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L'ipocrisia, sostituto della prudenza

letteratura









L'ipocrisia, sostituto della prudenza


Il   sostituto mondano della prudenza: l'ipocrisia


Posto al centro del capitolo, il grande dialogo fra il conte zio e il padre provinciale ricorda per simmetria e per antitesi il dialogo fra padre Cristoforo e don Rodrigo (cap. VI); la simmetria deriva dal fatto che i conten­denti attuali sono, in sostanza, i sostituti di quelli di allora; l'antitesi nasce, invece, dal metodo diverso con il quale è condotta la nuova contesa.

Se, infatti, anche questo incontro, come quello ricordato, 525i81f fa pensare ad un duello, in realtà si traduce solo in un seguito di schermaglie. Mentre nel primo si affrontano apertamente la verità è la carità di padre Cristoforo con la violenza e la falsità di don Rodrigo, in questo caso l'ostilità fra i due contendenti è celata e tuffo procede attraverso una apparente prudenza. Ma dal modo col quale Io scrittore rappresenta il compor­tamento dei due protagonisti emerge chiaramente che nessuno dei due usa e possiede la virtù della pruden­za, mentre entrambi si valgono del suo sostituto mondano: l'astuzia ammantata di ipocrisia. Entrambi hanno in comune la passione per il prestigio o del casato o dell'ordine e, per la cerimoniosa magniloquenza, per il gusto della mascheratura, sono ambedue degni rappresentanti del loro secolo. Essi tuttavia, come sempre avviene per i personaggi manzoniani, denunciano anche i limiti di ogni uomo, che non cerchi la via della verità o rinunci a trovarla.



Fra i due personaggi il conte zio è rappresentato con una connotazione più comica, il padre provinciale con un taglio più drammatico. Del primo l'autore ha delineato un rapido ritratto nel cap. XVII,, che si conclu­de con l'ironica similitudine: come una di quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su cede parole arabe, e dentro non c'è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega. Tutto è vuoto e falso in lui, fuorché l'orgoglio, sul quale sa far leva la cinica astuzia del nipote Attilio: allora la scatola vuota diventa un meccanismo caricato e pericoloso contro il frate temerario, padre Cristoforo.




La responsabilità del provinciale


La responsabilità del provinciale è più grave ed è chiaramente sottolineata dal maggior spessore intellet­tuale e morale che lo scrittore attribuisce a questo personaggio. Egli infatti conosce il valore di padre Cristoforo ma non si cura di ricercare la verità dei fatti, non si cura della giustizia; la sua preoccupazione è tutta rivolta all'onor dell'abito.

Per questo sul piano tattico si pone in posizione svantaggiosa, collocandosi, fin dall'inizio, sullo stesso piano del suo interlocutore: è fatale che la logica mondana vinca, in quanto l'astuzia è un'arma funzionale al successo e non alla verità. Il provinciale, rinunciando a difendere apertamente il 'vero morale' rinuncia anche al suo ruolo e si lascia sconfiggere da un avversario che gli sarebbe decisamente inferiore.

In queste pagine essenziale è il rapporto fra la persona e il suo linguaggio: quello del conte zio si mantie­ne sul solo registro della magniloquenza cerimoniosa, anche quando azzarda delle sortite violente: le caratte­ristiche più importanti del suo modo di esprimersi sono le sospensioni, le reticenze allusive colmate dal suo soffiare, quasi metafora del suo vuoto interiore. Al padre provinciale è concesso, invece, un doppio livello:

l'ampollosità verbale pari a quella dell'avversario, ma anche la nitida secchezza di un rapido soliloquio, segno della sua lucida e colpevole coscienza.

Amaro certo risulta il senso profondo dell'episodio, in quanto la cristiana virtù della prudenza, che si pro­pone il controllo delle passioni per il trionfo del 'vero morale', è contaminata dall'ipocrisia, che controlla a sua volta l'istintualità, ma solo al fine di far trionfare qualche passione, in questo caso l'orgoglio.

Comunque il pessimismo della conclusione è temperato dalla sequenza dedicata a padre Cristoforo, che è vittima di questa colpevole alleanza. Egli ci appare solo, costretto a rinunciare ai suoi legami affettivi, in esilio, ma non sconfitto. Fedele alla sua vocazione, si appresta a un suo cammino di ascesi spirituale, che lo con­durrà a testimoniare la sua fede nel lazzeretto fra gli appestati.


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