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Riassunto A.C. Graham: LA RICERCA DEL TAO

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Riassunto A.C. Graham: LA RICERCA DEL TAO

Marco Bresciani A.A. 99-2000


Parte Prima: Il crollo dell'ordine del mondo decretato dal Cielo.





Cap.1. Una reazione conservatrice: Confucio


Kong fuzi latinizzato Confucio, per la tradizione nato nello stato di Lu (551-478 a.C.)

La fonte più antica dei suoi insegnamenti è il Lunyu (Detti Scelti) noto come Dialoghi: è una raccolta di detti e di aneddoti della vita di Confucio e dei suoi discepoli. L'opera mostra segni di aggiunte progressive, ciò vale soprattutto per gli ultimi 5 cap. che sono molto diversi dal resto (16-20).

Il Confucio che troviamo nei Dialoghi è un maestro attorniato da discepoli, e che tenta inutilmente di essere nominato da qualche sovrano ad una carica abbastanza alta da permettergli di riformare il governo.


Confucio vede se stesso come preservatore e restauratore di una cultura in declino (non deve quindi inventarsi alcunché). La cultura che vuole restaurare è quella delle Odi, dei Documenti, e le istituzioni della dinastia Zhou. Le istituzioni considerate centrali da Confucio nella cultura Zhou sono: il cerimoniale e la musica.

Il termine li cerimoniale comprende l'insieme dei riti, delle consuetudini, convenzioni (dai sacrifici ancestrali fino ai dettagli dell'etichetta. Nelle relazioni sociali li corrisponde grossomodo al concetto occidentale di buone maniere.

Yue musica include la danza e indica principalmente le musiche e le danze legate ai riti.


La cosa distingue il li dalle buone maniere occidentali il fatto che per Confucio ha l'efficacia di un rito sacro. Non è comunque implicata in alcun modo un'identificazione del li con la morale che viene indicata con un carattere diverso yi (il giusto) che è collegato all'omofono (adeguato).


Il giusto è ciò che il gentiluomo considera come sostanza; è attraverso il cerimoniale li che egli lo pone in atto [.].

Il governo come cerimoniale.


Una coppia di concetti che troviamo nei Dialoghi è quella di Dao (la Via) e de (Potenza). Dao viene utilizzato però per indicare solo il giusto corso della condotta umana e dell'organizzazione governativa (non indica il corso naturale del mondo esterno come per i Taoisti). Il de di una persona invece è la potenzialità di agire in conformità con il Dao.

Caratteristica peculiare del pensiero di Confucio è la sua convinzione di ridurre il governo a cerimoniale.


Se lo guidi col governo e lo tieni assieme con le punizioni, il popolo ti sfuggirà e non proverà vergogna. Se lo guidi con la Potenza e lo tieni assieme con il Cerimoniale, il popolo avrà il senso della vergogna e ti si avvicinerà.


Allo stato ideale il sovrano non dovrebbe fare nulla, confidando semplicemente nella Potenza che da lui irradia. Confucio utilizza addirittura in un'occasione il termine tipico del Taoismo wu wei (Non far Nulla).


Il Cielo e gli spiriti.


L'atteggiamento adottato da Confucio è di non farsi distogliere dalle faccende umane da questioni che non ci riguardano. Non si interessa quindi al Cielo e agli spiriti. Il valore della cerimonia è l'armonia stessa della cerimonia, non dipende da fattori esterni.


Sacrificava come se [gli spiriti] fossero presenti [.] ' se non coinvolgo me stesso nel sacrificio è come se non sacrificassi'.


Il filo che unifica la moralità.


La principale virtù confuciana è ren Viene in genere tradotta con benevolenza, indica un altruistico preoccuparsi del benessere degli altri. Ren copre l'intera gamma delle qualità superiori che contraddistinguono l'uomo di buona educazione. Confucio vede il pieno fiorire delle qualità umane nel junzi (figlio del sovrano) gentleman, opposto a xiaoren (uomo da poco).

Un concetto fondamentale che entra in gioco è quello di shu , tradotto generalmente come ragguagliare-a-se-stessi. In pratica il negativo della regola Aurea della tradizione cristiana : Non fare agli altri ciò che tu stesso non desideri. Shu è collegato a zhong che indica sia la lealtà nei confronti del sovrano sia più in generale la generosità nei confronti degli altri.

Ren non è una questione di livelli, persino nelle persone migliori è intermittente. Si potrebbe vedere ren come l'orientamento che rende privo di sforzo l'agire corretto, un equilibrio tra l'individuo e gli altri difficile da mantenere.

Per Confucio il denominare è l'atto che decreta le funzioni sociali. La prima azione da compiere appena saliti al governo è rettificare i nomi, cioè ognuno faccia ciò per cui è stato denominato. Il governante governi, il ministro amministri, i padri siano paterni e i figli siano filiali. Solo così il cerimoniale si può applicare senza intoppi.


Centralità del Confucianesimo nella civiltà cinese.


Il Confucianesimo è la più antica fra le tendenze del pensiero cinese antico ed è quella che intorno al 100 a.C. emerge come ultima e definitiva vincitrice.


Sima Tan (110 a.C.) dà questa classificazione delle scuole filosofiche:


Yin-Yang Yinyang jia

Confuciani    Rujia

Moisti Mojia

Legalisti   Fajia

Scuola dei nomi   Mingjia

Taoisti  Daojia


I Confuciani erano degli insegnanti di professione, delle materie classificate in epoca Han come le Sei Arti: cerimoniale, musica, tiro con l'arco, conduzione dei carri, scrittura e matematica. Il loro curriculum letterario, cresciuto nel tempo fino a formare i Sei Classici, comprendeva i Documenti (dello stato di Zhou e pre-Zhou), le Odi (poesia Zhou), le cronache dello stato di Lu fino ai tempi di Confucio dette Primavere ed Autunni, il manuale di divinazione Yijing, le Memorie sul cerimoniale Liji e le Memorie sulla musica Yueji.

Cap.2. Una reazione radicale: Mozi.


Con Mo Di, primo rivale di Confucio, inizia il dibattito razionale tra scuole filosofiche.

L'opera di riferimento è il Mozi.

Mo Di non era un insegnante come Confucio, ma bensì un artigiano (sembra un carpentiere stando ad alcune narrazioni) e che quindi giudicasse le istituzioni non in base alla tradizione Zhou, ma in base alla loro utilità pratica ed ai benefici arrecati alle persone.

La base sociale del mohismo sono gli artigiani, non come classe cosciente di sé, ma come arrivistes posti ai margini della classe dei cavalieri, che provenendo dagli stati più bassi vedono chiudersi la possibilità di incarichi ufficiali.

Tra il III e il IV sec. a.C. i mohisti si presentano come una comunità organizzata sotto la guida di un Gran Maestro, nella quale erano insegnate le Dieci Dottrine che formano il nucleo portante del Mozi. Le Dieci Dottrine coprono un variegato assortimento di questioni politiche e culturali in cui vengono rigettate la tradizione Zhou rappresentata da Confucio. Nel Mozi compare per la prima volta il termine bian (disputare sulle alternative) che poi verrà accettato come termine per indicare il discorso razionale. L'ultimo dei dieci saggi (Rifiuto del Destino) propone tre tipi di verifica con cui giudicare una dottrina. Vengono chiamati i Tre Gnomoni san biao aste usate dagli astronomi per misurare l'ombra del sole.


Cosa si intende per Tre Gnomoni ? Il maestro Mozi afferma: 'Trovare le radici dell'asserzione, le prove a sostegno, e il suo utilizzo'.


Le radici le troviamo nella condotta dei saggi re antichi. Le prove a sostegno le troviamo scrutinando cosa sia reale per gli occhi e le orecchie dei Cento Clan (l'intera popolazione). E poi l'utilizzo va testato con la giustizia e l'amministrazione, osservando se coincide con il benessere dei Cento Clan.

Le dottrine esposte nei dieci saggi sono in effetti stabilite sulla base dei Tre Gnomoni.

Il secondo, ovvero la verifica del comune osservare, viene utilizzato per confermare l'esistenza degli Spiriti e negare l'esistenza del Destino. Infatti per quanto riguarda i primi ci sono molte persone che possono testimoniare e confermare la loro esistenza. Il Destino invece visto che non c'è nessuno fino ad oggi che lo abbia visto o sentito di persona, quindi non esiste.

I re saggi a cui fanno riferimento i mohisti non sono quelli della tradizione Zhou, ma sono invece quelli delle precedenti dinastie Xia e Shang, accanto ai predinastici Yao e Shun. La loro autorevolezza però si rifà alla loro saggezza, non certo all'antichità.

Critica della consuetudine mediante verifica dell'utilità.


La terza verifica, quella basata sull'utilità surclassa in autorevolezza ogni fonte antica od usanza corrente che potrebbe essere utilizzata dall'altra parte per confutare le tesi mohiste. Il terzo gnomone permette ai mohisti di giudicare tutta la moralità tradizionale. IL CRITERIO UTILITARISTICO VIENE UTILIZZATO PER STABILIRE SE UN'AZIONE SIA MORALE O IMMORALE.

Per esempio al contrario dei Confuciani che prescrivevano secondo le usanze antiche, in caso di morte dei genitori, un lutto di tre anni i mohisti affermano:


Se i funerali elaborati ed il lutto prolungato possono realmente arricchire i poveri, accrescere la popolazione, [.] essi equivalgono a benevolenza, giustizia, filialità.


Se non possono garantire tutto ciò allora non equivalgono a giustizia, benevolenza etc.


La valutazione in base all'utilità viene spinta fino al limite estremo, come nel caso della musica, che rivestiva grande importanza per i Confuciani, ma che è invece vista dai mohisti come un grande spreco di risorse che potrebbero venire utilizzate per arricchire il popolo. La musica è inutile in quanto non supera la prima e la terza verifica. Non coincide con l'agire dei re saggi e non reca beneficio alle moltitudini.


Il principio unificante della  moralità.


Le valutazioni mohiste sui benefici e la dannosità intendono favorire tutta la collettività, e vengono guidate dal principio della Sollecitudine per ognuno (jian ai ) solitamente tradotto come amore universale. In poche parole a tutti i livelli (stato, famiglia, persona) ciascuno deve provare identica sollecitudine verso gli altri e verso sé stesso. La sollecitudine va estesa ad ognuno senza badare a legami di parentela e la sua più diretta applicazione sta nella dottrina del Rifiuto dell'aggressione. Le guerre non hanno alcuna utilità pratica. Alla fine le perdite, in ultima analisi, superano di gran lunga i guadagni (per esempio la conquista di una città può costare diversi morti e non c'è utilità nell'avere una città senza abitanti).

Si può supporre quindi che Mo Di fosse un puro pacifista, i successori mohisti però non continuarono su questa linea, ma anzi divennero i sostenitori e gli specialisti di un tipo di guerra: quella difensiva (pur rimanendo contrari alla guerra di aggressione).


Centralizzazione e burocratizzazione dello stato.


L'ideale politico del mohismo non divergeva molto dalla tendenza dell'epoca, quella cioè di creare forti stati centralizzati e burocratizzati. Mencio si dichiara ancora favorevole alle cariche ereditarie e considera la promozione dal basso come una misura eccezionale, per individui veramente meritevoli. In ogni caso nessuno dei detentori delle cariche veniva considerato irreversibilmente nobile, infatti in caso di inadempienza dei compiti da assolvere poteva venire degradato.


Cielo, spiriti e Destino.


Il fatto che i mohisti derivassero da uno strato sociale inferiore ai Confuciani, è chiaro vedendo la loro credenza in spiriti dei morti e della natura (monti, fiumi etc.). Queste credenze sono tipiche dello strato sociale più basso. Secondo i mohisti gli spiriti sono arrabbiati per il fatto che i confuciani non credano in loro, ma contemporaneamente praticano il cerimoniale come se questi esistessero veramente.


[Come] fabbricare una rete da pesca benché non vi siano pesci.


La funzione del Cielo e degli spiriti all'interno della concezione mohista è di rafforzare la vera moralità con premi e punizioni, e di correggere e compensare le ingiustizie del mondo.


Divisioni della scuola mohista.


Sappiamo da varie fonti (tra cui anche l'ultimo capitolo del Zhuangzi) che i mohisti nella seconda metà del III secolo a.C. si divisero in tre sètte, dalle quali presumibilmente sono derivate le tre versioni dei capitoli centrali del Mozi. Il motivo di questa divisione è quello di una scelta fra la purezza dottrinale e una adeguazione alle realtà politiche. Le tre sètte si possono considerare quindi rispettivamente: purista, di compromesso, reazionaria.







Cap.3. Il ritiro ad una vita privata: gli yanghisti.


Il "fondatore" del Yanghismo viene considerato Yang Zhu (Yangzi) il quale era un eremita. È meglio però pensare ad un movimento complessivo chiamato yanghismo, dato che a Yang Zhu non vengono attribuite opere.

Mencio contrappone Yang Zhu a Mozi, considerando i due come i rappresentanti di dottrine agli antipodi:


Yangzi scelse l'egocentrismo, se strappandosi un pelo [.] avesse potuto recare beneficio al mondo, non l'avrebbe fatto [.] Mozi invece se avesse potuto giovare al mondo radendosi da capo a piedi, l'avrebbe fatto.


Gli insegnamenti yanghisti.


Gli yanghisti come i mohisti esordiscono nella loro speculazione filosofica con i calcoli su cosa sia utile e cosa sia invece dannoso. L'interrogativo però che le due scuole si pongono è però diverso. Gli yanghisti non si chiedono cosa possa giovare al mondo, ma piuttosto cosa possa giovare all'uomo. Il concetto yanghista di natura umana (xing in primo luogo la capacit di vivere fino al termine decretato per l'uomo dal cielo, senza incorrere in danni causati dagli eccessi e da fattori nocivi esterni. I beni materiali sono rimpiazzabili, la vita al contrario non lo . Neppure l'impero stesso è da anteporre alla vita.


Il supposto egoismo di Yang Zhu.


Gli yanghisti, anche se non proprio egoisti (come li definivano i mohisti) possono comunque essere chiamati individualisti, in quanto erano intenti a recare giovamento alla propria persona, e lasciavano agli altri il compito di fare lo stesso.

Quello che per i mohisti e i confuciani è puro egocentrismo è in realtà ben diverso dall'essere un egoismo di principio. Possiamo citare al riguardo il caso del yanghista Wumanzi il quale in un dialogo con Mozi, dichiara esplicitamente di soffrire per le proprie pene, ma non per quelle altrui. Egli però ha una moralità (yi) che gli impone un maggiore o minore impegno con le persone in base alla rispettiva distanza da lui (Wumanzi differisce dai confuciani semplicemente perché afferma di preferire se stesso ai genitori).


Cap.4. L'idealizzazione delle piccole comunità: l'utopia di Shennong.


Shennong è il leggendario inventore dell'agricoltura e figura nei calendari come la divinità dei contadini. Il nome di Shennong compare nel IV sec. a.C. per indicare un ideale politico nato fra le cerchia dei cosiddetti eremiti. Viene descritto come capo di un impero decentralizzato e formato da minuscoli feudi; Shennong dissoda la terra con le sue mani e regna la pace universale senza bisogno di ministri, leggi o punizioni. Le sue funzioni come sovrano si limitano all'insegnamento ed al controllo dell'agricoltura, ispezionando i campi e immagazzinando grano nelle annate più proficue per poi ridistribuirlo in quelle di carestia.

Come nel caso dei mohisti, anche per Shennong sembra che il movimento sia nato in ambienti esterni alla classe dirigente, per i mohisti la classe dei cavalieri e per gli eremiti contadini dalla classe ancora più in basso.


L'Età dell'Oro di Shennong.


Della cosiddetta Scuola degli Agricoltori non ci rimangono testi scritti, quello che si sa è perché ci si rifà alle citazioni contenute in opere sincretiche come il Huainanzi. (ca. 140 a.C). Shennong in questi scritti viene descritto come dedito egli stesso all'agricoltura, per dare esempio ai sudditi e guadagnarsi da vivere senza dipendere da nessuno.

L'Utopia di Shennong si presenta quindi come un ordine anarchico fondato sulla fiducia all'interno di piccole comunità, fa riferimento al punto di vista dei contadini che non vedono motivi per cui il sovrano non possa guadagnarsi da vivere come loro, non esigerebbe parte del raccolto e non avrebbe certo tempo per impegnarsi in guerre.


Xu Xing.


Gli idealisti seguaci di Shennong non si misero mai apertamente in mostra tranne che in un'occasione: quando un uomo di nome Xu Xing fondò nello stato nord-orientale di Teng una comunità ispirata ai principi di Shennong. Ne abbiamo notizia perché un confuciano si "convertì" alle sue dottrine e quindi destò scalpore.





L'Influenza dell'ideale di Shennong.


L'ideale di Shennong può essere considerato a tutti gli effetti come l'antenato di tutto l'utopismo cinese. Il Shennong come manuale di agricoltura venne addirittura preservato dai Legalisti nel rogo dei libri della dinastia Qin, e l'ideale continuò comunque a vivere celato fra i yanghisti e taoisti che vedevano in Shennong  l'ultimo sovrano di un regno di pace e felicità.


Cap.5. L'acuirsi del dibattito razionale: i sofisti.


Nel corso del IV secolo a.C. comparvero i primi pensatori affascinati dalla meccanica del disputare (bian) che a posteriori durante la classificazione di epoca Han vennero messi all'interno della Scuola dei Nomi. Questi pensatori vengono anche chiamati sofisti, paragonandoli ai cultori del paradosso in Grecia. In entrambe le tradizioni dei pensatori si dilettano con preposizioni che sfidano il senso comune e vengono quindi derisi perché frivoli e irresponsabili.

I sofisti più famosi furono Hui Shi (amico di Zhuangzi e primo ministro del re Hui di Wei) e Gongsun Long, autore della famosa disputa un cavallo bianco non è un cavallo.


Hui Shi.


Non sono rimasti che frammenti dell'opera di Hui Shi, in ogni caso tutte le informazioni che possediamo sul suo conto ci fanno pensare che fosse un uomo di grande talento, un brano nell'ultimo libro del Zhuangzi è dedicato a lui. Da questo brano traiamo alcune conclusioni sulle idee di Hu Shi. Per quanto riguarda l'idea di infinito Hui Shi trova una serie di paradossi, tra i quali : se da qualsiasi posizione la distanza in alto e in basso è infinita, allora i monti sono alti come le paludi. Poi ancora l'ultimo momento della vita è il primo della morte, e una cosa è quindi al contempo viva e morta. Se lo spazio è infinito il suo centro è ovunque. Se ogni giorno si accorcia della metà un bastoncino lungo un palmo, esso non si esaurirà in diecimila ere. Una ruota non tocca mai il terreno (perché il punto di contatto è privo di dimensione). Etc. etc.


Gongsun Long


Per quanto riguarda Gongsun Long non bisogna ricostruire le sue tesi come con Hu Shi, ma possiamo rifarci direttamente a tre capitoli che sicuramente sono riconducibili al periodo pre-Han.

Uno dei capitoli preservati, esempio di bian (disputa) è intitolato Cavallo Bianco. In questo capitolo Gongsun Long utilizza lo stile argomentativo del jianbai che significa duro e bianco. Cio (definizione dei Canoni) jianbai è non escludersi l'un l'altro, differenti posizioni non si sovrappongono l'una con l'altra. Non scambiarsi l'una con l'altra è escludersi a vicenda. I sofisti separano le "posizioni": se durezza e bianchezza non sono durezza e forma e colore non sono forma, la combinazione della forma cavallo con il colore bianco non è cavallo.


v È ammissibile dire che un cavallo bianco non è un cavallo?

v Si

v Perché?

v 'cavallo' è come denominiamo la forma, 'bianco' è come denominiamo il colore. Denominare il colore non è denominare la forma. Quindi 'un cavallo bianco non è un cavallo'.


Fung Yu Lan ha cercato di rendere più interessante la tesi sul 'Cavallo bianco' intendendola come negazione degli universali di 'cavallo bianco' e 'cavallo' (vedi pag.72 Fung Yu Lan - Mondadori 1990). Nulla prova tuttavia che in Cina sia esistita una dottrina 'realista' degli universali


Cap.6. La scoperta della soggettività: Song Xing.


Nell'ultimo scorcio del IV sec. a.C. con Mencio e Zhuangzi, abbiamo uno spostamento di interesse verso l'interiorità (cioè verso il cuore xin organo del pensiero secondo i cinesi). Due dei predecessori di questa tendenza sono: Song Xin e l'anonimo capitolo del capitolo Nei ye (disciplina interiore) del Guanzi.



Nell'ultimo libro del Zhuangzi Song Xing è accumunato ai mohisti, con il motto 'proibisci l'aggressione e smantella l'esercito'. Ciò che lo differenzia dai mohisti è la nuova ricetta proposta per attuare le riforme: mutamento interiore, consapevolezza dei punti di vista ristretti, non legare il rispetto di sé all'altrui giudizio.

Confucio e Mozi intendono condotta (xing come comportamento sociale. Song Xing richiama l'attenzione sulla 'condotta propria del cuore' (xin zhi xing

L'ultimo libro del Zhuangzi menziona varie dottrine si Song Xing dicendo che erano considerate interne, mentre quelle condivise con i mohisti erano considerate esterne. Zhuangzi critica, ma rispetta Song Xing perché considerava l'interiorità superiore all'esteriorità.

Per esempio secondo il pensiero di Song Xing essere insultati non è disdicevole, infatti il valore che un individuo attribuisce a se stesso deve essere totalmente indipendente dal giudizio che possono dare gli altri. In questo modo l'orgoglio non viene intaccato. Un altro detto di Song Xing dice liberarsi dagli steccati, cioè liberarsi dai pregiudizi nel giudicare.


Guanzi: il capitolo sulla 'Disciplina interiore'.


L'opera chiamata Guanzi è una miscellanea di scritti risalenti al periodo che va dal IV al II sec. a.C., dedicati all'arte di governo e classificati come legalisti.

Nel Guanzi vi sono quattro capitoli definiti mistici che sono stati attribuiti a Song Xing.

Il capitolo sulla disciplina interiore è importante perché è il primo scritto cinese mistico. Infatti le pratiche descritte nel Guanzi sembrano appartenere alla fase che precede la separazione del Taoismo dal Confucianesimo. Le convenzioni morali non vengono nemmeno toccate. Lo scopo della meditazione nel Guanzi è quello di trasformare una persona in 'gentiluomo' in accordo con la benevolenza, il giusto, il cerimoniale.

Si parla di uomo 'demonico' cioè il saggio che ha raggiunto una 'consapevolezza'.

Il 'demonico' è un aspetto del qi (fluido universale attivo come Yang e passivo come Yin, che condensandosi genera le diecimila cose). È paragonabile al greco pneuma. È un fluido energetico che da vita al corpo, al livello più puro è jing (il quintessenziale) e scendendo nell'uomo lo rende demonico (chiaroveggente) shenming cioè in grado di percepire con chiarezza la miriade di cose.

Il problema sta nell'usare il cuore, l'organo del pensiero, in modo da guidare il qi in modo da riempire l'individuo con ciò che è più quintessenziale (= spontaneo accordo con la Via, di pari passo con una maturazione della Potenza).

Contemplando con il cuore perfettamente saldo e con i cinque sensi perfettamente illimpiditi, si afferra ogni cosa nella sua integrità, si riesce a sintetizzare il reale nello stesso momento in cui lo si percepisce. Se si è completamente pervasi da jing allora si è saggi (daimon). Non si tratta però ancora di Taoismo, perché la Via consiste ancora nella pratica di virtù morali.



Parte Seconda: Dalla crisi sociale alla crisi metafisica, Il Cielo si separa dall'uomo.


Le tendenze finora considerate si possono ricondurre ad una crisi più sociale che filosofica: i Confuciani erano la vecchia classe dei letterati che volevano restaurare l'ordine antico; i mohisti si fanno strada dall'artigianato con diverse soluzioni, gli eremiti sperimentano un'utopia sociale (Shennong) o sviluppano basi razionali per giustificare il ritiro dalla vita politica. I Sofisti sono attratti dai rompicapo logici e Song Xing è già sollecitato dal problema di indurre i governanti a curare l'interiorità.


Verso la fine del IV sec. a.C in Confuciani sono però ossessionati da un altro problema: la questione se la Natura Umana si buona o cattiva, oppure neutra. Alle spalle delle tre posizioni sta un dubbio metafisico, se il Cielo è dalla parte della moralità umana. Mencio dice che il Cielo ci ha creati con natura buona, il mohismo non risponde a questa domanda.

L'unico concetto di natura umana finora incontrato è quello yanghista. La dottrina del 'mantenere integra la propria vita' schivando tutte le responsabilità sociali potenzialmente nocive, era per i Confuciani puro egocentrismo. Porre fine alla vita prima dell'arco di tempo che è stato decretato dal Cielo è andare contro il Cielo stesso. Il quesito che si pone è: se il Cielo sta dalla parte dell'"egocentrico" a chi si deve appellare il moralista?

Zhuangzi, a differenza di Mencio, non si mostra minimamente preoccupato nello scoprire che l'accordo con il Cielo entra in conflitto con la moralità umana, il punto non è giustificare in qualche modo le convenzioni morali con o senza l'aiuto del Cielo, è invece stare dalla parte del Cielo contro l'egocentrismo umano e contro ciò che è convenzionalità.

La crisi metafisica segnò la biforcazione tra razionalismo (tardo moismo) e antirazionalismo (formulato da Zhuangzi).


Cap.1. Da Confucio a Mencio: la moralità radicata nella Natura Umana in quanto generata dal Cielo.


Come nel caso di Confucio, Mencio ci è noto grazie alla raccolta di suoi detti e dialoghi, chiamata Mengzi. Rispetto ai Dialoghi però il Mengzi sviluppa più approfonditamente un dato pensiero in ogni capitolo e si pensa che sia stato composto da Mencio stesso e i suoi discepoli.

Come Confucio anche Mencio viaggiò in cerca di qualche sovrano che affidasse nelle sue mani il governo. Sappiamo che lo stato di Qi, attento al rinnovamento politico e patrocinatore di studiosi e letterati, offrì a Mencio un posto all'interno dell'Accademia Jixia creata dal re Wei (357-320 a.C) e sostenuta dal re Xuan. Venne anche nominato Ministro, ma fu un incarico sinecura e puramente onorifico. Anche Xunzi fece parte di questa accademia.

Leggendo l'opera di Mencio si respira un'atmosfera diversa dai tempi di Confucio. Ora il valore di un uomo è il frutto di una virtù  che troviamo nel cuore. La virtù principale è ancora ren , ma con un'accezione diversa. Per Confucio il ren era ciò che contraddistingueva l'uomo nobile, che si comportava secondo il cerimoniale. Per Mencio invece ren è la vera e propria benevolenza. Li ora indica il senso interiore delle buone maniere e affianca ren in una serie di quattro virtù cardinali localizzate nel cuore: benevolenza, giustizia, cerimonialità e saggezza (ren , yi , li , zhi


Il governo.


Mencio verso la fine delle propria vita visitò diversi sovrani, allo scopo di trovare un posto come ministro e consigliere sui metodi di governo. A differenza di Confucio che suggerisce ai sovrani una riforma di governo in termini di giudiziosa selezione fra i rituali Xia, Shang e Zhou, Mencio invece chiede l'applicazione di misure politiche ed economiche:


[.] Vostra Maestà regna con benevolenza, è avaro di punizioni, riduce le tasse ..


Ciò che Mencio cerca apertamente di promuovere è una politica tesa alla conquista dell'appoggio popolare.


Se vostra Maestà applicasse ora la benevolenza alla pratica del governo, spingerebbe tutti quelli che nel mondo aspirano ad una carica a desiderare di stare alla vostra corte, tutti i contadini desidererebbero dissodare le vostre terre vergini, tutti i mercanti vorrebbero avere magazzini nei vostri mercati [.]


L'appoggio del popolo è la fonte della legittimità del potere e la sua mancanza è la prova dell'indegnità nel governare. L'accettazione popolare del sovrano è la prova del Mandato Celeste.


Il Cielo osserva con gli occhi del nostro popolo e ascolta con le orecchie del nostro popolo.


Mencio non è però un difensore delle rivolte popolari; la sua posizione prevede che i ministri critichino con fierezza e che si dimettano per questioni di principio. Il popolo deve farsi sentire solo negando o dando appoggio a chi occupi il trono o aspiri ad occuparlo (verificando in tal caso che abbia il Mandato Celeste).


La controversia di Gaozi sulla natura umana.


Al tempo di Mencio il problema della natura umana era già di primaria importanza all'interno della scuola confuciana. Mencio fu il primo ad affermare che la nostra natura è buona, mentre l'idea che sia cattiva venne palesemente espressa solo un secolo più tardi da Xunzi. Nel frattempo però alcune posizioni intermedie si erano già diffuse:

Nella nostra natura non c'è né il bene né il male. (Gaozi)

La nostra natura può diventare buona e può anche diventare malvagia.

La nostra natura è buona in alcuni e malvagia in altri.

La neutralità morale della natura umana affermata da Gaozi (1) compare anche nella prima parte di un saggio contenuto nel Guanzi e intitolato Mòniti.


Ciò che non ha una direzione prefissata ma è ricco di risorse è la vita/natura (si noti che sheng non era ancora ben distinto da xing ). La natura umana va guidata dalla benevolenza interiore e da ciò che viene riconosciuto giusto.

Per dimostrare che la natura umana può essere concepita come moralmente neutrale, Gaozi ricorre in primo luogo al modello del legno intagliato:


La nostra natura è paragonabile ad un salice, e il giusto è paragonabile a tazze e scodelle. Estrarre benevolenza e giustizia dalla natura umana è come ricavare tazze e scodelle dal legno del salice.


La natura del salice prevede una crescita in forma di albero, e viene violata qualora noi tagliamo il legno per dargli una forma che soddisfi i nostri scopi.

O ancora:

La nostra natura è simile ad un vortice, se apri un canale ad est andrà ad est, se apri un canale ad ovest andrà ad ovest. Alla natura umana non viene assegnato alcunché di buono o di malvagio, così come all'acqua non viene assegnato alcun est od ovest


Mencio contesta Gaozi continuando sull'esempio dell'acqua.


La bontà della natura umana è come il tendere al basso dell'acqua. Se la fai schizzare percuotendola può essere sospinta verso l'alto, ma come potrebbe essere ciò la natura dell'acqua? Quindi anche se è possibile rendere un uomo malvagio la sua natura resta com'era.


Mencio attacca Gaozi anche su un altro aspetto: la benevolenza è interiore e la giustizia è esteriore. Per Mencio non è così: benevolenza e giustizia sgorgano da dentro.


"Gaozi disse: 'Se qualcuno è anziano e io lo tratto da anziano, ciò non implica che io abbia l'anzianità in me stesso [.] lo faccio in base all'anzianità che è al di fuori [di me].' [Mencio rispose] 'potresti dire che la vecchiaia di un uomo quindi non differisce dalla vecchia di un cavallo? Stai inoltre affermando che essere anziani è giusto oppure che è giusto trattare qualcuno da anziano?'"


Mencio a differenza di Gaozi crede che i doveri di deferenza verso l'anziano non possano essere separati dalla sua anzianità (sono quindi esteriori). Mencio replica che, non essendo previsti per un cavallo tali doveri non possono essere considerati inerenti all'anzianità condivisa da uomo e cavallo; non sono legati al fatto di essere anziani, ma bensì al trattare qualcuno come tale.


La bontà della natura umana.


La concezione di Mencio del xing non equivale del tutto alla nostra 'natura'. Mencio concepiva xing in termini di uno sviluppo che va curato e salvaguardato dalle interferenze.

Al tempo di Mencio c'era anche un altro termine per indicare le qualità di partenza di una cosa. Si tratta del termine gu (originario) che troviamo contrapposto a xing in un brano del Zhuangzi.


"Confucio disse:' Cosa intendi quando affermi:' sono partito dall'originario, sono cresciuto con la natura, e sono maturato dal destino'?'   [l'abile nuotatore rispose] 'la mia serenità sulla terra è originaria, perché sulla terra sono nato, la mia serenità nell'acqua è natura perché nell'acqua sono cresciuto. Essere così senza sapere il perché è destino'."


Lo xing e la natura occidentale sono comunque somiglianti: entrambi sono concetti tanto prescrittivi quanto descrittivi. Xing viene concepito come prescrittivo, ovvero come il corso di sheng più appropriato per una determinata cosa. Lo xing di una cosa è tuttavia un fatto in essa osservabile e quindi descrittivo.

L'argomentazione della teoria menciana sulla bontà della natura umana può essere distinta in tre fasi.


Fase 1: Le inclinazioni morali appartengono alla natura umana come la crescita fisica del corpo: germinano spontaneamente senza bisogno di apprenderle: possono essere coltivate, danneggiate oppure affamate. Nel cuore dell'uomo troviamo i quattro germogli affioranti o duan delle quattro virtù principali riconosciute da Mencio.


"Un cuore compassionevole è il germoglio affiorante della benevolenza; un cuore consapevole della vergogna è il germoglio della giustizia; un cuore rispettoso verso gli altri è il germoglio del cerimoniale; un cuore capace di approvare o condannare è il germoglio della sapienza".


Per Mencio è essenziale che l'educazione morale, pur essendo indispensabile quanto il nutrimento del corpo, sia anche un prendersi cura di un processo spontaneo. Una volta lanciato il processo si accelera come un fuoco che avvampa rapidamente, perché scopriamo il piacere che da esso deriva. Inoltre Mencio considera spontanea la crescita morale perché l'energia morale è appartenente al qi (fluidi energetici del corpo e dell'atmosfera).


Fase 2: Fino a questo punto la tesi menciana non è in alcun modo irriconciliabile con quella di Shi Shi (Bene e Male sono ugualmente presenti nella natura umana). Sta a Mencio mostrare come egli cada in errore trovando nella natura umana delle inclinazioni al male.


"la nostra natura può divenire buona e può anche divenire malvagia"

"Diventare malvagi non dipende da una manchevolezza della sostanza di cui siamo fatti. Un cuore compassionevole è proprietà di tutti gli uomini [.]. Benevolenza, giustizia, cerimoniale e sapienza non vengono fusi in noi dall'esterno; il fatto è che, pur facendo parte di noi, smettiamo di ricordarcene".


Le quattro virtù appartengono al qing (l'essenziale) di un uomo, che senza di esso non sarebbe uomo. Ammettendo tuttavia che le quattro virtù siano presenti in tutti fin dall'inizio, perché Mencio pensa che la possibilità di diventare buoni implichi la bontà della nostra natura e reputa invece irrilevante la possibilità di diventare malvagi? Perché l'essere buoni è parte della natura umana come il fatto di vivere circa 70 anni (arco naturale della vita). Continuando con questa similitudine possiamo dire che:

Un uomo di costituzione normale può vivere fino a settant'anni, ma non molto di più.

Un uomo non muore giovane per una causa insita nella costituzione umana, ma per cause esterne.

Chiunque dotato dei germogli originari può quindi diventare un uomo benevolente

Un uomo diviene malvagio non perché gli manchino i germogli, ma perché li trascura e fa loro patire la fame.


Fase 3 il secondo passo compiuto non demolisce del tutto la teoria sulla coesistenza del bene e del male nella natura umana. Ammettendo che le inclinazioni morali appartengono alla nostra natura e sono ciò che ci distingue dagli animali, non sono forse naturali anche gli appetiti che con esse confliggono? Mencio afferma che gli appetiti fisici appartengono alla nostra natura, richiamando l'analogia con salute e longevità. Indulgere senza freni agli appetiti è mettere a repentaglio la propria salute, come è affermato anche nei capitoli yanghisti del Lüshi Chunqiu. Ciò non implica una divisione interna alla natura umana: abbiamo semplicemente dei desideri, e, fra questi, il desiderio di longevità confligge con gli altri solo nel modo in cui essi confliggono tra loro. Per vivere in accordo con la nostra natura è quindi necessario soppesare i vari desideri, giudicandoli in base alle loro potenzialità di accorciare/allungare la nostra vita. Inoltre Mencio arriva ad affermare che è naturale preferire le inclinazioni morali alle altre (in tutti c'è un sostrato di dignità individuale per cui si preferisce sacrificare la vita in favore di ciò che si considera giusto).

Ad ogni modo nessun appetito è di per sé malvagio: lo è solo quando interferisce con preoccupazioni più gravi. Non si tratta quindi di combattere il male della nostra natura allo scopo di promuovere il bene; quando rigettiamo il desiderio meno importante a favore del più importante ci poniamo in accordo con la nostra natura in quanto globalità, così come proteggendo una spalla piuttosto di un dito, proteggiamo la globalità del corpo.

Mencio sostiene che è possibile sviluppare appieno le potenzialità della costituzione umana solo se il cuore è costantemente impegnato a giudicare la relativa importanza di ciascun appetito e inclinazione morale.

Per Mencio, come per gli Yanghisti, conoscere la natura di un uomo equivale a conoscere la pienezza delle potenzialità insite nella costituzione umana. Queste potenzialità potranno realizzarsi solo se il cuore saprà distinguere tra ciò che è nocivo e ciò che è salutare.


Due scritti confuciani: Daxue e Zhongyong.


Fra i documenti risalenti agli ultimi secoli del primo millennio a.C. e raccolti nel Liji, il Daxue e il Zhongyong assunsero grande importanza nel tardo confucianesimo. L'appartenenza al ramo menciano è apparente solo per il Zhongyong, ma per convenienza vengono trattati entrambi. Nel Daxue viene espressa esplicitamente la derivazione di ogni vincolo sociale dalle parentele, che distingue il confucianesimo dal mohismo. Le virtù apprese nella famiglia vengono estese allo stato ed all'impero.


Per ordinare lo stato è necessario prima regolare la propria famiglia, se non si riesce ad educare la propria famiglia non si è nemmeno in grado di educare gli altri.


Il segreto di questa espansione verso l'esterno a partire dal singolo individuo sta nel concetto confuciano di Shu (ragguagliare-a-se-stessi).


Il gentiluomo si aspetta dagli altri solo ciò che ha in se stesso, e condanna negli altri solo ciò che non ha in se stesso.


Il miglioramento delle persone dipende dalla correzione del cuore, organo del giudizio, in modo che non sia sbilanciato tra ira e paura, piacere ed ansietà. Tutto ciò dipende a sua volta dalla 'integrazione d'intenti' o cheng yi

Rendere integri gli intenti significa rifiutarsi di ingannare se stessi.


L'integrità degli intenti dipende dal perfezionamento del sapere, che a sua volta dipende dal ge wu 'pervenire alle cose' . Il Daxue sembra comunque affermare in modo esplicito la derivazione di ogni altro valore, dal valore del sapere. Il retto agire che mette in ordine la famiglia dipende dal perfezionamento della conoscenza di noi stessi, delle cose e delle altre persone (ragguagliandole a noi stessi).


'Dottrina della Medietà' è la traduzione standard che viene data di Zhongyong (Il Centrato e l'Usuale), opera che viene attribuita al nipote di Confucio Zisi, nella cui scuola si formò Mencio. Di questo libro è filosoficamente interessante l'introduzione nella quale si dice:


'Natura' indica ciò che è stato decretato dal Cielo; 'Via' indica l'agire in accordo con la propria natura; 'insegnare' significa perfezionarsi nella Via. La Via non può essere abbandonata per un istante, ciò che si può abbandonare non è la 'Via'.


Dal momento che consiste nel seguire la natura umana, la Via segna non solo il corso del saggio agire, ma anche quello delle inclinazioni spontanee da cui l'azione prende l'avvio.

Nel Zhongyong viene anche introdotto più approfonditamente il concetto di integrità che non nel Daxue.


sheng


nascere,generare

xing


natura

cheng


rendersi integro, rendere integro

cheng


integrità, completezza come persona


La coppia di sinistra è formata da verbi usati in parallelo: una cosa prima viene generata e poi riesce ad ottenere più o meno la completezza. La coppia di destra si stacca invece da questo tipo di simmetria: xing è un sostantivo usato per le varie nature (dell'uomo, del bue etc.); cheng è un verbo nominalizzato che indica la virtù umana dell'integrità e della sincerità. Nel Zhongyong, la dottrina menciana sulla bontà della natura umana viene estesa alla riconciliazione universale di natura e moralità.


Solo chi al mondo è più integro può essere reputato capace di avvalersi fino in fondo della propria natura; in tal caso egli sarà capace di avvalersi fino in fondo delle altrui nature delle cose; in tal caso sarà per lui possibile assistere il cielo e la terra nella loro opera di trasformazione e nutrimento; in tal caso sarà per lui possibile allinearsi come terzo assieme a cielo e terra


Si noterà come ren restringendo il proprio ambito alla benevolenza in quanto principio unificante della bontà umana, non abbia smarrito la propria relazione con ren

Mencio andava aprendo la strada alla soluzione generale del problema di Cielo e Uomo.

Il Cielo decreta la natura di ogni cosa.

La Via del Cielo è costituita dai percorsi delle cose.

La sfera dell'umano agire consiste nell'assistere il Cielo con un azione che favorisca e non danneggi la maturazione individuale e delle cose in conformità con le rispettive nature.

Viene implicata quindi un interazione tra umano agire e destino: il destino corretto è ciò che il Cielo decreta qualora si agisca correttamente.


Cap.2. Da Mozi al tardo moismo: la moralità rifondata sull'utilità razionale.


Strutturazione del Corpus Moista: rimangono 6 capitoli del Mozi.

q   Capp.40-41: Canoni (jing ) A e B

q   Capp. 42-43: Spiegazioni sui Canoni (jingshuo ). Il Canone viene identificato citando come incipit il primo carattere.

q   Capp. 44-45: Grande scelta (Daqu ) e Piccola scelta (Xiaoqu ); una raccolta più lunga e una più breve di frammenti da due documenti, di cui vengono riportati anche i titoli: Delucidazioni sui Canoni (Yujing ) e Nomi e Oggetti (Mingshi



I documenti mostrano di essere stati compilati in tre diverse fasi:

Delucidazioni sui Canoni: tredici proposizioni etiche con relative spiegazioni. I Canoni citati dal titolo sembrano indicare le dieci dottrine originali di Mozi.

Canoni e Spiegazioni: insieme al più antico Delucidazioni sui Canoni formano un unico manuale della disputa praticata dai moisti. Si tratta di spiegazioni orali fornite dai maestri a proposito dei Canoni.

Nomi e Oggetti: un trattato scritto dopo il completamento del manuale.

I documenti sono stati compilati tra la fine del quarto e del terzo secolo a.C.


Conoscenza e denominazione.


I Canoni si occupano della conoscenza attraverso tre forme grafiche del termine zhi 'sapere', corrispondenti ai termini (1) talenti, facoltà (2) sapere, conoscere (3) saggezza, sapienza. La seconda e la terza forma sono caratterizzate dai radicali di 'sole' e 'cuore'.

A differenza di altre fonti, i Canoni non considerano il cuore come organo del conoscere, e parlano sempre di talenti (intelligenza e coscienza). Anche se il pensiero non è infallibile, la conoscenza che da esso deriva viene considerata certa. Per quanto concerne il conoscere, esso differisce dal percepire perché continua anche dopo l'atto percettivo (si può descrivere una cosa anche dopo averla percepita).

La teoria del denominare è puramente nominalistica, per esempio si chiama un oggetto 'cavallo' e si attribuisce tale nome a tutto ciò che è simile, dello stesso genere; 'cavallo' e quindi 'come l'oggetto'. Nella comunicazione non c'è bisogno d'altro: sapere che una cosa è come un'altra equivale a sapere tutto della stessa.


Quando senti dire che una cosa che non conosci è come una cosa che conosci, tu conosci entrambe


Mutamento e necessità


Per i tardo-moisti il più profondo e assillante dei problemi è la relazione tra conoscenza e mutamento temporale. Vivendo in un'era di rapida trasformazione intellettuale e sociale, essi cercano di fornire all'insegnamento di Mozi delle fondamenta intaccabili; sono gli unici fra i pensatori cinesi a condividere con i greci la fiducia nella possibilità di risolvere ogni problema grazie alla ragione (bian: disputare sulle alternative).

Spazio e tempo non sono mutualmente pervasivi: è il 'senza durata', il momento, ad essere mutualmente pervasivo con lo spazio, e la durata e il passaggio da un dato momento al successivo. Lo scopo è di scollegare presente e passato, mostrando come delle forme di governo un tempo ritenute buone possano perdere adeguatezza con il passare del tempo.


L'a priori


Quando saltiamo le mura di cinta il cerchio 'sussiste'. In base alle cose che seguono o che si escludono a vicenda sappiamo in anticipo cos'è.


Troviamo anche altri esempi di xian (in anticipo) in un'accezione logica assai simile all'a priori . Il significato è probabilmente il seguente: una volta superato il muro di una precedente conoscenza del nome 'cerchio', troviamo degli oggetti in cui esso 'sussiste' nel corso delle rispettive durate.

Il concetto di 'in anticipo' e l'immagine del muro di cinta ricompaiono in relazione con l'etica.

Ciò che "il saggio desidera o detesta in anticipo a favore degli uomini" viene appreso esaminando i 'punti essenziali', senza i quali un termine risulterebbe inadeguato. I termini morali formano un sistema, costruito a partire da 'desiderio' e 'avversione' allo stato indefinito. Desideriamo i 'benefici' e odiamo i 'danni'.


'Beneficio' è ciò che troviamo piacevole ottenere.

'Danno' è ciò che ci dispiace ottenere.


La valutazione di benefici e danni viene condotta in termini di jian ('totale') e ti ('unità-elemento'). Si deve preferire il totale alla singola unità (il braccio viene preferito al dito, il corpo al braccio, tutte le persone al singolo individuo).

Fare il 'giusto' è recare profitto

E sulla base di quest'ultimo modello:

Essere filiali è recare profitto ai genitori.

Viene stabilito a priori che 'giustizia' e 'benevolenza' sono ciò che il saggio desidera per il popolo, soppesando i pro e i contro che sulla base del principio che privilegia il totale e non le singole unità.


Prima disciplina: il discorso (come collegare nomi e oggetti).


Le prime due discipline (come collegare nomi e oggetti e come agire) non appartengono al dominio del necessario, ma a quello del temporaneo sussistere. La prima si occupa della corretta denominazione degli oggetti in modo da permettere ai nomi di 'sussistere' in essi.

In base alla teoria della denominazione è possibile chiamare un oggetto 'cavallo' ed estendere il nome a un oggetto simile, grazie allo standard di 'cavallo'. Lo si fa attenere ad un 'criterio' valido per un certo lasso di tempo.


La revisione dell'arte del discorso nel capitolo 'Nomi e Oggetti'.


I frammenti dedicati ai nomi all'interno di 'Nomi e Oggetti' segnano un progresso nel campo della classificazione tipologica delle denominazioni e della terminologia. Appare per la prima volta il termine mou con il significato di 'x'.


Di ciò che venga denominato in base a forma e caratteristiche, si sa per forza di cose che è 'x' solo se si conosce 'x'. Di ciò che non può essere denominato in base a forma e caratteristiche, anche non sapendo che ciò è 'x', si può conoscere 'x'.


La seconda metà della trattazione è fortunatamente intatta. In essa si dibatte nel dettaglio su come le frasi apparentemente simili a livello strutturale possano, a causa degli slittamenti idiomatici nella combinazione dei nomi, avere differenti implicazioni logiche. Per esempio se diciamo 'I cavalli bianchi sono cavalli, e montare cavalli bianchi è montare cavalli', allo stesso modo non possiamo dire che se una barca è di legno, allora entrare in una barca è entrare nel legno.


Parlando delle cose in generale, il fatto che siano per certi versi uguali non implica che siano del tutto uguali. Il parallelismo delle frasi è esatto solo fino ad un certo punto. [.] se accogliamo un'asserzione, abbiamo dei motivi per farlo; il fatto di essere uguali nell'accettarla, non significa tuttavia che le ragioni della nostra accettazione siano necessariamente le stesse. Le frasi che forniscono parallelismi si differenziano quindi nel procedere, falliscono qualora vengano spinte troppo lontano e si staccano dalle basi qualora le lasciamo andare.


I parallelismi vengono esposti non come se si brancolasse alla ricerca di un sillogismo, ma per mostrare i punti in cui la mutevolezza delle parole in differenti combinazioni, può viziare le inferenze (tui

Da qui nasce la somiglianza con il filosofo occidentale Wittgenstein.


Seconda disciplina: l'etica (conoscenza del come agire).


Le proposizioni etiche compaiono nelle Delucidazioni sui Canoni.

Il moista è ben cosciente del fatto che il suo sistema a priori mostra solo come benevolenza e giustizia siano ciò che il saggio desidera a vantaggio del genere umano, e che non mostra quali azioni risultino benevolenti e giuste in una data situazione.

Il necessario (il senza fine), sarebbe immune da mutamenti anche se non ci fossero degli esseri umani per saperlo. La decisione pratica dipende d'altro canto dalla valutazione di benefici e danni in circostanze variabili; nel soppesare benefici e danni si preferiscono  il totale alle singole unità, l'umanità ai singoli individui, e il corpo alle singole dita.


Tagliare un dito per salvare un braccio è scegliere il maggiore dei benefici e il minore dei mali [.]


Il soppesare i pro e i contro, in termini di danno arrecato al corpo, è una procedura condivisa da yanghisti e moisti. Nella versione yanghista però il soppesare i vantaggi personali non viene tuttavia riconciliato con la cura della vita di tutti.

Il modello per la sollecitudine verso una singola persona viene fornito dalla sollecitudine verso noi stessi.


La sollecitudine verso gli uomini non esclude noi stessi; ciascuno di noi fa parte di coloro verso cui si è solleciti.


L'etica tardo moista ci fornisce un ulteriore esempio in cui il moismo sembra divergere dal pensiero cinese per accostarsi al modello occidentale. Esso è basato non sulle relazioni sociali fra padre e figlio o sovrano e suddito, ma sugli individui che recano beneficio a se stessi, si avvantaggiano l'un l'altro e recano beneficio al mondo.


Terza disciplina: Le scienze (conoscenza degli oggetti).

I Canoni scientifici contengono una serie di proposizioni su ottica, meccanica, geometria ed economia. Non vi sono però dimostrazioni e questa è la lacuna più grande da parte cinese, qualora si tracci un parallelo con il pensiero greco.

I concetti base della geometria moista non sono la linea e il punto, ma bensì la misurazione e il suo punto d'inizio (duan


Il punto d'inizio è l'unità priva di dimensioni che precede tutte le altre.


Quarta disciplina: l'argomentazione (conoscenza dei nomi).


Nei Canoni la quarta disciplina è bian (disputare sulle alternative per decidere il giusto e il non giusto).


I buoi e i non-buoi da essi separati formano due parti. In assenza di ciò grazie a cui si giudica, essi non lo fanno.


Se uno chiama ciò 'bue' e un altro lo chiama 'non bue' abbiamo una disputa sugli opposti.


Viene implicato il principio del medio escluso. Una volta che il nome sia stato adottato, e qualunque sia l'oggetto a cui viene applicato, esso risulta o meno adeguato.

Per quanto riguarda le relazioni logiche fra i nomi, vengono definite come 'derivanti l'una dall'altra' o 'reciprocamente esclusive';


In certi casi una cosa è 'questo' ed è 'così', in altri casi è 'questo' ma non è 'così'


Cap. 3 . Dallo yanghismo al taoismo di Zhuangzi: riconciliarsi con il Cielo ritornando alla spontaneità.


Il nome 'Taoismo'


Zhuangzi viene tradizionalmente classificato come il secondo grande taoista dopo Laozi. L'antica raccolta di scritti nota come Zhuangzi rappresenta il mondo dei fuoriusciti che preferivano il ritiro a vita privata piuttosto che le cariche ufficiali. Il Laozi, pur attraendo lo stesso tipo di lettori si presenta invece come un manuale sull'arte del governo. I due nomi non vennero associati fin dall'inizio quindi la scuola taoista (come tutte le altre tranne i Confuciani e i Moisti) è una creazione a posteriori.

Con Sima Tan (morto nel 110 a.C.) vengono delineate sei scuole tra cui la Daojia (Scuola della Via). Sima Tan la identifica con il sincretismo incentrato sul Laozi. Egli in veste di ufficiale classificava le scuole in base ai vantaggi o svantaggi dei loro metodi di governo. Non considerò quindi il Zhuangzi come una vera e propria scuola. I fangshi (uomini delle arti segrete) che si avvalevano della cosmologia Yin Yang, vennero classificati da Sima Tan come scuola a se stante, ma un processo di assimilazione era già cominciato.

Al di la della generalizzazione secondo cui a partire dal primo secolo a.C., con la vittoria del Confucianesimo (pubblico, rispettabile, convenzionale e pratico) il versante della cultura cinese privato, disdicevole, magico, spontaneo, tese ad aggregarsi intorno al nome di Laozi. Sarebbe quindi inutile trovare delle caratteristiche comuni in tutto quello che è stato etichettato come 'taoismo'.

In ogni caso non possiamo evitare di usare del tutto l'uso del termine 'taoismo filosofico' per parlare del pensiero del Laozi e del Zhuangzi. Anche se il primo è politico e il secondo al contrario è anti-politico, entrambi condividono un'intuizione di base: mentre le cose si muovono spontaneamente lungo il corso loro assegnato, l'uomo si è staccato dal Cielo riflettendo, proponendo alternative e formulando principi d'azione.


Il 'Zhuangzi'


È un'antologia di scritti che espongono delle filosofie tese a giustificare il ritiro a vita privata, senza il fardello di cariche ufficiali. Possiamo distinguere al suo interno cinque componenti principali:

Scritti di Zhuangzi (c. 320 a.C.)

Scritti appartenenti alla 'Scuola di Zhuangzi'

Saggi di un autore 'primitivista' databili al periodo di guerra civili tra la caduta dei Qin e l'ascesa degli Han (209-202 a.C.)

Capitoli Yanghisti

Strato sincretista finale (II° sec. a.C.)


La raccolta che ci è pervenuta nella riduzione di Guo Xiang è strutturata in tre parti:


v Capitoli interni (neipian 1-7) raccolta di detti, dialoghi versi ed aneddoti che vengono fatti risalire allo stesso Zhuangzi

v Capitoli esterni (waipian 8-22) che contengono i saggi 'primitivisti' (fino a metà del libro 11) e libri della 'Scuola di Zhuangzi'

v Capitoli misti (zapian 23-33). I capp. Dal 23 al 27 e 32 sono un'accozzaglia di frammenti spezzati e fuori posto. I capitoli yanghisti vanno dal 28 al 31, mentre il 33 è definito sincretista e fornisce la più antica storia delle scuole di pensiero.


Narrazioni su Zhuangzi


Parlando di Zhuang Zhou (Zhuangzi), Sima Qian dice che visse durante i regni di Re Hui di Liang (370-319 a.C) e Re Xuan di Qi (319-301 a.C.). Dice anche che rifiutò il posto di primo ministro offertogli da Re Wei di Chu (339-329 a.C). Altre narrazioni lo presentano come un eremita, che intreccia sandali per vivere, o che si fa vedere da un re con una veste rattoppata e calzari legati con una corda. Già parlando di Hui Shi abbiamo visto l'amicizia-scontro che li univa. Per quanto potesse prendersi gioco della logica di Hui Shi, era nello scontro fra le loro menti che la posizione antirazionalista di Zhuangzi trova definizione.


L'assalto alla ragione.


Come tutti i grandi antirazionalisti Zhuangzi ha i suoi buoni motivi per non dare ascolto alla ragione. Essi vengono sviluppati soprattutto nel secondo dei Capitoli Interni. Il capitolo ci mostra come nel corso delle varie sfide con Hui Shi, Zhuangzi traesse un insegnamento dal suo razionalistico mentore.

Nella terminologia dell'argomentazione una cosa o uno stato di cose 'è questo' (shi ) oppure 'non lo è' (fei ). A differenza del nostro 'vero' questi dimostrativi richiamano l'attenzione sul fatto che la relazione affermata riguarda gli oggetti ed i nomi coniati dall'uomo, che sono aperti al mutamento.

La relazione tra nomi ed oggetti è puramente convenzionale.


[Hui Shi disse] Confuciani e moisti, yanghisti e seguaci di Bing mi stanno sfidando nell'argomentazione. Formuliamo frasi per confutarci l'un l'altro e urliamo per intimidirci a vicenda. Stai ora suggerendo seriamente la possibilità che essi non abbiano mai negato la mia posizione?


Zhaungzi replica che sono contese causate da semplici fraintendimenti terminologici.


Confuciani e moisti parlano di 'essere questo' e 'non esserlo', ma ciò che è in un modo per gli uni non lo è per gli altri e viceversa.


Si è in vita e simultaneamente si muore. L'ammissibile è simultaneamente inammissibile.


Il questo ed il quello esistono realmente o in realtà non c'è né questo né quello? Il punto in cui né questo né quello trovano il proprio contrario viene chiamato Asse della Via. Dico che 'il mezzo migliore è l'illuminazione'.


Zhuangzi considera il tutto come qualcosa di più della somma delle sue parti e pensa chel'analisi tralasci sempre qualcosa e che nessuno dei due poli della dicotomia 'essere questo' e 'non esserlo' sia completamente vero; il loro tratto comune è inoltre di essere 'qualcosa' in opposizione a 'nulla' (espressi in cinese dai verbi nominalizzati you esserci e wu non esserci). Zhaung zi pensa a 'qualcosa' e 'nulla' come a suddivisioni di un tutto che non è né uno né l'altro.


La difesa tardo moista della ragione.


Alcuni dei Canoni sono posteriori al Zhuangzi, e molte proposizioni della quarta disciplina difendono le argomentazioni dalle sue critiche.

I moisti sostengono che il disputare in senso stretto si limita ad argomenti in cui una delle due alternative quadra per forza di cose con l'oggetto, mentre l'altra non lo fa. Il fatto che ciò che conta è la differenza viene sottolineato anche in relazione con il rinominare arbitrariamente. I moisti non negano la convenzionalità dei nomi, ma sostengono con enfasi che esso è delimitato dalle differenze degli oggetti.

La risposta di Zhaungzi è:


Considera anche il 'non questo' come 'questo', e il 'non così' come 'così'. Se 'questo' e 'così' sono realmente questo e così, nel disputare essi non saranno diversi da 'non questo' e 'non così'.


La spontaneità.


Lo scetticismo di Zhuangzi non è una novità per il lettore occidentale. (vedi Nietzsche). L'errore basilare della vita è per Zhaungzi il porre alternative chiedendosi 'quale è benefica e quale è nociva?' oppure 'quale è giusta e quale è sbagliata?', cercando così di dare una formulazione della Via come serie di regole per ordinare lo stato, la famiglia, gli individui. Il saggio secondo Zhuangzi si adegua al corso delle cose e non cerca di imporre la propria volontà, come il nuotatore che galleggia sotto un'enorme cascata:


Penetro con l'afflusso e riemergo col deflusso; seguo la Via dell'acqua senza imporle i  miei bisogni individuali: ecco come riesco a galleggiare in essa.


Il saggio centra in ogni particolare situazione l'unico corso d'azione che può risultare appropriato, pur non seguendo alcuna regola, il corso è il Dao o 'Via' e tutte le cose seguono immancabilmente le sua direzione. L'unico a fare eccezione è l'uomo (analizzatore e parolaio) che lo perde di vista aderendo rigidamente a vari codici da lui formulati. La novità introdotta dal Zhuangzi nella concezione di Dao è il vedere l'uomo come coincidente con la Via nel momento stesso in cui smette di fare distinzioni.

Rigettando la pratica del bian, Zhuangzi accoglie invece con favore quella del lun (selezione, classificazione) ovvero il pensiero e il discorso coerenti che dispongono le cose in corretta relazione tra loro.

Il saggio valuta le azioni senza discutere e distingue gli eventi fisici senza valutarli; egli localizza inoltre quello che sta al di fuori del cosmo, ma senza includerlo nella distinzione.

Zhuangzi conia un nuovo termine 'questo che reputa' ( wei shi) in contrapposizione con il 'questo in base al criterio seguito' ( yin shi

Creare distinzione fluide in grado di adattarsi alle circostanze è del tutto corretto. Il pensiero va fuori strada quando crea distinzioni tanto rigide da spingere a credere che una cosa corrisponda sempre alla definizione temporanea che abbiamo adottato in una data circostanza.

Il saggio segue costantemente la spontaneità (zi ran )e non aggiunge nulla al processo vitale.


L'illuminazione della spontaneità


Mettendo da parte tutti gli imperativi tradizionali, Zhuangzi ne propone uno nuovo e tutto suo che impone di essere spontanei: egli eredita quello che era un presupposto della tradizione sin di Confucio, cioè l'agire parte dalla spontaneità e viene guidato dalla saggezza. Anzi la saggezza stessa è la sua essenza, che è uno rispecchiare le cose così come sono.


L'uomo sommo usa il cuore come uno specchio; non fa da scorta alle cose che vanno e non porge il benvenuto a quelle che arrivano; reagisce e non immagazzina.


Riguardando al pensiero del Zhuangzi, possiamo ritrovarvi due fasi distinte:

Tutti i principi usati per sostenere delle regole di condotta sono di per sé privi di fondamento.

Alla base dello scetticismo permangono la spontaneità e un unico imperativo che la deve guidare: rispecchia le cose così come sono; ciò permette una reazione soltanto in uno stato di massima consapevolezza.

L'assunto generale sembra essere: la consapevolezza delle altre persone guida la spontaneità dall'egocentrismo a una sensibilità che muove da diversi punti di vista. L'interesse di Zhuangzi non è rivolto alla natura dell'uomo, ma bensì alla sua Potenza , che va sviluppata fino che il suo perfetto rispecchiare prevalga su tutte le passioni che offuscano lo specchio.


Veglia e sogno.


Zhaungzi accetta senza problemi il fatto che dobbiamo prendere il mondo com'è, e si limita a negare la possibilità che la ragione analitica possa mostrarci come esso è in realtà. L'uomo può denominare o classificare le cose a suo piacimento (come ad esempio cavallo e non-cavallo, sogno o veglia), ma se vede le cose a suo piacimento e lascia che le passioni offuschino lo specchio della percezione, il suo moto spontaneo non si accorderà alla Via.



Secondo Zhuangzi l'intera vita potrebbe benissimo essere un sogno, infatti vegliando o sognando non siamo in grado di rispondere a una domanda come "sto sognando o sono sveglio?". Questa inconoscibilità ci dimostra che il porre alternative non ci dà la conoscenza. Se vogliamo tornare alla Via bisogna smontare le distinzioni più basilari.


Non sa se sia Zhou a sognare di essere un farfalla o se sia una farfalla a sognare di essere Zhou.


Cielo e uomo.


Zhuangzi vuole anche estromettere la dicotomia di Cielo/uomo. Egli dichiara che il saggio ha la forma di un uomo ma è privo dell'essenzialmente umano, e vive lasciandosi possedere interamente dal Cielo.

Hui Shi entra in scena e pone un'obiezione:


v Può un uomo essere privo dell'essenziale per l'uomo?

v Lo può.

v Se un uomo è privo dell'essenziale per un uomo come possiamo chiamarlo uomo?

v La Via fornisce l'aspetto e il Cielo gli fornisce la forma [.]

v Ciò che definisco essenziale per l'uomo è il giudicare in base a 'è questo' e ' non è questo'. Ciò che intendo con essere privo dell'essenziale per l'uomo è il non danneggiarsi interiormente con propensioni ed avversioni adeguandosi costantemente alla spontaneità, senza nulla togliere al processo vitale.


Se smettiamo di analizzare, limitandoci a presenziare e a reagire, la nostra condotta (nascita, crescita, decadimento e morte) rientra fra i processi spontanei che vengono generati dal Cielo.

Stiamo allora facendo, senza sapere cosa facciamo, quello che il Cielo ci ha predestinato. Il saggio è spontaneo, appartiene nella sua totalità al Cielo e non opera alcuna distinzione fra benefici e danni o fra se stesso e gli altri uomini, o addirittura fra Cielo e uomo. Il saggio è comunque un individuo pensante, che trova i mezzi adatti ai fini verso cui il Cielo lo spinge, operando distinzioni provvisorie e relative. È l'esatto contrario della concezione occidentale razionalistica dell'individuo come ego ragionante, che oggettivizza le proprie spontanee tendenze ed attitudini come mezzo al servizio dei fini.

Se collochiamo idealmente l'autonomo pensare dell'individuo alla "periferia", allo stesso tempo allora la spontaneità va collocata al "centro".


Il linguaggio


Il negare che la Via possa essere descritta a parole è un paradosso tipico del Taoismo. Dato l'esordio del Laozi (la Via di cui si può parlare non è la Via costante) si è spinti a chiedersi come mai Laozi abbia continuato nella stesura dell'opera. L'ironia si acutizza in modo particolare nel caso di Zhuangzi, maestro di disputa, aforismi, aneddoti, prosa e poesia, il quale professa un illimitato scetticismo rispetto alla possibilità di dire alcunché.

Ma guardando più attentamente vediamo che i taoisti non sono filosofi che professino di conoscere verità non formulabili, non stanno pensando alla Via come suprema Verità o Realtà. Essi hanno semplicemente il buonsenso di ricordarci i limiti del linguaggio che usano per guidarci verso quella visuale alterata sul mondo e verso quell'arte del vivere.

Anche se Zhuangzi può sembrare 'moderno' per la sua capacità di cogliere le inadeguatezze del linguaggio egli non condivide di certo la tentazione che porta a scivolare verso il solipsismo linguistico. Egli è assolutamente convinto che tanto le cose quanto le idee (yi ) che di esse abbiamo rimarrebbero al loro posto qualora riuscissimo a sbarazzarci del fastidio di doverne parlare.


L'esca è il mezzo per condurre il pesce dove desideriamo; una volta preso il pesce, dimentichiamo l'esca.


Riconciliazione con la morte


Zhuangzi non dubita mai del fatto che solo affidandoci alla Via possiamo 'salvaguardare il corpo, mantenere intatta la vita, sostentare i genitori e vivere fino in fondo i nostri anni'

Come gli altri pensatori della Cina pre-buddhista egli non è né ottimista né pessimista, e dà per scontato che tristezza e gioia si alternano come il giorno e la notte, o la morte e la vita.

La liberazione dall'individualità viene vista come un trionfo sulla morte. Zhuangzi non pensa che la consapevolezza personale vada oltre alla morte, ma piuttosto che, afferrando la Via, il punto di vista personale slitti da 'non continuerò ad esistere' a 'nel perdere l'individualità rimarrò in fondo quello che sempre sono stato, e identico a tutti i fenomeni dell'incessante trasformazione universale'. Zhuangzi accetta la dissoluzione fisica come una fase del processo universale di trasformazione.


Dalla 'Scuola di Zhuangzi' alla metafisica del 'Grande Uomo'.


Una generalizzazione riguardante la filosofia cinese (prima dell'arrivo del buddhismo) vuole che essa non tenda in alcun modo alla costruzione di sistemi metafisici.

Questioni metafisiche insorgono comunque; una di esse è la questione Cielo-Uomo.

Tutti i pensatori da Confucio in poi possiedono una metafisica implicita che assegna posti particolari a Cielo e Uomo, Via e Potenza, ma per chiarire bene la situazione non abbiamo che testimonianze frammentarie e quindi lo schema è stato costruito a posteriori dagli studiosi.

I mohisti voltarono le spalle a tutta la questione die rapporti Cielo-Uomo, e cercano di dare all'etica delle basi puramente logiche. Le rare eccezioni alla summenzionata generalizzazione vanno cercate nei seguaci di Mencio e Zhuangzi. Nel Zhongyong si sistematizza la posizione dell'uomo nell'universo. Fra i taoisti invece troviamo invece un metafisico che parlandoci del Grande Uomo, riordina in modo esemplare le posizioni del Zhuangzi. Nella scuola di Zhuangzi nel terzo secolo a.C. esistevano due tendenze: una razionalizzante e una derazionalizzante. Secondo la tendenza derazionalizzante il parlare della Via in modo articolato è una palese dimostrazione di ignoranza. Mostriamo di possedere intuito rifiutandoci di parlare o quando cerchiamo di farlo e dimentichiamo quello che volevamo dire. All'estremo opposto stanno i concetti di Grande Uomo (daren ) e del suo Grande Àmbito (dafang ). Il Grande Uomo non si limita ad avere una visone globale del Cosmo: ciò che lo distingue è la capacità di vedersi nelle giuste proporzioni rispetto al cosmo stesso. Nel capitolo 'acque d'autunno', il dio del Fiume Giallo seguendo la corrente sino alla foce, scopre la vastità del mare e chiede chiarimenti al dio marino Ruo; la risposta è: "rispetto all'estensione di cielo e terra non sono che un ciottolo o un cespuglio su un massiccio montuoso". Similarmente anche i concetti di bene-male sono relativi. Non dipendono da parametri prefissati, ma solo da circostanze particolari.


Chi conosce la Via comprende necessariamente i modelli; comprende i modelli è necessariamente lucido nel ponderare; chi è lucido nel ponderare non usa necessariamente le altre cose a suo danno.


Torniamo così all'assunto di base: il bene è la Reazione Spontanea che viene dal Cielo o dalla Potenza individuale, e che è massimamente consapevole dei modelli che regolano le cose.


Parte terza: Cielo e Uomo vanno per la propria strada.


Abbiamo visto che tra le tre principali reazioni alla crisi metafisica, solo la dottrina menciana sulla bontà della natura umana riesce a ricongiungere Cielo e Uomo. Durante il terzo secolo a.C. riscuote vasti consensi l'idea che il processo posto al di fuori del controllo dell'uomo segua un corso indipendente dalla sua moralità. Pur non venendo mai disgiunto completamente dalle analogie umane, il Cielo viene sempre più visto come mero membro superiore della coppia Cielo-Terra. L'uomo comincia a vedere se stesso come indispensabile terzo elemento che completa la triade cosmica (Cielo-Terra-Uomo).

v Il Laozi e il Zhuangzi invitano l'uomo ad accordarsi con la Via universale in quanto tendenza della sua spontaneità.

v Xunzi pensa che il Cielo generi l'uomo dotandolo di desideri anarchici che devono essere controllati.

v Il legalista Han Fei reputa (come Xunzi) che l'uomo abbia desideri anarchici, che possono inoltre essere manipolati per il bene comune secondo un sistema di premi-punizioni.




Cap.1.: Il Taoismo di Laozi: l'arte di governare con la spontaneità.


Lao Dan e il Laozi


Intorno al 250 a.C. compaiono compare il libro intitolato Daodejing (Classico della Via e della Virtù), meglio conosciuto anche come Laozi, ripreso dallo pseudonimo Lao Dan (Vecchio Dan). In genere si sa più o meno qualcosa di tutti gli autori cinesi; l'autore del Laozi è l'eccezione più vistosa dato che di lui non si sa assolutamente nulla di certo. Nei capitoli esterni del Zhuangzi ci sono una serie di dialoghi in cui Confucio accoglie umilmente gli insegnamenti di Lao Dan sul taoismo (più simili a quelli del Zhuangzi che del Laozi. È possibile che Lao Dan fosse in origine uno dei tanti discepoli della cerchia di Confucio, preso in prestito poi dai taoisti come loro fondatore.

Comunque stiano le cose l'opera cinese più famosa e più spesso tradotta già circolava intorno al 250 a.C. Il Laozi non viene classificato dai cinesi come shi (poesia), anche se agli occhi degli occidentali un lungo poema filosofico. La sua suddivisione in due parti ha per lo meno l'età dei manoscritti di Mawangdui che invertono le due sezioni denominandole 'La Potenza' (38-81) e 'La Via' (1-37). È comunque probabile che la tradizionale suddivisione in 81 stanze del testo corrente, sia stata elaborata successivamente dai curatori per agevolarne la lettura.

Due sono i concetti fondamentali contenuti nel Laozi: la Via e la Potenza interiore che dà la forza per percorrerla. La scoperta della Via è legata all'abbandono dei modi d'agire prescritti (formulati a parole dai Confuciani ecc.) disimparando le rigide suddivisioni fissate dall'uso dei nomi, e praticando quell'armonizzazione spontanea del qi che ci pone sul percorso seguito dal Cielo e dalla Terra e dalla miriade di cose che sono tali 'di per sé'.


La Via


La famosa stanza d'apertura ( ) esclude ogni possibile formulazione della Via sotto forma di insegnamento verbale.

Potrebbe sembrare che il Laozi voglia dirci esplicitamente che la Via non è esprimibile a parole, che è la fonte di tutte le cose, ma ciò non è del tutto esatto. Il problema delle parole non sta nel loro essere del tutto inadeguate, ma nel risultare solo parzialmente adeguate; esse possono guidarci verso la Via, ma solo se ogni formulazione nella sua inadeguatezza è controbilanciata da un divergente opposto. L'approccio del Laozi consiste quindi nel proporci dei distici giustapposti in parallelo, che implicano tanto il l'esserci quanto il non esserci di una Via costante con un nome costante, per poi mettere alla prova ciascuna delle due alternative.

In quale modo la Via con o senza nome è collegata al saggio che ha o non ha desideri? Una possibile risposta è che il suddividere e denominare sono guidate ed avversioni, e sono al contempo la loro guida. La tecnica del Laozi consiste semplicemente nel demolire la dicotomia fra desiderio e assenza di desideri ingiungendo contraddittoriamente di essere costantemente privi di desideri e allo stesso tempo di avere desideri. Possiamo definire la Via come 'modello' xiang e quindi nel suo prendere forma come cosa, essa rimane di per sé l'indefinito da cui la cosa trae la propria definizione. La cosa inoltre ha sempre un nome dal punto di vista di chi la denomina guardando al passato, ma ciò non significa che l'abbia avuto continuativamente dal passato al presente.

Il Laozi definisce l'Uno come l'indiviso, ma non appena concepiamo l'uno, allora concepiamo anche il molteplice. L'autore del Laozi rende generativa una sequenza logica: la Via genera l'Uno, l'Uno genera il due, il due genera il tre, il tre genera la miriade di cose.

Malgrado l'aperto riconoscimento della sua inadeguatezza, il nome preferito dai cinesi per indicare l'inviso è 'la Via'. La nostra tendenza a concepirla come Realtà assoluta deriva dal fatto che la nostra filosofia ha in genere cercato l'essere, la realtà e la verità, mentre per i cinesi è stato diverso. Essi vogliono sapere come vivere, come strutturare la comunità e infine come porre in relazione la comunità con il Cosmo. Per quanto riguarda il Reale, ciò che è visibile, udibile, toccabile, non vengono poste obiezioni.


L'inversione.


L'inversione delle priorità in concatenazioni di opposti è il più tipico fra gli artifici adottati nel Laozi per sovvertire le descrizioni comunemente accettate.

Tabella di esempio

B

A

B

Nulla

Qualcosa

Conoscenza

Ignoranza

Maschile

Femminile

Pieno

Vuoto

Sopra

Sotto

Duro

Molle


Insegnando le tecniche di sopravvivenza ai deboli il Laozi consiglia di preferire B ad A, il passivo all'attivo, e lo Yin allo Yang. Laozi espone un ciclo grazie a cui tutto ciò che diviene forte, duro, superiore anteriore a qualcosa, tornerà poi ad essere debole, morbido, passivo etc.

Le virtù delle differenti combinazioni passive vengono esplorate con metafore fra loro collegate: la valle (il vuoto, il sottostante) e l'acqua (il fluido, flessibile, instabile).


Il bene più alto è come l'acqua. Sa recare benefici alla miriade delle cose, ma non entra mai in competizione; si adagia nel luogo che le moltitudini disprezzano e così sia avvicina alla Via.


Proprio a causa della sua fluidità l'acqua si muove più liberamente della pietra e al di sopra di essa, nel suo infilarsi anche nella minima crepa, l'acqua viene superata solo dal Nulla che non ha bisogno della minima crepa per infilarsi nel Qualcosa: questa è la cosa più sorprendente, e cioè l'innalzamento del Nulla al di sopra del Qualcosa.

Il corso spontaneo delle cose, che noi sfidiamo lottando per essere superiori e potenti, procede dall'alto al basso, dal forte al debole e poi verso l'alto, dopo il rinnovamento causato da un ritorno alla fonte.


Fare ritorno è il moto della Via

La cedevolezza è l'utilità della Via

La miriade di cose nel mondo è nata da qualcosa,

e il qualcosa è nato dal nulla.


'Via' è solo uno dei nomi che cerchiamo di applicare a ciò che, trattandolo da cosa denominabile, concepiamo come madre della miriade di cose e al contempo come radice a cui esse fanno ritorno.

Se è cedendo che il debole diventa più forte, si potrebbe affermare che il saggio sta semplicemente utilizzando la sua arrendevolezza come mezzo di conquista, rintracciando in fin dei conti la dicotomia e preferendo A a B? la risposta è no; ciò infatti richiederebbe un'analisi e un calcolo dei mezzi per raggiungere un fine. Il saggio, perfettamente illuminato rispetto alla situazione, gravita nella direzione della sua sopravvivenza con la spontaneità del processo naturale, e si limita a seguire il tragitto che muove al contempo verso la precedente arrendevolezza e la successiva vittoria.


Il Cielo permane e la terra sussiste. Il motivo per cui cielo e terra riescono a permanere e sussistere è che non generano se stessi.


Se l'uomo segue il loro esempio e non si cura della propria esistenza, trattando se stesso come le cose al di fuori, si ritrova a seguire il percorso più favorevole per la sopravvivenza. Se il saggio, nel suo perfetto disinteresse, non distingue più se stesso da cielo e terra, non sta in un certo senso partecipando alla loro immortalità?

La coppia Bene/Male non fa parte degli opposti concatenati discussi nel Laozi; in assenza di qualificazioni, è meglio seguire la Via che non seguirla. L'uomo buono è colui che adattandosi alla Via ha imparato a sia a sopravvivere, sia a riconciliarsi con la malasorte e con la morte.


Il Non-Far-Nulla.


Il paradosso secondo cui la via per attuare uno scopo consiste nel cessare di perseguirlo, si fa più esplicito negli appelli al 'Non-Far-Nulla' (wu wei ). Il termine risale a Confucio e viene spesso tradotto come 'Non-Azione'. Wei indica l'azione ordinaria e deliberata dell'uomo che persegue uno scopo, opposta si processi di natura che sono 'tali di per sé'.


La Via costantemente non fa nulla e malgrado ciò non c'è nulla che non faccia. Se capi e sovrani sanno afferrarla saldamente, la miriade di cose si trasforma da sola.


Non si tratta di credere che le cose vadano per il verso giusto qualora vengono abbandonate a se stesse. L'assunto è che la spontaneità si esplica in modo corretto nella misura in cui le persone sono reciprocamente consapevoli delle circostanze che le riguardano. Quindi l'imperativo è diventa un saggio consapevole di ogni possibile fattore, o semplifica la tua situazione fino a ricondurla nei limiti del tuo sapere. La seconda alternativa viene inevitabilmente preferita per la gente comune.


Se non si elevano di rango i meritevoli, le persone non entreranno in competizione, se non si da valore ai beni difficili da ottenere, non ci saranno più ladri, se non si esibisce ciò che è desiderabile, i loro cuori non conosceranno il disordine [.] mettendo in pratica il Non-Far-Nulla ogni cosa sarà in ordine.


Nello stato ideale ogni cosa va avanti da sola, le masse vanno tenute ignoranti. Il sovrano dovrà quindi solo salvaguardare la concordia, riducendo le interferenze al minimo per ottenere il massimo effetto, presagendo i pericoli immediati e reagendo prima che questi divengano qualcosa.


Mistica e pratica.


A differenza del Zhuangzi, il Laozi sembra essere chiaramente destinato ad un pubblico di governanti e capi di stato (soprattutto ai capi dei piccoli stati che dovevano curvarsi col vento per sopravvivere con quelli più forti). Il ritirarsi di fronte ad un potere in ascesa, permettendogli di ampliarsi fino al punto in cui ha inizio il declino, può essere applicato in molti modi al governo. Che dire tuttavia del concetto di unità condiviso dal Laozi e dal Zhuangzi? È possibile che l'autore stia veramente consigliando ai sovrani dicendo loro che il governo dello stato richiede come minimo la suprema illuminazione mistica?

L'autore del Laozi dimostra senza dubbio una notevole familiarità con il lato mistico, ma molti lettori lungi dal condividere ogni rinuncia taoista ad ogni scopo prefissato, si sono limitati a cercare nell'opera una disciplina da asservire ai propri fini.


Cap. 2. Il confucianesimo di Xunzi: la moralità inventata dall'uomo per controllare la propria natura.

Riconoscere che il processo spontaneo segue un corso indipendente dalla moralità umana, divenne la tendenza dominante nel corso del terzo secolo a.C.


Il Cielo


Il mondo esterno all'uomo è formato dal Cielo e dalla Terra; in assenza di ogni dicotomia spirito-materia, esistono solo gradazioni di sostanzialità, i pensieri e i sentimenti dell'uomo sono meno solidi del suo corpo, ma solo nel modo in cui il cielo è più sottile della terra sottostante. Il qi 'fluido energizzante' che nell'uomo corrisponde al respiro, sta anche al di fuori sotto forma di aria.

Il supremo potere di controllo, o intelligenza più pura, tanto nell'uomo quanto nel cosmo, è concepibile solo come ciò che è massimamente rarefatto.

Xunzi ha una visione antropocentrica. Cielo e Terra seguono una Via indipendente dalla volontà dell'uomo mettendogli a disposizione delle risorse, ma senza consigliarlo nel loro utilizzo. Sta ad ogni uomo trovare la Via più confacente.


Se godiamo delle stagioni come se fossero un periodo di pace e di ordine, ma ci stacchiamo dall'ordine subendo delle calamità, è inammissibile accusare di ciò il Cielo; tutto dipende dalla Via che seguiamo.


Per Xunzi, come per l'autore menciano del Zhongyong, la grandezza dell'uomo sta nel comporre una triade assieme a cielo e terra.

Invece di magnificare e contemplare il Cielo

Perché non lo controlliamo e teniamo a freno?


invece di aspettare le stagioni e i loro frutti,

perché non reagiamo e le poniamo al nostro servizio?


invece di contemplare le cose nella loro indipendenza

perché non le sistemiamo in un modello a cui nessuna possa sfuggire?


Le pratiche divinatorie in quanto rituali accettati non sollevano alcuna obiezione, ma non hanno nulla a che fare con la predizione del futuro.

Il gentiluomo pensa ai riti in termini culturali, mentre i Cento Clan pensano in termini di demonico. Per Xunzi, la curiosità legittima si limita a ciò che è umano e a ciò che ha un'utilità diretta per l'uomo.

Il li 'modello' è la collocazione di padre e figlio e di sovrano e suddito nel grande schema delle cose, e la miriade delle cose non risulta adeguata se non nel suo essere utile all'uomo


La Via non è la Via del Cielo, e non è la Via della terra; è ciò di cui l'uomo si serve per procedere, e ciò che il gentiluomo adotta come Via.


il gentiluomo è il terzo elemento in linea con il Cielo e la terra, l'unificatore della miriade di cose. Se non ci fosse il gentiluomo il Cielo e la Terra non avrebbero un modello; il cerimoniale e la giustizia sarebbero privi di un'organizzazione; in alto non ci sarebbero né sovrani né maestri e in basso non ci sarebbero né sovrani né figli: avremmo ciò che chiamiamo il 'massimo disordine'.


Xunzi forse intende che l'uomo impone un suo significato ad un universo altrimenti privo di senso.


La natura umana


Il carattere xing 'natura' era stato in precedenza usato senza operare alcuna distinzione tra natura umana e i suoi processi spontanei. Xunzi traccia invece una distinzione e la estende al carattere wei 'artificio' che è al contrario di 'natura'.


La natura dell'uomo è malvagia; il buono in lui è artificio. [...] perciò se assecondiamo la natura e seguiamo l'autentico dell'uomo, inevitabilmente cominciamo ad azzuffarci. [...] dobbiamo quindi lasciarci trasformare dai maestri, dalle regole, dalla Via del cerimoniale e del giusto [...]


La natura umana va raddrizzata a forza







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