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Descrizione di una battaglia - i rituali del calcio - SPORT ED ECCITAZIONE COLLETTIVA

comunicazione



Descrizione di una battaglia - i rituali del calcio

Alessandro Dal Lago


Sono cambiate probabilmente le forme della violenza legata al calcio; è certo però che la violenza non è una perversa invenzione di questi ultimi anni. Esiste certamente una violenza sociale nel calcio, ma esiste anche una retorica della violenza. La retorica non consiste nel denunciare la violenza, ma nel nutrirsi del suo mito. Ogni epoca denuncia la propria crisi attribuendola alla mancanza di valori dei membri più giovani della società, e al loro comportamento antisociale. Il fascino del calcio potrebbe dipendere anche dal suo contenere essenzialmente (e cioè, da sempre) la possibilità rituale di violenza. Violenza rituale significa "trasformata", "celebrata", "simbolica", e quindi non necessariamente praticata. Il gioco del calcio costituisce per un gran numero di praticanti, spettatori e appassionati, una autentica sottocultura, ovvero un sistema o sottosistema di simboli che orienta riti specifici, dotato di linguaggi specifici e capace di promuovere comportamenti specifici.


CAPITOLO I - SPORT ED ECCITAZIONE COLLETTIVA

Sport e razionalizzazione

Sport: in origine designava principalmente un'attività ricreativa; include oggi qualsiasi attività ludica di tipo agonistico, individuale o di squadra, dilettantesca o professionistica.



I giochi e le feste hanno pressoché perso ovunque, nelle società occidentali, le caratteristiche trasgressive originarie. L'eccitazione come fenomeno di massa legittimo è rintracciabile oggi solo in alcuni riti di massa, come la festa di San Fermìn a Pamplona o il palio di Siena. Ciò è dovuto al carattere puramente formale e commerciale che le feste pubbliche hanno assunto nel mondo moderno, ma soprattutto al progressivo addolcimento degli sport: da un lato sono progressivamente scomparsi quegli sport incompatibili con una sensibilità sociale ed estetica moderna (combattimenti di galli o di cani); dall'altro negli sport praticati e popolari ma realmente o virtualmente violenti (pugilato) sono state introdotte regole che limitano la violenza diretta sugli avversari. Questa umanizzazione degli sport non ha soltanto di mira l'integrità fisica degli atleti, ma la percezione morale della violenza e del pericolo da parte del pubblico. E' il carattere intenzionale del pericolo o della violenza che viene progressivamente ridotto, ma non il pericolo o la violenza in quanto tale.

Calcio e ambivalenza emotiva

Da un lato si tende a rimuovere ogni occasione non controllata di pericolo o violenza gratuita; dall'altro si razionalizzano come normali, fatali o necessari, i rischi intrinseci allo sport (corse automobilistiche).

La recente evoluzione delle norme arbitrali mira soprattutto alla sterilizzazione del gioco, ad eliminare dall'evento sportivo l'emotività, l'espressione immediata dei sentimenti.

La stampa interpreta, amplificandoli, il bisogno di consumare emozioni in un contesto in cui le emozioni e la loro espressione non sono riconosciute come legittime.

Il calcio come fatto sociale totale

Il calcio è un "fatto sociale totale" cresciuto intorno al gioco. Con la nozione di "fatto sociale totale" si intende non solo le necessità di integrare nell'osservazione della società una molteplicità di elementi (cognitivi, giuridici, economici, politici, etc.) e la loro connessione, ma anche il riflesso di questa complessità nelle esperienze individuali. In nessuna realtà sociale come quella del calcio, questa nozione di Mauss si rivela utile. L'assistere a una partita di calcio integra un attore in un groviglio di realtà sociali, economiche, simboliche, ludiche e perfino politiche che fanno"sistema" e trovano la propria espressione completa nello stadio. Per questo potremmo definire il calcio come fatto sociale "integrale".

Il calcio è :

attività economica, investimenti leciti e illeciti (totonero, bagarinaggio);

campo di investimenti simbolici (prestigio per i dirigenti, starship per giocatori e allenatori);

oggetto di desiderio su cui gli attori sociali investono passioni ed emozioni, riorganizzano stabilmente e periodicamente il significato di una parte non trascurabile della propria esistenza.

Questi piani (materiale, simbolico, affettivo) sono interdipendenti.

Il calcio è uno spettacolo sociale che può divenire il simbolo di ben altri giochi sociali e politici. Una squadra competitiva sul piano strettamente sportivo diviene il simbolo, l'immagine trasfigurata di una intera città o comunità (Napoli - rivalsa del sud contro il nord).

L'uso del calcio come veicolo di prestigio politico o di pubblicità è vecchio quanto questo sport (fascismo, dittatori argentini).

Il fatto nuovo di questi ultimi anni è il ruolo crescente del pubblico come soggetto attivo: più il calcio acquista le caratteristiche di un campo di investimenti emotivi, sociali e politici, tanto più diviene una ribalta per gli attori in grado di apparirvi; costituisce per spettatori e tifosi una straordinaria occasione di essere visibili.

Tre ipotesi sulla logica dei tifosi organizzati

1. In quanto sport di squadra, che permette identificazioni con determinati simboli, il calcio promuove una divisione del mondo, in particolare dei tifosi, in amici e nemici.

Due modalità: quella linguistica del commento e quella attiva del pubblico.

L'opposizione simbolica trascende le tradizionali divisioni politiche e ideologiche e le differenze di ceto o di status. Proprio perché l'identificazione in una squadra non ha ragioni prevalenti legate a un'appartenenza sociologica, etnica o politica giustificabile, riaffermare la propria adesione è un gioco interminabile e aperto, che può essere riempito di qualsiasi contenuto. La metafora dominante del calcio è la divisione amico/nemico, una variante ritualizzata della metafora bellica (terminologia di tipo militare).

2. Una partita non è solo l'incontro tra due squadre di calcio. Per i tifosi organizzati di una squadra, la partita è l'occasione di un confronto rituale amici/nemici, che può trasformarsi, in circostanze determinate e ritualmente prevedibili o ordinate, in scontro fisico.

L'intensità di questa celebrazione o rito e la forma bellica che esso può assume dipendono da un fattore "storico" (le relazioni tradizionali di alleanza o di ostilità prevalenti tra le due tifoserie) ed uno "situazionale" (il comportamento dei due gruppi in relazione a ciò che sta avvenendo in campo). Benché i due fattori interagiscano, è soprattutto il primo che influenza il secondo.

I tifosi organizzati celebrano la metafora della guerra e le loro azioni sono prevalentemente metaforiche, come pure anche le loro provocazioni. In alcuni casi la metafora può non essere compresa (pubblico generico, polizia), e la violenza verbale può trasformarsi in violenza reale.

3. Uno stadio non è solo l'ambiente fisico in cui si gioca la partita. Per i tifosi organizzato è soprattutto la cornice della celebrazione rituale della metafora amico/nemico.

Goffmann: nozione di "cornice": dimensione specifica dotata di particolari regole di rilevanza e di accesso; "provincia di significato".

Uno stadio costituisce una realtà nella realtà, valgono diverse regole, sono parlati diversi linguaggi, verbali e non verbali, si consumano altre esperienze rispetto al mondo della vita. Ciò che i tifosi portano nello stadio - biografie, rappresentazioni, immaginari, tensioni individuali o di gruppo - non viene annullato nella nuova cornice, ma trasformato, soggetto a nuovi codici.


CAPITOLO II - ERMENEUTICA DEL CALCIO

Lo stadio come sistema cognitivo e normativo



Una partita di calcio è anche un'occasione in cui un'autorità legittima (arbitro) decide istantaneamente, in base a un regolamento ufficiale e soprattutto a un sistema di riferimenti cognitivi e morali più o meno taciti e consapevoli, che possono influenzare lo svolgimento della partita.

Il Regolamento è il risultato delle modifiche apportate in base all'evoluzione storica del gioco; esso prevede, accanto a norme costutive dettagliate, norme pratiche che includono valutazioni (percettive, cognitive, morali) immediate da parte dell'arbitro. L'intenzionalità è l'aspetto decisivo di questa regola.

Nel calcio, a differenza che nel basket e nell'atletica, le decisioni dell'arbitro restano valide, anche quando sono palesemente errate. Una partita di calcio è caratterizzata dall'irreversibilità: non è modificabile. La legittimità dell'autorità dell'arbitro non può mai essere messa in discussione. Gli spettatori interpretano ciò che avviene in campo in base alla loro adesione o appartenenza a una parte in gioco (la squadra) e non alla giustizia (formale o informale, tacita o esplicita) a cui è supposta riferirsi l'autorità legittima. L'arbitro è per gli spettatori l'autorità legale ma non legittima. Nello stadio (al contrario dell'aula di un tribunale ...) la contestazione delle decisioni arbitrali sembra essere la norma, e non comporta (entro certi limiti) alcuna sanzione: la contestazione da parte del pubblico è normalmente incorporata nell'evento "partita di calcio", la presenza è legittima. A chi segue la partita in televisione, al contrario di chi la segue nello stadio, il ruolo del pubblico appare del tutto marginale.



Il campo da gioco e il campo del pubblico

Frame: "cornice simbolica" che rende unica una determinata situazione sociale, delimitandola rispetto ad altre situazioni.

All'interno dello stadio, frame principale o dominante, è possibile identificare altre articolazioni o frames.

Si può distinguere tra "cornice pubblica" e "cornice nascosta" (spogliatoi, riscaldamento) di uno stadio. Il passaggio da quella segreta a quella pubblica è regolato in modo minuzioso, anche se informale (rito di coesione: urlo corale, parola d'ordine ...). Diversamente dal basket, nel calcio l'espulsione è una circostanza altamente drammatizzata in termini rituali, ha un vero significato di degradazione pubblica (un giocatore espulso deve raggiungere gli spogliatoi).

La "cornice pubblica" è a sua volta divisa nella cornice "del campo da gioco" e in quella degli "spettatori".

La violazione diretta o indiretta (lancio di oggetti) del campo ha spesso per gli spettatori il significato di una giustizia sostanziale, di una vendetta nei confronti dei tifosi nemici oppure dei giocatori della squadra avversaria.

L'interazione comunicativa tra giocatori e pubblico costituisce un aspetto essenziale della partita. Non solo il pubblico incita i giocatori, ma i giocatori incitano il pubblico perché li inciti.

Interpretazione ed emozione

La relazione critica tra le due cornici è costante in ogni partita di calcio. Ciò che muta è la soglia dopo la quale la protesta può dar luogo a comportamenti violenti. La soglia dipende da numerosi fattori (classifica, importanza dell'incontro, precedenti torti, etc.) ma soprattutto da due fattori: una sequenza di gioco prolungata che si conclude con una decisione fatidica e la compressione (isolamento dei tifosi organizzati, solitamente della squadra ospitata) della cornice in cui sono presenti i tifosi stessi.

Il grado di violenza dipende soprattutto da un conflitto tra sfere di legittimità.

Il carattere indicale (hic et nunc) delle regole a cui l'autorità è supposta riferirsi per interpretare e decidere, rende il dissenso del pubblico un elemento costante, strutturale di una partita di calcio. Gli spettatori non vanno allo stadio per "assistere" a un gioco, ma per manifestare, in base alla loro identificazione in una squadra, il proprio giudizio su ciò che sta avvenendo in campo. Quanto più uno sport che si svolga in pubblico contiene come suo momento essenziale l'interpretazione, in base a certe norme, di ciò che sta avvenendo in campo, tanto più quello sport sarà suscettibile di provocare nel pubblico dissenso sull'interpretazione, contestazione della legittimità delle norme, proteste, perfino comportamenti violenti.

A differenziare il pubblico del calcio da quello di altri sport contribuiscono particolari condizioni storiche o culturali (stampa, media) ma soprattutto la struttura formale e la particolare sequenzialità dei diversi giochi. Nel calcio il grado di fatalità delle singole azioni di gioco è più alto che in ogni altro sport di squadra. L'arbitro è solo a decidere.


CAPITOLO III - ECOLOGIA E POLITICA DELLO STADIO

Lo stadio e il suo pubblico

Disposizione degli spettatori:

tribune o distinti: appassionati, disposti a spendere cifre rilevanti, esibiscono bandiere e striscioni ma la loro partecipazione si limita in genere agli applausi o a qualche grido isolato; (tribune centrali e d'onore: vip, uomini politici). Impunità in tribuna: attiva e passiva.

parterre, spazio recintato che si estende tra il campo e gli spalti: amatori, settore tranquillo, non organizzato, interessato alla prossimità con i giocatori;

popolari o gradinate: tifosi in senso lato, fondamentali per la riuscita dello spettacolo costituito dal pubblico, ma diretto dalla curva. Ruolo di interprete e di giudice di parte.

Le diverse cornici dettano i diversi ruoli, a cui gli attori tendono in linea di massima a conformarsi. I fenomeni di massa come il panico incontrollato sono l'eccezione in uno stadio. Si possono verificare quando la distinzione tra le varie cornici sia confusa o trascurata.

La cultura delle "curve"

Nella curva prendono posto i tifosi organizzati. All'interno della curva i ruoli sono distribuiti secondo una gerarchia di prestigio informale ma rigorosa: capi-coro (capi storici, sincronizzano le azioni della curva e passano quasi tutta la partita con le spalle rivolte al campo), nuclei militanti delle tifoserie, ... La curva è vissuta dagli ultra come il proprio territorio, viene frequentata in base alla fedeltà alla tifoseria ed esistono regole informali ma ferree di inclusione e di esclusione che permettono l'accesso alla cornice della curva.



Il boom delle formazioni ultra avviene in Italia verso la metà degli anni '70, e ciò può spiegare in parte l'adozione di simbologie parapolitiche che riflettevano la grande diffusione di movimenti giovanili extraparlamentari. L'etica degli ultra è integrale. La fedeltà ai colori è il principale loro valore e il contrassegno della loro identità.

Mentre un "amatore" o un "appassionato" può fischiare un giocatore della propria squadra o inveire contro di lui, un ultra non può accettare quello che ritiene un tradimento della bandiera. Ciò costituisce un momento di conflitto tra curva e tribune.

Tutto ciò che può contribuire all'identità della tifoseria, in quanto opposta ad altre tifoserie, viene adottato senza riferimento al significato originario del simbolo (pugni chiusi, teschi, torce, sagome di Che Guevara, pantere, stelle a 5 punte).

Stratificazione degli emblemi adottati:

nomi ed emblemi che riprendevano le denominazioni dei movimenti estremisti o clandestini degli anni '70 (brigate rossonere);

nomi che si richiamano alla cultura inglese e tedesca con insistenza sui significati dell'eroismo, del combattimento (Vikings, Skins);

spirito goliardico, disposizione al "casino" (Skonvolts, Cirrosi Epatica).

Non solo emblemi dal referente politico opposto coesistono da anni nelle stesse curve, ma spesso nelle stesse denominazioni dei gruppi ultra.

L'uso di canti e cori è stato mutuato dai supporters inglesi. I canti e i cori dei tifosi italiani hanno valore e funzione analoghi a quelli dei soldati in marcia.

La cultura delle curve è uniforme, assolutamente omogenea: avendo senso solo nel conflitto istituzionale fra i tifosi organizzati, il linguaggio verbale, musicale e gestuale è obbligatorio, cioè uniforme, in tutti gli stadi. Uniformità significa condivisione dello stesso rito.

Il conflitto tra i vari tifosi ha senso solo all'interno di una cultura (simbolica, gestuale, musicale) totalmente condivisa. La cornice dello stadio non solo attrae, trasforma e utilizza i simboli esterni, ma li pone al servizio di riti di opposizione simbolica stabili, uniformi e in certo senso ossessivi.

I conflitti tra tifosi non sono sociali ma rituali.

L'opposizione simbolica primaria

Ogni generico tifoso di calcio che non tifi per la nostra squadra è passibile di inimicizia, mentre gli ultra delle altre squadre sono passibili di atti di guerra.

Gli amici dei nostri nemici sono nostri nemici, e i nemici dei nostri amici sono nostri nemici: logica delle alleanze.

Esiste una vera e propria memoria storica che alimenta le inimicizie. I giovani tifosi si abituano a coltivare, frequentando i loro colleghi più anziani, l'avversione per le squadre e le tifoserie nemiche.

Mentre le inimicizie possono essere interrotte solo con decisioni vissute come "storiche", i gemellaggi vanno e vengono.

Se un giocatore particolarmente amato viene trasferito alla fine della carriera ad un'altra squadra (solitamente meno forte), la curva tenderà ad adottare la nuova squadra del giocatore. Se questi si trasferisce per motivi "immorali" (soldi, squadra forte) il rancore può giungere all'aggressione fisica.

Trasformazione dei simboli politici

L'identità dell'ultra appare intermittente (si esprime solo la domenica) e transitoria (dalla curva alla tribuna, con l'età), ma non è labile, non viene rinnegata.

E' necessario distinguere tra i simboli politici adottati nella curva e le appartenenze politiche che devono coesistere nella curva. I tifosi subordinano il referente politico a quello dominante nello stadio.

Un aspetto relativamente nuovo alle relazioni tra tifo organizzato e simbologie politiche è costituito dalla comparsa di opposizioni di tipo "razzista" o "etnico", che devono essere comprese all'interno dell'opposizione rituale amico/nemico, e che rientrano nella natura dell'identità del tifoso l'esasperazione verbale del conflitto e l'uso delle iperboli.

Non è escluso però che le logiche rituali apprese e ossessivamente ripetute nelle curve finiscano per tracimare oltre la cornice degli stadi.

La cultura dello stadio non favorisce tanto una politicizzazione più o meno perversa, quanto l'espressione di massa dell'impulso all'esibizione di sé, ad apparire su una scena pubblica.


CAPITOLO IV - ETOLOGIA DEL PUBBLICO

Rituali d'apertura

Una partita di calcio inizia quando i tifosi cominciano ad affluire allo stadio. La partita si situa al culmine di una sequenza di microeventi sociali che coinvolgono lo stadio, i suoi dintorni e alcuni luoghi strategici della città, come le stazioni ferroviarie e della metropolitana.

Le persone esibiscono paramenti rituali. I colori della propria squadra sono anche dipinti sul viso (pellirosse). La presenza dei colori avversari già fuori dello stadio è vissuta come una provocazione inaccettabile.

La pratica di tendere agguati ai tifosi avversari, prima o dopo la partita, risale alla metà degli anni '70.

Nella mezz'ora che precede la gara vengono conclusi i preparativi della disposizione dei tifosi organizzati. L'arbitro viene sempre fischiato dai tifosi della squadra di casa. La lettura delle formazioni e i fischi che commentano il nome dell'arbitro costituiscono l'inizio rituale della partita dal punto di vista dei tifosi.

La sequenza di apertura dello scontro rituale è pressoché fissa:

rituale di presentazione: soverchiare gli slogan o i canti degli avversari. Si riferisce unicamente alla bandiera. Tra le offese rituali è compreso anche l'insulto indiretto, che chiama in causa il nemico di nemici. Schema di "sovrapposizione dei turni". L'intensità dello scontro rituale è determinata dalle relazioni precedenti, storiche, tra le due tifoserie.



commento antagonistico (al fischio di inizio dell'arbitro): commento rituale che le due tifoserie rivali dedicano a quanto sta avvenendo in campo.

Comunicazione e leadership

L'arbitro è oggetto di flussi negativi da parte di tutti i settori dello stadio, nonché, in modo sporadico, dei giocatori delle due squadre. Il pubblico generico non comunica alcun messaggio alla curva di casa. La curva di casa esercita una egemonia comunicativa, interagendo con ogni altro attore o gruppo presente nello stadio.

La curva combatte direttamente il nemico e incita continuamente i propri campioni: per questo incita sporadicamente il pubblico che potrebbe anche raffreddarsi.

La ola ha un valore di celebrazione: esprime la presenza e l'identità collettiva dei tifosi. Spesso si spegne nelle tribune centrali; ciò provoca sempre una bordata di fischi, che però non ha alcun valore sociale o "classista".

Dove gli osservatori esterni vedono una muraglia umana coperta da emblemi di guerra, gran parte del pubblico tradizionale vede una proiezione giovanile di se stesso; in altri termini lo schema amico-nemico è condiviso anche dal pubblico vario.

Razzismo iperbolico: nella cornice autonoma dello stadio, lo schema oppositivo amico/nemico subordina ogni altro contenuto.

Competizione ed esibizione

Gli insulti rituali (determinato dagli stereotipi sessuali della cultura giovanile) sono più dipendenti dal significante che dal significato (leon leon; coglion coglion).

Ogni manifestazione di aggressività è sottoposta a un codice elaborato, e ciò vale anche per i comportamenti individuali. Quando la propria squadra segna un goal, la curva abbandona per qualche minuto la compattezza: si fanno avanti gli arditi, i "pazzi". Il loro tempo è rigorosamente limitato ai momenti successivi ai goal. Subito dopo, i riti collettivi di curva ricominciano con le modalità prescritte.

Finale di partita

Verso la fine, piccoli gruppi di adolescenti si staccano dalla curva di casa. Gioco delle bandiere: tentano di impadronirsi delle bandiere nemiche. Il gioco è doppiamente simbolico: riguarda un simbolo, i colori nemici, e ha il senso della trasgressione di un confine. Il carattere rituale è dato dal fatto che sono i più giovani della curva di casa a tentare.

Il momento in cui però la rappresentazione della metafora non viene compresa è la fine della partita: fuori dallo stadio, raramente si è disposti a considerare ludicamente i giochi di guerra.

Ormai la microviolenza di "banda"è stabilmente associata al calcio . Stereotipi: teppismo, consumo di alcool.

Il vero problema teorico è come i rituali assorbano e controllino la violenza, più che il modo in cui la scatenino.

Il significato palese del rito di guerra è "sacrificare" l'intruso penetrato nel proprio territorio, consacrando la propria supremazia territoriali. Lo sport è una ritualizzazione della caccia: problema della territorialità.

I tipi ideali non hanno valore universale, ma dipendono dai punti di vista. La manganellata del poliziotto è legittima per la società ma non per il suo bersaglio. La bastonata del tifoso violento è del tutto legittima nella logica ultra. Anche la violenza reale ha un valore simbolico.


CAPITOLO V - SULLA VIOLENZA E ALTRI STEREOTIPI

Un mito sociale contemporaneo

La pubblica opinione è il regno del pregiudizio e degli stereotipi. L'idea che leggi severe scoraggino le varie forme di delinquenza è un mito sociale. Circolano maggiori informazione, ma ne vengono alterate le dimensioni, ignorati i contesti, manipolate le proporzioni tra gli eventi. Gli stereotipi trasformano in verità di fatto quelle che sono esigenze o aspirazioni morali. Tra i miti dell'opinione pubblica rientra la "violenza calcistica".


Le dimensioni della violenza

Fin dalle origini questo gioco è stato associato alla violenza degli spettatori. La visibilità sociale della violenza rende palese la sproporzione tra eventi e notizia. Gli incidenti trascurabili sono resi vistosi dai media. Vengono considerate diversamente dal punto di vista morale le morti per incidente sul lavoro o nello stadio.

Fino al campionato 1968/'69 le cronache hanno minimizzato le interpretazioni violente, mentre dal 1974/'75 in poi esse tendono a sopravvalutare i fatti. Negli anni 80 la violenza è uscita fuori dagli stadi e diventa un fatto di esclusiva pertinenza dei gruppi ultrà; mentre le aggressioni all'arbitro o ai giocatori tendono a diminuire, se non a scomparire.

Esistenza di criteri morali autonomi negli adolescenti: se una quota consistente ammette o giustifica la microviolenza, solo una piccolissima percentuale la pratica.

La cosiddetta violenza di banda è quasi esclusivamente ludica, e ha a che fare con meccanismi di esibizione e di emulazione.

Il rilievo pubblico assunto dalla violenza esterna agli stadi dipende dal fatto che è comunque associata a uno spettacolo visibile e vistoso come il calcio.

Mentre molti sarebbero disposti ad assolvere una violenza legata a motivazioni nobili come il mutamento politico e sociale, chissà perché invece il calcio sarebbe un oppiaceo. Atteggiamento pedagogico tipico di alcuni intellettuali secondo cui le masse non dovrebbero svagarsi, ma dedicare il proprio tempo libero ai problemi intellettuali. Le invettive contro lo sport, e il calcio in particolare, illustrano il retroterra culturale su cui può radicarsi il mito morale della violenza del calcio.

Domeniche nella vita

La vera chiave per comprendere la cultura delle curve è costituita dalle relazioni tra valori e simboli della vita seria e valori e simboli del gioco e dello sport. Il significato profondo dei rituali da stadio, individuali o collettivi, va cercato nella nozione di apparire, impulso a rappresentarsi, a esibirsi, che è il fondamento della diversità umana, dell'unicità irripetibile dei singoli e dei gruppi. Le forme dell'apparire sono mutevoli rispetto ai contenuti monotoni della vita sociale. Una parte attiva del pubblico usa il calcio per dei riti di apparenza e di appartenenza.

Saggio di Hannah Arendt anni '60: l'esaltazione della violenza è connessa alla scomparsa, nella società di massa, di autonome possibilità di agire.

Paradossalmente, la violenza inscenata, proprio perché esprime soprattutto un bisogno di esibizione, controlla la possibilità di una violenza estrema o praticata.






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