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Alessandro Tomaso Arcudi (1655-1718) - La situazione culturale in Italia

letteratura



Alessandro Tomaso Arcudi


Introduzione



La situazione culturale in Italia

Nel XVIII secolo, la spinta verso un rinnovamento culturale che tanto vigorosamente si era manifestata nei metodi dell'indagine storica e del dibattito ideologico, si avvertì anche nel campo dell'espressione letteraria, sop 818g62i rattutto nella lirica, dove ebbe particolare successo il fenomeno dell'Arcadia. Quest' Accademia, nata col fine di eliminare ogni residua manifestazione del gusto barocco, proponeva un modello di vita bucolico, ispirandosi al mito classico della poesia pastorale.



I membri, che assumevano un nome di pastore arcade, si moltiplicarono e ben presto si ebbe una proliferazione delle accademie anche nelle piccole città di provincia. Per i soci divenne consuetudine riunirsi per celebrare in prosa e in poesia situazioni particolari, come occasioni di nascita e matrimoni o eventi luttuosi, dando particolare importanza al componimento d'occasione. La diffusione delle accademie influenzò lo sviluppo della stampa perché, con i frutti di queste riunioni, esse finivano con il fornire ai tipografi la materia prima per le stamperie.

Un'altra caratteristica molto importante di questa età fu la grande diffusione del ceto ecclesiastico, testimoniata dall'aumento del numero dei chierici e dalla proliferazione dei conventi. Le ragioni del fenomeno sono da ricondurre, da un lato, ai privilegi che lo stato ecclesiastico riservava ai suoi soci, dall'altro, alla possibilità di accesso ad un ambiente di alto livello culturale.



1. 2 Cenni di Storia della stampa a Lecce nel Settecento

Non deve sorprenderci, dunque, se il primo tipografo del Settecento leccese fu un chierico, Tommaso Mazzei. Egli presentandosi come l'erede del Micheli, del quale probabilmente riutilizzava il corredo tipografico, impiantò una stamperia presso il palazzo del vescovado, dalla quale trasse le Leggi dell'Accademia de' Trasformati. In seguito le sue scelte editoriali furono influenzate dai suggerimenti del Palma, membro dell'Accademia leccese degli Spioni.

L'Accademia salentina aveva promosso una collana di classici della storiografia salentina ed il Mazzei ne stampò i primi due volumi: le Cronache del Coniger e l'Apologia Paradossica del Ferrari. Inoltre molto materiale alla sua tipografia fu fornito anche da alcuni membri del clero, tra i quali il domenicano galatinese Alessandro Tomaso Arcudi, il quale, dopo una vivace polemica sulla qualità del prodotto tipografico, finì con il rivolgersi ad un altro tipografo.

Molto più limitata fu l'attività di Oronzo Chiriatti che, avendo aperto una tipografia dopo il Mazzei, finì per interrompere la sua "avventura tipografica" qualche anno prima del suo collega. Anche il Chiriatti legò il suo nome a una delle accademie salentine più prestigiose, quella degli Spioni, mettendone a stampa la storia. A lui si rivolse per la pubblicazione delle sue opere il domenicano Arcudi, dopo la sua polemica con il Mazzei.

Entrambi i tipografi preferirono investire in imprese editoriali sicure, infatti privilegiarono un tipo di produzione locale e trascurarono gli autori classici. L'edizione di un libro era non di rado un'impresa aleatoria, perché si ignorava l'accoglienza che le avrebbe fatto il pubblico, per questo gli stampatori-editori cercavano opere di sicuro smercio. Ma tale atteggiamento prudente si rivelò alquanto controproducente per gli scrittori e le opere di Terra d'Otranto, perché costituì un freno alla loro affermazione nel panorama letterario nazionale. Non a caso molti scrittori preferirono rivolgersi a centri tipografici più importanti, che oltre a garantire un prodotto di qualità superiore, offrivano un mercato librario più ampio in cui smerciarlo.[1]

Spesso tra autore e tipografo si veniva ad instaurare un rapporto difficile. Un esempio ci può essere offerto dallo studio del già citato Alessandro Tomaso Arcudi, scrittore vivace e dal carattere decisamente polemico.


Alessandro Tomaso Arcudi. Cronistoria

Noti esperti di Storia Patria e studiosi dell'Ordine domenicano in Puglia si sono occupati con interesse del frate domenicano A. T. Arcudi, e tra i tanti ricordiamo: Mario Marti (in "Sudpuglia", XVIII, n.2, guigno 1992) e Michele Paone, che ha pubblicato una relazione di Arcudi sui conventi domenicani salentini (in "Archivio Storico Pugliese", XXXVII, fasc. I-IV, 1984). Dallo studio di queste pubblicazioni, si può constatare che tutti concordano sul carattere originale e travagliato dello scrittore galatinese.

A 17 anni entrò nell'Ordine dei Domenicani (1672), che gestivano una casa presso Galatina, e le sue doti e il suo pronto intuito lo portarono a conseguire i gradi di Lettore di Filosofia, di Teologia e di predicatore generale dell'Ordine. La sua fama è soprattutto legata alla predicazione per la quale fu a Lecce, ad Andria e a Spoleto.

Quando pubblicò la sua prima opera, nel 1697, A. T. Arcudi aveva già superato la quarantina, essendo nato nel 1655. Si intitolava: Miniera dell'Argutezza scoperta dal sig. Silvio Arcudi ed illustrata dal P. Alessandro Tomaso Arcudi, suo pronipote, de' Predicatori, ed era inserita nella Galleria di Minerva, tomo secondo presso Girolamo Albrizzi, in Venezia, MDCXCVII", alle pp. 297-306.[2] La seconda opera dell'Arcudi ebbe per titolo: Anatomia degl'Ipocriti di P. Alessandro Tomaso Arcudi da Galatina, pubblicata con lo pseudonimo di Candido Malasorte Ussaro, uscì dalla stamperia dello stesso Girolamo Albrizzi a Venezia, nel 1699. L'uso dello pseudonimo era molto diffuso e l'Arcudi vi fece spesso ricorso, ma in questo caso l'impiego del nome Candido Malasorte Ussaro aveva delle ragioni serie, che l'autore motivava in questo modo: "L'ipocrisia opera dietro una maschera ed io la combatterò mascherandomi; contro gli ipocriti sarò "Candido" esponendomi ad ogni "Malasorte", onde mi occorrerà la pazienza di un "Ussaro", quella di Giobbe cioè, che "fuit in terra Hus" . L'opera era di notevole mole e aveva una struttura che intendeva essere adeguata all'immagine del titolo (Anatomia): infatti per colpire l'ipocrisia, l'autore, la distende "sul lettino anatomico" e la "seziona in ogni sua parte" . Già da questi primi lavori emerge la tendenza dello scrittore a polemizzare.



Dopo l'esordio veneziano, nei primi decenni del secolo XVIII ci fu la sua esplosione editoriale con due operette erudite, nelle quali è identificabile un sentimento campanelistico. La prima è nel suo titolo intero: "Galatina letterata. Opretta nella quale si rappresentano 44 personaggi che hanno illustrato colle lettere la loro patria di S. Pietro in Galatina; Del P. Fr. Alessandro Tomaso Arcudi de' Predicatori, autore de "L'Anatomia degl'Ipocriti" sotto nome anagrammatico di Candido Malasorte Ussaro; in Genova, MDCCIX, nella Stamperia di Giovan Battista Celle"[5]. L'opera, che presentava 44 biografie di illustri galatinesi (tra i quali gli Arcudi e poi i Vernaleone, i Mongiò, Ottavio Scalfo e altri) suscitò vivaci proteste tra gli intellettuali e gli accademici galatinesi e salentini. Ma Arcudi non si perse d'animo e rispose alle polemiche con la seconda opera intitolata: "Le due Galatine difese; il libro e la patria; In diversi opuscoli raccolti e dati in luce dal signor Francesco Saverio Volante; in Genova, MDCCXV, nella Stamperia di Giovan Battista Celle". In questo caso l'uso dello pseudonimo non doveva servire a mascherare l'autore, ma era un semplice espediente tecnico per consentirgli di esprimersi in terza persona. Entrambe le opere apparterrebbero alla parentesi genovese dell'Arcudi, anche se, dal D'Afflitto in poi , si è voluto sostenere che le opere genovesi sono un falso editoriale, essendo invece frutto di una tipografia leccese.

Nel 1712 uscirono a Lecce, presso la stamperia del Mazzei, le Prediche Quaresimali, corredate del vero nome dell'autore in chiare lettere. Ma tra l'Arcudi e il Mazzei scoppiò ben presto una violenta polemica sulla qualità del prodotto tipografico, e il domenicano, dopo aver accusato (in una nota Al cortese lettore) l'editore di essere venuto meno all'obbligo delle correzioni e delle sostituzioni da lui assunto, finì per rivolgersi ad un altro tipografo. Nel 1715 stampò presso il Chiriatti il suo S. Atanasio Magno, un'opera indubbiamente di carattere autobiografico, in cui il santo perseguitato da tutti è in realtà l'autore. Il libro fu sottoposto a censura e nella seconda parte, cioè nell'Antiperistasi, l'Arcudi riprese le censure rivolte all'opera le confutò tenacemente una ad una. Molto probabilmente la violenta replica, in questa occasione, superò i "limiti imposti"[7] dalla sua condizione ecclesiastica e le autorità dell'Ordine dei Domenicani pensarono di confinare il frate nella lontana casa di Andrano, dove morì nel 1718. Qui scrisse l'Orbis rectus, una specie di analisi della sua vita e della sua esistenza controcorrente, che uscì presso il Chiriatti un anno dopo la sua morte, a cura del fratello Antonio Arcudi.

Il rapporto che lo scrittore galatinese ebbe con la stampa fu veramente difficile e travagliato, infatti, sin dalle prime esperienze editoriali, egli dimostrò d'avere poca fiducia nei mezzi tecnici offerti da quest'arte, e rivelò molta incertezza nella scelta del tipografo e del mercato librario in cui smerciare il prodotto finito[8]. La sua mania di perfezione unita alla sua vena polemica lo portarono a interrompere il rapporto con più di un tipografo, del resto anche alludendo all'Albrizzi non mancò di usare toni polemici. Nel caso del Mazzei l'Arcudi aveva più di un motivo per lamentarsi, dato che lo stampatore salentino riutilizzava il corredo tipografico del Micheli, che sicuramente doveva essere già logoro e quindi dava un prodotto di scadente qualità.

Arcudi: la data certa della sua morte

L'Arcudi morì nel convento dedicato a S. Maria della Grazia e il suo corpo fu sepolto nella Chiesa domenicana, ma non vi è nessuna epigrafe a memoria di questo valente letterato e nell'Archivio Parrocchiale di Andrano non esiste nulla riguardo la sua morte, perché il registro di quegli anni è andato misteriosamente perduto. Sfortunatamente, non è rimasta traccia dei suoi scritti, poiché con la scomparsa dei monaci da Andrano, il piccolo Archivio del Monastero è stato smembrato e successivamente disperso. Però nel 1993 il professore Filippo Cerfeda[9] ha riportato alla luce il "Frontespizio del 1715", custodito nell'Archivio Parrocchiale di Diso, da cui sono emerse importanti infomazioni.

Con il nome di "Frontespizio" si intende il primo folio di un registro anagrafico parrocchiale redatto dal parrocco del tempo Don Donato Antonio Leonardo Pagliara. Il volume contiene gli atti di battesimo dal 1715 al 1763 ed è composto di 207 carte non numerate. La singolarità del registro è costituita dal frontespizio, compilato nella maniera tipica di un' interessante pagina di cronistoria locale, infatti con una esposizione ricca di particolari, l'arciprete Pagliara elenca annualmente i nomi dei predicatori in parrocchia nei periodi di Quaresima e di Avvento, riporta i nomi dei sindaci dell'Amministazione Comunale dell'epoca, aggiungendo anche notizie precise dal punto di vista metereologico e ambientale. Proprio da questa fonte si apprende che l'ultima predicazione della vita di Arcudi avvenne in Diso, a pochi chilometri dal convento domenicano di Andrano, ed è molto importante perché fornisce l'indicazione esatta circa la sua data di morte.

Prof. F.G. Cerfeda



Nel brano che segue si può leggere chiaramente la testimonianza del parroco Pagliara su Arcudi e l'annotazione relativa alla morte del frate domenicano, avvenuta esattamente in data 30 gennaio 1718.

"... Nell'anno 1717 l'Avve[n]to lo fè il P.f. A.es[s]a[n]dro Arcudi di S. Pietro in Galatina, Domenicano huomo eruditiss[im]o, disse bene, e di frutto morì al Co[n]v[en]to d'And[ra]no li 30 Gen[naio] 1718." [10]




ALESSANDRO LAPORTA, Settecento tipografico leccese in: Studi in memoria di Michele Viterbo, Galatina, Congedo ed., 1981 vol. II, pp. 95-130.

La materia è "quella delle argutezze, cioè dei modi di  manipolare i nomi propri e le parole comuni".

M. MARTI, Alessandro Tomaso Arcudi in: Sudpuglia, a. xviii, n.2. giugno 1992.

I capitoli sono chiamati membri e sono 18, ciascuno dei quali si suddivide in tagli (cioè sottocapitoli), fina ad un massimo di 6. Chiude l'opera il capitolo "frammenti di ritagli".

Paone avverte che Genova è un falso e che bisogna leggere Lecce.

ALESSANDRO LAPORTA, Saggi di storia del libro, Lecce, Edizioni del Grifo, 1994.

M. MARTI, op. cit., p. 93

A. LAPORTA, op. cit.,p. 18

FILIPPO CERFEDA, Fonti e documenti per una storia delle reliquie dei SS. Filippo e Giacomo minore in Diso, Grafiche Giorgiani, 1996, pp. 113-116.

FILIPPO CERFEDA, op. cit pp. 113-116.






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