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"Relazione sulla prima Catilinaria di Cicerone"

letteratura latina




"Relazione sulla prima Catilinaria di Cicerone"



Cicerone attacca il discorso inveendo contro Catilina, chiedendogli fino a quando continuerà il suo gioco pensando d'imbrogliare il senato e abuserà della loro pazienza. Sostiene che tutti sanno delle sue nefandezze, delle sue trame contro il senato, ma nessuno faccia nulla. Richiama i tempi passati in cui il senato era più forte, cita per esempio il pontefice massimo Publio Scipione, che uccise Tiberio Gracco poichè attentava alla stabilità dello stato e Servilio Ahala, che assassinò S. Melio, che mirava a sovvertire le istituzioni. Si meraviglia di come nessuno abbia il coraggio d'arrestarlo o di come si abbia già fatto sparire il decreto che permette d'eliminarlo.

Accusa lo Stato di fiacchezza ed inettitudine. Dic 717e49h hiara l'esistenza d'un accampamento adunato in Etruria pronto a ribaltare il governo capitanato da Catilina. Si chiede come si possa permettere che giri ancora liberamente in senato: pur avvertendo il pericolo si preferisce far finta d'ignorarlo e alcuni in senato segretamente lo sostengono. Cicerone stesso non si decide ad intervenire con un'azione definitiva nei confronti dell'accusato, ma per un motivo ben preciso. Lo minaccia implicitamente di morte nel caso non si decidesse a mutar piani e ad abbandonar i suoi intenti.

Rafforza la dimostrazione della sua piena consapevolezza dei piani nemici facendo riferimento ad alcune esperienze personali: pattugliamenti, dichiarazioni personali d'allarme in senato. Ritorna poi volutamente a una notte in particolare, quella appena passata, in cui i membri della congiura s'eran riuniti a casa di M. Lecca per trovare un accordo e accenna al tentato omicidio della sua stessa persona da parte di due mandanti di Catilina.



Sprona il suo nemico ad abbandonare la città, epurarla da lui e i suoi compagni e a smantellare l'accampamento manliano.

All'inizio Catilina tentava d'attaccare esclusivamente Cicerone e lui s'era difeso con presidi privati per non provocare lo stato d'allerta, ma ora attacca lo Stato intero. L'oratore la definisce una cosa tanto grave che se lo provocherà ancora non rispettando il suo ordine, ricorrerà, come minimo ad esigliarlo.

Si domanda cosa ancora lo trattenga in città dal momento che ormai è odiato da tutti. Poi lo dipinge come un uomo senza scrupoli, imperturbabile, malvagio, sacrilego, perverso, osceno, disonorevole, disonesto, delittuoso, libidinoso, grande esperto in corruzione, uxoricida, sperperatore dei propri beni senza ritegno, irrispettoso della legge, della giustizia e persino dei propri genitori, visto che sta già pensando al matricidio. Catilina è, a suo avviso, simile a una bestia in impulsività, follia, inciviltà, in quanto mancanza del senso delle norme sociali e civili, nella resistenza alla fame ai climi avversi, alle veglie notturne. Sembra un po' un personaggio romantico: mostruoso, oscuro e doppio, un avo di Dracula. Ad ogni modo lo mette in luce come un terribile pericolo per lo Stato, non meno temibile della peste.

Di tanto in tanto chiama in causa qualche risaputa azione scellerata: l'uccisione dei consoli Lepido e Tullo, per citarne una.

Per spronar maggiormente l'uomo in accusa a fuggire, gli aggiunge che non solo conosce i suoi piani, tanto da poterli ripassare con lui, ma sa dell'aquila d'argento che l'uomo in accusa teneva in un sacrario. Gli mostra quindi di conoscerlo molto bene intimamente. Con una serie di colpi bassi tenta di convincerlo che ormai è spogliato d'ogni copertura davanti ai suoi nemici, quindi, che tanto varrebbe privarsi anche delle armi, ormai inutili alla difesa.

Propone al senato di condannare a morte Catilina, a neutralizzarne le trame, punirlo e salvarsi una volta per tutte, per lo meno in quanto debito allo Stato. È un dovere proteggere lo Stato: è ora di trovare una risoluzione.


Quando Catilina si ripresentò alle elezioni del 63, questa volta ci fu Cicerone a fermarlo. Tra i sette candidati, i tre personaggi potenzialmente vincitori erano Cicerone, esponente degli equites e degli aristocratici; Catilina e Caio Antonio Ibrida, appoggiati dai democratici, dalle influenze di Crasso e Cesare, e sostenuti dalla plebe. Ibrida era stato espulso dal Senato nel 70 per "indegnità", e aveva avuto in passato una brutta condotta. Cicerone propose quindi al secondo candidato dei populares di allearsi e di far convergere i voti dei rispettivi elettorati su loro due. Si dovevano infatti eleggere due consoli e le preferenze da scegliere erano due. Ciò avrebbe permesso a Ibrida di vincere le elezioni nonostante non avesse speranze in concorrenza con Catilina, quindi non poté che accettare la proposta.

Crasso e Cesare, formalmente alleati di Catilina, parteciparono all'accadimento. Nonostante con lui avessero pianificato un colpo di stato, pensavano di render Ibrida un loro utile fantoccio. Avendo perciò capito di non poter contare su alcun protettore all'interno dei populares Catilina strinse un rapporto sempre più stretto con la plebe. Appellandosi ad un populismo allo stesso tempo di destra (ritorno alle origini) e di sinistra (politica sociale nei confronti dei diseredati), aveva proposto - qualora fosse divenuto console - l'azzeramento dei debiti, appellandosi allo slogan delle tabulae novae. Di fatti a quel tempo il prestito ad usura e lo strozzinaggio erano molto diffusi: alcuni aristocratici dilapidavano l'intero patrimonio per riuscire a raggiungere una carica!
La proposta non poteva certo far piacere a personaggi ricchissimi ed usurai come Crasso, tanto meno ai "nuovi ricchi" tra gli equites e gli ex-plebei arricchiti i quali, come spesso accade, una volta fatto il salto di classe erano divenuti acerrimi difensori del privilegio, più di coloro che erano nati abbienti e aristocratici.

Un altro punto fondamentale del programma catilinario era la riforma agraria e la ridistribuzione delle terre, che veniva a colpire i latifondisti. Dal punto di vista politico, poi, il movimento chiedeva maggiori diritti alle donne e agli schiavi. Decenni prima entrambi i fratelli Gracchi avevano trovato la morte per aver propugnato una politica molto meno ardita di quella che avanzava ora Catilina; il suo programma faceva paura non solo agli aristocratici, ma anche agli stessi populares.
Nel 63 Cicerone poté rinviare i comizi, in qualità di console, ritardandoli dalla seconda metà di luglio alla prima metà di agosto. La campagna elettorale sarebbe quindi durata di più. Poiché buona parte dei sostenitori di Catilina erano che non potevano economicamente permettersi una così lunga permanenza nell'Urbe, in attesa di poter votare, si sarebbero favoriti i ricchi. Contemporaneamente, Catilina veniva accusato di discorsi e comportamenti "eversivi".
Vinsero Decimo Giunio Bruto, uomo di Cesare, e Lucio Murena, uomo di Crasso, eletto con brogli ma scandalosamente assolto in processo. Ancora una volta Catilina era il primo dei non eletti, e se Murena fosse stato condannato, avrebbe avuto di diritto la carica di console. Poiché ciò non avvenne, Catilina decise d'intraprendere la congiura. Ad essa parteciperanno aristocratici caduti in disgrazia, molte donne (matrone e intellettuali) e giovani, indistintamente da entrambe le classi, e schiavi, a cui Catilina, da tradizionalista qual'era, ricordò che quella rivoluzione non avrebbe cambiato di molto la loro posizione.

Cicerone e Sallustio hanno dato un'immagine negativa dei sostenitori di Catilina e di Catilina stesso, facendoli passare alla storia come la feccia della società, delle canaglia senza principi. Non c'è dubbio che nell'impresa fossero arruolati anche cinici personaggi decisi a ricavare qualche utile dalle sommosse, eppure, fino alla fine, non uno dei soldati di Catilina lo tradì nonostante il Senato per ben due volte avesse promesso premi e prebende, e un'amnistia per chi avesse abbandonato le armi.
Il tradimento, invece, venne da una donna, Fulvia, moglie di Quinto Curio, ex senatore entrato nel gruppo dei congiurati. La donna riuscì a carpire informazioni al marito, un individuo poco serio e facile alla chiacchiera, per poi rivenderle in moneta sonante alla polizia, ma soprattutto a Cicerone. Marco Tullio venne quindi a sapere che Catilina aveva impiegato ogni suo avere per la preparazione militare della congiura, stava assoldando, tramite uomini come Caio Manlio, Settimio, Caio Giulio, Caio Marcello, soldati in Etruria, nel Piceno, in Umbria, in Puglia. Ad un colpo di mano in città, nel quale i catilinari avrebbero assassinato gli avversari nel sonno, si sarebbe accompagnato quindi un movimento di truppe verso l'Urbe. Altre informazioni utili a Cicerone vengono da Cesare che, abilmente, rimane ai margini della congiura, per vedere come si sviluppa, e allo stesso tempo aiuta Cicerone. Ne La congiura di Catilina, lo storico Sallustio si impegnerà con zelo per smentire queste accuse nei confronti del suo padrino.
Poiché Cicerone mancava di prove concrete per denunciare Catilina e i suoi uomini di fronte al Senato, Crasso, insieme ai senatori Marco Marcello e Scipione Metello, si recarono a casa di Cicerone portando con sé una pigna di lettere nelle quali, a sentir loro, c'era la prova scritta della congiura. Erano lettere anonime indirizzate a vari senatori. Probabilmente a redigere quelle lettere era stato proprio Crasso, sfruttando informazioni passategli da Cesare.
Il giorno dopo Cicerone fece approvare il Senatus Consultum Ultimum; Catilina smentì e propose di consegnarsi per gli arresti domiciliari nella casa di qualche senatore sopra ogni sospetto.
I ribelli, intanto, avevano stabilito il proprio quartier generale a Fiesole, guidati da Caio Manlio. Il Senato inviò truppe al comando di due generali, Quinti Marcio e Quinti Metello, rispettivamente a Fiesole e nelle Puglie. La congiura era scoperta; Catilina era stato formalmente messo agli arresti domiciliari nella casa di Marco Metello (del quale si pensava, tra l'altro, facesse parte dei congiurati), dopo che il senatore Marco Lepido, e lo stesso Cicerone, si erano rifiutati di prenderlo in consegna.
Nell'ultima riunione di congiurati, nella casa in cui Catilina è agli arresti domiciliari, si decide che lo stesso avrebbe preso la strada di Fiesole, raggiungendo Manlio e i suoi uomini, mentre alcuni congiurati (Lentulo, Cetego e Cassio) avrebbero preparato l'insurrezione della plebe in città. Tuttavia la plebe era stata opportunamente terrorizzata affermando che Catilina, nel suo colpo di mano, avrebbe mirato ad incendiare alcune zone dell'Urbe ed era stata abbonita dal governo con distribuzioni gratuite di grano.
La congiura prende comunque il via: due congiurati, Vergunteio e Cornelio, dopo essersi recati all'abitazione di Cicerone, con i pugnali sotto la toga, vengono smascherati e lasceranno la città.

Nella riunione del Senato dell'8 novembre, presso il tempio di Giove Statore ai piedi del Palatino, Catilina fa un gesto di sfida ai senatori: il patrizio si presenta nel consesso e va a sedersi - completamente isolato - su un gradino. Catilina non sa ancora che verrà sommerso dalla mitica orazione (che passerà alla storia, riveduta e corretta, come Prima Catilinaria) di Cicerone.
Cicerone chiese ripetutamente a Catilina di lasciare la città. Nonostante ne avrebbe avuto il potere, probabilmente Cicerone non fece arrestare Catilina perché ne temeva le conseguenze o, già conoscendone le intenzioni di fuga, forse voleva apparire come colui che lo aveva spinto a questa decisione. Arrestare Catilina, poi, avrebbe significato istruire un processo, nel quale l'imputato, secondo le leggi, avrebbe potuto appellarsi al popolo, al giudizio dei comizi centuriati. L'unica soluzione sarebbe stata far arrestare l'avversario e farlo giustiziare senza processo.
Nell'ultima battaglia Catilina prese la strada di Fiesole per incontrarsi con Manlio, mentre a Roma alcuni congiurati, guidati da Cetego, tentarono il tutto per tutto per l'inizio delle feste Saturnali, periodo in cui un golpe aveva più possibilità di riuscire poiché gli stessi schiavi godevano di maggiore libertà da parte dei propri padroni. Approfittando delle festività, in città era presente anche una delegazione di Allobrogi, giunta nell'Urbe per perorare la causa del proprio popolo, a loro avviso eccessivamente colpito dai balzelli romani. In cerca di uomini da arruolare per la rivoluzione, uno dei congiurati, Lentulo, fece l'errore di avvicinare la delegazione promettendo future ricompense qualora gli Allobrogi si fossero schierati al loro fianco.
Fu il doppio gioco degli Allobrogi, avvicinati allo stesso tempo da Cicerone, a mandare in disgrazia i congiurati. La delegazione chiese infatti documenti scritti ai congiurati, da portare - questo il pretesto - alla propria gente. Firmandoli, i congiurati firmavano la propria condanna a morte. Infatti, dopo il processo, i congiurati vennero portati nelle segrete del carcere Mamertino e furono strangolati.
Catilina intanto uscì da Roma facendo intendere di recarsi in esilio, diretto a Marsiglia, invece raggiunse Manlio in Etruria.

Nell'accampamento di Fiesole c'erano circa diecimila rivoltosi, armi ed equipaggiamenti erano insufficienti: l'impresa era disperata.
Braccato dalle legioni governative, che nel frattempo avevano impedito qualsiasi collegamento con i simpatizzanti in Umbria e in Apulia, Catilina poteva sperare solo in una fuga in Gallia dove si sarebbero potuti reclutare nuovi uomini, prima di marciare su Roma. La fuga dei catilinari si fermò nei pressi di Pistoia. Chiuso tra le legioni di Caio Antonio Ibrida e quelle di Quinti Metello Celere, Catilina poteva scegliere d'arroccarsi in montagna in attesa della fine dell'inverno. Scelse, invece, la battaglia.
La battaglia di Pistoia durò più del previsto, le forze governative dovettero ricorrere all'impiego straordinario dei pretoriani. Quando lo scontro cessò, Catilina fu trovato in mezzo ad un mucchio di cadaveri, che ancora respirava. Il generale Antonio, che comandava le operazioni, non ebbe il fegato di farlo curare per portarlo di fronte a un tribunale, e ordinò che venisse decapitato, ancora cosciente.

In questa prima delle quattro originarie Catilinarie (di fatti ne è stata smarrita una) vibrante di veemenza e pathos, esce fuori il tutto il carisma, la ricca dialettica e l'abilità oratoria di Cicerone. Fu senza dubbio grazie alle sue grandi doti che nel 63 riuscì a soffocare la congiura.




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