Primo grande autore di romanzi storici,
nei suoi ritratti della Scozia, dell'Inghilterra e del continente dall'epoca
medievale al XVIII secolo dimostrò una visione attenta e acuta della forza
della politica e della tradizione e del loro impatto sull'individuo. Il
successo di Scott si fonda sulle sue doti straordinarie di narratore,
sull'abile costruzione dei dialoghi, sulla penetrante osservazione di costumi e
comportamenti sociali e sui vividi ritratti di zingari, fuorilegge e girovaghi.
Lo stile fonde vigore, bellezza lirica e lucidità descrittiva. Sebbene la
costruzione degli intrecci appaia talvolta affrettata e i personaggi risultino in
qualche occasione poco credibili, le sue opere mantengono un alto valore
letterario per l'atmosfera avvincente, la dignità epica e la lucida
comprensione della natura umana. Honoré de Balzac in Francia, Charles Dickens e
William Makepeace Thackeray in Inghilterra, Alessandro Manzoni in Italia e
James Fenimore Cooper negli Stati Uniti sono solo alcuni dei tanti scrittori
che hanno pubblicamente dichiarato un debito di riconoscenza nei confronti di
Walter Scott. La sua opera suscitò un vivo interesse per le tradizioni
scozzesi, e in tutto il mondo occidentale incoraggiò l'interesse per il
Medioevo, caratteristica dominante del romanticismo.
Le sue poesie furono spesso musicate - ad esempio da Franz Peter Schubert - e
ai suoi romanzi si ispirarono musicisti eminenti come Gaetano Donizetti (Lucia di Lammermoor, 1835) e
Gioacchino Rossini (La donna del lago,
1819).
Il romanzo
 - Titolo del libro: Ivanhoe 
 
 - Data della prima edizione 
 
 - Genere del libro: Romanzo storico
 
Personaggi principali
 - Gurth e Wamba: il più anziano dei due, Gurth aveva un aspetto austero,
     selvaggio. Il suo vestito era della foggia più semplice che si possa
     immaginare; era, infatti una stretta casacca con maniche lunghe, fatta con
     la pelle conciata di qualche animale, il cui pelame, in alcuni punti era
     rimasto ma, in altri punti, s'era logorato sì che sarebbe stato difficile
     indovinare dai ciuffi di peli rimasti, di quale bestia fosse stata quella
     pelle. Questo vestito primitivo lo copriva dalla gola ai ginocchi e
     rispondeva a tutti gli scopi abituali di un riparo del corpo. Dei sandali,
     legati mediante cinghie di pelle di verro, gli proteggevano i piedi ed una
     striscia di cuoio sottile era attorcigliata attorno alle gambe in modo
     artificioso e salendo al di sopra dei polpacci, lasciava scoperte le
     ginocchia, come quelle di un montanaro scozzese. La casacca era
     trattenuta, alla vita, da una larga cintura di cuoio e chiusa da una
     fibbia di ottone, onde renderla più aderente al corpo; ad un lato vi era
     una specie di bisaccia, ed all'altro il corno di un montone, munito di
     un'imboccatura che serviva pe 131d31b r soffiarvi dentro. Nella stessa cintura era
     infilzato uno di quei coltelli lunghi, aguzzi, a due tagli col manico di
     corno di daino, che venivano fabbricati nelle vicinanze e che venivano
     denominati anche in quell'epoca lontana "coltelli di Sheffield".
     L'uomo non portava alcun copricapo sulla testa, difesa soltanto dalla
     folta capigliatura, qua arruffata, là compatta come se vi fosse stata
     versata su della colla, che, alla luce del sole, assumeva un colore rosso
     oscuro, di ruggine, contrastante con la lunga barba, sulle guance, quasi
     del colore dell'ambra. Egli portava un anello di ottone simile ad un
     collare, ma senza alcuna apertura, e ben saldo al collo, tanto allentato
     da non ostacolare la respirazione, tuttavia così aderente da non poter
     essere tolto se non mediante l'aiuto di una lima. Gurth faceva il porcaro
     di mestiere.
     Wamba più giovane di Gurth di dieci anni indossava un vestito simile,
     nella foggia, a quello del suo compagno ma di stoffa migliore e
     dall'aspetto più bizzarro. La sua casacca era di uno smagliante color
     porpora e su di essa si era tentato di dipingere degli ornamenti
     grotteschi, di colori vari. Alla casacca egli univa un corto mantello che
     a stento gli giungeva a mezza coscia; era di stoffa rosso vivo, sebbene
     lurida, con strisce color giallo vivace; e poiché egli poteva spostarlo da
     una spalla all'altra o, a piacer suo, avvolgerlo tutto attorno alla sua
     persona, la sua ampiezza, in contrasto con la sua cortezza, formava un
     drappeggio bizzarro. Egli portava sottili braccialetti d'argento sulle
     braccia ed, al collo, una collana dello stesso metallo. Questo personaggio
     aveva lo stesso tipo di sandali del compagno ma, invece della striscia di
     cuoio, le sue gambe erano fasciate da una specie di uose, di cui una era
     rossa e l'altra gialla. Aveva un berretto, sul quale erano appesi alcuni
     campanelli, quasi della stessa grandezza di quelli che si appendono ai
     falchi, ogni qual volta gli girava la testa in un senso o nell'altro; e
     poiché egli di rado rimaneva un solo istante fermo, nella stessa
     posizione, si può dire che il loro suono fosse incessante. Attorno
     all'orlo del suo berretto vi era una rigida striscia di cuoio che si
     allargava verso l'alto, a guisa di una corona, donde veniva fuori un lungo
     berretto a sacco, il quale cadeva giù su una spalla come un berretto da
     notte di vecchia moda o come il copricapo di un moderno ussaro. Su questa
     parte del berretto erano attaccati i campanelli; e ciò insieme alla foggia
     del copricapo ed alla sua espressione, per metà furba e per metà
     irrequieta, bastava a rivelare, in lui, un appartenente alla razza dei
     giullari, mantenuti, nelle case dei ricchi, per scacciare il tedio di
     quelle interminabili ore, ch'essi erano costretti a trascorrere in casa. Egli
     portava, come il suo compagno, una saccoccia attaccata alla cintura, ma
     non aveva né corpo né coltello, poiché, probabilmente, lo si considerava
     come facente parte di una categoria cui si reputa pericoloso l'affidare
     strumenti taglienti. L'aspetto esteriore di questi due uomini formava un
     contrasto più vivace della loro espressione e del loro portamento.
     L'espressione del servo era triste e cupa; egli guardava, curvo, il
     terreno con profondo abbattimento; l'espressione di Wamba era d'altro
     canto, come suole accadere nella sua categoria, alquanto vacua e bizzarra;
     vi erano un'impazienza ed un'irrequietezza, un'incapacità a mantenersi
     fermo nello stesso posto.  
 - Il priore Aymer: uomo ecclesiastico ed esperto cavaliere, il suo compagno era un
     uomo che aveva superato la quarantina, sottile, forte, alto, muscoloso;
     una figura d'atleta, cui sembrava che le lunghe fatiche avessero tolto
     ogni morbidezza. Era tutto muscoli, ossa, nervi che avevano sostenuto
     mille ardue prove ed erano pronte a sostenerne altre mille. Gli copriva la
     testa un copricapo scarlatto, orlato di pelliccia, simile ad un mortaio
     capovolto. Il volto era, quindi, visibilissimo e la sua espressione era di
     quelle che incutono una certa soggezione, se non proprio timore, ai
     forestieri. I suoi nobili lineamenti, forti ed espressivi, erano divenuti
     di colore scurissimo per essere stati a lungo esposti al sole tropicale e
     di solito si rilasciavano in una grande calma dopo che un uragano di
     passione li aveva sconvolti; tuttavia le turgide vene della fonte, il
     fremito del labbro superiore e dei folti baffi neri rivelavano chiaramente
     che la tempesta poteva facilmente scatenarsi di nuovo, alla minima
     emozione. Gli occhi scuri, acuti, penetranti narravano, ad ogni sguardo,
     una voglia di spazzare dal suo cammino quanto s'opponeva ai suoi desideri,
     mediante una costante pratica di coraggio e di volontà; una profonda
     cicatrice sulla fronte rendeva il suo viso più austero e dava
     un'espressione sinistra ad uno dei suoi occhi, ch'era rimasto lievemente
     offeso nella stessa occasione della ferita alla fronte, e la cui capacità
     visiva era lievemente menomata. Questo personaggio indossava, come il suo
     compagno, un lungo mantello monastico ma di colore scarlatto, sulla cui
     spalla destra era intagliata, in stoffa bianca, una croce di forma
     originale. Esso celava un tipo di abito a prima vista in netto contrasto
     col mantello, cioè una flessibile maglia di acciaio con maglie e guanti
     identici. Alla cintura egli portava un pugnale lungo, a doppia lama,
     l'unica arma di difesa ch'egli avesse addosso, Egli cavalcava, sulla
     strada di campagna, un forte cavallo comune per risparmiare fatica al suo
     gagliardo cavallo di guerra, che uno scudiero conduceva dietro,
     completamente equipaggiato per la battaglia. Da un lato della sella pendeva
     una corta ascia da guerra tutta incisa all'uso damasceno, dall'altro
     v'erano l'elmo piumato del cavaliere ed il cappuccio di maglia di acciaio
     con una lunga spada a due lame. Un secondo scudiero teneva alta la lancia
     del suo signore, dalla punta della quale ondeggiava un piccolo scudo
     triangolare sufficientemente largo, in alto, per proteggere il petto. Era
     coperto con un drappo scarlatto, si che non se ne poteva leggere il motto.
     I due scudieri erano seguiti da due schiavi dal viso scurissimo, dai turbanti
     bianchi vestiti all'orientale. Tutto l'aspetto di questo guerriero e del
     suo seguito era selvaggio e straniero; gli abiti degli scudieri erano
     sgargianti; gli schiavi orientali portavano collane e braccialetti
     d'argento. I loro abiti, tutti adorni di sete e ricami, rivelavano la
     ricchezza e l'importanza del loro signore, formando, nello stesso tempo,
     uno stridente contrasto con la semplicità marziale del suo abbigliamento.
     Portavano sciabole ricurve, dall'elsa e della bandoliera intarsiate d'oro,
     e pugnali turchi di fattura ancora più costosa. Ciascuno di loro portava,
     in sella, un fascio di giavellotti, lunghi circa quattro piedi, con punte
     d'acciaio acuminate. Il priore Aymer era molto gradito ai nobili ed alla
     borghesia di campagna, con molti dei quali era imparentato, poiché
     apparteneva ad aristocratica famiglia normanna. Il priore partecipava agli
     sport con un entusiasmo straordinario, ed aveva il permesso di possedere i
     falchi meglio ammaestrati ed i più veloci levrieri del North Riding. Con
     gli anziani egli prendeva un altro atteggiamento e quando era necessario,
     lo sosteneva con grande dignità. 
 
 - Cedric: era di statura media, ma aveva spalle larghe, braccia lunghe, ed
     era robusto, come persona abituata a sopportare le fatiche di guerra o
     della caccia; il suo viso era largo, gli occhi grandi e azzurri, i denti
     belli, la testa di bella forma, la fisionomia aperta e, nello stesso
     tempo, non priva di quella specie di buon umore che spesso si accompagna
     ai temperamenti impulsivi. I suoi occhi esprimevano orgoglio e gelosia
     perché aveva trascorso la vita nell'affermazione di diritti sempre in
     pericolo di venir soffocati dagli invasori; ed il carattere di quest'uomo
     pronto, fiero, deciso, s'era mantenuto all'erta per le circostanze della
     sua situazione. I suoi lunghi capelli biondissimi erano divisi da una riga
     sottile, dal centro della testa sino alla fronte e scendevano, ben
     pettinati ed in ordine, sino alle spalle; v'erano pochi fili d'argento,
     nonostante Cedric si avvicinasse ai sessant'anni. Indossava una tunica
     color verde foresta, guarnita, alla gola ed ai polsi, di pelliccia di
     vaio, un po' meno costosa dell'ermellino. Sulla spalliera del suo seggio
     era un mantello scarlatto, bordato di pelliccia, ed un berretto della
     stessa stoffa, riccamente ricamato, che completava il vestiario
     dell'opulento signore, quando gli piaceva uscire. Una corta picca dalla
     testa larga, di lucente acciaio, era appoggiata allo schienale e gli
     serviva, quando egli passeggiava, da bastone o da arma, secondo
     l'occasione. 
 
 - Lady Romena: alta, ma non troppo; era di carnagione bianchissima, eppure la
     sua non era una bellezza scialba. I suoi occhi turchini, sotto l'arco
     delle sopracciglia castane che si delineavano con curva graziosa sulla
     fronte, sembravano capaci di infiammare e di fondere, di comandare e di
     supplicare. La sua espressione naturale era mite; tuttavia l'abitudine a
     ricevere omaggi da parte di tutti aveva conferito alla fanciulla una nota
     di alterezza. La sua chioma abbondante, di un biondo caldo, cadeva in
     riccioli capricciosi, aggraziati, in cui l'arte aveva forse aiutato la
     natura, ed era adorna di gemme; la sua lunghezza rivelava la nascita
     aristocratica e la condizione libera della fanciulla. Portava al collo una
     catena d'oro da cui pendeva un piccolo reliquiario d'oro anch'esso, e
     braccialetti sulle braccia. Sotto un mantello rosso vivo e fatto dalla
     migliore lana, portava una veste, con la cintura, di seta intessuto d'oro,
     che poteva essere, a piacere, o tirato giù sul viso e sul petto, alla
     spagnuola, o drappeggiato sulle spalle. 
 
 - L'ebreo: il suo nome era Isaac di York. I suoi lineamenti sottili,
     regolari, il naso aquilino e gli occhi neri, penetranti, la fronte alta
     rugosa, la barba e la chioma grigie, avrebbero potuto sembrare belli se
     non avessero costituito la caratteristica di una razza che, durante
     quell'età tenebrosa, era detestata dal volgo pieno di pregiudizi e dalla
     rapace nobiltà, e che forse per quell'odio e per quella persecuzione,
     aveva assunto un carattere nazionale in cui c'era tanto di meschino e di
     non amabile. L'abito dell'ebreo era una mantella di semplice stoffa
     tessuta in casa, a molte pieghe, e copriva una tunica color porpora scura.
     
 
 - Rebecca: reggeva il confronto con le maggiori bellezze d'Inghilterra, la
     sua bellezza risaltava maggiormente nell'abito orientale. Il suo turbante
     di seta gialla donava molto alla sua carnagione bruna. Lo splendore dei
     suoi occhi, il superbo arco delle sopracciglia, il bel naso aquilino, i
     denti bianchi come perle, l'abbondante chioma d'ebano che, scendendo in riccioli,
     copriva tutto quel che la veste della più ricca seta persiana lasciava
     vedere, costituiva un insieme che non aveva nulla da invidiare alle più
     belle fanciulle intorno a lei. Delle fibbie d'oro e di perle, che ornavano
     la sua veste dalla gola alla cintura, le tre più in alto erano lasciate
     aperte per il caldo, sì che s'intravedeva una collana di diamanti, con
     pendenti di inestimabile valore. Una penna di struzzo, assicurata al
     turbante da un fermaglio di brillanti, era un alto segno di distinzione della
     bella ebrea. 
 
 - Ivanhoe: Wilfred di Ivanhoe è il protagonista del romanzo di Scott, figlio
     di Cedric, un nobile sassone ostile ai Normanni. Ivanhoe è stato cacciato
     dal padre per il suo amore per Lady Rowena, che Cedric intende dare in
     sposa ad un nobile di stirpe reale. Ivanhoe è partito per la terza
     crociata, dove combatte vittoriosamente al fianco di re Riccardo Cuor di
     Leone. Al ritorno dalla crociata sotto false spoglie Ivanhoe partecipa al
     torneo di Ashby, vincendo contro tutti i cavalieri. Rimasto ferito, verrà
     curato da Rebecca che dopo essere stata salvata da lui, lo sposa. Ivanhoe
     è un cavaliere molto rispettoso nei confronti delle persone che lo
     stimano, lo amano e lo considerano un uomo coraggioso che combatte per i
     suoi ideali; nonostante ciò il suo animo non è tranquillo poiché è stato
     costretto ad abbandonare il proprio padre, che in seguito lo accetterà
     nuovamente in casa.
 
Epoca e ambiente della vicenda
La vicenda si svolge in Inghilterra al
tempo di re Riccardo Cuor di Leone e delle Crociate intorno all'anno 1194,
coprendo un arco di circa dieci giorni. Durante la narrazione sono presenti
alcune ellissi, come "dopo tre ore", "il mattino seguente"
; molte pause con le quali l'autore introduce la descrizione di un luogo o di
un personaggio; scene dialogate e analisi dettagliate come quella del torneo di
Ashby che, durato due giorni, viene analizzato in molte pagine.
Gli spazi presenti sono sia interni come case e castelli, sia esterni come
grandi foreste.
 
 - La casa di Cedric: in un sala molto bassa ma vastissima, una lunga tavola di
     quercia, formata di assi tagliate rozzamente con l'accetta ed appena
     appena levigate, stava bell'e e preparata per la cena di Cedric il
     sassone. Il tetto, fatto di travi e di travicelli, divideva l'appartamento
     dal cielo solo con assi e paglia; vi era un ampio focolare, ad entrambe le
     estremità della sala, ma, poiché i camini erano mal costruiti, entrava
     nell'appartamento tanto fumo quanto ne usciva col vento. E così, sulle
     travi della sala dalle volte basse, s'erano formate delle incrostazioni,
     che avevano finito col costituire una nera crosta di fuliggine. Ai lati
     dell'appartamento erano appesi trofei di guerra e di caccia, e ad ogni
     angolo vi erano delle porte a due battenti, che accedevano ad altre parti
     del vasto edificio. Le altri parti della dimora avevano la stessa rozza
     semplicità del periodo sassone cui Cedric, puntigliosamente, teneva. Il
     pavimento era composto di un miscuglio di calce, induritosi a furia di
     essere calpestato, come quello che viene oggi adoperato per pavimentare i
     granai. Per circa un quarto della lunghezza dell'appartamento, il
     pavimento si alzava di un gradino, e questo spazio, che veniva chiamato
     piattaforma, era occupato soltanto dai principali membri della famiglia e
     dai visitatori di riguardo, A tal fine, una tavola coperta di ricca stoffa
     scarlatta era posta trasversalmente lungo la piattaforma, dal cui centro
     si stndeva giù verso il fondo della sala l'asse più lunga e più bassa,
     dove mangiavano i domestici e le persone di grado inferiore, Tutto
     rassomigliava, per la forma, ad una T o ad alcune di quelle antiche tavole
     da pranzo, che possono tuttora vedersi negli antichi collegi di Oxford o
     di Cambridge. Sedie massicce e cassapanche di quercia intagliata erano
     poste sulla pedana, e, su questi seggi ed il tavolo situato più in alto,
     v'era un baldacchino, che serviva, in qualche modo, a proteggere i
     dignitari, che occupavano quel posto distinto, dal maltempo, specialmente
     dalla pioggia, la quale, in alcuni punti, riusciva a penetrare attraverso il
     tetto mal costruito. I muri di questa parte superiore della sala erano
     coperti, sin dove si estendeva la piattaforma, da tende; sul pavimento era
     un tappeto, e sia i primi che il secondo erano adorni di una specie di
     ricamo eseguito con colori sgargianti. Nel centro della tavola più alta,
     erano situate due sedie, più eleganti del resto, per il padrone e la
     padrona di casa che presenziavano alla mensa. 
 
 - La foresta: Il sole tramontava su una radura della foresta, da cui venivano
     coperte in maggior parte le belle colline e le belle valli che si
     trovavano tra Sheffield e la graziosa città di Doncaster. Centinaia di
     querce dall'ampia chioma, dai lunghi rami, dai tronchi bassi, stendevano
     le loro braccia nodose su un fitto tappeto di erba dal verde più delizioso;
     in alcuni punti esse si frammischiavano a faggi, agrifogli e macchie, così
     fitti da interrompere i raggi orizzontali del sole morente; in altri punti
     distavano molto l'una dall'altra, formando quei lunghi sentieri, in
     declivio, tortuosi, in cui lo sguardo ama sperdersi, ma anche alla
     fantasia appaiono come sentieri verso luoghi più selvatici di solitudine
     silvestre. I raggi di fuoco del sole mandavano qua una luce frammentaria,
     pallida, che illuminava i rami contorti ed i tronchi muschiosi degli
     alberi, e là formavano delle chiazze splendenti in alcune zolle erbose su
     cui si proiettavano. Uno spazio molto aperto, nel mezzo della radura,
     sembrava fosse stato, ai tempi antichi, un luogo riservato ai riti della
     religione druidica ché, sulla sommità di una collinetta, tanto regolare da
     sembrare artificiale, rimaneva ancora la parte di un cerchio di immensi
     massi di pietra, rozzi, ma spaccati con l'ascia.
 
Fabula e intreccio
Fabula
Wilfred di Ivanhoe, figlio di Cedric, è
un nobile sassone ripudiato dal padre per impedirgli di sposare la bellissima
figliastra Rowena, che ha promesso in sposa invece al nobile di sangue reale
Athelstane, nel tentativo di riportare al trono la dinastia sassone.
Allontanato dunque da Cedric, Ivanhoe partecipa alla terza crociata al seguito
di Riccardo Cuor di Leone e solo al ritorno può realizzare il suo sogno e
riconquistare l'onore perduto, combattendo vittoriosamente a fianco di Riccardo
contro il fratello di questo, il principe Giovanni, autoproclamandosi re di
tutti gli Inglesi.
Intreccio
La storia risale al 1194. Si svolge in
Inghilterra, sullo sfondo delle lotte intestine tra i due popoli che abitano
nel paese: i crudeli Normanni, che l'hanno conquistato un secolo prima, e i
Sassoni che gemono sotto tutte le conseguenze della sconfitta. Protagonista e
Wilfred d'Ivanhoe, figlio di Cedric, un nobile sassone ostile ai Normanni.
Ivanhoe è stato cacciato dal padre per il suo amore per lady Rowena, che Cedric
intende dare in sposa ad un nobile di stirpe reale, Athelstane, nella speranza
di riconquistare con questa unione il trono d'Inghilterra per il suo popolo.
Ivanhoe è partito per la terza crociata al seguito di re Riccardo Cuor di
Leone, in assenza del quale l'ipocrita e ambizioso fratello, Giovanni
Senzaterra, tenta di usurpare il trono. Re Riccardo ritorna dalla crociata, e
con lui ritorna alla casa del padre, sotto false spoglie, Wilfred d'Ivanhoe che
in incognito, partecipa al torneodi Ashby, nel quale affronta e vince tutti i
cavalieri del principe Giovanni. Rimasto ferito, viene curato dalla bellissima
Rebecca che di lui subito si innamora. Ivanhoe, Rebecca, Cedric il Sassone e
Rowena, mentre attraversano un bosco, sono fatti prigionieri da alcuni
cavalieri normanni e rinchiusi nel castello del crudele tiranno Reginaldo
Front-de-Boeuf. Dopo una furiosa battaglia il castello viene espugnato da un
misterioso Cavaliere Nero e da una banda di arditi fuorilegge, guidata dal
leggendario Robin Hood, difensore dei poveri. Solo Rebecca resta prigioniera in
mano di un crudele templare, Brian-de-Bois-Guilbert, che ne vuole a tutti i
costi l'amore. Accusata di stregoneria e condannata al rogo, viene liberata da
Ivanhoe, che combatte e vince per lei, uccidendo il malvagio Templare. Riccardo
frattanto stabilisce il suo potere sui Normanni ribelli e ottiene la
sottomissione dei Sassoni, avviando la fusione delle due componenti etniche
nemiche in una nuova realtà nazionale, quella inglese. La storia si chiude col
matrimonio tra Rowena e Ivanhoe, mentre Rebecca, che in cuor suo lo ha sempre
amato ma invano, decide di partire dall'Inghilterra.
"L'episodio più interessante e a tuo
giudizio più significativo"
L'episodio più interessante e più
significativo è stato a mio giudizio il torneo di Ashby, descritto nei capitoli
dal 6 al 10. Qui i personaggi che prima ci sono stati presentati mostrano
carattere, personalità e temperamento. Scendono in campo i più grandi campioni
del tempo: cavalieri, feudatari, vassalli. Gli uni contro gli altri in una
furibonda mischia o tramite un'acerrima sfida personale provano il loro valore
ed il coraggio, dimostrano fierezza e cortesia sotto gli occhi atterriti, ma
partecipi di un pubblico di umili e potenti. Onore e gloria sono la ricompensa
del cavaliere, ma ad Ashby si combatte anche per i dolci occhi di Lady Rowena che,
benché sassone, viene eletta regina della bellezza e dell'amore per l'intera
durata del torneo. Cominciato il torneo sono però i cavalieri ad attirare
l'attenzione due in particolare: Brian de Bois-Guilbert da una parte e il
Diseredato pellegrino dall'altro. Con l'aiuto di un misterioso cavaliere nero
sarà Ivanhoe a prevalere, ma lo scontro tra i due è talmente devastante che il
cavaliere buono, pur vittorioso, ne porterà i segni invalidanti su tutto il
corpo per lungo tempo.
Le tematiche
Le tematiche più importanti proposte
dall'autore sono il coraggio, l'eroismo e l'onestà del buon cavaliere, ma il
tema dominante è la rievocazione della lotta tra Sassoni e Normanni.
Lo stile
Nel romanzo prevale il cosiddetto
narratore onnisciente, che spiega e chiarisce i diversi avvenimenti e
interviene molto nella narrazione anche in prima persona, il suo punto di vista
è detto a focalizzazione zero. Il discorso utilizzato è quello diretto, lo
stile è quello paratattico, il registro formale.