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Corso: Storia del Teatro 1, facoltà di lettere e filosofia
«Essi provenivano dalle più diverse classi sociali, agivano isolati, con scarso o nessun mezzo scenico, semplici dicitori o declamatori, di solito buffoni, spessa attori»[20]. «Quando Guiraut Riquier, nel 1272, chiede in versi ad Alfonso di Castiglia una classificazione che distinguesse le categorie della professione, la Declaratio che si finge emessa dal re riserba il nome di giullare a chi onorava con la sua arte musicale e col suo senno le corti signorili, e quel di buffone a chi esercitava un'arte inferiore e vile, addomesticatore di scimmie, cani e capre, imitatori del canto degli uccelli, suonatori ambulanti per il sollazzo plebeo» . Ma questa distinzione servì a poco, poiché le due categorie vennero confuse, e i due termini divennero sinonimi. Ormai l'esistenza di questi personaggi è assolutamente certa, ed è dimostrata anche la loro partecipazione ai banchetti nelle corti. Ho trovato come testimonianza la descrizione di tutte le portate di uno di questi convivi, e in conclusione al testo è presente un commento: «e tutte queste vivande furono portate alla tavola in piatti d'argento e d'oro et erano accompagnate da fiaccole accese e trombe che andavano suonando avanti le vivande; e nelle medesime fiaccole v'erano gabbie d'uccelli e quadrupedi di tutte quelle sorti di viventi che furono mandati in tavola cotti; e appresso furono introdotti nel luogo del convito comedianti, rappresentatori, saltatori e cianciatori oltre ai trombetti, ai suonatori, ai musici eccellenti e ad altri che correvano sopra la corda; cosa che fu rara al mondo da vedere» . Ma anche lo stesso Erasmo da Rotterdam ricorda come nei banchetti fossero presenti tali individui, personificando e dando voce alla pazzia: «Per conto mio è assolutamente certo che nessun pranzo può riuscir piacevole, se manca il condimento della pazzia, Verissimo! E se non c'è chi susciti il riso con le sue pagliacciate, vere o finte che siano, facciamo intervenire qualche buffone, magari a pagamento, e in mancanza di questo, ricorriamo a un parassita, un mattacchione che con le sue uscite ridicole scacci la silenziosa malinconia del simposio» . Non solo. Erasmo enfatizza l'importanza dei buffoni aggiungendo che «persino i più potenti sovrani li hanno carissimi, al punto che molti non riescono a pranzare, a fare una passeggiata, anzi a resistere neppure un'ora senza di loro. La considerazione ch'essi accordavano ai loro buffoni sorpassa di molto quella pei loro arcigni sapientoni, anche se per desiderio di fama ne mantengono solitamente qualcuno al proprio servizio» .
Un carattere fondamentale della vita dei giullari è che questi hanno dovuto sempre convivere con quella che Carla Casagrande e Silvana Vecchio definiscono la loro "ombra". «Il giullare della piazza e della corte è accompagnato nella sua storia dalla immagine che di lui elaborano i chierici delle chiese, dei monasteri, delle università»[25]. «Dopo il Mille la Chiesa è vittoriosamente impegnata ad ampliar la propria regola per accogliervi più vita; ma prestarvisi senz'altro, anzi consentirvi in sede di così frivola apparenza come il ludo teatrale, no, questo non era ammissibile. Alla necessità di una forma espressiva che toccasse la collettività provvedeva il rito, la tragedia cristiana. [.] Ecco la ragione delle condanne che per più di un millennio, sino alla polemica del grande Bossuet, potevano al più variar leggermente nell'argomentazione, secondo il variar dello stile apologetico, non mutavano nella sostanza, che noi abbiamo cercato di ricondurre alla verità storica essenziale: immobile la Chiesa nella condanna, ma immobile anche la genia dei mimi nel ripetere le beffe, le smorfie, i giuochi fantasiosi o sconci. L'immobilità dell'una - per fatale - trascina l'immobilità degli altri» .
Secondo questa versione dell'Apollonio l'impressione che ne traggo è che la Chiesa avesse cercato di occultare il suo risentimento verso una categoria di uomini, che stavano sminuendo la loro figura e importanza, con il pretesto dell'utilità sociale. Mi sembra, cioè, che con la scusa di fare del bene morale al popolo, il clero stesse accusando questi personaggi, questi buffoni, che trascinavano la gente nel peccaminoso "culto del corporeo", affinché la società stessa li abbandonasse e non gli permettesse di sostituire il "primato" della Chiesa. E le varie accuse rivolte ai giullari partono da un'attenta analisi di questi individui: «Il chierico scruta con attenzione questa presenza; la cerca e sistematicamente la trova proprio nei luoghi in cui essa è più inquietante, nei luoghi del sacro. Pericolosi comunque in un modo in cui nulla propriamente è profano, i giullari sembrano prediligere agli occhi del chierico quegli spazi, quelle circostanze, quelle scadenze in cui la sacralità è concentrata e specifica: intervengono alle nozze, affiancando ai riti il loro chiasso e le loro canzoni spesso oscene; partecipano ai pellegrinaggi, distogliendo i pellegrini con ogni genere di allettamenti dai santi fini che si sono proposti e sovrapponendo ai canti sacri canti scurrili e sensuali; non risparmiano neppure i luoghi più santi: cimiteri, portici, chiese. [.] Il giullare e la corte diabolica che lo accompagna attenta in tal modo alla stessa esistenza della Chiesa: è l'alternativa del profano, del mondano, del corporeo che, relegata e compressa nella sfera del peccato, minaccia di riprendersi quegli spazi dai quali il chierico credeva di averla definitivamente esclusa. Il giullare invadendo, e non solo fisicamente, la Chiesa, fa saltare quella distinzione tra sacro e profano che garantisce l'ordine della società medievale, e sulla quale si giustifica e si fonda l'esistenza stessa del chierico»[27]. Ecco cosa teme veramente il chierico. Non credo che egli volesse negare al popolo delle distrazioni dal serio mondo sacrale e pagano, ma quando queste "distrazioni" urtano violentemente non solo gli ideali ma soprattutto la figura della Chiesa, allora questo non è più ammissibile. Nascono così una serie di vere e proprie invettive clericali contro il "turpe istrione". «Quando i chierici a proposito dell'istrione usano turpis, turpitudo, turpiter raccolgono tutti i significati che il latino dei classici aveva codificato in questi termini. In senso proprio turpe, da torpeo, significa deforme, informe, brutto, mostruoso, animale. Il significato si allarga sul piano etico, turpe designa anche e soprattutto indecente, disonesto, indegno, osceno, sordido, effeminato, cupido. Turpe è il corpo deforme e l'animo disonesto. [.] Il corpo è turpe nella sua essenza prima che nei suoi accidenti, e l'histrio turpis è spesso anche l'uomo fisicamente deforme, che fa della sua menomazione un elemento teatrale, ma è soprattutto l'uomo che usa il suo corpo come espressione e veicolo di significati, che fa del corpo un linguaggio al pari della parola. [.] Il turpis che definisce il giullare finisce anche col collocarlo, compagno e simbolo nello stesso tempo, in uno spazio, o meglio in ghetto, di oggetti, di luoghi e di personaggi che dallo stesso termine e dai suoi significati sono a loro volta definiti. Prima fra tutti, la meretrice. "Chiacchierona, instabile, inquieta, incapace di restare chiusa in casa, ora nelle piazze, ora insidiosa agli angoli delle strade", la meretrice è, come il giullare e accanto al giullare, turpe personaggio. Non solo, è il simbolo e la personificazione di tutte le cose turpi».
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