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ITALO SVEVO (1861-1928)

letteratura



ITALO SVEVO



D'annunzio e Svevo sono quasi coetanei, tuttavia si presentano come personaggi completamente differenti: il primo, raffinato cultore dell'estetismo, attua un identità fra arte e vita, ponendo l'arte in una posizione di assoluto privilegio e, di conseguenza, lottando insistentemente contro quella perdita dell'aureola descritta da Baudelaire, al contrario Svevo concepisce l'arte come una sorta di medicina per colui che non riesce ad identificarsi a pieno con la società (l'arte serve all'inetto per riuscire a vivere), e da per scontata la perdita dei privilegi sociali dell'artista; mentre D'annunzio fa della vita un momento pubblico, per Svevo quest'ultima occupa una dimensione del tutto interiore; altra differenza: D'annunzio tende al sublime, mentre Svevo tende piuttosto all'ironico, al lievemente comico. potremmo andare avanti ancora per molto, tuttavia, nonostante le notevoli differenze, entrambi hanno rivestito un ruolo centrale all'interno della letteratura italiana: se D'annunzio è stato uno dei più grandi esponenti del dec 525h79f adentismo internazionale (e sicuramente il più grande in Italia), Svevo è stato lo scrittore italiano più europeo del '900, contribuendo largamente alla nascita del romanzo d'avanguardia in Italia. Ma cerchiamo di comprenderlo meglio attraverso dei chiarimenti sulla sua vita e sulla sua poetica.


LA VITA





Ettore Schmitz (lo pseudonimo di Italo Svevo verrà assunto a partire dal primo romanzo) nacque a Trieste il 19 dicembre 1861. La sua era una famiglia borghese benestante: il padre apparteneva alla consistente comunità ebraica triestina ed era dedito a proficue attività commerciali. Con la prospettiva di inserirsi nella fiorente economia della città, Ettore venne avviato, insieme ai fratelli Adolfo e Elio, agli studi commerciali presso il collegio di Segnitz, in Baviera. Apprese in questo modo il tedesco, ma si dedicò anche alla lettura della narrativa ottocentesca allora più in voga (Zola, Balzac, Maupassant) e conobbe la filosofia di Schopenhauer. Ultimati gli studi in Baviera, egli fece ritorno a Trieste e si iscrisse all'Istituto "Pasquale Revoltella" con lo scopo di perfezionare le proprie conoscenze nella tecnica aziendale e bancaria: tuttavia i suoi interessi letterari stentavano a conciliarsi con le materie commerciali, alle quali si era dedicato soprattutto per il volere del padre.



Nel 1880, dopo il fallimento della ditta paterna, Schmitz ottenne un impiego nella filiale triestina della Banca "Union" di Vienna: cominciava in questo modo un lungo periodo di quasi venti anni, durante i quali egli divise le proprie energie tra la quotidianità di un lavoro ripetitivo, ma condotto con scrupolo ed estrema serietà, e gli approfondimenti letterari, la grande passione per il teatro, le collaborazioni giornalistiche, l'esperienza di un coraggioso esordio narrativo. Sono di questi anni i lunghi pomeriggi trascorsi nella Biblioteca civica alla ricerca di quella lingua italiana che, a causa della sua formazione e della singolare collocazione triestina, egli raggiunse e conquistò soltanto attraverso un progressivo contatto con la tradizione.



Nel 1886 conobbe il pittore Umberto Veruda (1868-1904) che più tardi rappresentò nella figura del Balli, in Senilità. Con lo pseudonimo di Italo Svevo usciva intanto il primo romanzo, Una vita, che non suscitò tuttavia molto interesse presso la critica. Per conto del quotidiano "Il Piccolo" iniziò a tenere lo spoglio della stampa estera e, sempre nello stesso periodo, ricoprì la direzione dell'Unione Ginnastica e tenne l'insegnamento di corrispondenza commerciale presso l'Istituto Revoltella.



Nel 1896, dopo un breve fidanzamento (scrisse in questo periodo un curioso Diario per la fidanzata), Ettore sposò la cugina Livia Veneziani, di molti anni più giovane di lui. Proseguiva intanto l'interesse per il teatro e la narrativa: nel 1897 Ettore venne infatti assorbito dalla composizione di Senilità, pubblicato dapprima a puntate sull'"Indipendente" e quindi in volume nel 1898.



All'insuccesso del secondo romanzo fece seguito l'abbandono dell'impiego in banca. Ettore decise di dedicarsi alla ricca impresa commerciale del suocero (che possedeva una fabbrica di vernici), precedendo di poco anche la rinuncia all'"attività" letteraria.

Il lungo periodo compreso tra Senilità e la Coscienza di Zeno (1923) fu da Ettore in gran parte dedicato alla fabbrica, ai numerosi viaggi d'affari (in Francia e, soprattutto, a Londra), all'ambiente familiare (nel 1897 era nata intanto la figlia Letizia), senza tuttavia tralasciare lo studio e la scrittura, sempre più confinata però in una dimensione privata, quasi introspettiva. Questa parentesi venne interrotta nel 1906 dall'amicizia che lo scrittore triestino strinse con il giovane James Joyce, e che precedette di poco un'altra grande scoperta, quella della psicanalisi. Tanto il confronto letterario con lo scrittore irlandese, quanto la conoscenza di Freud esercitarono su Svevo un profondo rinnovamento nella forma e nella struttura del discorso narrativo, e si rivelarono pertanto decisivi in vista della composizione della Coscienza di Zeno. Lo scrittore lavorò a questo romanzo a partire dal 1919, al termine del primo conflitto mondiale, e lo pubblicò nel '23 presso l'editore Cappelli di Bologna. Dopo un iniziale disinteresse, il libro ottenne uno strepitoso e inaspettato successo di critica, in particolare in Francia, dove la qualità e i meriti della Coscienza vennero difesi da Joyce (che nel 1922 aveva pubblicato l'Ulysses). Si apriva in questo modo anche in Italia il "caso Svevo" e insieme l'ultima fase della scrittura sveviana, in cui le tematiche del terzo romanzo si incrociano con altre suggestioni, in vista di un ulteriore sviluppo della narrativa e del teatro. La vecchiaia, il senso di una morte incombente, la dimensione del non-finito (molti racconti sono volutamente lasciati incompiuti), la malattia e il desiderio di una rigenerazione dell'organismo si ritrovano nelle opere di questa ultima, purtroppo breve, fase dell'esperienza sveviana: nei racconti Una burla riuscita, La novella del buon vecchio e della bella fanciulla, Corto viaggio sentimentale, Vino generoso, nei testi teatrali Inferiorità, Con la penna d'oro, La rigenerazione, nel progetto del quarto romanzo incompiuto per il quale Svevo aveva realizzato molti frammenti Umbertino, Il mio ozio, Il vecchione, Le confessioni del vegliardo. Questo progetto rimase purtroppo incompiuto a causa della improvvisa morte dello scrittore, avvenuta il 13 settembre 1928, in conseguenza di un incidente automobilistico.


LA POETICA


Il luogo di nascita di Schmitz, a metà tra l'Italia e l'impero asburgico, fa si che egli entri in contatto con diverse culture (il suo stesso pseudonimo indica la sua origine metà italiana, e metà sveva). Sulla formazione culturale di Svevo influiscono infatti varie correnti, a prima vista contraddittorie, che egli sa conciliare con originale organicità: il positivismo e la lezione di Darwin, il pensiero negativo di Schopenauer e Nietzsche, la psicanalisi di Freud, la cultura russa e tedesca, e le letture di J.Joyce. Del positivismo di Darwin egli  assume la propensione ad una conoscenza scientifica, piuttosto che metafisica,ma rifiuta la fiducia nel progresso; da Schopenauer desume la capacita di cogliere gli autoinganni e l'aspetto effimero dei desideri umani, ma rifiuta la visione della saggezza da raggiungere attraverso la noluntas; di Nietzsche riprende il tema della pluralità dell'io e la critica alla società borghese, rifiutando i miti dionisiaci; infine in quanto alla psicanalisi di Freud, egli la accetta come strumento di conoscenza, ma la rifiuta come terapia medica. Quest'ultimo rifiuto rivela la difesa dei "malati" da parte di Svevo (tema esplicito nel suo capolavoro "la coscienza di Zeno"). Il malato è colui che non accetta le leggi della società borghese; colui che preferisce non aderire alle leggi sociali, a costo di diventare un disadattato, un inetto, piuttosto che sottostare a quest'alienante società che ci rende vuoti degli impulsi vitali. La terapia renderebbe il malato normale, conforme alla società, ma spengerebbe definitivamente i suoi desideri ed i suoi impulsi vitali. Svevo preferisce la dimensione dell'inettitudine, piuttosto che l'integrazione alle leggi della società; e questa in fondo è la sua poetica.


I ROMANZI DI ITALO SVEVO


"Una vita"


Il primo romanzo di Svevo venne composto tra la fine del 1887 e gli ultimi mesi del 1889. In vista della pubblicazione, l'autore ebbe contatti con l'importante editore milanese Treves, che rinunciò tuttavia all'iniziativa, forse anche per il titolo proposto (il romanzo doveva chiamarsi Un inetto).

Pubblicato nell'autunno 1892 (ma con la data editoriale del 1893) in mille esemplari a spese dell'autore presso il tipografo-editore triestino Ettore Vram, Svevo adottò allora il titolo di Una vita, inconsapevole del fatto che lo scrittore Guy de Maupassant, nel 1883 in Francia, aveva dato alle stampe un romanzo con lo stesso titolo.

Scarsa fu l'attenzione della critica: dopo due segnalazioni sull'"Indipendente" e sul "Piccolo di Trieste", Una vita venne recensito da Domenico Oliva sul "Corriere della Sera" dell'11 dicembre 1892, che sottolineò, nonostante il "valore tecnico assai limitato", come il romanzo rivelasse "una coscienza artistica ed un osservatore dall'occhio limpido".

Vediamo in breve la trama del romanzo. Alfonso Nitti, un giovane proveniente dalla campagna, si trasferisce in città, dove abita presso la famiglia Lanucci. Lavora come impiegato presso la Banca Maller (è questa una circostanza che Svevo recupera dalle proprie esperienze) ma si sente frustrato da un ambiente che egli avverte come ostile alle sue aspirazioni letterarie. Dotato di una certa cultura ma di scarso successo con le donne, Alfonso viene ammesso a frequentare le riunioni culturali in casa Maller. Vi è introdotto da Annetta, la figlia del proprietario della Banca, la quale decide di ricorrere all'aiuto di Alfonso nella composizione di un romanzo. I due si innamorano, anche grazie alla complicità della governante Francesca, e Alfonso pare di fronte al tanto sospirato successo con un matrimonio vantaggioso e in grado di sollevarlo da una condizione sociale di subalternità e di miseria. Tuttavia, mentre Annetta cerca di convincere il padre ad acconsentire alla loro unione, Alfonso lascia la città con il pretesto di correre in soccorso della madre. Torna allora al paese d'origine e apprende che la madre è malata davvero. Dopo la morte di costei, Alfonso torna in città e apprende che Annetta si è fidanzata con il cugino Macario. In banca Alfonso viene allora relegato a un lavoro di minore importanza; subisce prima con rassegnazione poi con rabbia il proprio destino. Si trova allora "molto vicino allo stato ideale sognato nelle sue letture, stato di rinunzia e di quiete", che in realtà serve a coprire soltanto la sua umiliazione. Tenta alla fine di affrontare il signor Maller con ricatti e minacce ma ottiene il risultato di essere sfidato a duello da Federico, il fratello di Annetta. Sentendosi ormai odiato da tutti e inabile ad affrontare la sfida, Alfonso rinuncia anche a scrivere un'ultima lettera ad Annetta e decide di uccidersi.

La vicenda di Una vita è in apparenza molto affine ai modelli del Naturalismo francese e di certe esperienze italiane di quegli anni: in primo luogo emerge l'elemento economico-sociale della trama che, al momento della stesura, era al centro degli interessi sveviani.

La storia del protagonista si snoda come indagine precisa e dettagliata dei suoi atti, come tranche de vie: un procedimento, questo, utilizzato frequentemente dal romanzo naturalista. L'indagine sociologica sul personaggio; lo scontro con la classe borghese dominante; il sentimento agonistico della vita, che viene intesa come protesta e scontro di forze (tutti motivi assorbiti dalla lettura di Schopenhauer), sono però elementi che impediscono al romanzo di sviluppare tutte le sue potenzialità e lo trattengono ancora nella scia del Naturalismo.


"Senilità"


Scritto tra il 1896 e il 1898, anno della pubblicazione, ma forse iniziato già verso il 1892, il titolo originario di Senilità doveva essere Il carnevale di Emilio: a ribadire una forte volontà antinaturalistica, Svevo scelse invece quel titolo proprio per indicare uno stato della coscienza e dell'interiorità, piuttosto che un riferimento al singolo personaggio del romanzo. Il romanzo, alla sua apparizione, ebbe scarso successo, ancora meno di Una vita, e ciò fu dovuto al carattere sostanzialmente nuovo e allo sfondo del tutto problematico del romanzo. La critica letteraria italiana rivalutò il romanzo soltanto molto più tardi: ma fino verso gli anni Cinquanta Senilità, forse a causa del giudizio espresso da una voce autorevole come Eugenio Montale, venne ritenuto addirittura superiore alla Coscienza di Zeno.

La vicenda è ancora una volta modellata su consistenti riferimenti autobiografici: il lavoro da impiegato del protagonista, i suoi tentativi letterari, le amicizie artistiche. Ma su tutto spicca, e questo in modo ancora più convincente rispetto a Una vita, il carattere dell'inettitudine del protagonista, la sua incapacità a instaurare con la realtà esterna un rapporto di comprensione e di dialogo.

La senilità è dunque una precoce vecchiaia, una disposizione sentimentale, tutta interiore e simbolica, una incompiutezza della vita, una inettitudine che avviene non più sui binari ribelli e polemici di Una vita, ma su quelli patetici e malinconici di Emilio Brentani. Se Alfonso Nitti, il protagonista del primo romanzo sveviano, trasforma la propria incapacità alla vita in una tensione disperata verso la morte, Emilio cerca l'approdo fallimentare in una ormai definita malattia, in una sensualità eterna e negativa. Nel romanzo Emilio rinuncia a qualsiasi istanza antagonistica, evita lo scontro con l'amore e con il successo, o meglio, da uno scontro con essi esce consapevolmente sconfitto e renitente. Emilio vive una vita grigia e monotona, divisa tra il lavoro impiegatizio e le fallimentari aspirazioni letterarie: di fronte all'inaspettato amore di Angiolina, davanti alla sua esuberante vitalità, egli si dimostrerà impreparato ad assumere con coraggio i rischi di una scelta perentoria e definitiva. La sua senilità consiste proprio in questo assurdo calcolo, nei doveri che lo opprimono e che contrastano con l'autenticità dei propri sentimenti: la contraddizione che ne deriva rende il protagonista incerto e oscillante, spesso meschino, conformista e solitario. "Divenne triste, - scrive Svevo nell'ultima pagina del romanzo - sconsolatamente inerte, ed ebbe l'occhio limpido ed intellettuale".


"LA COSCIENZA DI ZENO": UN ROMANZO INEVITABILE


Non è un caso che la Coscienza di Zeno nasca dopo il primo conflitto mondiale, e quindi anche come testimonianza drammatica di una crisi profonda della civiltà europea. La parte finale del romanzo indica con sconcertante chiarezza il dramma personale e cosmico nel quale la cura psicanalitica del protagonista viene contestualizzata: il tono apocalittico della prosa sveviana (si è fatto per questo capitolo anche un riferimento alle Operette morali leopardiane) riassume l'angoscia collettiva, oltre che personale di Zeno, dell'uomo davanti alla tragedia immane della guerra. Con il risultato che la malattia, l'elemento patologico che fino ad allora era stato il terreno d'indagine del solo Zeno, ora diventa lo specchio di un male universale inestinguibile.

Il romanzo, a differenza dei due precedenti, nacque nella prima stesura in tempi piuttosto veloci, da un momento di "forte e travolgente ispirazione" e coinvolgimento, come Svevo scrive nel Profilo autobiografico. Nell'entusiasmo seguito alla liberazione di Trieste, Svevo aveva avviato una collaborazione giornalistica con "La Nazione" di Giulio Cesari: fu questa la spinta a riavviare una pratica letteraria sopita ma non esaurita. La "macchina aveva avuto l'olio. Nel diciannove la sua collaborazione fortemente diminuì": il romanzo divenne pertanto inevitabile. Iniziato nel 1919 e portato a termine in poche settimane, già nel 1920 Svevo sta lavorando a una revisione e correzione del testo, operazione che si protrae fino al 1922. Nell'aprile del '23 l'editore Cappelli pubblica il romanzo, ma anche questa volta, salvo tre lusinghiere recensioni di Silvio Benco sul "Piccolo della Sera", di Donatello D'Orazio sul "Popolo di Trieste" e di Ferdinando Pasini sulla "Libertà" di Trento, Svevo sembra destinato a un nuovo insuccesso.

"Come riassumere La coscienza di Zeno?" si chiede Montale sull'"Esame" del 1925, nell'Omaggio a Italo Svevo. La difficoltà a riassumere la materia del romanzo è, in questo senso, indicativa dalla sua novità strutturale rispetto all'ordine e alla disposizione logica del romanzo naturalista. Concepito come una sorta di autobiografia con l'evidente scopo di produrre uno scopo terapeutico nel suo autore, La coscienza di Zeno racconta la lunga vicenda di Zeno Cosini, un borghese triestino che intraprende una cura psicanalitica per tentare di guarire dalle sue numerosissime nevrosi, dai complessi di colpa accumulati durante la sua adolescenza (il vizio del fumo, il complesso di colpa nei confronti del padre). Da questa narrazione, in cui è dominante l'uso della prima persona (ma non per questo è lecito parlare di monologo interiore, che è una tecnica ben diversa), emergono gli episodi più significativi di una lunghissima vita: i vani tentativi di smettere di fumare, i difficili rapporti con un padre efficiente e puntiglioso, esatto contrario del figlio, le vicende legate a un rocambolesco matrimonio con una delle quattro sorelle Malfenti, i tradimenti con la bella Carla, i disastri economici prodotti insieme al cognato Guido Speier, poi morto suicida. Giunto quasi alla fine della lunga descrizione, Zeno decide di tenersi le proprie nevrosi e malattie e di interrompere insieme alla cura anche quell'esercizio di scrittura che lo psicanalista, un certo "dottor S.", gli aveva consigliato per "vedersi intero". Zeno dunque restituisce il suo manoscritto al medico e costui decide di pubblicarlo, per vendicarsi delle "tante verità e bugie" accumulate nel corso della storia. Il romanzo si apre proprio con la Prefazione del medico psicanalista ed è seguito dal Preambolo dello stesso Zeno: quello della doppia introduzione è un fatto certamente insolito e nuovo nella nostra narrativa, quasi che Svevo volesse istituire due piste di lettura, quella dell'autobiografia di Zeno e quella filtrata dal dottor S.

A Montale, dopo avere ricevuto i due articoli che il poeta di Ossi di seppia aveva pubblicato tra la fine del '25 e i primi del '26, Svevo, a proposito del terzo romanzo, scriveva: "È vero che la Coscienza è tutt'altra cosa dai romanzi precedenti. Ma pensi ch'è un'autobiografia e non la mia. Molto meno di Senilità. Ci misi tre anni a scriverlo nei miei ritagli di tempo. E procedetti così: quand'ero lasciato solo cercavo di convincermi d'essere io stesso Zeno. Camminavo come lui, come lui fumavo, e cacciavo nel mio passato tutte le sue avventure che possono somigliare alle mie solo perché la rievocazione di una propria avventura è una ricostruzione che facilmente diventa una costruzione nuova del tutto quando si riesce a porla in un'atmosfera nuova". È come se Svevo avesse voluto istituire un livello ulteriore di scrittura autobiografica: Zeno scrive la propria vita, che poi non è altro che la registrazione delle nevrosi di Ettore Schmitz, il mondo e la coscienza dell'ebreo Schmitz, tanto per riprendere qui l'interpretazione di Debenedetti. L'immaginario Zeno non dovrà fare altro che recitare la biografia di Ettore, ma sotto la guida e la regia letteraria dello scrittore Svevo: per questo, paradossalmente e nonostante le riserve espresse da Svevo in quella lettera a Montale, la Coscienza è il libro più autobiografico di Svevo.

Le vicende di Zeno vengono quindi narrate in una successione tematica, indicata dagli stessi titoli dei capitoli: Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l'amante, Storia di un'associazione commerciale, Psico-analisi (scritto in forma di diario). Quello che risulta decisamente nuovo, rispetto all'impianto tradizionale del romanzo verista, è soprattutto la distribuzione della materia e l'organizzazione dei capitoli che non avviene attraverso una consecuzione cronologica e lineare delle varie fasi della vita di Zeno: semmai si può notare una sovrapposizione di temi e di fatti che si intrecciano e si accavallano per mezzo di costanti riprese. Svevo in definitiva scardina la struttura oggettiva e "deterministica" del romanzo borghese dell'Ottocento: quasi senza avvedersene, egli toglie sostanza e originalità a quell'architettura che aveva resistito per oltre un secolo nelle prove di grandi romanzieri del XIX secolo. E quello dei piani e dei tempi narrativi è un aspetto che riguarda non soltanto Svevo ma anche gran parte del romanzo europeo degli anni Venti, da Joyce a Proust, fino a Thomas Mann: il tempo viene privato della sua istanza cronologica, quantitativa, per assumere una prospettiva esistenziale, inconscia, per divenire memoria o flusso di coscienza.


La tecnica narrativa


La narrazione di Zeno avviene a ritroso: guardando cioè da una postazione privilegiata, quella della vecchiaia, tutta la propria vita. Per la Coscienza, ad esempio, una questione interpretativa interessante è quella che riguarda il tessuto temporale della struttura. I riferimenti cronologici sono sparsi nel romanzo con un'apparente casualità: la data più antica è il 1870 quando le sigarette erano vendute a Trieste "in scatoline di cartone munite del marchio dell'aquila bicipite", quella più recente, cioè vicina al tempo effettivo in cui avviene nella finzione la stesura del diario di Zeno, è compresa tra il 1914 e il 1916, cioè tra l'inizio della terapia psicanalitica, l'aggravarsi della malattia, lo scoppio della guerra, la decisione di abbandonare la cura. Il tempo cronologico, fisico, è dunque polverizzato, disarticolato in un tempo misto, che è poi il tempo della coscienza: le date, gli appuntamenti dell'ultima sigaretta, vengono continuamente negati e sconfessati. I fatti, gli elementi caratterizzanti e fondamentali dell'intreccio tradizionale, non esistono in quanto collocati in una cronologia orizzontale, ma unicamente come reperti della nevrosi, e Zeno occupa il suo tempo, più che a recuperare il passato attraverso una proustiana recherche, a dissipare invece il presente. All'inizio del capitolo Il fumo, Svevo-Zeno scrive: "Tutto ciò giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorge solo ora perché non sapevo prima che potesse avere importanza". Nel romanzo, tutto è già avvenuto, tutto ha già avuto un tempo per manifestarsi, tutto, potremmo dire, è già passato. Zeno viene allora contestualizzato all'interno di un tempo circolare, spiraliforme, ricco di involuzioni e di intersezioni tra i vari eventi della vita del protagonista: dalla Prefazione del dottor S., che apre il racconto, si torna di nuovo al punto di partenza nelle ultime pagine, quelle del capitolo Psico-analisi, quando Zeno, rifiutando la terapia, restituisce al medico il manoscritto.

"Zeno è evidentemente un fratello di Emilio e di Alfonso", scrive Svevo nel più volte ricordato Profilo autobiografico. Una parentela stretta per via di quella disposizione alla nevrosi e all'inettitudine che ispirarono a Cremieux il parallelismo tra Zeno e Charlot per via di quella comune disposizione a incespicare sulle cose e sulla vita. Tra le infinite patologie di Zeno, quella del fumo è la più drastica, la più cronica, quella che si carica di elementi umoristici più esuberanti. Ma il fumo è anche il vizio da cui non ci si può né ci si deve liberare, pena la guarigione: sarebbe assurdo per Zeno "morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita". Il dato patologico, nel romanzo, è accettato, dato come convinzione assoluta ("la malattia, è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione"): anzi, esso rappresenta il primo episodio del racconto di Zeno, il punto di partenza della vicenda, mentre in Senilità era stato semmai il punto di arrivo della crisi di Emilio. Il fumo, e quindi il patologico, è la manifestazione di una crisi del profondo che non può essere risolta, ma soltanto diluita nell'ironia, nell'autoironia: il fumo è una sorta di alibi, dietro il quale Zeno nasconde e traveste tutta la propria incapacità a capire il mondo, e dove si situa dunque la indecifrabilità stessa del mondo e di se stessi. In questo modo la salute sarà l'opposto delle sue nevrosi, sarà cioè un'assoluta certezza, sarà la totale assenza del dubbio, sarà la forza morale che egli non possiede. Sanità e malattia, forza e debolezza, superuomini e inetti, si fronteggiano in questa ipotesi: Svevo propende ovviamente per il secondo elemento delle categorie che abbiamo qui esemplificato, infatti non rinuncia alla sua malattia e per onorare questo momento accende un'ultima sigaretta.

Per riassumere. La Coscienza si può leggere come romanzo autobiografico, e su questo abbiamo già evidenziato alcune riflessioni. Però, se consideriamo nel romanzo la presenza di un'altra voce, quella appunto del dottor S., allora la Coscienza rivela una struttura narrativa diversa che non può essere paragonabile a un'autobiografia, bensì a quella di un romanzo analitico. Romanzo analitico perché in primo luogo Zeno non racconta la sua vita ma la sua malattia; in secondo luogo, perché il tempo del racconto non procede, come in un'autobiografia tradizionale, dall'infanzia alla vecchiaia, ma è costituito, come abbiamo dimostrato, di intersezioni e intrecci di passato e presente; in terzo luogo, perché i due punti di vista, quello del dottore e quello di Zeno, si contrappongono e si fronteggiano come due verità inconciliabili, escludendo di fatto il punto di vista di Svevo, e invitando il lettore a elaborare una propria opinione.


Tematiche


Il romanzo si presenta dunque come una vera e propria terapia psicanalitica. L'anziano Zeno Cosini, in cura dal Dottor S., viene invitato dal medico a raccontare la storia della sua vita, dei traumi che l'hanno accompagnata. Tuttavia il paziente, giunto quasi alla fine della cura, rinuncia a guarire e rinnega la psicanalisi, restituendo il voluminoso manoscritto al dottore. Questi decide allora di darlo alle stampe, ponendovi come commento questa Prefazione.

Molti studiosi hanno letto questo breve testo iniziale della Coscienza come una specie di avamposto del romanzo: la Prefazione del medico, che precede quella dell'io narrante Zeno Cosini, introduce una seconda possibile pista di lettura, un punto di vista "alternativo" rispetto a quello del protagonista. Questa ambivalenza, sapientemente costruita da Svevo, è da intendere come una contestazione della psicanalisi in quanto terapia: Zeno tende cioè a rinnegare e a rifiutare la cura, e lo fa con ogni mezzo (raccontando bugie, leggendo un libro di psicanalisi per facilitare l'esito della cura, interrompendo improvvisamente le sedute con il medico).

Una delle novità della Coscienza è l'uso della tecnica narrativa adoperata da Svevo. Lo scrittore utilizza indifferentemente sia la prima che la terza persona singolare: nel primo caso egli rievoca la storia della sua vita attraverso il filtro della memoria, torna alla sua adolescenza e alla giovinezza, rivive i propri contrasti interiori, scopre l'importanza di certi eventi della sua vita. Non si tratta di un flusso di coscienza o di un monologare interiore (come avviene invece nell'Ulysses di Joyce). Svevo-Zeno, perché tale è la coincidenza tra l'autore e il suo personaggio) dispone il vissuto all'interno del racconto in modo non cronologico; descrive i fatti intrecciando i tempi in cui essi sono avvenuti, a cominciare dall'evento patologico del fumo.

Nella Coscienza l'elemento patologico costituisce un elemento fondamentale per capire a fondo le ragioni della poetica sveviana, e anzi rappresenta lo spunto iniziale al racconto di Zeno. La malattia ha però una sua rappresentazione, che è appunto il vizio del fumo, il morboso e nevrotico attaccamento del protagonista alle sue sigarette, e in modo speciale all'ultima. Zeno infatti promette a se stesso di voler smettere di fumare, e per questo si costruisce una singolare filosofia del fumo: scrive dappertutto le date fatidiche in cui avrebbe fumato l'ultima sigaretta, date memorabili e ricche di riferimenti simbolici, di analogie, di coincidenze. Ma da questa patologia si origina in lui una seconda forma di nevrosi: il desiderio di liberarsi dal fumo. Il risultato è che Zeno continua a fumare all'infinito: smettere avrebbe significato ammettere una qualche forma di capacità, mentre egli non vuole rinunciare né al fumo né alla sua inettitudine. Egli si definisce un "pigro sognatore": smettere di fumare significherebbe ristabilire un'etica del successo, che egli non vuole accettare anche perché verrebbe meno la sua disposizione all'autoanalisi.


Svevo e la psicanalisi


I rapporti di Svevo con la psicanalisi sono, come abbiamo già accennato, abbastanza contraddittori: da un lato egli riteneva questa scienza un utile mezzo di conoscenza, dall'altro la escludeva totalmente come terapia medica (lo stesso Zeno nel suo capolavoro rifiuta di farsi "guarire" restituendo il famoso manoscritto al dottor S.). Ciò nonostante le costanti letture di Freud hanno sicuramente avuto un'influenza poetica e culturale sull'autore. È vero che nelle lettere a Jahier e in molte altre occasioni Svevo tende a sconfessare la psicanalisi, a distaccarsi da essa per ribadire l'autonomia letteraria dei suoi romanzi, ma è anche vero che la psicanalisi non lo "abbandonò più", come scrive nel Soggiorno londinese. Se da un lato Svevo ridimensionava gli ottimismi della psicoterapia, dall'altro non faceva che rafforzare l'ipotesi che la psicanalisi poteva offrire alla narrativa un valido presupposto ideologico per scardinare le basi del determinismo letterario del romanzo naturalista e verista. La realtà del profondo, se non poteva essere del tutto chiarita e risolta a livello terapeutico, poteva invece risultare determinante nell'elaborazione di una poetica moderna. La psicanalisi diventa perciò elemento portante del fatto letterario e della narrazione: Zeno  ne è l'esempio più evidente, anche se oggi una parte della critica (Orlando, Lavagetto, Saccone) ha fortemente ridimensionato una certa interpretazione della Coscienza come autentico romanzo psicanalitico. Del resto lo stesso Svevo aveva scritto a questo proposito di avere giocato con questa scienza senza troppo andare per il sottile rispettandone i fondamenti scientifici: nel Soggiorno londinese, ricordato sopra, Svevo tendeva a ridurre sulla sua opera l'influenza della psicanalisi. Scrisse infatti che "noi romanzieri usiamo baloccarci con grandi filosofie e non siamo certo atti a chiarirle: le falsifichiamo ma le umanizziamo": confermando in realtà un uso del tutto sui generis della psicanalisi, Svevo la piegava ai suoi interessi e alla strategia di uno scardinamento della narrativa realista ottocentesca. La psicanalisi diviene pertanto un'architettura filosofica, un metodo di lavoro e di auto-esplorazione, un impianto strutturale del romanzo, il presupposto necessario per creare un'atmosfera di rottura della trama oggettiva e per incrinare le certezze morali, economiche e sociali del personaggio-uomo del romanzo ottocentesco.

Ciò che interessava a Svevo all'altezza della Coscienza di Zeno era soprattutto l'indagine aperta nei meandri nascosti dell'inconscio, la decifrazione degli "atti mancati" (il più importante di tutti è quello che riguarda l'ultima sigaretta), gli scacchi mentali del personaggio: la psicanalisi rappresentava in questo senso una novità ideologica da utilizzare letterariamente, una riprova scientifica, un punto d'appoggio.




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