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Giacomo Leopardi
La vita
Nacque a Recanati il 12 giugno 1798.Come era costume nelle famiglie nobili del tempo, fu istruito inizialmente da precettori ecclesiastici, ma ben presto, intorno ai dieci anni, non ebbe più niente da imparare de questi, e continuò i suoi studi da solo ritirandosi nella biblioteca del padre.
Sul piano politico Leopardi segue gli orientamenti reazionari del padre, esalta quindi il vecchio dispotismo illuminato e paternalistico e vuol distogliere gli italiani dalle aspirazioni patriottiche della Rivoluzione Francese. Tra il '15 e il '16 si attua quella che egli stesso chiama la sua conversione "dall'erudizione al bello": abbandona le aride minuzie filologiche e si esalta per i grandi poeti, Om 727i87h ero, Dante, Virgilio. L'amicizia con Pietro Giordani suscitò in lui il bisogno di uscire dall'ambiente ristretto in cui viveva, fu così che tentò la fuga dalla casa paterna, che fu subito sventata: lo stato d'animo conseguente a questo fallimento, acuito da un'infermità agli occhi che gli impediva la lettura, unico conforto alla solitudine, lo portarono a uno stato di totale prostrazione e aridità. Raggiunse così la lucidissima percezione della nullità di tutte le cose, che è il nucleo del suo sistema pessimistico. Questa crisi del 1819 segna un altro passaggio "dal bello al vero", dalla poesia di immaginazione alla filosofia e ad una poesia nutrita di pensiero.
Muore a Napoli il 14 giugno 1837.
La formazione di Leopardi era stata rigorosamente classicistica, perciò nella polemica tra classicisti e romantici, doveva inevitabilmente prendere posizione contro le tesi romantiche. In realtà le sue posizioni sono molto originali rispetto a quelle dei classicisti. Per lui la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di un modo interiore immaginoso e fantastico. Per questo, consente con i romantici italiani nella loro critica al classicismo accademico e pedantesco, al principio di imitazione, alle regole rigidamente imposte dai generi letterari, all'abuso meccanico e ripetitivo della mitologia classica. Però rimprovera agli scrittori romantici un'artificiosità retorica simmetrica e contraria a quella dei classicisti, nella ricerca dello strano, dell'orrido ecc..rimprovera loro anche il predominio della logica sulla fantasia, l'aderenza al "vero"che spegne ogni immaginazione. Al contrario, proprio i classici antichi sono per lui un esempio mirabile di poesia fresca e immaginosa. Leopardi ripropone dunque i classici come modelli, ma in senso diametralmente opposto al classicismo accademico, con uno spirito schiettamente romantico. Anzi in questa esaltazione di ciò che è spontaneo, non contaminato dalla ragione, appare più romantico degli stessi romantici italiani. Si può parlare perciò, per il suo gusto letterario e per la sua poetica, di un CLASSICISMO ROMANTICO.
Il primo Leopardi: le canzoni e gli idilli
Il periodo successivo alla conversione "dall'erudizione al bello" del 1816 sino alla grande crisi del 1819, è ricco di esperimenti letterari che si concretano in due soli gruppi di poesie veramente mature: le CANZONI e gli IDILLI.
CANZONI:
Furono composte tra il 1818 e il 1823.
Si tratta di componenti di impronta
classicistica che impiegano il linguaggio aulico, sublime e deciso della
tradizione, con sensibili influenze soprattutto di Alfieri e Foscolo
Le prime cinque affrontano una tematica
civile. La base di pensiero è costituita da quel "pessimismo storico"che
caratterizza la visione leopardiana in questo momento.
IDILLI:
Hanno un carattere molto diverso dalle
canzoni, sia nelle tematiche, che sono intime e autobiografiche, sia nel
linguaggio, che è più colloquiale e di limpida semplicità
Non hanno nulla a che fare con la tradizione
bucolica classica e neppure con la nozione moderna di idillio, cioè quel
idillio "borghese" che si era affermato nel Settecento nelle letterature
nordiche e che amava rappresentare scene di vita quotidiana di personaggi di
mediocre condizione
Anni dopo Leopardi definì gli Idilli come
espressione di "sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo anno"
Chiusa la stagione delle canzoni e degli idilli, comincia per Leopardi un silenzio poetico che durerà sino alla primavera del '28. Egli stesso lamenta la fine delle illusioni giovanili, lo sprofondare in uno stato d'animo di aridità e di gelo, che gli impedisce ogni moto dell'immaginazione e del sentimento. Per questo intende dedicarsi soltanto all'investigazione dell'"arido vero". Da questa disposizione nascono le OPERETTE MORALI:
Sono prose di argomento filosofico. Non le
espone in forma sistematica, attraverso una prosa di tipo dottrinale, bensì
attraverso una serie di invenzioni fantastiche, allegorie, paradossi, ecc.veri
e propri canti lirici in prosa. Molte delle operette sono dialoghi, i cui
interlocutori sono creature immaginarie, personificazioni, personaggi mitici o
favolosi; in altri casi si tratta di personaggi storici mescolati con esseri
bizzarri o fantastici.
I temi principali sono quelli dell'infelicità
inevitabile dell'uomo, l'impossibilità del piacere, la vana, il dolore, i mali
materiali che affliggono l'umanità. Con tutto questo non si ha però
un'impressione di cupezza e questo grazie all'assoluto dominio intellettuale e
distacco ironico con cui Leopardi contempla il "vero".
Questi componimenti, nati dal risorgimento
della sensibilità giovanile, riprendono temi, atteggiamenti, linguaggio degli
Idilli del '19-'21: le illusioni e le speranze, proprie della giovinezza, le
rimembranze, quadri di vita borghigiana e di natura serena e primaverile, la
suggestione di immagini e suoni vaghi e indefiniti, il linguaggio limpido e
musicale, lontano dall'aulicità aridita del linguaggio delle canzoni, ma pur
nella sua semplicità, impreziosito da termini e locuzioni "peregrine".
Se il moto della memoria recupera dal passato
la stagione dell'illusione e della speranza e fa rivivere immagini, a questo
riaffiorare si accompagna sempre, mai dimenticata, la consapevolezza del
"vero", della vanità di quegli "ameni inganni". Per questo i grandi idilli sono
sì percorsi da immagini vere, ma queste immagini sono come rarefatte,
assottigliate e perdono ogni corposità fisica, materiale: create dalla memoria,
si accampano sul fondo del nulla, sono accompagnate costantemente dalla consapevolezza
del dolore, del vuoto dell'esistenza, della notte.
La caratteristica che individua i grandi
idilli è un miracoloso equilibrio che si instaura fra due spinte che dovrebbero
essere contrastanti, il "caro immaginar" e il "vero".
L'ultima stagione leopardiana, che si colloca
dopo il '30 e dopo l'allontanamento definitivo da Recanati, segna una svolta di
grande rilievo rispetto alla poesia precedente. In questo periodo Leopardi
ristabilisce un contatto diretto con gli uomini, le idee, i problemi del suo
tempo. Inoltre appare più orgoglioso di sé, della propria grandezza spirituale,
più combattivo nel diffondere le sue idee, nel contrapporle polemicamente alle
tendenze dell'epoca.
Si instaura soprattutto in questo periodo un
rapporto intenso con le correnti ideologiche del tempo. La critica leopardiana
si indirizza contro tutte le ideologie ottimistiche, contro le tendenze di tipo
spiritualistico e neocattolico.
Una svolta essenziale si presenta con la
GINESTRA, il testamento spirituale di Leopardi, la lirica che idealmente
racchiude il suo percorso poetico. Il componimento racchiude la dura polemica
antiottimistica e antireligiosa. Però qui Leopardi non nega più la possibilità
di un progresso civile, cerca anzi di costruire un'idea di progresso proprio
sul suo pessimismo.
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