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Machiavelli
Il trattato politico e la nascita della moderna saggistica: lo scandalo del Principe
Con Il Principe, Machiavelli adotta le forme del saggio, in cui l'autore sostiene e dimostra una sua verità individuale, assumendone consapevolmente la responsabilità. Tale verità è basata sulla conoscenza delle leggi della natura e della storia, fornite dalla esperienza diretta e dalle letture dei classici, e trae da tali elementi la propria legittimità. Entra in crisi l'autorità sancita dalla religione e dalla moralità laica precostituita. Il primo tipo di autorità era quello della trattatistica politica medievale; il secondo era quello della trattatistica quattrocentesca volta a delineare lo speculum principis (specchio del principe) elencando la serie di virtù morali di cui il principe doveva essere espressione. Lo scandalo del Principe sta nella spregiudicatezza del suo autore, che fonda l'autorità del proprio testo sulla forza del proprio pensiero e della propria scrittura.
La morale del principe dipende dal successo della sua azione politica. La politica diventa autonoma dalla religione e dalla morale. Nasce qui il termine di "machiavellismo" che sta ad indicare il ricorso agli strumenti e ai mezzi più spregiudicati pur di raggiungere il fine del successo politico. Colpisce la forza personale della scrittura, affascina e inquieta in suo carattere risolutamente anticonformistico e demistificatorio.
In Machiavelli il realismo spietato dell'analisi e la serrata logica argomentativi del discorso convivono con una scrittura fortemente immaginativa, con la forza impulsiva delle passioni e con una prospettiva fortemente utopica delle soluzioni prospettate. Questa straordinaria e contraddittoria fusione di realismo e utopia pertiene strettamente alla scrittura saggistica.
Machiavelli invita a cercare sotto le motivazioni e le ideologie dichiarate i veri momenti della storia, quelli materiali. Nasce con lui il pensiero del sospetto, che guarda sotto le apparenze rovesciando coraggiosamente le attese del lettore e le convenzioni sociali e culturali.
La vita
La vita di Machiavelli appare segnata quando tornati i Medici a Firenze egli deve abbandonare i suoi impegni politici. Prima Machiavelli aveva ricoperto importanti incarichi dell'amministrazione politica della Repubblica fiorentina. Costretto all'otium letterario, egli si dedicherà quasi esclusivamente le sue maggiori opere. Solo negli ultimi due anni di vita i Medici gli affidano di nuovo qualche incarico politico, ma la restaurazione della Repubblica ebbe come conseguenza una nuova esclusione dall'attività pubblica, decretatagli poco prima della morte.
Nicolò Machiavelli era nato a Firenze nel 1469, a Firenze. Di famiglia borghese aveva avuto una formazione umanistica, fondata sui classici latini. Ne è un episodio significativo il lavoro di trascrizione del De rerum natura di Lucrezio: il manoscritto rivela le basi materialistiche, legate all'epicureismo, della formazione di Machiavelli. Piuttosto che alla cultura platonica egli sembra collegarsi a quella aristotelica e averroistica.
Della tradizione fiorentina Machiavelli riprende anche il filone dell'Umanesimo civile che sollecita l'intellettuale all'impegno politico. Dopo che 454b15e la repubblica fiorentina cade e i Medici tornano a Firenze, Machiavelli, esonerato da ogni incarico politico, è costretto a ritirarsi all'Albergaccio. L'anno successivo viene addirittura arrestato e torturato con l'accusa di aver partecipato a una congiura antimedicea. Rimesso in libertà, si dedica alla scrittura del Principe e dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Comincia il periodo dedicato esclusivamente agli studi e all'attività letteraria, anche se continua a sperare che i Medici lo richiamino a impegni politici. Quando Firenze caccia i Medici e ritorna il regime repubblicano, Machiavelli fu accusato di aver collaborato con i Medici e fu di nuovo esonerato da ogni incarico politico. Muore nel 1527.
Aspetti principali:
L'analisi storica rivela a Machiavelli la profondità della crisi italiana. Occorre che essa ponga rimedio un principe che con la sua virtù riesca a creare uno Stato nuovo ponendo fine alla inquietudine dei gruppi dirigenti e sconfiggendo le avversità della fortuna. Il Principe è una sorta di manifesto politico che pone un programma d'azione per l'immediato futuro.
Per realizzare questo programma occorre «andare drieto (dietro) alla verità effettuale delle cose» e non alla «immaginazione di essa». È questo il realismo di Machiavelli che si pone di guardare in faccia la realtà, nella sua spiacevole durezza, e di demistificare ogni sua interpretazione idealistica.
Lo studio della realtà mostra che la fortuna, cioè la mutevolezza del caso e della storia, determina in larga misura le vicende umane. L'uomo può opporle solo la sua virtù, cioè il suo ingegno, con la sua prudenza, la sua audacia. In alcune situazioni occorrerà un atteggiamento impetuoso, in altre uno ripetitivo; purtroppo l'uomo è dotato di carattere immodificabile e dunque difficilmente può adattarlo alle circostanze adeguandosi alle varie esigenze imposte dal mutare della sorte e dagli imprevisti della storia. Ma poiché la fortuna è donna, essa preferisce i giovani e gli impetuosi rispetto agli anziani e ai rispettivi.
Il principe savio non può farsi condizionare da preconcetti morali: la sua moralità consisterà nel bene dello stato. Viene dunque fondata l'autonomia della politica della morale comune. Poiché il principe deve obbedire solo alla ragion di stato, può usare a tal fine solo strumenti moralmente riprovevoli. Il male è sempre visto come male, senza compromessi o ipocrisie. Aspre e dispettoso è il carattere di Machiavelli nel denunciare le ipocrisie e le mezze misure. È bene che sia pietoso e se necessario anche crudele; deve saper usare la bestia e l'uomo, la violenza e l'intelligenza, deve essere capace di usare sia l'inganno o l'astuzia sia la forza.
Il trattato si conclude con un'esortazione ai Medici perché pongano fine alla situazione di crisi dell'Italia e la liberino dagli stranieri. L'esortazione, che rivela il progetto politico del trattato e la sua prospettiva utopica, è scritta in uno stile vibrante e appassionato.
Lo stile rivela la forte tensione saggistica della scrittura machiavelliana ove si alternano linguaggio alto e basso, rigore argomentativi e intensità appassionata, procedimenti del ragionamento scientifico e uso frequente di immagini e di figure.
Machiavelli richiama la verità effettuale, cioè cerca di dare una descrizione reale e non idealizzata di come un principe deve essere per acquisire e mantenere il potere, della lotta politica, le cui regole richiedono comportamenti ben diversi da quelli astrattamente immaginati dai suoi predecessori. Il primo requisito che ritiene necessario in un uomo di potere, è sì il sapere essere buono, ma soprattutto l'essere capace di non esserlo, per poter scegliere, a seconda della situazione, come mostrarsi e comportarsi.
Elencando tutte le caratteristiche positive e negative che si potrebbero ritrovare in un uomo, Machiavelli afferma che sarebbe bello che un principe possedesse solo quelle positive, ma essendo ciò impossibile, è fondamentale che egli si guardi da quei vizi che potrebbero intaccare il suo potere, e che per quanto riguarda gli altri li eviti se può, ma che se vi si lascia andare non è poi un male così grande.
Inoltre, è suo dovere abbracciare volontariamente quei vizi senza i quali non potrebbe salvare lo stato, perché alcune di quelle che vengono considerate virtù potrebbero portarlo alla rovina, mentre alcuni di quelli che vengono considerati vizi potrebbero essere gli unici in grado di tenerlo ben saldo nelle sue mani.
Vizio e virtù mutano radicalmente significato rispetto a quello della tradizione e dell'etica comune. L'opposizione alla precedente trattatistica politica si basa sulla diversa concezione del problema etico.
Col capitolo XVI si apre la rassegna delle doti individuali necessarie al principe per dirigere lo stato. Un problema è se sia più utile al principe essere liberale o parsimonioso. Liberalità è la disponibilità a spendere con noncuranza, con la quale si evita di sperperare le ricchezze dello Stato e di opprimere fiscalmente i sudditi. Le azioni del principe sono quindi rigorosamente valutare sulla base della loro effettiva efficacia e rapportare al problema del consenso, alla dialettica tra popolo e principe.
Nel capitolo XVII il tema sfrontato è se sia più utile al principe la crudeltà o la pietà. Se ogni principe può ragionevolmente desiderare di essere considerato pietoso e non crudele, tale pietà non può essere usata male, perché risulterebbe generatrice di disordine e quindi dannosa. Il timore che la crudeltà del principe deve ispirare ai sudditi va tuttavia accortamente dosato. Il limite oltre il quale non è razionaleprocedere nell'uso della violenza è segnalato dall'odio del popolo, che mina il consenso ed è pericoloso per la stabilità dello Stato. La conclusione è dunque che il principe «savio»deve saper utilizzare la crudeltà ed essere temuto, e, al tempo stesso, saper evitare di incorrere nell'odio.
Il capitolo XVIII parte dal rovesciamento del punto di vista etico tradizionale: in un principe la fedeltà e la lealtà sono virtù lodevoli.
Il XIX capitolo prosegue riducendo le qualità dannose al principe a quelle che inducono odio o disprezzo nei sudditi, e che, fomentano le congiunture. Con il capitolo XX ci si sposta sulla discussione delle qualità utili o dannose per il mantenimento del potere a quella riguardante le azioni utili o meno: se convenga al principe armare o disarmare i sudditi, tenerli divisi o costruire fortezze.
I brevissimi capitoli XXXII e XXIII riguardano la prudenza con la quale il principe dovrà scegliere i collaboratori e uomini di fiducia e i modi per difendersi dagli adulatori: la virtù del principe non dovrà in nessun caso essere sostituita da quella di consiglieri e cortigiani.
Nel capitolo XXIV si esaminano le ragioni che hanno determinato la recente perdita degli stati da parte dei principati italiani, mentre nel successivo si pone al centro dell'indagine il rapporto tra fortuna e virtù. L'attacco del capitolo XXIV segnala la conclusione della trattazione precettistica: se il principe seguirà nella pratica le indicazioni suggeritegli, i consigli fin qui delineati faranno sembrare antico il suo regno nuovo, conferendo alla precarietà della costruzione politica nuova la stessa stabilità che è tipica degli stati ereditari. la decadenza italiana è ricondotta a cause rigorosamente umane e sociali.
Il capitolo XXV pone il problema del rapporto fra fortuna e virtù, insistendo sul potere condizionante della prima ma anche della capacità della seconda di assoggettare attraverso l'accortezza e soprattutto attraverso l'azione impetuosa.
Il capitolo XXVI contiene l'esortazione finale a liberare l'Italia dagli stranieri.
L'ordinamento stilistico predominante del Principe è esposto dallo stesso autore con limpida consapevolezza fin dalla Dedica. Il tessuto linguistico della prosa di Machiavelli è costruito da un originale impasto di espressioni popolaresche desunte dal fiorentino allora in uso e da espressioni colte. Tendono ad emulare l'aspetto dialogico e disinvolto del parlato e risultano marcatamente latineggianti. Vi sono alcuni termini tecnici, del campo semantico cavalleresco, diplomatico e militare, che confermano le ambizioni politiche e scientifiche dell'opera.
Nella lingua del Principe le forme latineggianti sembrano non rispondere più a uno schema prefissato. I rari latinismi sintattici e lessicali non hanno nulla di meccanico e di canonico e, soprattutto, coesistono con l'agilità del parlato.
Sul piano sintattico domina il periodo costruito sulla base del procedimento dilemmatico o disgiuntivo che consiste nella preferenza accordata all'uso costante della disgiuntiva "o..o." corrispondente all"aut.aut." latino. L'argomentazione è chiusa ad una successione di frasi principali collegate fra loro da forti congiunzioni avversative o disgiuntive. La propensione ideologica di Machiavelli si traduce, sul piano linguistico, in un periodare fatto di dilemmi successivi, e costruito sulla serie di antitesi, nelle quali gli elementi concettuali sono contrapposti l'uno all'altro. Ne risulta che interi periodi o alcuni capitoli sono collocati secondo schemi di classificazione antitesi ad albero, cioè via via costruiti su successive contrapposizioni binarie, procedendo all'eliminazione progressiva di un elemento della coppia e allo sdoppiamento del successivo in un nuovo dilemma.
Aspetti linguistici
Il primo principio del pensiero di Machiavelli è l'aderenza al reale e l'osservazione della realtà non solo nel suo essere ma anche nel suo divenire. Ne consegue il principio cardinale della verità effettuale.
Non si può certo dire che Machiavelli elabori una concezione puramente tecnica, neutra e funzionale, dell'arte di governare lo Stato. La scientificità di Machiavelli sta solo nell'aderenza al reale; per il resto agiscono in lui, con viva passione, una serie di convinzioni, una ideologia, una specifica visione del mondo.
Costruire uno stato nuovo nel Principe significa perciò, anzitutto, superare i particolarismi dell'ereditarietà feudale.
Per Machiavelli, la legittimità del potere esige l'eliminazione dell'arbitrio illegale, rappresentato dal comportamento delle fazioni aristocratiche. Si creerà così una situazione di legalità grazie alla quale il popolo potrà riconoscersi dello Stato.
Vi domina una concezione completamente laica dello Stato: scompare ogni elemento provvidenzialistico e finalistico. Non vi è traccia del modello politico unitario medievale incentrato sul binomio Chiesa-impero. Le basi naturali e materiali della realtà e dell'uomo non sono né sollevate né negate. Vengono viceversa accettate entro un progetto complessivo che le comprenda e le esalta.
Il problema del rapporto tra politica e morale è stato al centro delle indagini degli interpreti, durante l'intera vicenda della ricezione del Principe. Se da un lato è fuori discussione che nel Principe viene esplicitamente bandita l'impostazione moralistica della precedente trattatistica politica medievale e umanistica, dall'altro la distinzione crociata tra Politica e Moralità ha portato a escludere dalla tecnica politica del trattato ogni tipo di tensione etica. Nel mondo di Machiavelli il male esiste ed è chiamato per nome, senza ipocrisie, senza perifrasi e senza abbellimenti. L'uomo deve guardarlo in faccia e servirsene, se costretto. Questa è la tragedia etica che la spregiudicatezza del principe presuppone. Non c'è traccia di disprezzo o d'indifferenza rispetto al male. L'etica nuova, fondata dal Principe, consiste appunto nel chiarire i prezzi altissimi grazie ai quali l'uomo, spesso succubo di legami oggettivi (la fortuna), può modificare la realtà e agire sul terreno concreto dalla prassi.
L'aspetto scientifico del Principe sta nel suo appello alla verità effettuale e nella critica demistificatoria nei confronti delle ideologie idealistiche che partono da un astratto dover essere dell'uomo e non dalla sua realtà materiale.
La scrittura del Principe rivela una prospettiva utopica e morale fondata non più sull'autorità di una verità precostruita, ma sulla forza delle argomentazioni dell'autore. La prospettiva utopica non è garantita più da un assetto preesistente della verità, della moralità e del sapere, ma solo dalla esperienza e dalla cultura di chi scrive e dunque della responsabilità individuale.
La tensione saggistica della scrittura va individuata nella carica polemica e provocatoria con cui il realismo materialistico dell'autore rovescia le verità precostruite e i luoghi comuni della morale corrente. Ma va individuata anche nella forte prospettiva utopica e morale che chiude il libro, con l'esortazione a creare in Italia uno Stato moderno e a liberarla dal dominio dei barbari. Realismo e utopia sono strettamente collegati. Da un lato Machiavelli analizza realisticamente le cause della crisi italiana, dall'altro prospetta coraggiosamente una soluzione allora fortemente inattuale: un principato civile che ponga fine alla decadenza italiana e costruisca in Italia uno stato unitario forte ma non tirannico, dotato di un esercito proprio non mercenario, e capace di risolvere il conflitto sociale, ridimensionando così, drasticamente, gli stati feudali e oligarchici e garantendosi per tale via l'appoggio del popolo.
Il trattato presenta una tematica che trascende il campo letterario e interessa direttamente il pensiero politico e le sue applicazioni pratiche.
La diffusione del Principe avvenne su scala europea: Machiavelli è infatti uno degli autori italiani più conosciuti e discussi all'estero.
Quattro distinti momenti della complessa vicenda della ricezione del Principe:
Antimachiavellismo confessionale. Nel '500 il Principe ha già una diffusione europea che venne presto ridotto da gesuiti e protestanti, nelle lotte religiose, a simbolo delle concezioni poltiche dell'avversario.
La trattatistica politica della Controriforma. Nel '600 la fortuna di Machiavelli coincide in gran parte con la nozione controriformista di ragion di Stato.
L'interpretazione obliqua dell'Illuminismo del '700. il '700 e l'Illuminismo aprono una strada alla rivalutazione del pensiero di Machiavelli e del Principe.
L'età del Romanticismo e del nazionalismo. Machiavelli è interpretato come fondatore del pensiero politico integralmente laico.
I punti cardine sono la realtà effettuale, l'amoralità, il tema del consenso e la simulazione. L'autore spiega come i principati "si acquistano.si mantengono, perché si perdono". Egli affronta nella forma più rapida ed efficace che si possa immaginare le leggi più riposte dell'umano operare, scruta a fondo in che modo si governi nel suo periodo storico e dice le cose con risoluta fermezza, affrontando la realtà in maniera oggettiva, guardando le cose in faccia così come sono, respingendo ogni tentazione a mistificare il vero.
Il concetto di "realtà effettuale" si estrinseca proprio esprimendo questo contrasto tra apparenza e verità e verificando che l'essere umano non vive in un mondo costruito o ispirato da nobili ideali, ma che la sua dimensione più vera è rappresentata dall'orizzonte dei fatti e delle situazioni che vanno al di là dei nostri principi. Egli rifiuta qualsiasi evasione dal reale, descrivendo il mondo come è, non come dovrebbe essere, opponendosi così all'utopismo politico dell'Umanesimo e del Rinascimento che, rifacendosi ai testi classici, greci e latini, delineava un Principe virtuoso, riferendolo, invece, come un uomo padrone di se stesso, capace di muovere la storia, di cogliere le occasioni e di volgerle a proprio vantaggio, in una parola, l'uomo della Rinascita. Ed è proprio il suo andar dietro alla verità effettuale delle cose, piuttosto che all'immaginazione di esse, che costituisce la vera e propria rivoluzione del Machiavelli. Inoltre, grazie all'utilizzo di questo tema egli fa trasparire il suo giudizio fortemente pessimista sulla natura umana, caratterizzata da violenza e malvagità.
Con una tecnica tipica degli scienziati, si avvale o del cosiddetto "modulo dilemmatico", che consiste nel presentare tutte le alternative possibili, o di metafore e ipotetiche obiezioni, quali la continua ripetizione del concetto del "sarebbe bello ma", che indica concretezza, non utopia e del paragone delle strutture statali a "barbe e corrispondente". Il trattato, tutto incentrato sulla realtà effettuale, mette a nudo nell'ultimo cap. la grande aspirazione del Machiavelli di liberare l'Italia, mettendo a nudo i suoi ideali patriottici mediante una contraddizione che lo trasforma da realista puro in un sognatore- poeta. Machiavelli si mostra estremamente critico nei confronti della religione, accusando la chiesa di essere colpevole della rovina d'Italia. Distingue, infatti, fra morale politica e morale privata e le infrazioni alla morale corrente sono consigliate solo al politico e solo in quanto utili allo Stato. Infatti, comportamenti virtuosi per quest'ultima, potrebbero essere dannosi nella condotta politica e viceversa, atteggiamenti immorali nella vita privata potrebbero essere molto positivi per mantenere in vita lo Stato e la comunità.
L'immagine della politica appare quindi come un'attività autonoma e le azioni del Principe sono sempre giustificate dai mezzi. Nella lotta continua, senza tregua e senza pietà, che si combatte ogni giorno per mantenere integra la comunità umana, non vi è posto per qualsiasi ragione di bene o di male che non si identifichi con l'utilità o la salvaguardia delle stesse istituzioni civili e di chi le guida.
Non si può quindi parlare di immoralità, ma semplicemente di a-moralità.
Il principe, per guadagnare la stima dei suoi sudditi ed ottenere l'appoggio dell'opinione pubblica deve seguire la legge della necessità, per cui è per lui fondamentale applicare la politica del "consenso" tramite la "simulazione". Anche qui troviamo il ribaltamento degli ideali classici, dove si esaltava l'essere, condannando l'apparire e la sofistica.
Strettamente connessa a questo è indubbiamente la simulazione che consiste nella contrapposizione tra moralità codificata e virtù politica.
Non importa quindi come colui che governa sia in realtà, ma come si presenta e agisce. La simulazione viene addirittura innalzata a virtù e ben raccomandata.
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