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Fu alla fine del Settecento ed all'inizio dell'Ottocento, cioè proprio quando la cultura popolare tradizionale cominciava a scomparire, che il "popolo" ed il "folklore" divennero materia d'interesse fra gli intellettuali europei

comunicazione



Fu alla fine del Settecento ed all'inizio dell'Ottocento, cioè proprio quando la cultura popolare tradizionale cominciava a scomparire, che il "popolo" ed il "folklore" divennero materia d'interesse fra gli intellettuali europei. In quel periodo apparvero raccolte di canti popolari. Herder enunciò per primo le idee che soggiacciono all'espressione "canto popolare"; egli affermò, nel saggio del 1778 sull'"influsso della poesia sui costumi dei popoli nei tempi antichi e moderni", che la poesia aveva posseduto un'efficacia (lebendige Wirkung), ora perduta; a conservare l'efficacia dell'antica poesia sarebbe stato soltanto il canto popolare, che circolava oralmente, aveva un accompagnamento musicale. In un saggio sulla saga dei nibelunghi, Jakob Grimm osservava che l'autore del poema era ignoto "come è normale in tutti i poemi nazionali, dato che essi appartengono al popolo intero. I paesi mediterranei furono in ritardo rispetto a questo movimento. Tale interesse per i più svariati generi della letteratura tradizionale, faceva a sua volta parte di un movimento ancora più vasto: la "scoperta del popolo". Ci fu la scoperta della religiosità popolare, della feste popolari, della musica popolare (Haydn curò arrangiamenti di canti popolari scozzesi). I viaggiatori andavano alla ricerca di usi e costumi, con una predilezione per quelli più semplici e selvaggi.

La maggior parte degli scopritori proveniva dalle classi più elevate, per le quali il popolo rappresentava un soggetto misterioso. Per alcuni intellettuali, alla fine del Settecento, il popolo rappresentava una sorta di interesse esotico; all'inizio dell'Ottocento, invece, ci fu un vero e proprio culto del popolo. Il principale motivo, d'ordine estetico, di tale interesse era la ribellione nei confronti dell'arte. Il fascino dell'esotico consisteva nel fatto di essere selvaggio, naturale, libero dalle norme del classicismo. Il teatro delle marionette era oggetto d'interesse proprio perché le famose unità aristoteliche di azione e tempo, viste come limitazioni alla fantasia dell'artista, venivano ignorate. Il fascino esercitato dal "primitivo" è rintracciabile nella moda dell'Ossianismo. Ossian (Oiséan McFinn) era un bardo gaelico, le cui opere vennero "tradotte" nel 1760 da James McPherson; esse godettero una vastissima fama. La scoperta della cultura popolare faceva parte di un movimento di primitivismo culturale, nel quale l'antico ed il popolare finivano per identificarsi; questo movimento rappresenta una reazione all'Illuminismo, al suo elitarismo, al suo rifiuto della tradizione, all'enfasi posta sulla ragione. La scoperta della cultura popolare fu strettamente legata al sorgere del nazionalismo. Il primo importante raccoglitore italiano di canti popolari fu Niccolò Tommaseo. La scoperta della cultura popolare ebbe luogo perlopiù nei paesi che erano, per così dire, alla periferia culturale dell'Europa; Italia, Francia, Inghil 949d35j terra da tempo avevano ormai letterature nazionali, ed una lingua letteraria: questi paesi avevano "investito" nel Rinascimento, nel classicismo, nell'Illuminismo più di altri paesi, e perciò furono più restii ad abbandonare i valori di tali movimenti. Del resto, l'interesse non comportava necessariamente simpatia, come dimostra l'uso frequente di termini come "pregiudizi" o "superstizione".



La cultura popolare a cavallo del Settecento e dell'Ottocento era una cultura in via d'estinzione; anche prima dell'avvento della rivoluzione industriale, la crescita delle città, lo sviluppo delle vie di comunicazione e la diffusione della letteratura avevano cominciato ad indebolire la cultura popolare. Questa combinazione di poesia e studio del passato presenta però un grave inconveniente: i poeti possiedono troppa inventiva per essere degli editori attendibili; il caso più famigerato è proprio quello di McPherson: dopo aspre controversie, una commissione venne incarica di indagare sulla questione; il risultato fu che nessuno aveva mai sentito parlare di Ossian, ma che molti avevano udito passaggi simili a quelli di McPherson. Il quale aveva raccolto i canti della tradizione orale, ed aveva riunito di sua invenzione questi frammenti a formare un'epica primitiva. Secondo Wolf, questo è quanto avrebbe fatto anche Omero col materiale tradizionale dell'Iliade e dell'Odissea. Per il loro celebre libro di Fiabe, i Grimm raccolsero storie della tradizione orale, ma non pubblicarono esattamente ciò che avevano raccolto, per il semplice motivo che quelle storie circolavano in dialetto, mentre i Grimm le tradussero in tedesco! Bisogna sottolineare quanto andò perduto , in quanto la traduzione comportava necessariamente delle distorsioni. Nel campo della musica popolare, le modifiche apportate furono particolarmente evidenti, poiché la musica doveva essere scritta secondo un sistema di convenzioni inadatto a musiche di quel tipo, doveva essere inoltre "armonizzata": il che sottintendeva modifica deliberata. Non è possibile stabilire se ciò che si vede sia quello che esisteva in origine, quello che il restauratore ha ritenuto ci fosse in origine, quello che pensava ci sarebbe dovuto essere, oppure quello che pensava dovesse esserci ora. Ciò che si può criticare agli intellettuali dei primi dell'Ottocento, è la scarsa capacità di fare distinzioni: essi non distinguevano fra primitivo e medievale, urbano e rurale; amavano paragonare le società contadine alle società tribali, parallelo spesso illuminante, ma talvolta assai fuorviante. La cultura popolare non fu un fenomeno monolitico od omogeneo, essa fu, al contrario, estremamente varia.

Nella maggior parte dell'Europa esisteva una duplice stratificazione, culturale e sociale. Vi era una minoranza in grado di leggere e scrivere, ed una maggioranza che non era in grado di farlo. Secondo quanto suggeriva Redfield, in alcune società vi sarebbero due tradizioni culturali: una "grande tradizione", proprietà delle persone istruite, ed una "piccola tradizione", di tutti gli altri (le persone prive di istruzione, illetterate, non appartenenti all'elite). "Le due tradizioni sono tuttavia interdipendenti: ambedue si sono a lungo influenzate. La grande epica si è formata a partire dagli elementi delle singole narrazioni tradizionali e, a sua volta, ha fatto ritorno nel mondo contadino, per modificarsi ancora ed immergersi nuovamente nelle culture locali". Del resto, il modello di Redfield è, paradossalmente, sia troppo restrittivo, che troppo generico; 1) troppo restrittivo perché non tiene conto della partecipazione dei ceti superiori (anche del clero del Cinquecento) alla cultura popolare (v. Carnevale); a causa di ciò, dobbiamo considerare il fatto che, nella prima parte del periodo considerato, molti appartenenti alla nobiltà ed al clero, non sapevano né leggere né scrivere, proprio come i contadini; essi erano dunque tagliati fuori dalla "grande tradizione"; come le nobildonne, per le quali erano assai rare le possibilità di godere di un'istruzione superiore, potremmo anzi considerarle quali mediatrici fra il gruppo elitario e quello non: i nobili colti serbarono il contatto con la cultura popolare per il tramite di madri, sorelle, spose e figlie. Inoltre, per l'elite, le due tradizioni avevano funzioni psicologiche diverse: la grande tradizione era una cosa seria, quelle piccola un gioco; una cosa simile accade oggi in Nigeria, dove ai componenti dell'elite di lingua inglese, l'educazione di stampo occidentale non impedisce di partecipare alla propria cultura tribale tradizionale (v. formazione del pidgin english). 2) troppo generico dal momento che la "piccola tradizione" è troppo variegata, per poterne parlare al singolare; ci sono vari tipi di cultura popolare, ed è impossibile stabilire dove finisce una e dove comincia l'altra. Per gli scopritori della cultura popolare, il popolo era quello dei contadini; ma la loro cultura era forse uniforme? Esistevano contadini ricchi e contadini poveri (differenza censitaria), contadini di pianura e contadini di montagna (differenza ambientale), contadini agricoltori e contadini allevatori o pastori (differenza attitudinale). Inoltre esistevano anche altre figure legate al mondo della campagna: i taglialegna, i carbonai, i cosacchi (contadini, soldati e predoni assieme), i minatori; c'erano gli artigiani: i maniscalchi, i falegnami, i muratori, i tessitori ed i calzolai (con più tempo libero). Ogni arte aveva la sua subcultura specifica. Per non parlare della sottodistinzione, comune a quasi tutte le arti, dei lavoratori in apprendisti, avventizi e, infine, maestri. Inoltre c'erano i girovaghi: soldati, marinai (pescatori, battellieri), mendicanti e ladri. Esistevano poi le varianti religiose: gli anabattisti, gli ugonotti, i quaccheri, gli ebrei, i musulmani, gli zingari. E le donne, le quali spesso non avevano nulla a cui spartire con la subcultura d'appartenenza del marito, e si riunivano per filare, cantare e raccontarsi storie, trovando spesso nella religione più fortemente mistica, il solo modo per potersi esprimere. Tutte le subculture sopra citate, si frammentano per ultimo in un'infinità di varianti regionali o provinciali: trattandosi di sistemi a confini non rigidi.

Per Swift le "opinioni, come le mode, sempre discendono dalle persone di qualità, a quelle di media estrazione, e da queste al popolo, dove alla lunga vengono smesse e scompaiono". Herder e Grimm, invece, erano del parere che la creatività provenisse dal basso. I folcloristi tedeschi di inizio Novecento rivalutarono, peraltro, la prima ipotesi: la teoria della "discesa". Vi sono però esempi di temi che, nel corso dei secoli, si sono spostati in avanti ed all'indietro fra le due tradizioni (v. cultura pastorale o caccia alle streghe). Queste interazioni fra la cultura dotta e quella popolare erano facilitate dal momento che esisteva una categoria di persone culturalmente a metà strada tra la grande tradizione e la piccola ; il limite discriminante non era, come verrebbe facile pensare, la conoscenza del latino: si trattava piuttosto di una vera e propria terza cultura, la cultura popolareggiante; di questa sono esempi i chapbooks inglesi, che racchiudevano al loro interno edizioni ridotte di Moll Flanders e Robinson Crusoe, e che rispondevano alle esigenze di un pubblico che non poteva "permettersi" , nel senso più ampio del termine, le edizioni integrali. La spina dorsale di questa cultura potrebbero essere stati i tipografi avventizi.

Tra il 1500 ed il 1650 si utilizza l'espressione "riforma della cultura popolare", per indicare il tentativo sistematico di alcune persone appartenenti all'elite culturale (soprattutto al clero), di modificare i valori del resto della popolazione; questo movimento ebbe sostanzialmente due aspetti, l'uno positivo e l'altro negativo: da un lato soppresse e purificò molti elementi della cultura popolare tradizionale, dall'altro portò la riforma cattolica e protestante a livello degli artigiani e dei contadini. I riformatori si opposero sia a forme della religione popolare, sia a forme della cultura popolare secolare; i loro attacchi si concentrarono sul Carnevale, poiché in esso si riassumevano gran parte degli elementi considerati riprovevoli dagli "zelanti"; i riformatori muovevano due obiezioni alla cultura popolare (e, in particolare, al Carnevale): in esso si trovavano tracce dell'antico paganesimo (il Carnevale veniva paragonato agli antichi Bacchanalia), ed il popolo si lasciava andare ad atteggiamenti troppo licenziosi, irriverenti, blasfemi, che producevano occasioni di peccato (l'albero della Cuccagna era un simbolo fallico, le danze un incitamento alla fornicazione). Nodo cruciale fu l'insistenza dei riformatori sulla separazione tra sacro e profano, essi si impegnarono a cancellare la tradizionale familiarità popolare con l'argomento sacro. Inoltre le feste erano viste come spreco di tempo e di denaro. I riformatori cattolici e protestanti non seguirono linee comuni; la riforma cattolica voleva dire purificazione, quella protestante soppressione; i cattolici diffusero il culto delle immagini, i protestanti si lasciarono andare a vera e propria furia iconoclasta. Peraltro i luterani si rivelarono più "morbidi" dei seguaci di Zwingli o di Calvino.

In seguito i riformatori si resero conto di non avere alcuna possibilità di successo, se non avessero sostituito in qualche modo la loro cultura; gli ecclesiastici si adoperarono perciò, per dare al popolo una cultura nuova di zecca. Per i protestanti, la cosa più importante era che la gente comune potesse disporre di una versione comprensibile della Bibbia; da qui la nascita, anzi l'esplosione, delle bibbie in volgare, che rappresentarono un fenomeno culturale di prima grandezza; nel Settecento il tasso di alfabetizzazione era molto più alto nell'Europa protestante, piuttosto che in quella cattolica od ortodossa, dove la Bibbia rimase rigorosamente in latino. Un elemento centrale della cultura popolare protestante era il catechismo, quello che Lutero, egli stesso autore di un famosissimo catechismo, definì "una Bibbia per l'uomo comune". Altri libri di devozione divennero dei veri e propri best-sellers: "The plain mean's pathway to heaven" di Arthur Dent oppure "The pilgrim's progress" di Bunyan. Lutero modellò inni su canzoni popolari, in una sorta di parodia devota del profano, quando l'esatto contrario era alla base di gran parte della originaria cultura popolare. Da tempo, del resto, aveva preso piede la cosiddetta dottrina dell'"accomodamento", cioè della conversione, non distruzione, della cultura popolare; ciò spiega come una festa pagana come il solstizio d'inverno sia potuta sopravvivere come Natale cristiano.

Per complicare ulteriormente le cose i riformatori cattolici condussero una lotta su due fronti: contro i protestanti (Controriforma) da un lato, e contro la superstizione dall'altro.

Nella seconda parte della Riforma (1650-1800), l'azione passò nelle mani dei laici; con ciò si ebbe la nascita di gruppi di riformatori spesso con intenzioni e motivazioni diverse; cosicché in zone periferiche sopravvissero forme di cattolicesimo preriformistico. Anche nel mondo protestante si assistette allo stesso fenomeno: anzi, in certe zone montuose della Norvegia sopravvissero culti perfino pagani per tutto il Settecento; inoltre la riforma nella riforma causò la nascita del movimento pietista, parallelo protestante del giansenismo. Una delle differenze più vistose fra le due fasi ella riforma riguarda soprattutto il soprannaturale; i primi riformatori avevano creduto nei poteri della magia; al contrario, quelli della seconda fase non presero più sul serio la stregoneria. Spesso però le cose non andarono come nei progetti dei riformatori (raggiungere il popolo e portare tutti con sé nella verità cristiana); infatti, in pratica, le riforme allargarono la forbice tra piccola e grande tradizione; questo perché le riforme influirono più rapidamente sulla minoranza colta, e finirono per tagliar fuori questa minoranza dalle tradizioni popolari.

La cultura del tempo venne inoltre influenzata anche dai vasti cambiamenti economici, sociali e politici; su tutti, l'aumento demografico (e la conseguente urbanizzazione) e la cosiddetta "rivoluzione commerciale" cioè la nascita del capitalismo commerciale (e la conseguente rivoluzione delle comunicazioni). Sarà interessante notare come la rivoluzione commerciale abbia condotto ad un'età d'oro della cultura popolare tradizionale (almeno della cultura materiale), prima che la rivoluzione commerciale unitamente a quella industriale finisse per annientarla. Un primo fenomeno responsabile della trasformazione della cultura materiale, è l'impressione che i contadini  d'Europa possedessero più oggetti e di miglior fattura, e che l'aristocrazia contadina potesse permettersi cose che un tempo avrebbe costruito da sé. Un secondo fenomeno è il cambiamento dei modelli di produzione; il processo venne standardizzato, per soddisfare l'aumentata domanda; la stessa cosa avvenne negli spettacoli, e l'esempio più evidente è il circo, dove le dimensione della tradizione lasciò il posto alla dimensione dell'organizzazione. Nelle principali cità il processo di rinnovamento sociale pare abbia condotto ad un arricchimento della cultura popolare; nelle regioni periferiche, invece, lo stesso processo conduse ad un impoverimento culturale; le abitudini industriali soppiantarono il divertimento che scaturiva dall'ascolto della narrativa leggendaria o delle ballate eroiche.

L'esempio più ovvio di commercializzazione della cultura popolare non può essere che il libro stampato; gli storici hanno stabilito che nell'Europa preindustriale una considerevole minoranza del popolo sapeva leggere, e che inoltre gli artigiani erano più istruiti dei contadini, gli uomini delle donne, i protestanti dei cattolici, gli (europei) occidentali dagli orientali. I riformatori laici temevano che l'educazione avrebbe reso la povera gente insoddisfatta delle proprie condizioni di vita (v. Voltaire), mentre gli ecclesiastici vedevano l'istruzione come un passo avanti sulla strada della salvezza. In ogni caso, la carta stampata era all'epoca accessibile ad un buon numero di artigiani e contadini, superate le difficoltà legate alla distribuzione (fiere), al prezzo (libri di poche pagine) ed all'accessibilità linguistica (lessico elementare). Un limite della stampa di quell'epoca era il contenuto (coincidente in massima parte col repertorio orale) e l'immobilità (gli stessi almanacchi presentavano minime variazioni da un anno all'altro). Nei libretti popolari sono però riscontrabili le tracce di due graduali mutamenti: la secolarizzazione e la politicizzazione. La prima può essere distinta in forte e debole; la secolarizzazione forte è il rifiuto della religione tout court; la secolarizzazione debole, invece, si può definire come l'espressione dei timori e delle speranze umane in termini sempre più terreni; esempi celebri di quest'ultima sono i libretti popolari inglesi, dove alcune storie suonano come il sostituto profano dei libri di devozione, dove "Robinson Crusoe" e "Moll Flanders" possono essere interpretati come pellegrinaggi secolarizzati; un altro libretto "Hocus Pocus" svelava i trucchi di prestigiatori e giocolieri, dimostrando che essi non avevano nulla di magico.

Per quanto riguarda almeno l'Europa occidentale, artigiani e contadini si trovarono, tra Riforma e Rivoluzione Francese, ad avvertire un coinvolgimento politico sempre maggiore ; si formò una coscienza politica unitamente ad un'opinione pubblica ed ad un atteggiamento critico nei confronti delle scelte dei governanti. Lo scoppio delle Guerra dei Trent'anni coincide con la comparsa di un nuovo mezzo di comunicazione, atto ad esprimere gli atteggiamenti politici: il giornale; questo anche in conseguenza del fatto che la politica interferiva maggiormente nella vita della gente (coercizione militare e fiscale più gravosa), e le informazioni potevano circolare più liberamente. La diffusione andava ovviamente di pari passo con l'interesse, e non era raro vedere capannelli di analfabeti, riuniti ad ascoltare la lettura del giornale attorno ad uno che sa leggere. Del resto gli analfabeti potevano lo stesso seguire gli avvenimenti, guardando le incisioni, molto diffuse all'epoca.

Intorno al 1800 il clero, i nobili, i mercanti ed i professionisti (e le rispettive donne), avevano ormai abbandonato la cultura popolare; il clero si ritirò come conseguenza del fenomeno più vasto di Riforma e Controriforma, ed inizio a reclutare i propri elementi dalle università, per aumentare lo iato tra sacerdote e "pecorelle". Per i nobili e borghesi la Riforma rivestì un'importanza minore che non il Rinascimento, ed i nobili stavano già adottando modi più raffinati, sul modello del "Cortegiano" di Baldassarre Castiglione; questi cambiamenti avevano anche una funzione sociale, poiché da quando i nobili iniziarono a perdere il loro peculiare ruolo militare, dovettero trovare nuovi tipi di legittimazione dei propri privilegi, e si sentirono perciò in dovere di dimostrare la loro diversità dal resto della gente. Inoltre, i modi raffinati della nobiltà vennero imitati da funzionari, mercanti e vaste schiere di arrampicatori sociali, desiderosi di passare per aristocratici. Da ultimo, il ritiro di questi gruppi sociali incluse anche quello delle rispettive mogli e figlie, le sole che un tempo svolsero funzione di mediazione. In certe zone d'Europa l'adesione a questo fenomeno passò attraverso perfino l'uso di una lingua diversa da quella parlata dal volgo: due lingue, insomma, per due culture. Si può parlare di conclusione del Medioevo, secondo un famoso studioso, solo nel momento in cui gli uomini più colti smisero di dare importanza alle profezie; in generale, ciò avvenne grossomodo dal 1600 in poi (da allora solo le profezie della Bibbia mantennero un certo credito, e poi nemmeno dappertutto.). Nel corso del Settecento il divario si accentuò ulteriormente: la formulazione degli ideali linguistici e letterali del classicismo francese comportò il rifiuto della maggior parte delle canzoni popolari tradizionali, in quanto irregolari e barbare; i nobili, inoltre, abbandonarono in misura sempre maggiore la campagna per ritirarsi, nel vero senso della parola, in città; nella Francia meridionale i più istruiti parlavano francese, e non occitano. Spiegazione di fondo a tutto ciò si può ricercare nei rapidi cmabiamenti che la cultura europea visse tra il 1500 ed il 1800, passando attraverso il Rinascimento, la Riforma e la Controriforma, la Rivoluzione scientifica e l'Illuminismo; la cultura popolare, pur non rimanendo del tutto immobile, non poté cambiare così in fretta.

Paradossalmente, però, all'accentuarsi del divario fra le due culture, alcuni intellettuali presero a considerare le canzoni, le credenze e le feste popolari come dei fenomeni esotici, pittoreschi, affascinanti e degni d'essere raccolti e conservati. È come se le persone di cultura cominciassero ad avvertire il bisogno di fuggire dal mondo disincantato e dall'universo intellettuale cartesiano in cui erano costretti a vivere: fu precisamente il meraviglioso, ciò che si sottrae alla scienza, ad attrarli, così come attraeva gli storici della "superstizione". Se riandiamo con lo sguardo ai tre secoli di cui s'è parlato, troviamo che il mutamento presso gli uomini di cultura fu davvero notevole: se nel 1500, infatti, essi disprezzavano la gente del popolo, ma ne condividevano la cultura, nel 1800, invece, i loro discendenti avevano smesso di partecipare spontaneamente alla cultura popolare, ma erano sul punto di riscoprirla come qualcosa di esotico e, perciò, interessante. Essi cominciavano, anzi, ad ammirare quello stesso popolo, dal quale questa cultura profondamente diversa traeva origine.




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