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La Lirica
La poesia presenta una struttura in versi e ha il significato di fare, produrre testi.Essa si divide in vari generi:
epica (esametro)
lirica (ottava)
filosofico- didascalica
celebrativo- encomiastica
Esistono differenti manifestazioni della poesia: ogni genere poetico si differenzia dall'altro per la presenza di differenti metri, con differenti funzioni. Così l' esametro si basa sulla lunghezza delle sillabe, assumendo così un ruolo quantitativo,contrariamente all'endecasillabo fondato sugli accenti quindi una funzione ritmica.
La lirica deriva dal nome dello strumento con il quale la poesia veniva "cantata", la lira. Questo genere nasce in Grecia nel VI- VII secolo a.C. i cui esponenti sono:
Alceo: temi politici, simposiaci- amorosi
Saffo: tema amoroso, le poesie erano dedicate alle fanciulle che frequentavano un 535j96f collegio femminile, da lei diretto, sull'isola di Lesbo.
Il mondo Latino , riprende i temi trattati dai poeti Greci , talvolta riprendendo passo, passo alcuni versi( vedi frammento 2 d di Saffo ripreso da Catullo nel LI carme e il frammento 90 d. di Saffo ripreso un verso identico sia nel contenuto che nella metrica da Orazio ).
gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte,
che di giovinezza sono i fiori fugaci
per gli uomini e le donne.
Quando viene la dolorosa vecchiaia
Che rende l'uomo bello simile al brutto,
sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri;
né più s'allieta guardando la luce del sole;
ma è odioso ai fanciulli e sprezzato dalle donne:
tanto grave Zeus volle la vecchiaia.
Fr. 4 D.
dagli dèi non sapendo il bene, il male,
rigide, accanto, stanno due parvenze brune:
l'una ha il destino di vecchiezza atroce,
l'altra di morte. E il frutto di giovinezza è un attimo,
quanto dilaga sulla terra il sole.
Ma come varca la stagione il suo confine, allora
Essere morti è meglio che la vita:
il cuore sperimenta tanti guai; la casa a volte
si strugge e viene la miseria amara;
uno è privo di figli: li desidera, e scende
nell'aldilà con quell'accoramento;
un altro ha un morbo che lo strema. Non c'è uomo
che da Zeus non riceva guai su guai.
L'autore greco riprende la similitudine tra le piante e la vita umana così come aveva già fatto in precedenza Omero("siam come le foglie nate nella stagione florida"): tutti gli uomini, così come tutta la natura, presentano un ciclo biologico, la nascita, la crescita, la vecchiaia ed infine la morte. Questo è il vero destino dell'uomo : la morte, ciò a cui non si può sfuggire, bisogna avvalersi del tempo minuto per minuto e gustarsi la giovinezza finché si può.
Ritorna il tema della brevità della vita " godiamo...i fiori della vita"
L'incapacità umana di distinguere il bene dal male, deve essere necessariamente supportata dall'aiuto divino(" ..dagli dèi non sapendo il bene, il male")
Il poeta si pone quindi davanti ad una scelta: o continuare a vivere perdendo così tutti quei piaceri provati durante la propria giovinezza, o uccidersi troncando definitivamente qualsiasi contatto con la vita terrena("l'una ha il destino di vecchiezza, l'altra di morte"). Arrivato alla soglia della vecchiaia preferisce " essere morti ... che la vita" .
Questo atroce destino, comune a tutti gli esseri umani, porta a godere di ogni momento della propria vita, poiché " il frutto della giovinezza è un attimo".
Mimnermo riprende il concetto già affrontato nella precedente elegia attribuendo agli dèi l'origine di tutti i " guai" in cui " la miseria amara si strugge": il desiderio di un figlio, mai esistito, lo persegue persino dopo la morte(" li desidera e scende nell'aldilà con quell'accoramento"), mentre qualcun altro muore oppresso da una grave malattia(" un altro ha un morbo che lo strema"). Nessun uomo è " faber sui fortunae", ma contrariamente la propria vita è frutto della volontà divina: " non c'è uomo che da Zeus non riceva guai su guai".
La vecchiaia, che di più gelida è anche della morte amara.
L'autore riprende nuovamente il tema della vecchiaia, fine di ogni piacere e persino " più gelida della morte amara"
La nascita di questo " male inestinguibile" è divina: Titono, pur essendo un essere immortale e per oblio non ottenne da Zeus l'eterna giovinezza, diventando così il simbolo del passaggio tra la vita e la morte, rivelandosi così molto più angosciante e terrificante della fine stessa.
Anche nel teso che segue vengono ripresi continuamente i medesimi temi espressi con la stessa amarezza: il trascorrere del tempo, la brevissima durata della giovinezza che si contrappone all'arrivo imminente della vecchiaia e il desiderio di morte che può risparmiargli l'avvento del calon.
Fr. 5 D.
Vecchiaia, sul capo a un tratto è sospesa,
odiosa, del pari è spregevole, che irriconoscibile fa l'uomo
e rovina, avviluppandoli, gli occhi e la mente.
Fr. 6 D.
Oh! Senza malattie e angosciosi affanni
Il destino di morte mi colga a sessant'anni.
Nasce sull'isola di Lesbo, vive nel periodo tra l'ultimo quarto del VII secolo e tra la prima metà del VI. Direttrice di un collegio femminile, il tioso, scrive delle poesie per delle fanciulle che si allontanavano dal proprio collegio.
Con Saffo per la prima volta si prendono le distanze dai poemi omerici, che avevano sempre costituito modelli a cui tutti i lirici greci ricorrevano.
La poetessa introduce una grande innovazione, sottolineando l'importanza dei sentimenti e della memoria che stabilisce un rapporto tra passato e presente, accrescendo l'intensità degli affetti. Saffo si abbandona alla natura con un sentimento quasi religioso, ma mai trascendente, servendosene anche per descrivere il suo sentimento spesso doloroso ("sono più verde dell'erba"). Spesso questo suo sentimento la travolge e nelle sue odi prive di alcun giudizio morale ci racconta tutti i sintomi con una profondità tale da renderlo comprensibile a tutti, e con uno stile che coinvolge e trascina il lettore.
Saffo possiede una straordinaria capacità di trasformare i fenomeni della realtà in un'atmosfera musicale, grazie all'accurata scelta d'immagini, vocaboli e suoni. Ruolo fondamentale acquista il mondo della natura che diventa termine di paragone con le passioni e i sentimenti e crea un senso di armonia e bellezza.
Una magica luminosità, dalla luce dell'aurora al tramonto, alla notte di plenilunio, è caratteristica dello stile di Saffo e investe tutta la terra con i fiori e i frutti, che diventano termini di paragone.
La poetessa ci descrive graziose fanciulle, adolescenti nel fiore degli anni dalla dolce voce: in tutte le sue opere domina un senso di bellezza, che rimane però un valore soggettivo.
Quale la cosa più bella
Sopra la terra bruna?Uno dice " una torma
Di cavalieri", uno " di franti", uno "di navi".
Io, " ciò che s'ama".
Farlo capire a tutti è così semplice!
Ecco: la donna più bella di tutto il mondo,
Elena, abbandonò
Il marito( era un prode) e fuggì
Verso Troia, per mare.
E non ebbe un pensiero per sua figlia,
per i cari parenti: la travolse
Cipride nella brama.
Ora desta memoria, ch'è lontana.
Di lei l'amato incedere, il barbaglio
Del viso chiaro vorrei scorgere,
più che i carri dei Lidi e le armi
grevi dei fanti.
Secondo Saffo "il bello è ciò che si ama": la poetessa nega quindi l'esistenza di una scala di valori stabilita in modo assoluto, rivalutando l'importanza della scelta del singolo individuo e affermando la superiorità dei sentimenti. Viene quindi giustificato il comportamento di Elena, che abbandonò la sua casa per seguire l'uomo che amava, perché l'amore, anche se tormentato, è sempre espressione della gioia di vivere.
Si tratta però di un amore Platonico , ciò che suscita il desiderio di di poter creare qualcosa di intellettuale anche tra due esseri dello stesso sesso.
Nell'ambiente del tiaso le fanciulle andavano via all'inizio della vita matrimoniale: ciò era fonte di grande dolore, nostalgia, rimpianto, che potevano essere attenuati solo tramite il ricordo delle gioie trascorse. Per questo è di importanza fondamentale la memoria degli affetti, che lega il passato al presente e permette di sopraffare il desiderio di morire che nasce dal dolore. Quando le fanciulle vanno via, Saffo rimane a vederle partire, rievoca i loro gesti, le parole, i sentimenti, descrive la loro nuova vita e resta in una vana attesa.
Non si tratta di bellezza fisica, ma intellettuale ciò che può elevare l'uomo sino a raggiungere l'armonia e la perfezione che la poesia può comunicare. La bellezza è il bene supremo, un valore che non è esterno all'uomo, ma intrinseco
Beato è, come un dio,
chi davanti ti siede e ti ode,
e tu dici dolci parole e dolce-
mente sorridi.
Subito mi sobbalza, appena
ti guardo, dentro nel petto il cuore,
e voce più non mi viene
e mi spezza
la lingua e una fiamma sottile
mi corre sotto la pelle
con gli occhi più niente vedo,
romba mi fanno
gli orecchi, sudore mi bagna
e tremore tutta mi prende,
e più verde dell'erba divento
e quasi mi sento,
o Agallide , vicina a morire.
Nella parte iniziale della poesia, Saffo prova stupore e paragona quasi ad un dio l'uomo seduto accanto alla fanciulla; nei confronti di quest'ultima Saffo poi rivolge i suoi versi, descrivendo la dolcezza delle sue parole e del suo sorriso. Il tono poi cambia improvvisamente e diventa drammatico, si sommano elementi di sofferenza fisica fino al sentire vicina la morte.
Parlando in prima persona di se stessa per descrivere i suoi sintomi utilizza una terminologia tipica dei testi medici: "con gli occhi nulla vedo e rimbombano le orecchie, e anche il sudore mi si spande, e un tremito tutta mi prende...." In questa descrizione Saffo dà il meglio di se, pare vederla dinanzi a noi che attentamente leggiamo, presa da tutte queste sensazioni che la lasciano senza fiato e la abbandonano immobile davanti al suo amore.
Così Saffo deriva sempre la descrizione dei patimenti che s'accompagnano al delirio d'amore dell'osservazione della manifestazione che ad esso s'accompagnano e da quello che esso è in realtà.
Proprio nel medesimo frammento la stessa Saffo tende a sottolineare l'atteggiamento di smarrimento dell'innamorata che dimostra come questo suo amore non passasse inosservato ai suoi occhi. Saffo quindi amava e si lasciava travolgere dal suo amore: "Ed Eros mi ha sconvolto la mente come un vento che si abbatte sul monte contro le querce
Il tema della passione viene anche analizzato in un altro testo di cui a noi è arrivato soltanto un piccolo frammento:
Eros mi ha squassato il cuore, come vento che sul monte s'abbatte sulle
querce.
Gli astri d'intorno alla leggiadra luna
nascondono l'immagine lucente,
quando piena più risplende, bianca
sopra la terra.
Alceo
Alceo nacque nel 630 a.C. a Lesbo da una famiglia aristocratica. La sua vita fu segnata dal vivo interesse politico e dalla lotta contro il potere assolutistico dei tiranni Melancro, Mirsilo e Pittaco. Questi scontri lo portarono più volte all'esilio, esperienza dolorosa che ricorre anche in un lungo frammento che si apre con il rimpianto del poeta per il suo allontanamento forzato dalle attività pubbliche che erano il prestigio della sua famiglia. La politica costituisce un nucleo fondamentale della poesia alcaica: in un carme il poeta scaglia violente invettive contro Pittaco, accusandolo di aver tradito la solidarietà dei suoi alleati, in quanto la lealtà era il principio fondamentale dell'etica aristocratica. Allorché muore Mirsilo egli prorompe in un esultante invito a bere fino all'ubriachezza: la passione politica viene qui trattata all'interno del contesto conviviale; elemento politico e simposiaco convergono spesso nella sua opera, ma questo non significa che siano sempre legati: non si beve soltanto per parlare di politica: il vino é anche gioia ed esaltazione delle sensazioni corporee; la sua estasi é verità dei pensieri ed é proprio questo dolce unguento che lenisce l'animo e ristora la mente dall'assillante preoccupazione del dolore. Altri temi trattati nelle liriche di Alceo sono l'argomento mitico-religioso (di cui mirabile esempio sono le tre strofe rimasteci dell'inno ai Dioscuri, che descrive la fulminea apparizione dei due gemelli divini durante una notte tempestosa sul mare, identificandoli nei fuochi di s.Elmo che indicano salvezza ai naviganti), e l'argomento epico, presente in vari carmi come quello che ricorda le nozze fra Peleo e Teti, o quello che descrive le sciagure provocate dalla follia amorosa di Elena; l'argomento mitico in qualche caso appare legato all'attualità, in particolare alla lotta contro il potere tirannico: l'attenzione al presente e la passione politica sono tratti peculiari della vita di Alceo che lo portano ad attribuire una funzione pragmatica alla sua poesia. Essa è inscindibile dal contesto e dall'occasione in cui viene cantata. L'eteria a cui il poeta si rivolge infatti corrisponde alla sua attività artistica. La forte aderenza del poeta alla realtà e alla particolarità dell'occasione si riflette anche nel suo stile: esso è caratterizzato dall'alternanza di toni espressivi, ora più raffinati e simili alla prosa, ora più forti e potenti. La lingua eolica di cui si serve per comporre i carmi è arricchita inoltre di parole rare provenienti forse dal parlato, che solo un pubblico maschile aperto alla varietà dei rapporti sociali può comprendere e utilizzare. In conclusione Alceo fu considerato iniziatore di un certo tipo di poesia che troverà poi un degno successore nel poeta latino Orazio.
Pioggia e tempesta dal cielo cadono immense; le acque dei fiumi gelano:
Il freddo scaccia, la fiamma suscita, il dolce vino con l'acqua tempera nel cratere, senza risparmio; morbida lana le tempie avvolga.
L'occasione che ci presenta Alceo in questo frammento è il simposio invernale. La prima strofa descrive un gelido scenario caratterizzato da pioggia, maltempo e gelo; ma la cattiva stagione viene scacciata, abbattuta dall'atmosfera intima e raccolta del simposio, i cui commensali si incontrano in un clima di amicizie e solidarietà reciproca.
Il motivo del bere vino accanto al fuoco appare topico già in età arcaica; tuttavia in Alceo la situazione rappresentata è concreta e reale, legata ad una precisa situazione simposiaca. Alceo esorta a bere senza risparmio, senza preoccuparsi di non esagerare. Questo è tipico dell'atmosfera simposiaca da lui vissuta, anche se essa non sarà da tutti condivisa (un esempio è Anacreonte).
Questo passo "scaccia il freddo ammucchiando gran fuoco" viene ripreso pedrestemente sia nella metrica che nel contenuto da Orazio nell'ode I, 9
Nella letteratura greca, il tema
del vino è trattato a più livelli. Esistono comunque fondamentali punti in
comune riguardo all'uso di questa bevanda e alla sua funzione: è rimedio per
gli affanni degli uomini e per le loro angosce, grazie al sonno, conseguenza
del bere, che offusca la mente.
La bevuta si configura quindi come una liberazione per l'animo umano.
Fondamentale però, rispetto a ciò, è anche l'idea del vino come dono di Dioniso
agli uomini, tanto importante quanto il dono di Demetra (il grano): qualcosa
cioè di cui l'uomo non può assolutamente fare a meno. Tutti, poveri e ricchi,
devono poter usufruire dei suoi benefici.
Il vino inoltre rientra in una dimensione religiosa. Il senso immediato della
realtà che impronta la poesia politica di Alceo, si esprime con altrettanta
evidenza nel secondo grande settore della sua opera giunto a noi, costituito
dai carmi di carattere simposiaco. La critica moderna propende a individuare
nel simposio, momento essenziale nella vita consociata dell'eteria, il punto di
riferimento per tutta quella parte della poesia lirica che non abbia pertinenza
con il rito; ma qui intendiamo restringere tale definizione ai carmi alcaici
che si riferiscono all'evento simposiale nel concreto del suo svolgimento, e
all'atto che ne determinava la ragione formale, il bere vino nella ristretta
comunità di un gruppo di amici.
In questa poesia il vino è gioia della pura fisicità, esaltazione delle sensazioni corporee, messe in rilievo dalla corrispondenza con il variare delle stagioni: il profumo della primavera nascente, l'arsura dell'estate, il gelo invernale. sono convocati a esprimere in un gioco ora di consonanza ora di contrasto il piacere integrativo o compensativo del vino; e la nitida esattezza dei dettagli ambientali è essa stessa una parte di questo piacere, in cui il corpo sente la propria intima comunanza con la natura. Ma l'estasi del vino è anche verità dei pensieri, in cui si rivela la sincerità dell'amico, perenne dubbio dell'uomo di parte; e soprattutto esso è ristoro della mente, che strappa dall'assillante pensiero del dolore: sia che questo si stringa alla riflessione sull'effimera brevità del vivere, oppure nasca dalle contrarietà che il pianto non vale a lenire. Il simposio è lo spazio simbolico della bellezza, in cui il Greco trova risarcimento della sofferenza: fiori e profumi ne costituiscono il segno, e il vecchio poeta potrà blandire i tormenti che hanno piagato la sua vita.
Beviamo. Perché aspettare le lucerne? Breve il tempo.
O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte,
perché il figlio di Zeus e di Sémele
diede agli uomini il vino per dimenticare i dolori.
Versa due parti di acqua e una di vino;
e colma le tazze fino all'orlo :
e l'una segua subito l'altra.
Mediante l'uso della contaminatio e dell'imitatio Orazio fonde in un'unica ode, precisamente la I, 9, questo testo e il precedente.
Quali uccelli son questi d'Oceano che dai confini del mondo vennero,
anitre dal collo variegato e dalle lunghe ali?
Questa descrizione naturalistica verrà poi ripresa da Carducci e da Pascoli.
Bagna il petto di vino, ché volge la stella.
Tempo grave. Nell'afa
arde tutto di sete.
Suona di tra le foglie dolce la cicala ...
E il cardo infiora.
Allupate le donne,
uomini smunti: all'alido di Sirio
è un risucchio nel capo e nelle gambe.
Alceo utilizza la tecnica dell'imitatio riprendendo un passo di Esiodo
Qui è presente il "senso panico": il dolore della natura viene a coincidere con la sofferenza umana, non esistono confini tra ciò che è natura e uomo
D'Annunzio riprenderà questa visione: "D'arbore vita viventi"
I dati della biografia di Archiloco si desumono dai riferimenti delle sue opere, da interpretarsi tuttavia con una certa cautela, tenendo presente che l'io poetico non necessariamente coincide con l'io personale. Altre notizie si ricavano da testimonianze di autori antichi e dalle iscrizioni apposte a due monumenti coi quali i suoi concittadini vollero onorare in epoche più tarde la sua memoria; tali iscrizioni prendono nome dai due dedicanti, Mnesiepes e Sostene, e risalgono al III e al I sec. a.C. In uno dei frammenti è ricordata un'eclissi solare totale, che è probabilmente quella del 648 a.C., e in un altro compare un riferimento a Gige, che regnò sulla Lidia dal 687 al 652 a.C. E' possibile quindi collocare la maturità del poeta intorno alla metà del VII sec. a.C. Egli nacque a Paro, una delle isole Cicladi, come bastardo di una nobile famiglia; il padre Telesicle era uno dei cittadini più in vista, ma la tradizione antica vuole che la madre Enipo fosse una schiava. Escluso forse per questa ragione dall'eredità paterna, Archiloco emigrò nell'isola di Taso, situata nell'Egeo settentrionale di fronte alla costa della Tracia. Qui egli militò contro i Traci; in seguito ritornò a Paro e combatté contro gli abitanti della vicina isola di Nasso. Fu durante una battaglia che cadde per mano di un certo Calonda, al quale, sempre secondo la tradizione, il dio di Delfi negò poi l'ingresso nel tempio perché aveva ucciso "lo scudiero delle Muse".
Del mio scudo si fa bello uno dei Saii. Presso un cespuglio lo dovetti lasciare; e non volevo. Che bellezza di scudo, ma mi salvai. Alla malora, un altro ne comprerò, migliore.
Archiloco inaugura aggressivamente una nuova maniera di collocarsi al centro della propria attività di poeta. Egli diventa il protagonista assoluto dei suoi versi, impone la prima persona come referente unico dell'esperienza assunta ad argomento, esige dal pubblico di conformarsi al suo sistema di valori. Come nel caso degli altri poeti lirici, la sua produzione presuppone un pubblico circoscritto e un'occasione specifica, ed ha una funzione pragmatica: il simposio o la riunione di un gruppo formato sulla base di una comunanza di cultura e di interessi appare la sede privilegiata per la diffusione di questa poesia.
Nelle poesie di Archiloco compaiono i nomi di odiati nemici, ma anche di amici, apostrofati con calore di confidenza; e la sua partecipazione alle vicende politiche esclude di considerarlo un emarginato. D'altra parte, se Archiloco risulta per un certo aspetto integrato nella società cui rivolge i suoi versi, è anche probabile che la sua iniziale condizione di escluso dall'aristocrazia lo vedesse sollecitato a rivedere criticamente i valori tradizionali, contrapponendo ad essi una spregiudicata ed autonoma interpretazione dell'esistenza. Di fronte a un sistema che si richiamava a un'immobile continuità di convenzioni, Archiloco rivendica il valore assoluto del presente e della circostanza. Il reale si rivela nella concretezza della situazione singola e solo dall'occasione l'uomo deve trarre le regole del proprio comportamento. Contrassegno della condizione umana è una fondamentale precarietà, che non consente di prevedere e progettare il futuro; e l'uomo deve salvare il proprio giorno esplorandone a fondo i significati. I valori tradizionali risultano svuotati: l'individuo deve trovare in sé sia la sapienza di conoscere il ritmo che regola il destino suo e della collettività, sia la natura necessaria per fronteggiare gli eventi tristi e lieti senza un eccesso di disperazione o di esaltazione, sia infine il coraggio di fondare la propria dignità sull'esclusiva forza della natura. L'esistenza vale la pena di essere vissuta, con gioia di saperne gustare ogni attimo e con la consapevolezza che nella sua multiforme realtà risiede il valore assoluto dell'esperienza umana.
Questa profonda e convinta vitalità è il connotato essenziale della poesia archilochea, che si manifesta in una indiscussa affermazione di personalità, che assume diverse forme.
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