi in fantasmagoriche previsioni del futuro, delineando società perfette, sulle orme dei socialisti utopisti. L'atteggiamento assunto da Marx è critico in ogni istante, prende e supera le tradizioni precedenti con il modello dialettico: e così, sul piano politico, accetta la critica al capitalismo ma ne critica il carattere utopistico che finora l'ha contraddistinta, precisando che dal socialismo utopistico si deve passare al socialismo scientifico , ovvero il socialismo va inteso non come delineamento mentale di una società ideale, bensì come necessaria conseguenza del tramonto imminente del capitalismo. Dunque, se per Smith e Ricardo le leggi dell'economia sono leggi eterne alla stregua delle leggi fisiche, per Marx, invece, cambiano, anzi sono esse stesse che si cambiano, con la conseguenza che il capitalismo porterà se stesso alla fine con un capovolgimento dialettico. In questo senso, Marx può presentare la sua teoria come scientifica, in antitesi alle teorie borghesi, da lui qualificate come "ideologie" in quanto cercano di dimostrare che le cose vanno bene così come sono: il caso più eclatante di ideologia, è senz'altro quello di Smith e della sua "mano invisibile", con cui provava a dimostrare come le leggi del capitalismo, essendo leggi di natura, sono eterne e quindi giuste. Marx ritiene riprovevole questo atteggiamento, questa "falsa coscienza" con cui si tenta in tutti i modi di giustificare le posizioni dei ceti dominanti. A negare radicalmente ogni validità scientifica al marxismo è stato il filosofo liberale novecentesco Karl Popper, che in La società aperta e i suoi nemici presenta la società liberale, pluralista e dinamica culturalmente, e i suoi nemici: oltre a Platone (per via della sua "società ideale") e ad Hegel (per via dello "stato etico"), Popper inserisce nelle sue "liste di proscrizione" anche Marx. Secondo questi ultimi (Althusser e Geymonat in primis), Marx sarebbe partito da confuse concezioni hegeliane per poi approdare, con Il Capitale , ad una vera e propria scienza del capitalismo, quasi come se nel Marx giovane prevalesse la filosofia e nel Marx anziano la scienza. C'è ovviamente anche stato chi ha letto Marx in termini più unitari, facendo notare come in realtà Marx non abbandoni mai del tutto la filosofia, tant'è che Il Capitale affonda le sue radici nel pensiero hegeliano, visto che Marx in esso fa vedere come siano le stesse leggi che governano il capitalismo a farlo tramontare. In molti hanno poi avanzato un'altra obiezione al marxismo: in Marx si sovrappongono, suo malgrado, due dimensioni eterogenee e apparentemente inconciliabili. Da un lato, egli diagnostica, con il piglio di uno scienziato, che il socialismo dovrà necessariamente esserci a seguito del crollo del capitalismo; dall'altro lato, poi, egli si spoglia della veste scientifica e si lascia trasportare dalla passione politica e dall'afflato morale, farcendo i suoi scritti di affermazioni moraleggianti, inneggiando alla rivoluzione e proclamando ingiusta, e pertanto da superare, la società capitalistica, ponendosi così in contrasto con la futura tesi di Weber secondo cui la scienza deve essere " avalutativa ". La sfera scientifica (il capitalismo cade necessariamente) si sovrappone bruscamente a quella morale (il capitalismo è ingiusto e va abbattuto), quasi come se in Marx vi fosse una certa confusione della parola "dovere" nella duplice accezione di dovere morale e dovere come necessità fisica: è come se Marx dicesse che il capitalismo crollerà necessariamente ed è giusto moralmente che crolli. Questa contraddizione che serpeggia nella filosofia marxiana affiora anche quando egli dice che il capitalismo deve necessariamente crollare e poi invita ad organizzare il proletariato perchè si adoperi per abbattere il capitalismo: se il capitalismo deve necessariamente cadere, perchè allora bisogna lavorare per farlo cadere? Una spiegazione a ciò è possibile: dare agli operai la convinzione che il capitalismo crollerà necessariamente equivale a dar loro la certezza di lottare per una giusta causa, di stare dalla parte della storia, infondendo loro fiducia. E' come dire che è giusto lottare per l'abbattimento del capitalismo perchè la storia stessa spinge in quella direzione; allo stesso modo, del resto, i Crociati combattevano gli "infedeli" con grande impeto poichè convinti di aver Dio dalla loro. Ritornando alla formazione di Marx, egli muove i suoi primi passi nel contesto della Sinistra hegeliana, costituita da quei sostenitori di Hegel che del suo pensiero privilegiavano il "tutto ciò che è razionale è reale", convinti cioè che fosse opportuno realizzare anche in modo rivoluzionario ciò che si configurava come giusto e frutto di una certa razionalità. Ed è per questo che il giovane Marx, durante la sua provvisoria adesione alla Sinistra hegeliana, vede nell'hegelismo uno sforzo per cambiare la realtà verso un ampliamento dei diritti politici in senso democratico-borghese.

Il processo evolutivo non è lineare, non si passa cioè dal liberalismo alla democrazia e, infine, al socialismo; al contrario, si tratta di un vero e proprio processo, in cui vi è una tesi, un'antitesi e una sintesi, sicchè il socialismo non può essere concepito come una tranquilla trasformazione del liberalismo e della democrazia, ma come drastico e violento capovolgimento di essi. Ne consegue che se per un socialista riformista malgrado ci sia la democrazia il socialismo, come tappa successiva, non c'è ancora, per Marx invece il socialismo non c'è proprio grazie al fatto che c'è il regime liberal-democratico, condizione politica dell'esistenza del capitalismo: fin tanto che ci saranno la democrazia e il liberalismo non potrà esserci il socialismo, dice Marx, il quale arriverà solo in seguito all'abbattimento di entrambi; il regime liberal-democratico, infatti, è la negazione stessa di ogni socialismo e anzi, in quanto condizione di esistenza del capitalismo, rappresenta una delle svariate forme in cui si è manifestato nel corso della storia lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. La storia stessa, dice Marx nel Manifesto del partito comunista , " è stata finora la storia di lotte di classe ", anche se tale lotta si è presentata sempre sotto forme diverse pur mantenendo la caratteristica di essere una rottura netta con il comunismo primitivo in cui tutto era di tutti. E quando Marx dice che la storia è lotta di classe intende dire che vi è sempre stata lotta tra chi detiene i mezzi di produzione (terre, fabbriche, ecc) e chi non li possiede; come dicevamo, nella storia tale lotta si è nascosta dietro maschere diverse ma ciononostante " oppressore e oppresso si sono sempre reciprocamente contrapposti, hanno combattuto una battaglia ininterrotta, aperta o nascosta " .

Per Marx, ateo dichiarato, " la religione è l'oppio del popolo " : secondo Marx, infatti, l'uomo ricorre alla religione perchè materialmente insoddisfatto e trova in essa, quasi come in una droga ("oppio"), una condizione artificiale per poter meglio sopportare la situazione materiale in cui vive. Per Marx, dunque, non è la religione che fa sì che si attui lo sfruttamento sul piano materiale (come invece credeva Feuerbach), ma, al contrario, è lo sfruttamento capitalistico sul piano materiale che fa sì che l'uomo si crei, nella religione, una dimensione materiale migliore, nella quale poter continuare a vivere e a sperare. Ne consegue che se per Feuerbach per far sì che cessi l'oppressione materiale occorre abolire la religione, per Marx, invece, una volta eliminata l'oppressione, crollerà anche la religione, poichè l'uomo non avrà più bisogno di "drogarsi" per far fronte ad una situazione materiale invivibile. Con queste considerazioni sullo sfondo, Marx si distacca irreversibilmente dalla Sinistra hegeliana, la quale aveva dato una lettura progressista di Hegel ed era convinta che si potesse mirare al progresso attraverso una critica ideologica della religione e della società; Marx, invece, ipotizza un vero e proprio capovolgimento dialettico, poichè è convinto che con una semplice trasformazione dialettica di idee non si possa cambiare la realtà (come invece credeva la Sinistra), ma al contrario è cambiando dialetticamente la realtà, ovvero passando dalle " armi della critica " alla " critica delle armi ", che cambiano anche le idee ed è proprio questo il succo del materialismo marxiano: " per sopprimere il pensiero della proprietà privata è del tutto sufficiente il comunismo pensato; per sopprimere la proprietà privata effettiva, reale, occorre una effettiva, reale azione comunista. Per Marx la realtà fondamentale è quella materiale, rispetto alla quale tutte le altre sono derivate: le idee esistono, ma sono derivate dalla materia. Con alcuni scritti, Marx analizza alcune questioni economiche avvalendosi, in modo molto originale, delle categorie della dialettica hegeliana: centrale è il concetto di alienazione (Processo per cui l'uomo si estrania da sé stesso, identificandosi con gli oggetti e le realtà materiali da lui prodotti fino a divenirne lo strumento passivo), desunto da Hegel ma già presente nella filosofia politica del Seicento. Per Hegel il lavoro è intrinsecamente alienante e significa porre spiritualità nella materia; per Marx, invece, il lavoro non è alienante intrinsecamente, anzi, in una prospettiva in cui a contare per davvero è la materia, esso è considerato come la massima realizzazione dell'uomo, una sorta di umanizzazione della natura in cui si supera la distinzione tra soggetto e oggetto coi fatti e non con le idee: trasformare la natura col lavoro vuol dire, infatti, ricondurla al soggetto, antropizzarla. L'uomo, secondo Hegel, è per natura homo sapiens e dunque il lavoro è alienante perchè gli provoca la perdita di spiritualità; per Marx, invece, l'uomo è homo faber e pertanto il lavoro si colora di positivo, ed è anzi il miglior modo che l'uomo ha per realizzarsi. Ma il lavoro diventa alienante quando è sfruttamento, quando cioè il suo frutto è strappato al lavoratore tramite i rapporti di sfruttamento della produzione capitalistica, come se l'elemento di umanità posto nella materia venisse brutalmente strappato via. Il lavoro è oggettivazione dell'uomo rispetto alla natura sia per Hegel sia per Marx, ma per Hegel lo è intrinsecamente (l'oggettivazione stessa è alienazione) mentre per Marx lo è nella misura in cui si configura come sfruttamento. Dunque per Marx il lavoro di per sè non è alienato, ma lo è in determinate condizioni, ovvero nel caso dello sfruttamento tipico delle società divise in classi e, soprattutto, nella società capitalistica. Ed è con Marx che il significato del termine "alienazione" termina il suo percorso, dal momento che accanto al significato filosofico convive quello giuridico: il motivo per cui il lavoro è alienato dipende dal fatto che il prodotto del lavoro degli operai viene espropriato, vale a dire che l'operaio produce ma il frutto del suo lavoro gli viene brutalmente strappato cosicchè egli " non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato, ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, ma mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito ". Marx procede nella sua analisi mettendo in luce come l'alienazione investa molti altri aspetti dell'uomo: se in prima analisi l'uomo è alienato rispetto al prodotto del suo lavoro, è anche vero che egli si aliena anche dalla propria essenza. " Ed è questo il contesto in cui matura l'astio fra gli uomini, ovvero quella che Marx definisce "lotta di classe", in cui l'uomo vede i suoi simili come nemici.

E' bene ora entrare nel merito di uno dei capisaldi della dottrina marxiana, ovvero il materialismo storico, che abbiamo prima definito come materializzazione della dialettica hegeliana. Come per Hegel, anche per Marx la storia è un processo dialettico, ma si tratta di una dialettica materiale: nel suo complesso, la storia si articola in tre grandi tappe; 1) comunismo primitivo; 2)lotta di classe; 3) comunismo maturo. All'inizio della storia esisteva un comunismo primitivo (come già ipotizzava l'antropologia contemporanea a Marx) dovuto al fatto che non vi era ancora la divisione del lavoro e la lotta di classe che da essa scaturisce. La negazione di questo comunismo primitivo è data dalla nascita della divisione del lavoro, prima tra tutte quella paleolitica in cui al maschio spettava la caccia e alla donna la raccolta. Man mano che si procede nella storia, per via del crescere della cultura, i bisogni umani diventano sempre più complessi e per poterli soddisfare occorre un lavoro sempre più complesso, che può essere attuato solo attraverso la divisione del lavoro. La storia si prospetta come lotta di classe e il suo obiettivo è il ritorno al comunismo, ma non al comunismo rozzo e primitivo in cui regnava la povertà, bensì al comunismo della ricchezza, sintesi del comunismo originario e della divisione in classi: si tratterà infatti di un comunismo che manterrà l'apparato produttivo delle fabbriche, ma non sfrutterà nessuno. Ogni forza produttiva, dunque, si dà il suo rapporto di produzione, sicchè questi ultimi rispecchiano e sono sempre funzionali alle forze produttive. Le cose cambieranno del tutto nel momento in cui ci sarà la rivoluzione comunista, terza tappa della storia: essa sarà attuata dalla stragrande maggioranza degli uomini in favore della stragrande maggioranza degli uomini e anch'essa nascerà in modo ineluttabile dalle contraddizioni della situazione precedente (ovvero il capitalismo). In altre parole, la contraddizione insormontabile del capitalismo è che più tutti lavorano insieme e più il frutto del lavoro va in mano a pochi. Altrettanto aspramente, Marx critica anche il socialismo conservatore di Proudhon, personaggio per il quale nutriva una cordiale antipatia personale e al quale indirizzerà Miseria della filosofia (1847) in cui trapela un' acredine personale per quest'uomo tale da lasciare sgomento il lettore e nella cui impietosa premessa bolla l'autore francese in quanto dilettante sia di filosofia sia di economia. Marx tuona contro questa prospettiva: una delle tante altre contraddizioni del capitalismo, infatti, è la polarizzazione della società, causata dal meccanismo capitalistico della concorrenza. Il paradosso, dunque, consiste nel fatto che è la stessa logica del capitalismo a negarlo, in quanto un capitalismo senza concorrenza non è un capitalismo; la conseguenza di ciò, sul piano sociale, è che chi resta tagliato fuori dalla concorrenza finisce nei ranghi del proletariato, cosicchè i capitalisti sono sempre in meno, i proletari sono sempre in più e i borghesi sono pochissimi: la società assume così la forma di una piramide al cui vertice vi sono pochi ricchi e alla cui base vi sono caterve di masse diseredate. E una teoria come quella di Proudhon, che mira ad una società di piccoli produttori senza ricchi e poveri, è una società ideale sganciata dalla realtà e dalla scientificità (non c'è nessun dato di fatto che spinga in quella direzione): non si tratta di attenuare le contraddizioni del capitalismo, ma, al contrario, di far leva su di esse per farlo saltare; la proposta di Proudhon, del resto, vorrebbe trasformare tutti in borghesi, mentre Marx ha in mente una situazione in cui la borghesia sparisce e, con essa, anche il proletariato, poichè la ricchezza della borghesia si fonda sullo sfruttamento del proletariato. La proposta di Proudhon, conclude Marx, va respinta perchè va in direzione opposta alla realtà (che tende ad eliminare sempre più, con la concorrenza, i piccoli produttori) e perchè vorrebbe dire trasformare tutti in borghesi. Non è vero, cioè, che ci sono pochissimi ricchi al vertice, pochi borghesi nel mezzo e una miriade di poveracci alla base; al contrario, vi sono pochi ricchi al vertice, pochi poveri al fondo, e una caterva di borghesi nel mezzo. La teoria marxiana sembra dunque aver clamorosamente fallito, ma in realtà, i marxisti più ferventi, sono riusciti a correre ai ripari, cercando di sostenere che la polarizzazione, contrariamente a quel che sembrerebbe, c'è stata. Si fa infatti notare che gli operai di oggi vivono senz'altro meglio rispetto a quelli di duecento anni fa, ma ciononostante il reddito medio dell'operaio di oggi è di gran lunga più distante da quello del capitalista rispetto a quanto non fosse per gli operai del passato. In altri termini, l'operaio oggi sta meglio di duecento anni fa, ma in sostanza il divario con il capitalista si è accentuato. E bisogna poi tenere in considerazione il fatto che, nell'ottica marxiana, il capitalismo è un fenomeno mondiale, che con l'età dell'imperialismo si spinge ad invadere l'intero pianeta. Dunque, se ragioniamo sul piano mondiale, la distanza tra ricchi e poveri è cresciuta, come aveva previsto Marx; semmai, si può notare che è cambiato il fronte della lotta di classe, ovvero il confine tra sfruttati e sfruttatori non è più tra operai e capitalisti dell'evoluta società europea, ma fra abitanti dei Paesi ricchi (operai compresi) e abitanti dei Paesi poveri, il che significa che oggi anche l'operaio europeo sta dalla parte di coloro che sfruttano il terzo mondo, giacchè acquista e vive grazie al benessere acquisito sulle spalle dei Paesi poveri. Ne consegue un progressivo depotenziamento della spinta rivoluzionaria del proletariato europeo, in quanto anch'esso siede al tavolo degli sfruttatori del "mondo civile", pur accontentandosi delle sole briciole. Dunque la carica rivoluzionaria in ambito europeo si è attenuata nella misura in cui i proletari prendono parte alla spartizione dei beni del terzo mondo, sentendosi appagati e dimenticandosi della rivoluzione. L'errore di Marx nasce dal fatto che egli, nella foga del suo materialismo storico, ha finito per dare troppo peso all'economia (che infatti spingeva verso la scomparsa dei piccoli borghesi) e non ha preventivato che la politica potesse frenare l'inarrestabile crisi dei ceti medi: e infatti nel Novecento, soprattutto negli anni successivi alla grande crisi del '29, saranno sempre più frequenti le scelte politiche che tenderanno ad evitare il decadimento dei ceti medi; il fascismo e il nazismo, ad esempio, faranno di tutto per salvarli, proprio perché ne erano espressione politica. La politica prevalente negli anni '30 del Novecento sarà dunque, in generale, volta a mantenere in vita i ceti medi perché essi costituivano un irrinunciabile serbatoio di consensi. Detto questo, passiamo ad esaminare il metodo di indagine marxiano della realtà: ridotto all'osso, esso consiste nel partire dal concreto e, passando per l'astratto, tornare al concreto ; vale a dire che le categorie interpretative da applicare alla realtà devono essere desunte dalla realtà stessa, rifiutando in tal modo l'elaborazione di categorie astratte entro le quali ingabbiare la realtà. Si parte dunque dal concreto della realtà, se ne desumono le categorie astratte di interpretazione e ci si reimmerge nella realtà concreta per interpretarla tramite quelle categorie. Ed è seguendo questa logica che Marx si addentra nello studio della realtà economica, studio che trova la sua massima espressione in Il capitale .

Il capitale è la maggiore e più importante opera del filosofo ed economista tedesco Karl Marx. È un'opera complessa e poderosa che affronta diversi temi e problemi, tutte parti, tuttavia, del suo oggetto d'indagine principale: il modo di produzione e distribuzione capitalistico. L'opera è divisa in tre libri, di cui solo il primo però fu dato alle stampe, ad Amburgo nel 1867, dallo stesso Marx. I Libri II e III furono invece pubblicati postumi, sulla base dei manoscritti originali, daEngels, rispettivamente nel 1885 e nel 1894. Appartiene al corpus del Capitale, in verità, anche tutto il materiale di storia e critica delle teorie del valore che, nelle intenzioni di Marx, avrebbe dovuto costituire il IV Libro del Capitale. Esso, tuttavia, pubblicato da Kautsky tra il 1905 e il 1910 in tre volumi sotto il titolo di Theorien über den Mehrwert (Teorie sul plusvalore) ha avuto una storia editoriale autonoma da quella del Capitale. Trascurando, perché non più adoperate, le edizioni ottocentesche del I Libro e quella del II edita da Corticelli a Milano nel 1946, del Capitale in Italia sono disponibili due edizioni: quella degli Editori Riuniti, comparsa per la prima volta tra il 1951 e il 1956, che si avvale delle traduzioni di Delio Cantimori per il I Libro, Raniero Panzieri per il II, e Maria Luisa Boggeri per il III, e quella della casa editrice Newton Compton, pubblicata nel 1969 per la cura e la traduzione di Eugenio Sbardella. Riassumere il contenuto del Capitale è opera non facile e, per definizione, quasi irrealizzabile. Ciò che segue è solo l'esposizione, la più sintetica possibile, dei suoi capisaldi e delle sue strutture teoriche più generali. Estremamente ricco ed impegnativo si presenta il I Libro, "Il processo di produzione del capitale", in cui Marx ha inteso esporre le categorie basilari della struttura sociale capitalistica, quelle categorie che ne rappresentano il nòcciolo e il fondamento. Preso atto che la forma elementare in cui si presenta la ricchezza nella società capitalistica è la singola merce, Marx ne analizza le determinazioni teoriche: la merce è unità di valore d'uso e valore, e cioè è, nello stesso tempo, oggetto delle specifiche qualità sensibili e cristallizzazione del dispendio di forza-lavoro umana indistinta, ossia risultato di erogazione di energia fisica ed intellettuale senza riguardo per la forma e le modalità con le quali questa erogazione avviene. Il valore di una merce è costituito, per Marx, dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla. Essendo il valore qualità comune a tutte le merci, diversamente dal valore d'uso che è proprio solo di ogni singola merce, esso permette alle merci di scambiarsi vicendevolmente in modo quantitativamente proporzionato alla spesa di energia lavorativa oggettivata in ciascuna di esse. Questa proprietà delle merci è ciò che, per Marx, sta alla base della genesi del denaro, particolarissima merce che è, nello stesso tempo, l'equivalente universale di tutto il restante mondo delle merci. Il denaro svolge, secondo Marx, essenzialmente, tre funzioni: è misura dei valori, poiché fornisce alle merci il materiale attraverso il quale esse possono rappresentarsi come grandezze quantitativamente comparabili; è mezzo di circolazione, giacché permette l'acquisto e la vendita delle merci; è rappresentante materiale della ricchezza, in quanto unico modo di esistenza adeguato del valore in quanto tale. Terminata l'analisi della merce e del denaro, Marx passa ad analizzare i diversi momenti dell'accumulazione capitalistica, che è una particolare e specificamente determinata forma di accumulazione di denaro. Quest'ultima non può realizzarsi, per Marx, attraverso lo scambio, mediato dal denaro, di una merce contro un'altra merce. Due merci si scambiano, infatti, osserva Marx, solo se hanno un valore eguale. Marx ipotizza, quindi, che l'accumulazione capitalistica si realizzi attraverso l'acquisto di una merce che vale di più di quanto venga pagata. Questa merce è la forza-lavoro degli operai salariati. La differenza fra il valore prodotto dal lavoratore nel processo produttivo e il valore del salario ricevuto dallo stesso lavoratore è ciò che Marx chiama plusvalore, "incremento eccedente sul valore originario" della forza-lavoro espresso dal salario. Una volta acquisito il plusvalore, il capitalista lo reinveste nell'acquisto di nuovi mezzi di produzione e nell'assunzione di nuovi operai. È questo il meccanismo di espansione del capitalismo che Marx chiama riproduzione allargata del capitale. Individuato il plusvalore come il principio motore del processo di accumulazione capitalistica, Marx passa ad esaminare le due forme in cui esso si manifesta: come plusvalore assoluto, attraverso l'allungamento della giornata lavorativa, e come plusvalore relativo, attraverso la riduzione, ottenuta con l'introduzione di tecnologie più sofisticate, del tempo necessario a produrre una merce; fermo restando, infatti, il tempo della giornata lavorativa di un operaio, se occorre meno tempo a produrre una merce, allora occorre meno tempo per produrre quelle merci di cui ha bisogno l'operaio per riprodursi. In questo modo l'operaio impiega meno tempo per guadagnare il salario necessario alla riproduzione della sua vita e, quindi, si libera un tempo supplementare per la produzione delle merci. Marx àncora poi l'analisi del plusvalore assoluto e relativo all'analisi del passaggio della produzione capitalistica dalla sua fase manifatturiera al macchinismo e alla grande industria. Conclusa la parte dedicata allo studio del plusvalore assoluto e relativo, Marx passa ad analizzare la categoria e le varie formule del saggio del plusvalore, esprimente il tasso di sfruttamento esercitato sulla forza-lavoro. La trattazione del salario apre la parte finale del I libro, il cui oggetto principale è la descrizione dell'insieme dei fenomeni legati al processo di accumulazione del capitale. Si va dalla disamina del problema dell'accumulazione originaria all'evidenziazione della contraddizione fra produzione e distribuzione, dalla rilevazione dei meccanismi di generazione della sovrappopolazione all'introduzione del problema delle crisi periodiche del capitalismo. Il II Libro, "Il processo di circolazione del capitale", ha come suo oggetto principale le diverse forme assunte dal capitale nel suo ciclo di riproduzione. Il problema, i cui primi elementi sono già abbozzati nel I Libro, viene trattato in relazione alla distinzione fra capitale fisso e capitale circolante, cioè fra capitale che si consuma solo parzialmente, e cede quindi solo una parte del suo valore, nel processo di produzione (le macchine) e capitale che invece nel processo di produzione si consuma integralmente, e cede tutto il suo valore (materie prime e forza-lavoro). Esaminata questa distinzione anche alla luce delle teorie economiche, quelle dei fisiocratici, di Smith e di Ricardo, che per prime l'avevano introdotta, Marx passa ad analizzare prima la circolazione e la riproduzione dei capitali individuali e poi le fasi di riproduzione e di circolazione del capitale sociale complessivo, di cui i capitali individuali sono nient'altro che le parti costitutive. La terza ed ultima sezione del Libro indaga le dinamiche della riproduzione semplice (la riproduzione del processo produttivo senza che il plusvalore ogni volta ottenuto venga reinvestito nella produzione) e quelle della riproduzione allargata (la riproduzione del processo produttivo su una base ampliata dal continuo reinvestimento di parti o di tutto il plusvalore), avvalendosi, tuttavia, delle categorie, già esposte nel I Libro e introdotte per la prima volta da Marx nel pensiero economico, di capitale costante (macchine, materie prime etc.) e di capitale variabile (salari). Il capitale costante è quella parte del capitale che convertendosi in mezzi di produzione (macchine, materie prime etc.) non cambia la propria grandezza di valore nel processo di produzione mentre il capitale variabile è quella parte del capitale che convertendosi in forza-lavoro (salari) cambia il proprio valore nel processo di produzione, ossia riproduce il valore dei salari e inoltre produce un'eccedenza, il plusvalore. Il III Libro è più direttamente interessato degli altri due agli aspetti empirici e di superficie della società capitalistica. Esso tratta, in particolare, della categoria di profitto e dei suoi molteplici aspetti e forme. Il profitto è, secondo Marx, una forma mutata del plusvalore, il guadagno del capitalista visto in relazione però non solo alla forza-lavoro impiegata, ma al capitale totale impiegato, costituito sia dai mezzi di produzione che dalla forza-lavoro. La categoria di prezzo di costo riunisce la spesa complessiva che il capitalista ha dovuto compiere per dotarsi dei fattori oggettivi, mezzi di produzione, e soggettivi, forza-lavoro, necessari al processo produttivo. La categoria di saggio di profitto esprime invece il rapporto tra il plusvalore e il capitale totale impiegato; rapporto che varia tra impresa e impresa, poiché in ogni impresa è differente la proporzione che all'interno del capitale totale impiegato si stabilisce tra la spesa in mezzi di produzione e la spesa in forza-lavoro. La proporzione tra spesa in mezzi di produzione e spesa in forza-lavoro è ciò che Marx chiama composizione organica di capitale. Essendo dunque in ogni impresa diversa la composizione organica di capitale è diverso in ogni impresa anche il saggio di profitto. La categoria di profitto medio è il risultato, ottenuto in virtù dell'azione della concorrenza, della media fra i saggi di profitto di tutte le imprese. Il prezzo di produzione di una merce è dato dalla somma fra il suo prezzo di costo e il profitto medio. Le categorie di saggio di profitto e di profitto medio sono le premesse necessarie all'enunciazione della celebre legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, esprimente il fatto che l'aumento di produttività, che caratterizza il modo di produzione capitalistico, non può essere realizzato che con la sostituzione di forza-lavoro con tecnologia. Ma sostituendo forza-lavoro, si ricordino le premesse della teoria del valore, si riduce il plusvalore; riducendosi, però, il plusvalore si riduce anche il saggio di profitto. Per opporsi a questo movimento di riduzione del saggio di profitto è allora necessario, secondo l'analisi di Marx, aumentare il saggio del plusvalore, e cioè il grado di sfruttamento della forza-lavoro. La legge della caduta tendenziale del saggio di profitto è, per Marx, alla radice delle ricorrenti crisi che funestano il modo di produzione capitalistico. Concluso l'esame di questa legge, Marx prosegue l'analisi delle diverse forme in cui si divide il profitto. Esso si spartisce innanzitutto in interesse e guadagno d'imprenditore, e cioè nella remunerazione dovuta a chi, in generale il banchiere, ha prestato all'industriale il capitale iniziale per avviare la sua impresa e nella remunerazione acquisita dall'industriale stesso. Questo dà modo a Marx di porre la distinzione fra capitale monetario e capitale industriale - ossia fra capitale esistente sempre in forma di denaro, detenuto dalle banche, e capitale esistente in mezzi di produzione e forza-lavoro - e di esaminare, quindi, la loro rispettiva incidenza nel generale processo di accumulazione capitalistica. Da questa analisi consegue l'ulteriore suddivisione del profitto in profitto industriale, commerciale, bancario, di interesse e, infine, in rendita fondiaria, che Marx ritiene in ambito capitalistico sdoppiarsi in rendita assoluta e rendita differenziale, e cioè in rendita costituita dall'eccedenza sulla parte del plusvalore della merce agricola che è misurata dal profitto medio e in rendita ottenuta in proporzione alla quantità di investimenti terrieri effettuati e alla diversa fertilità dei diversi appezzamenti di terreno. Il profilo unitario degli argomenti trattati in tutti e tre i libri appare bene nell'ultima sezione, rimasta interrotta, del III Libro in cui l'analisi della formula trinitaria del processo di produzione capitalistico, capitale-profitto, terra-rendita fondiaria, lavoro-salario, permette a Marx di indicare negli operai salariati, nei capitalisti e nei proprietari fondiari le tre grandi classi fondamentali della società capitalistica moderna.

Che le classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi altro che le proprie catene. Da guadagnare hanno un mondo.


La religione é l'oppio del popolo.


L'arma della critica non può sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta per mezzo della forza materiale, ma la teoria diventa, essa pure, una forza materiale, quando si impadronisce delle masse.

Come non é la religione che crea l'uomo, ma é l'uomo che crea la religione, così non é la costituzione che crea il popolo, ma il popolo la costituzione.


Le armi con cui la borghesia ha annientato il feudalesimo si rivoltano ora contro la borghesia stessa. Ma la borghesia non ha solo forgiato le armi che la uccidono; ha anche prodotto gli uomini che imbracceranno queste armi: i lavoratori moderni, i proletari.


I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.


Il punto di vista del vecchio materialismo è la società "borghese"; il punto di vista del nuovo materialismo è la società umana, o l'umanità socializzata.


Ciò che gli individui sono dipende dalle condizioni materiali della loro produzione.


Voi inorridite perché noi vogliamo eliminare la proprietà privata. Ma nella vostra società esistente la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste proprio in quanto non esiste per quei nove decimi. Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà per la stragrande maggioranza della società.


Il proletariato deve marciare con il grande esercito democratico alla punta dell'ala sinistra, ma guardandosi bene dal rompere ogni legame con il grosso dell'esercito. Il proletariato non ha il diritto di isolarsi, ma esso deve, per quanto ciò possa sembrare duro, respingere quanto potrebbe separarlo dagli alleati.


Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio.


Il movimento proletario é il movimento autonomo della stragrande maggioranza nell'interesse della stragrande maggioranza.


Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi dei prodotti sociali; toglie soltanto il potere di soggiogare il lavoro altrui mediante questa appropriazione. E' stato obiettato che, con la soppressione della proprietà privata, cesserà ogni attività e si diffonderà una pigrizia generale. Se così fosse, la società borghese sarebbe da parecchio tempo andata in rovina a causa dell'indolenza, dal momento che in essa chi lavora non guadagna e chi guadagna non lavora.


Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza.

IL DENARO - (---) Tanto grande è la mia forza quanto grande è la forza del denaro. Le proprietà del denaro sono mie, di me suo possessore: le sue proprietà e forze essenziali. (---) Il denaro, questa astrazione vuota ed estraniata della proprietà, è stato fatto signore del mondo. L'uomo ha cessato di essere schiavo dell'uomo ed è diventato schiavo della cosa; il capovolgimento dei rapporti umani è compiuto; la servitù del moderno mondo di trafficanti, la venalità giunta a perfezione e divenuta universale è più disumana e più comprensiva della servitù della gleba dell'era feudale; la prostituzione è più immorale, più bestiale dello ius primae noctis . La dissoluzione dell'umanità in una massa di atomi isolati, che si respingono a vicenda, è già in sè l'annientamento di tutti gli interessi corporativi, nazionali e particolari ed è l'ultimo stadio necessario verso la libera autounificazione dell'umanità". (MARX e ENGELS dai MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI DEL 1844 e da altre opere)

DA DOVE NASCE LA RICCHEZZA? I borghesi hanno i loro buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perchè dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l'uomo, non ha altra proprietà all'infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società, e di civiltà, lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso.". (dalla CRITICA AL PROGRAMMA DI GOTHA - 1875)

LA STORIA UMANA - "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressi ed oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta.". (Marx-Engels, MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA - 1848)

LA RELIGIONE, IL MONDO CAPOVOLTO - "Il fondamento della critica alla religione é: è l'uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l'uomo. L'uomo è il mondo dell'uomo, lo Stato, la società. Essa è l'oppio del popolo. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica. (---) La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo".

IL CAPITALISMO - "La società borghese è la più complessa e avanzata organizzazione storica della produzione. (---) Condizione essenziale per l'esistenza e il dominio della classe borghese è l'accumulazione della ricchezza nelle mani dei privati e la formazione e l'aumento del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato.





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