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Il DECADENTISMO

letteratura



Il DECADENTISMO


Per Decadentismo si indica quel movimento letterario, nato nell'ambiente parigino alla fine dell'Ottocento, con un preciso programma espresso da manifesti e organi di stampa come il periodico "Le Decadent". Il Decadentismo è caratterizzato da un senso di disfacimento e da un'idea di un prossimo crollo, di un imminente cataclisma epocale.

Alla base della visione del mondo decadente vi è un irrazionalismo misticheggiante.

Viene radicalmente rifiutata la visione positivistica. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possono dare la vera conoscenza della realtà, misteriosa ed enigmatica. L'anima decadente è perciò tesa verso il mistero, l'Inconoscibile. Se il mistero della realtà non può esser colto attraverso la ragione, altri sono i mezzi mediante cui il decadente può attingere ad esso. Questi sono tutti gli stati di alterazione mentale come la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, o stati causati dall'uso di droghe e alcol. Inoltre vi sono altre forme che permettono l'esperienza dell'ignoto: l'annullamento nella vita del gran Tutto, il confondersi nella vibrazione stessa della materia ( 444i82e questo atteggiamento è stato definito panismo e ricorrerà particolarmente in D'ANNUNZIO



Tra i momenti privilegiati per i decadenti vi è soprattutto l'arte, suprema illuminazione. Da questo culto religioso dell'arte ha avuto origine il fenomeno dell'estetismo. L'esteta assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali ma il bello. L'arte quindi rifiuta ogni rappresentazione della realtà storica e sociale e diviene arte pura, poesia pura.

Tra le tecniche espressive più usate dai decadenti bisogna ricordare la musicalità: la parola non vale tanto nel suo significato logico quanto come pura fonicità, per il suo valore evocativo.

I decadenti fanno molto uso della metafora, espressione di una visione simbolica del mondo e la sinestesia, fusione di sensazioni. (Le Corrispondenze di Baudelaire presentano un valore pionieristico).

La malattia è uno dei temi principali del Decadentismo che se da una parte si pone come metafora di una condizione storica dall'altro diviene una condizione privilegiata, segno di nobiltà e distinzione. La malattia affascina i decadenti perché rievoca l'immagine della morte, tema dominante e ossessivo. Una voluttà morbosa di annientamento, un'attrazione irresistibile per il nulla percorre le pagine della letteratura decadente. AI fascino della malattia e della morte si contrappongono tendenze opposte: il vitalismo, l'esaltazione della pienezza vitale che vede il suo massimo teorico in Nietzsche.

Nascono quindi alcune figure ricorrenti:

    L'artista maledetto, che profana tutti i valori e le convenzioni della società;

    L'esteta, che vuole trasformare la sua vita in un'opera d'arte;

    L'inetto a vivere, che è escluso dalla vita e si rifugia nelle sue fantasie, compensatrici di una realtà frustante;

    Il fanciullino, portatore di una visione fresca e ingenua che scopre le cose nella loro vergine essenza;


GABRIELE D'ANNUNZIO


L'ESTETISMO E LA SUA CRISI

L'esordio letterario di D'Annunzio avviene sotto il segno di due grandi scrittori: Carducci e Verga. Le prime liriche, Primo vero e Canto novo, si rifanno a Carducci, la raccolta Terra Vergine al Verga.

Oltre alla metrica barbara egli riprende di Carducci anche il senso della comunione con una natura solare e vitale. Ma questi temi sono portati al limite estremo in cui si presagisce il futuro panismo superomistico. Terra Vergine si rifà alla Vita dei Campi. Anche D'Annunzio presenta figure e paesaggi della sua terra, l'Abruzzo. Ma non vi è nulla dell'impersonalità verghiana, della lotta per la vita, del gusto documentario, della visione positivistica del Verismo.

I versi degli anni Ottanta, l'Intermezzo di rime, l'Isotteo, la Chimera, sono il frutto della fase dell'estetismo dannunziano che si esprime nella formula "Il Verso è tutto". L'arte diventa il supremo valore, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. In questa fase D'Annunzio crea la figura dell'esteta, dell'uomo superiore che si rifugia dalla mediocrità borghese. Questo personaggio è una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell'Italia dopo l'unità, che tendevano ad emarginare l'artista togliendogli quella posizione privilegiata di cui aveva goduto nelle epoche precedenti. Ben presto però il D'Annunzio si rende conto dell'intima debolezza dell'esteta che non sa realmente opporsi alla borghesia in ascesa: il suo isolamento, lungi dall'essere un privilegio, diventa sterilità e impotenza. L'estetismo entra quindi in crisi. Il primo romanzo scritto da D'Annunzio è il Piacere. Al centro dell'opera vi è la figura dell'esteta, Andrea Sperelli, il quale non è altro che un doppio dell'autore che proietta in questo personaggio la sua crisi e il senso d'insoddisfazione. Questa crisi trova la sua cartina di tornasole nel rapporto con la donna. L'eroe e diviso tra due donne, Elena Muti, la donna fatale che incarna l'erotismo passionale e Maria Ferres, che rappresenta la possibilità di riscatto e di elevazione spirituale. Alla fine Andrea rimane solo e disperato.


I ROMANZI DEL SUPERUOMO

D'Annunzio  riprende alcuni motivi del pensiero di Nietzsche: il rifiuto del conformismo borghese, dell'etica della pietà e dell'altruismo, l'esaltazione dello spirito dionisiaco, della volontà di potenza. Egli accentua questi motivi con un carattere antiborghese, aristocratico. L'autore vagheggia un'aristocrazia capace di elevarsi a forme superiori di vita attraverso il culto del bello. Il motivo del superuomo è quindi interpretato da D'Annunzio nel senso del diritto di alcuni esseri eccezionali di imporre la propria volontà sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il nuovo personaggio di D'Annunzio, aggressivo, energico, vitalistico, non elimina la figura dell'esteta ma la ingloba in sé. L'esteta non si accontenta più di vagheggiare la bellezza ma si propone di imporre la propria volontà sul mondo vile e meschino quale è quello borghese.

Il Trionfo della morte rappresenta questa fase di transizione. L'eroe, Giorgio Aurispa, è un esteta simile ad Andrea Sperelli. Travagliato da una malattia interiore va alla ricerca di un nuovo senso della vita. Questa ricerca lo porta a riscoprire le radici della sua stirpe: insieme con la donna amata si ritira in un villaggio abruzzese, dove riscopre il volto primordiale della sua gente, le credenze magico-superstiziose, il fanatismo religioso esaltato. Di fronte a questo mondo barbaro e primitivo il raffinato esteta appare disgustato e rifiutato. Egli trova una soluzione nello spirito dionisiaco di un'immersione nella pienezza della vita, ma l'eroe non è ancora pronto a realizzare questo progetto: si oppongono le forze oscure della sua psiche, prevalgono sulla volontà di una vita gioiosa e piena le forze negative della morte. Alla fine l'eroe si ucciderà, trascinando con sé la "Nemica".

Il suicidio di Giorgio Aurispa è come il sacrificio rituale che libera D'Annunzio dal peso delle problematiche negative sino a quel momento affrontate. Le Vergini delle rocce segnano una svolta radicale. D'Annunzio non vuole più proporre l'eroe tormentato e debole ma l'eroe forte e sicuro. Il romanzo è stato definito come il manifesto politico del superuomo. L'eroe, Claudio Cantelmo, vuol portare a compimento l'ideale latino e generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderà l'Italia a destini imperiali. Ma anche qui alla fine prevalgono la decadenza, il disfacimento, la morte.

Il Fuoco si propone invece come "manifesto artistico" del superuomo, in cui l'eroe cerca di creare un'opera perfetta, fusione di poesia, danza e musica e attraverso di essa vuole creare un nuovo teatro. Ma le forze oscure che si oppongono all'eroe si concretizzano puntualmente in una donna che incarna l'attrazione dell'autore per il disfacimento e la morte.

Nel 1910 viene pubblicato Forse che sì forse che no, in cui finalmente si realizza la volontà eroica del protagonista. D'Annunzio si presenta come celebratore di un simbolo della realtà moderna, dinamica e aggressiva, la macchina.

Ancora una volta si oppone all'eroe la Nemica ma questa volta il protagonista trova una via di liberazione.


LE OPERE DRAMMATICHE

L'ideologia superomistica ha un peso determinante nell'approdo di D'Annunzio al teatro, che avviene a partire dal 1896 con la Città morta. Il teatro viene inteso come potente strumento per la diffusione del verbo superomistico. La drammaturgia dannunziana si allontana però dal teatro borghese e realistico che raffigurava fedelmente la vita quotidiana, egli ambisce ad un teatro di poesia che trasfiguri e sublimi la realtà e metta in scena personaggi d'eccezione.

Molte opere si rifanno ad argomenti di storia (Francesca da Rimini, Parisina, Sogno di un tramonto d'autunno, La nave) o al mito classico (Fedra). Altre sono ambientate nel presente (La Città morta, La gloria, La Gioconda, Più che l'amore), alcune sono tragedie politiche come la Gloria, che si basa sul contrasto tra un vecchio dittatore e un giovane che tenta di scalzarlo, o la Nave, che esalta la conquista imperialistica sul mare. Anche nelle tragedie alla volontà superomistica si oppongono forze che agiscono in senso contrario. L'eroe trova nella donna la "Nemica" che ostacola la sua missione.

A parte si colloca La figlia di Iorio, definita dall'autore stesso una "tragedia pastorale", ambientata nell'Abruzzo primitivo, magico e superstizioso, in cui domina il gusto decadente per il barbarico e il fascino esercitato dal popolo contadino visto come emblema dell'irrazionale.


LE LAUDI

Nel campo della lirica D'Annunzio vuole affidare la summa della sua visione a sette libri di Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi: un progetto di celebrazione totale, che esaurisca tutto il reale. Nel 1903 furono terminati i primi tre libri: Maia, Elettra e Alcione.

Il primo libro, Maia, non è una raccolta di liriche, ma un lungo poema unitario di ben 8000 versi. D'Annunzio adotta il verso libero che ha la sua corrispondenza nel carattere vitalistico, dionisiaco, intrinseco del poema. Il poema è una trasfigurazione mitica di un viaggio in Grecia realmente compiuto dall'autore. L'io protagonista si presenta come un eroe "ulisside" proteso verso le più multiformi esperienze. Il viaggio nell'Ellade è un'immersione in un passato mitico, alla ricerca di un vivere sublime, divino, all'insegna della forza e della bellezza. Dopo questa iniziazione il protagonista si reimmerge nella squallida realtà moderna, ma il mito classico vale a trasfigurare questo presente, e l'orrore della civiltà industriale si trasforma in una nuova forza e bellezza. Il poeta arriva a inneggiare realtà quali il capitale e le macchine. Il poeta non si contrappone più alla realtà borghese dall'alto del suo aristocratico disprezzo, ma si propone come cantore dei suoi fasti.

Il secondo libro, Elettra, riprende la stessa struttura ideologica di Maia. Anche qui vi è un polo positivo rappresentato da un passato e un futuro di gloria e un polo negativo rappresentato da un presente da riscattare. L'opera presenta una serie di sonetti, le Città del silenzio, in cui le città italiane conservano il ricordo di una passato di grandezza.

Il terzo libro, Alcyone, è apparentemente lontano dai primi due. Al discorso politico, celebrativo si sostituisce il tema lirico della fusione panica con la natura; al motivo dell'azione energica si sostituisce un atteggiamento di evasione e di contemplazione. L'io del poeta si fonde col fluire della vita del Tutto, si identifica con le varie presenze naturali, animali. Sul piano formale alla turgidezza enfatica di Maia e alla rimbombante retorica di Elettra succede una ricerca di sottile musicalità. Molti hanno considerato l'Alcyone una poesia pura, immune dalla retorica e dall'artificio, ma altri l'hanno considerata una manifestazione del superomismo: solo al superuomo è concesso di attingere alla vita superiore al diretto contatto con la natura.


IL PERIODO NOTTURNO

Le successive opere di D'Annunzio sono accomunate dal taglio autobiografico, memoriale, dal registro stilistico più misurato. Queste prose presentano una materia nuova, ricordi d'infanzia, sensazioni fuggevoli; anche la struttura è nuova: non più costruzioni complesse ed artificiose ma il frammento, un procedere per libere associazioni, un fondere presente e passato attraverso l'andirivieni della memoria. Quest'ultimo periodo è definito notturno dal titolo della più significativa di queste prose, il Notturno composto nel 1916 che presenta il carattere di annotazione causale di abbandono ai liberi movimenti della mente.




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