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GIOVANNI VERGA E IL VERISMO ITALIANO

letteratura



GIOVANNI VERGA E IL VERISMO ITALIANO

La teoria verghiana dell'impersonalità e l'"eclisse" dell'autore


Secondo la visione del Verga, la rappresentazione artistica deve conferire al racconto l'impronta di cosa realmente avvenuta; per far questo non basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato; deve anche essere raccontato in modo da porre il lettore "faccia a faccia col fatto nudo e schietto", in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso "la lente del 242j93c lo scrittore". Per questo lo scrittore deve "eclissarsi", cioè non deve comparire nel narrato con le sue reazioni soggettive, le sue riflessioni, le sue spiegazioni. L'autore deve "mettersi nella pelle" dei suoi personaggi, "vedere le cose coi loro occhi ed esprimerle colle loro parole". In tal modo la sua mano "rimarrà assolutamente invisibile" nell'opera, tanto che l'opera dovrà sembrare "essersi fatta da sé", "esser sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore". Il lettore avrà l'impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. Il narratore si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il loro modo di pensare e di sentire. Verga, nei Malavoglia e nelle novelle, rappresenta ambienti popolari e rurali e mette in scena personaggi incolti e primitivi, contadini, pescatori, minatori. Verga ha proiettato sullo sfondo della Sicilia e della sua gente la propria visione del mondo e della storia.

Il "diritto di giudicare" ,  il pessimismo, la "lotta per la vita" come legge di natura Verga ritiene che l'autore debba "eclissarsi" dall'opera, non debba intervenire in essa, perché non ha il diritto di giudicare la materia che rappresenta. Presupposto di una simile affermazione è la sua concezione generale del mondo. Alla base della visione di Verga stanno posizioni radicalmente pessimistiche: la società umana è per lui dominata dal meccanismo della "lotta per la vita" un meccanismo crudele, per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole. Gli uomini sono mossi dall'interesse economico, dalla ricerca dell'utile, dall'egoismo, dalla volontà di sopraffare gli altri. E' questa una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in ogni luogo, e domina non solo le società umane, ma anche il mondo animale e vegetale. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto, non trova la felicità sognata, anzi va immancabilmente incontro a sofferenze maggiori. Questa visione della società rinnova il mito greco del fato (la credenza cioè in una potenza oscura e misteriosa che regola imperscrutabilmente le vicende degli uomini), ma senza accompagnarlo col sentimento della ribellione, in quanto non crede nella possibilità di un qualsiasi cambiamento o riscatto. Per il Verga non rimane all'uomo che la rassegnazione eroica e dignitosa al suo destino (concezione fatalistica e immobile dell'uomo). Se è impossibile modificare l'esistente, ogni intervento giudicante appare inutile e privo di senso, e allo scrittore non resta che riprodurre la realtà così com'è, lasciare che parli da sé.

Il progresso

Il progresso è visto come un'onda immensa, inarrestabile, una "fiumana", la cui forza propulsiva travolge senza pietà i più deboli. Verga non partecipa a quella mitologia del progresso che era dominante nell'opinione comune della sua epoca ed anzi insiste sui suoi aspetti negativi: avidità, egoismo, vizi, irrequietudini.E poi assume come oggetto della rappresentazione i "vinti", quelli che sono schiacciati dalle leggi inesorabili dello sviluppo moderno. I protagonisti dei suoi romanzi sono appunto dei "vinti" nella "lotta per la vita" che domina la società contemporanea. Il progresso porta alla caduta dei valori. Il Verga assume verso i "vinti" un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le miserie e le sventure che li travagliano, ammirazione per la loro virile rassegnazione. Figura-simbolo della grandezza e dell'eroismo umano è Padron 'Ntoni dei Malavoglia. Verga inoltre aveva una fede profonda in alcuni valori che sfuggono alle ferree leggi del destino e della società: la religione della famiglia e della casa (intesa come centro di affetti e di solidarietà), la dedizione al lavoro, il senso dell'onore e della dignità, la fedeltà alla parola data, lo spirito di sacrificio. In Verga ci sono due aspetti: uno simbolista che esaspera alcuni oggetti per darci la misura dell'esistenza. L'altro realista per il grande rilievo che hanno nella sua opera i casi umani.

Nedda

A lungo Nedda è stata considerata l'inizio del verismo verghiano perché abbandona i personaggi passionali, evoluti e raffinati dei romanzi giovanili e ritrae la vita degli umili, che vivono rassegnati e silenziosi tra gli stenti e le fatiche; abbandona anche le complicate analisi psicologiche. Ma non è così in quanto qui mancano i due tratti distintivi del verismo verghiano: la rinuncia pessimistica al giudizio e l'impersonalità. Non c'è traccia, in Nedda , di "eclisse" dell'autore, di regressione del narratore all'interno del mondo rappresentato. Al contrario il narratore si pone in primo piano in apertura, e poi nel corso del racconto, interviene frequentemente.


I Malavoglia

Nei Malavoglia si scontrano due concezioni della vita: la concezione di chi, come padron 'Ntoni, si sente legato alla tradizione e riconosce la saggezza dei valori antichi, come il culto della famiglia, il senso dell'onore, la dedizione al lavoro, la rassegnazione al proprio stato; e la concezione di chi, come il nipote 'Ntoni, si ribella all'immobilismo dell'ambiente in cui vive, ne rifiuta i valori ed aspira ad uscirne con il miraggio di una vita diversa. Un romanzo "corale": Attorno alle vicende dei Malavoglia brulica la gente del paese che partecipa coralmente ad esse con commenti ora comprensivi e pietosi, ora ironici e maligni. Lo stesso Verga narratore sembra essere uno del posto che racconta e commenta col distacco impassibile del cronista. Infine anche il paesaggio partecipa alla coralità della narrazione, ora quasi compiangendo, ora restando indifferente alla sorte degli uomini.


Verga e Manzoni

Tra il Verga e il Manzoni ci sono alcune notevoli differenze. Mentre protagonisti del M. sono gli umili, protagonisti del V. sono i "vinti". Ed umili e vinti non sono la stessa cosa. Gli umili del M. sono i poveri, i deboli, che lottano contro i soprusi dei potenti e dei violenti. I vinti del V. invece sono, o possono diventare, tutti, indipendentemente dalla classe sociale a cui appartengono. Sono infatti dei "vinti" tutti quelli che, spinti dal bisogno di migliorare, di uscire dai limiti socio-ambientali per salire più in alto, urtano contro il volere del destino che non permette a nessuno di varcare quei limiti, se non a costo di dolore e pene maggiori. Bisogna accettare il fato con virile rassegnazione. Gli umili del M. hanno fede nella Provvidenza, che, oltre a consolarli, dà loro la certezza che non potrà mai abbandonarli; anzi, dalla loro sofferenza deriverà il bene. La sventura è "provvida" sia quando si abbatte sui cattivi, perché li turba e li richiama al bene, sia quando colpisce i buoni, perché li rende migliori e li prepara ad una gioia più grande. I vinti del V., invece, sono soli, tristi, rassegnati, senza il conforto della fede religiosa, legati senza scampo al loro destino di dolore. Del resto, Dio è assente dal mondo del V. : il nome di "Provvidenza" dato alla barca dei Malavoglia, suona come un'ironia beffarda della sorte che si accanisce sulla povera famiglia. E quando qualche volta Dio viene invocato, è come un idolo antico, indifferente alle sofferenze degli uomini.


Verga e Zola

Il Verga è diverso dallo Zola e dagli altri naturalisti francesi, anzitutto perché non ha nessuna fiducia ottimistica nel rinnovamento della società, né alcuna volontà di denuncia e di polemica sociale; poi perché nutre profondo rispetto per gli umili, i primitivi: diversamente dai naturalisti francesi, egli non li guarda con distacco scientifico ma come esseri umani. Inoltre, mentre Z. e i naturalisti francesi descrivono quasi esclusivamente la vita del proletariato urbano, il V. rappresenta la condizione di tutti gli uomini, tutti ugualmente condannati al dolore e all'infelicità, tutti soggetti ad un fato tirannico e crudele, dal quale nessun Prometeo potrà mai riscattarli.


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