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La storia della chimica
Antichità
Le
prime esperienze nell'ambito della chimica risalgono ai tempi delle civiltà
della Mesopotamia, dell'Egitto e della Cina. Inizialmente si diffusero
rudimentali tecniche di lavorazione di metalli, quali l'oro e il rame, ritrovabili
in natura allo stato elementare, ma ben presto furono messi a punto i primi
processi di estrazione dei metalli dai loro minerali (in genere ossidi e
solfuri), mediante riduzione con legno o carbone. L'uso successivo di rame,
bronzo e ferro ha dato il nome alle corrispondenti età archeologiche. Anche il
potere colorante di alcune sostanze era noto fin dall'antichità, così come era
pure diffuso l'utilizzo della terracotta, dello smalto e del vetro; il
tentativo di interpretare i fenomeni della natura fornirono ai sacerdoti la
motivazione per formulare le prime teorie sul comportamento della materia,
spesso largamente basate su concezioni magiche.
La filosofia naturale greca
Fin dai tempi di Talete (
Il pensiero di Aristotele dominò la filosofia naturale per quasi due millenni,
a partire dalla sua morte, avvenuta nel
L'alchimia
Le teorie di Aristotele vennero ampiamente accettate e si diffusero in
particolar modo ad Alessandria d'Egitto, divenuta dopo il
La tarda antichità
Dopo il declino dell'impero romano, i trattati greci vennero
dimenticati sia in Europa sia nella regione orientale del Mediterraneo. Nel VI
secolo la setta cristiana dei nestoriani estese la sua influenza sull'Asia
Minore e fondò un'importante scuola a Edessa, in Mesopotamia. Per fornire agli
studenti validi libri di testo, vennero tradotte in siriaco gran parte delle opere
greche di medicina e filosofia. Nel corso del VII e dell'VIII secolo, i
conquistatori arabi imposero la cultura islamica a buona parte dell'Asia
Minore, del Nord Africa e della Spagna. Il califfo di Baghdad, patrono delle
scienze e delle arti, promosse la traduzione dei testi siriaci in arabo e, con
la diffusione delle opere greche, rifiorì la pratica dell'alchimia. Gli
alchimisti arabi, venuti a contatto anche con la cultura cinese, elaborarono un
concetto dell'oro che comprendeva sia l'idea greca di perfezione sia quella
orientale di farmaco. Lentamente si diffuse l'ipotesi sull'esistenza di uno
specifico agente di trasformazione, la "pietra filosofale" (in arabo
al-kimia), che divenne l'obiettivo delle ricerche degli alchimisti. Questi
antichi esperimenti stimolarono lo studio di nuovi composti chimici; vennero
scoperti gli idrossidi alcalini e i sali d'ammonio (vedi Ammonio) e vennero
perfezionati gli apparati per la distillazione. Allo stesso tempo, sentendo la
necessità di procedere in modo più rigoroso, nelle ricette comparvero le prime
indicazioni quantitative.
Il tardo Medioevo
Nell'XI secolo si ebbe in Europa un grande risveglio culturale grazie
al contatto con la civiltà araba; in questo modo la scienza greca, passata
attraverso i testi siriaci e arabi, venne tradotta e diffusa in latino. I
trattati di alchimia destarono un grande interesse; esistevano manoscritti di
due diversi tipi: alcuni avevano contenuti puramente pratici, altri erano di
carattere speculativo e si basavano sui presupposti teorici dell'alchimia.
Grazie allo sviluppo dell'artigianato del vetro, soprattutto a Venezia, vennero
costruiti strumenti per la distillazione migliori di quelli posseduti dagli
arabi; ciò permise di condensare prodotti volatili e di isolare per la prima volta
gli alcoli e gli acidi minerali: l'acido nitrico, l'acido cloridrico, l'acido
solforico e l'acqua regia, una miscela di acido nitrico e acido cloridrico.
Dalla Cina giunse in Europa la notizia della scoperta dei nitrati e della
polvere da sparo, che i cinesi usavano per produrre fuochi d'artificio e che
nei paesi europei venne usata quasi immediatamente per costruire armi da fuoco.
Alla fine del XIII secolo si era ormai sviluppata una vera e propria scienza
chimica che trovava applicazione in nuove invenzioni tecnologiche.
Dal punto di vista teorico, gli arabi avevano accolto le speculazioni di
Aristotele rendendole più specifiche. Ad esempio, essi ritenevano che i metalli
fossero composti da zolfo e mercurio, ma con questi due termini non intendevano
indicare i due elementi, che conoscevano perfettamente, bensì le loro
"essenze". Il principio mercuriale conferiva al metallo la fluidità,
mentre il principio sulfureo rendeva le sostanze combustibili e soggette alla
corrosione.
Il Rinascimento
Durante il XIII e il XIV secolo l'influenza del pensiero aristotelico
su tutti i settori della scienza andò diminuendo. Gli innumerevoli esperimenti
e la prolungata osservazione della materia destarono i primi dubbi sulle
spiegazioni semplicistiche del filosofo greco, dubbi che si diffusero
velocemente grazie all'invenzione della stampa a caratteri mobili nel 1450.
Dopo il 1500 la stampa permise una maggiore diffusione dei nuovi trattati
sull'alchimia e sulle nuove tecnologie: il risultato di questa più ampia divulgazione
di notizie divenne evidente nel XVI secolo.
La nascita del metodo quantitativo
Fra i trattati più diffusi in questo periodo, quelli di argomento
mineralogico e metallurgico giocarono un ruolo di estrema importanza. Un ampio
spazio veniva dedicato alle tecniche di analisi delle rocce per valutarne il
contenuto in metallo: ciò richiese l'uso di nuovi strumenti, come le bilance di
precisione, e lo sviluppo di metodi quantitativi. Anche gli studiosi di
medicina cominciarono a sentire la necessità di conoscere con maggiore
precisione i dosaggi dei farmaci da somministrare, con la conseguente messa a
punto dei primi metodi chimici per la preparazione dei medicinali.
Studi mineralogici e di medicina vennero trattati unitamente nelle opere dello
scienziato svizzero Theophrastus von Hohenheim, noto con il nome di Paracelso.
Nato in una regione mineraria, questi si dedicò ben presto allo studio dei
metalli e, in contrasto con la scienza del tempo, introdusse la iatrochimica,
una nuova disciplina basata sull'uso di farmaci preparati chimicamente,
gettando le basi per la moderna farmacologia. Paracelso scoprì molti composti,
realizzò nuove reazioni chimiche e modificò la teoria sulla composizione dei
metalli, ipotizzando che fossero costituiti, oltre che dallo zolfo e dal
mercurio, anche da un sale. A proposito della combustione del legno sosteneva
che durante il processo la componente sulfurea bruciava, quella mercuriale
vaporizzava e quella salina andava a costituire il residuo di cenere. I seguaci
della iatrochimica di Paracelso ne mitigarono le teorie più estreme, e
raccolsero le ricette del maestro per la preparazione dei farmaci.
Nel XVI secolo, Andreas Libavius pubblicò il trattato Alchemia, considerato il
primo effettivo libro di testo di chimica, che conteneva una esposizione
razionalizzata e sistematica delle conoscenze iatrochimiche del tempo.
Nella prima metà del XVII secolo, alcuni scienziati cominciarono a studiare le
reazioni chimiche sperimentalmente, senza alcuno scopo di impiego tecnologico,
ma per il loro proprio interesse. Jan Baptista van Helmont, un medico
convertitosi alla chimica, eseguì un importante esperimento utilizzando la
bilancia analitica: dimostrò che una ben precisa quantità di sabbia (silice)
poteva essere fusa con un eccesso di alcali formando vetro solubile e che
questa sostanza, trattata con acidi, riusciva a rigenerare la sabbia
nell'esatta quantità iniziale. Venivano in questo modo gettate le basi per il
principio di conservazione della massa. Van Helmont dimostrò anche che in molte
reazioni si liberava un "fluido aereo", che chiamò gas, intuendo
l'esistenza di un nuovo stato d'aggregazione della materia, quello aeriforme.
La teoria atomica
Durante gli esperimenti condotti nel XVI secolo si scoprì come ottenere
il vuoto, cosa che Aristotele aveva considerato impossibile. Questo risultato
richiamò l'attenzione sull'antica teoria di Democrito, secondo la quale la
materia era costituita da atomi che si muovevano nel vuoto. Il filosofo e
matematico francese René Descartes, conosciuto con il nome di Cartesio,
sviluppò una teoria compiuta che spiegava i fenomeni naturali in base alla
dimensione, alla forma e al moto degli atomi. Si gettarono inoltre le basi per
la teoria cinetica molecolare dei gas: grazie a esperimenti sull'elasticità dell'aria,
il chimico e fisico britannico Robert Boyle formulò una delle leggi
fondamentali dei gas, oggi nota con il suo nome, nella quale esprimeva la
relazione di proporzionalità inversa tra pressione e volume di un gas.
La teoria del flogisto
Nella seconda metà del XVII secolo, il medico, economista e chimico
tedesco Johann Joachim Becher, basandosi sulle teorie di Paracelso, compì le
prime osservazioni che portarono all'elaborazione di una nuova teoria chimica:
la teoria del flogisto. Secondo questa teoria, sviluppata da Becher e dal suo
discepolo Georg Ernst Stahl, tutte le sostanze contengono un costituente
particolare, detto flogisto (dal termine greco che significa
"infiammabile"), che viene liberato durante la combustione. Anche
l'ossidazione dei metalli veniva considerata una combustione e perciò era
interpretata come rilascio di flogisto da parte del materiale; l'ossido di un
metallo, scaldato in presenza di carbone, recuperava il flogisto e ricostituiva
così il metallo. Questa teoria, per quanto errata, costituisce il primo
tentativo di interpretazione razionale dei processi ossidoriduttivi.
La chimica nel XVIII secolo
Grazie al grande numero di reazioni chimiche ormai note, gli studiosi
si resero conto che esistevano delle "affinità" tra le diverse
sostanze, ossia che determinati materiali reagivano più facilmente con alcuni
composti piuttosto che con altri. Queste osservazioni vennero raccolte in
tabelle che permettevano di prevedere l'esito di una reazione in base alle
affinità dei reagenti, prima ancora di effettuare l'esperimento in laboratorio.
Nel corso del XVIII secolo, facendo uso di queste conoscenze, vennero isolati
molti metalli, di cui furono studiati i derivati. Contemporaneamente ci fu lo
sviluppo di nuovi metodi per le analisi qualitative e quantitative, ponendo i
presupposti per lo sviluppo della moderna chimica analitica.
Anche lo studio chimico dei gas iniziò a essere affrontato in modo più rigoroso
dopo l'invenzione, da parte del fisiologo britannico Stephen Hales, di uno
strumento che permetteva di raccogliere i gas sviluppati durante una reazione
chimica in un contenitore chiuso, in assenza di aria, e di misurarne il volume.
Un importante risultato nell'ambito della ricerca sui gas venne ottenuto nel
1756 per merito dello scienziato britannico Joseph Black. Studiando la reazione
di decomposizione del carbonato di magnesio, egli osservò che il riscaldamento
del composto sviluppava rilevanti quantità di gas, lasciando un residuo che
chiamò magnesia calcinata (ossido di magnesio); in seguito, dalla reazione di
questa sostanza con carbonato di sodio, si otteneva il sale di partenza. Black
chiamò il gas che si sviluppava (il composto oggi noto come diossido di
carbonio) "aria fissa", perché era come "intrappolata"
all'interno del carbonato. In questo modo veniva per la prima volta dimostrato
che i gas erano sostanze in grado di prendere parte a reazioni chimiche.
Un secondo passo verso lo sviluppo della chimica moderna si ebbe con la
scoperta dell'idrogeno, inizialmente chiamato "aria infiammabile", da
parte del chimico Henry Cavendish. Questi introdusse inoltre delle nuove
tecniche per isolare i gas liberati durante le reazioni chimiche, fornendo al
chimico e teologo Joseph Priestley gli strumenti per scoprire nuovi elementi gassosi,
tra i quali l'ossigeno. Priestley intuì che questa sostanza era il costituente
dell'aria coinvolto nei processi di combustione e di respirazione: tuttavia,
convinto che le sostanze bruciassero meno rapidamente in presenza di ossigeno
piuttosto che di aria, ritenne questo gas povero di flogisto, e gli diede il
nome di "aria deflogisticata".
L'esatto ruolo dell'ossigeno nelle reazioni di combustione venne definito dal
chimico francese Lavoisier, che diede all'elemento il nome attuale.
La nascita della chimica moderna
Con una serie di esperimenti, Lavoisier dimostrò che l'aria contiene il
20% di ossigeno e che la combustione è dovuta alla reazione di questo elemento
con la sostanza combustibile, negando perciò l'esistenza del flogisto.
Lavoisier diede inoltre la prima definizione di elemento chimico (una sostanza
che non può essere ulteriormente decomposta) e diede una prima versione della
legge di conservazione della massa. A seguito delle sue scoperte sulla
combustione, riformò la nomenclatura chimica, ai tempi ancora basata sugli
antichi termini alchimistici, introducendo le denominazioni sistematiche in uso
ancora oggi. Dopo il suo assassinio, avvenuto nel 1794 per mano dei giacobini,
i suoi discepoli proseguirono l'opera fondamentale iniziata dal maestro, ponendo
le basi della chimica moderna. Poco più tardi, il chimico svedese Jöns Jakob
Berzelius propose di indicare gli elementi con le prime lettere dei loro nomi
latini, come si fa tuttora.
La chimica del XIX e del XX secolo
Gli sviluppi della chimica analitica permisero al chimico francese
Joseph-Louis Proust di dimostrare che gli elementi costituiscono ciascun
composto secondo un rapporto definito e costante. Nello stesso periodo, il
chimico e fisico francese Joseph-Louis Gay-Lussac scoprì che i rapporti dei
volumi con cui i gas reagiscono sono numeri interi, di solito piccoli (legge
delle combinazioni gassose). Mancava tuttavia una giustificazione teorica di
queste osservazioni.
Nel 1803, lo scienziato britannico John Dalton propose una teoria atomica
secondo la quale ogni elemento era costituito da atomi di massa e dimensioni
ben precise. Basandosi solo sulla legge delle proporzioni definite e costanti,
Dalton non aveva informazioni sufficienti per definire le formule dei composti
in modo assoluto: assegnò perciò arbitrariamente peso atomico unitario
all'idrogeno e calcolò il peso atomico relativo dell'ossigeno dai rapporti di
combinazione, assumendo per l'acqua la formula HO; applicando la stessa
procedura ad altri composti ottenne i pesi atomici relativi di tutti gli
elementi allora noti. Dalla teoria atomica, egli dedusse la legge delle
proporzioni multiple: se due elementi diversi formano più di un composto, le
quantità in peso del primo elemento che si combinano con una quantità fissa del
secondo stanno tra loro come numeri interi. Questa previsione venne ben presto
avvalorata dai risultati sperimentali.
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