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PSICOLOGIA DELL'HANDICAP E DELLA RIABILITAZIONE - I soggetti, le relazioni, i contesti in prospettiva evolutiva.

psicologia



PSICOLOGIA DELL'HANDICAP E DELLA RIABILITAZIONE.

I soggetti, le relazioni, i contesti in prospettiva evolutiva.


HANDICAP: DEFINIZIONE, DIAGNOSI, INTERVENTO.

Handicap: il problema della definizione.

L'Oms effettua una prima distinzione tra:

MENOMAZIONE, è qualsiasi perdita o anomalia a carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche, a carattere permanente o transitorio;



DISABILITA', è la riduzione parziale o totale della capacità di svolgere un'attività nei tempi e nei modi considerati come normali. Può essere transitoria o permanente, reversibile o irreversibile, conseguenza di una menomazione fisica, sensoriale o di altro tipo;

HANDICAP, è una condizione di svantaggio risultante da un danno o da una disabilità, che limita o impedisce lo svolgimento di un ruolo normale in rapporto alla società, all'età, al sesso, ai fattori sociali e culturali. Quindi è una condizione soggetta a cambiamenti migliorativi o peggiorativi.


L'handicap non è dunque una malattia, ma piuttosto la ripercussione che dei danni dati da un evento morboso (biologico) hanno sulla vita di un individuo in relazione al contesto sociale.

L'handicap non va neanche confuso con lo svantaggio socio- culturale o disadattamento, che è determinato esclusivamente da fattori sociali.

Da qui la doppia connotazione, biologica e sociale, dell'handicap.


Nel momento in cui vi è un evento morboso, avvenuto in fase pre/peri/post-parto, si evidenziano:

danni primari, ossia le lesioni di partenza;

danni secondari, ossia problemi aggiuntivi, che derivano dai danni di partenza.

Tali danni possono dar luogo a una disabilità che si traduce in Handicap anche in relazione alle barriere che il soggetto incontrerà quotidianamente, sia fisiche, che psicologiche e sociali:

le barriere fisiche sono rappresentate dalle barriere architettoniche;

le barriere psicologiche hanno a che fare sull'impatto che la disabilità ha sul soggetto stesso e sulle persone che lo circondano. Le limitazioni imposte dalla menomazione di partenza nelle varie tappe della vita possono essere accettate in misura diversa sia dall'individuo che ne è portatore che da persone diverse.

I genitori, per esempio alla nascita di un bambino handicappato, possono reagire in maniera diversa in rapporto alle caratteristiche personali, al rapporto di coppia, al grado di supporto offerto da familiari e amici.

Crescendo, altre fonti di barriera o al contrario di sostegno psicologico, possono essere gli insegnanti, gli operatori sociali e i pari.

Le barriere sociali sono relative sia al clima culturale prevalente in un epoca, che allo stato socio-economico dei vari soggetti.


Quindi nel determinare l'entità e la gravità di una situazione di handicap concorrono vari fattori, non desumibili dal danno di partenza, ma da elementi personali e contestuali che vi sono intorno alla persona disabile. Quindi:

Quando si parla di handicap, ci si riferisce ad una popolazione molto eterogenea, in cui anche problematiche comuni assumono caratteristiche diverse a seconda del contesto e dei fattori personali.

Una valutazione sull'handicap non può quindi prescindere da informazioni sul danno iniziale, sulla storia della persona, sui deficit e abilià del soggetto, sui contesti di vita e sul percorso terapeutico.

Nell'intervento sull'handicap vanno quindi programmati:

interventi che arginino i danni di partenza;

interventi che eliminino le eventuali barriere, che ostacolano il pieno raggiungimento delle potenzialità individuali.


Handicap: il problema della diagnosi.

Fare diagnosi nel campo dell'handicap è ben diverso dal diagnosticare una malattia, in quanto si deve tener conto non solo di stabilire la natura e la causa della disabilità, ma anche la valutazione sistematica dei punti di forza e di debolezza e dei problemi del soggetto, nonché di definire la sua collocazione educativa e il potenziale futuro dei bisogni dell'individuo e della sua famiglia.


È divenuto uso comune riferirsi a questo approccio diagnostico con il termine di diagnosi funzionale, o in ambito Didattico, con il profilo dinamico funzionale.


L'attributo FUNZIONALE ha assunto un valore prospettico, intendendo per diagnosi funzionale una valutazione che si propone di analizzare dinamicamente il bilancio del deficit e del potenziale residuo. Essa però non è fine a se stessa ma è finalizzata alla compilazione del piano educativo individuale.

La continuità garantita dalla diagnosi funzionale tra storia del soggetto, attuali potenzialità di sviluppo e progetto di intervento, pone le basi per far si che gli operatori operino in un progetto globale che ha come fulcro il progetto di vita del soggetto disabile.


La DIAGNOSI FUNZIONALE risulta essere:

uno strumento interdisciplinare e non solo medico;

esula da definizioni generali, descrivendo una situazione nel suo contesto, ossia considera come l'individuo opera in un certo ambiente

è dinamica, in quanto è soggetta a modifiche periodiche

parte dall'esigenza di dare risposte ai bisogni

mette in luce non solo i danni ma anche le potenzialità

suggerisce modalità e tecniche di intervento.


I membri dell'equipe che formula la diagnosi funzionale sono: assistenti sociali, medici, fisioterapisti, terapisti del linguaggio, infermieri, psicologi e insegnanti. tra queste figure occorre una stretta collaborazione, ma occorre anche il coinvolgimento delle figure familiari.



Modelli di diagnosi per l'handicap

Il modello COGNITIVO COMPORTAMENTALE parte dall'esigenza di dare elementi concreti per progettare interventi in ambito riabilitativo ed educativo.

Questo modello si propone una valutazione che descriva nella maniera più oggettiva possibile il comportamento del soggetto.

La procedura prevede varie fasi di valutazione (prima- durante- dopo il trattamento), facendo si che la diagnosi risulti essere una prassi costante, che non solo precede ma accompagna l'intervento.


Le principali aree di analisi di questo modello sono:

il soggetto , indagando e analizzando i suoi repertori comportamentali: i suoi punti di forza ( abilità), i comportamenti che non riesce a manifestare ( deficit), i comportamenti che hanno valore disadattivo (comportamenti problema).

L'ambiente, cioè la considerazione dei contesti di vita del soggetto e della sua situazione sociale. Scopo di tale area è di relazionare i comportamenti del soggetto in relazione alle variabili ambientali, in modo da comprendere se alcuni deficit e comportamenti problematici sono attribuibili a tipi di interazione in cui il soggetto è coinvolto.


Per la valutazione dei diversi livelli si procede:

attraverso l'osservazione diretta;

attraverso le checklist, ossia liste di rilevamento strutturate, che possono essere a carattere globale o specifico. Esse consentono di evidenziare le carenze sulla base delle quali formulare il progetto di intervento, e valuterebbero anche l'ambiente socio-educativo del bambino .


In questo tipo di di 535f53f agnosi però, si corre il rischio di frazionamento, perdendo di vista l'integrazione del soggetto, ma anche gli aspetti di problematicità che non sempre si traducono in comportamenti osservabili.


Il modello MULTIPROFESSIONALE, di ispirazione clinico- psicologica, pone in essere una valutazione finalizzata a mettere in luce le potenzialità e le carenze di un soggetto in un determinato settore, ma che porti alla raccolta di osservazioni centrate sulla globalità della persona.

In questa prospettiva un sistema di valutazione molto efficace è proposto da Moretti, al fine di inserire la persona handicappata nel mondo del lavoro.

Le tappe di questo sistema sono:

I. nella prima tappa la valutazione deve far riferimento a tutte le persona che fanno capo al soggetto, osservando come la persona funziona nelle situazioni della vita reale e tenendo conto delle varie figure che interagiscono con lui, sia operatori che familiari;

II. nella seconda tappa occorre sintetizzare i risultati emersi, bilanciando i fattori negativi e positivi in vari settori.

III. Occorre poi esprimere un giudizio sulle dimensioni peculiari della persona, sintetizzat in:

livello di elaborazione mentale, cioè a quale livello la persona riesce ad elaborare stimoli e risposte mentali;

tipo di apprendimento, cioè in che modo si strutturino le nozioni apprese al fine di affrontare le soluzioni di un problema

la relazione oggettuale, rispetto al grado di maturità delle relazioni interpersonali

la qualità di socializzazione, cioè la capacità di avere propri modelli a cui riferirsi in modo critico, e non per semplice imitazione passiva.

IV. Si costruisce poi il progetto di intervento, che in questo caso consiste nel tipo di attività più consona a promuovere la realizzazione della persona.


Tra i due modelli presi in considerazione vi sono degli elementi in comune:

la presenza di varie fasi nella valutazione;

la suddivisione della valutazione in varie aree.


Handicap: il problema dell'intervento

Situazioni di handicap diverse, a seconda della gravità del danno o delle caratteristiche individuali del soggetto, possono richiedere varie tipologie di intervento:

intervento medico è per esempio necessario nei casi in cui è possibile prevenire un'estensione del danno iniziale (esempio. Antibiotici per perdita uditiva causata da infezioni dell'orecchio) o la formazione di danni secondari.

Intervento psicologico è indispensabile per un legame tra momento diagnostico, progettazione, intervento e verifiche. Importante nei casi in cui alla situazione di handicap si associno problemi relazionali. Occorre prestare attenzione poi non solo alle esigenze del bambino, ma anche alle esigenze della famiglia.

Intervento educativo, in quanto le istituzioni educative assolvono importanti funzioni nel campo della socializzazione, dell'acquisizione di comportamenti adattivi, dell'appren-dimento.

Intervento sociale,del quale si fanno promotori gruppi istituzionali di lavoro sull'handicap , associazioni di famiglie o gli stessi soggetti portatori.

Intervento riabilitativo, che ha la funzione di attivare o migliorare funzioni e competenze al fine di consentire al soggetto di utilizzare al meglio le sue potenzialità in un contesto sociale il più ampio possibile.

La riabilitazione può essere centrata sulla funzione motoria, sul linguaggio, ecc, in base sia ai deficit prevalenti della persona, che in base ai suoi bisogni.

Se infatti non si presta attenzione ai suoi bisogni si rischia o di risolvere solo apparentemente la condizione di handicap, oppure di crearne di nuovi.


Le caratteristiche essenziali che devono essere proprie di ogni intervento sull'handicap, sono:

La storicità: ogni intervento deve essere collegato alla diagnosi e tener conto di eventuali percorsi riabilitativi, educativi o terapeutici precedenti.

La globalità: la presa in carico coinvolge sia il versante cognitivo che quello emotivo;

La partecipazione attiva del soggetto e della sua famiglia al progetto. I successi e i fallimenti sono fortemente connessi alla motivazione e al grado di adesione al compito. Occorre quindi rendere il bambino soggetto attivo del suo apprendimento.

Per quanto riguarda il coinvolgimento attivo della famiglia nel progetto riabilitativo, occorre evitare che la vita di tutta la famiglia si strutturi al servizio dell'handicap.

Migliorare la qualità della vita, in una prospettiva che coinvolga tutto l'arco della vita.

A questo scopo non occorre solo evidenziare deficit e potenzialità del soggetto, ma anche i suoi bisogni e le risorse presenti nel contesto, intese sia come risorse umane (il soggetto stesso, la famiglia, i pari, gli operatori sociali ecc.) e le risorse materiali, ossia tutti quei materiali che possono essere usati per l'apprendimento e la comunicazione, ma anche tempi e spazi, che possono essere sia un limite che una risorsa.

La programmazione puntuale: ogni intervento efficace si deve ispirare a un modello teorico scientificamente fondato, sulla base del quale stabilire obiettivi a breve e lungo termine, metodologie e strumenti di lavoro adeguati e modalità di verifica dei risultati raggiunti,

















HANDICAP UDITIVO


Premessa.

Nell'affrontare le problematiche connesse al deficit uditivo, si utilizza spesso il termine sordomuto, pensando a persone che costituzionalmente non possono sentire, né accedere al linguaggio, confondendo la conseguenza con la causa.

La parola sordo, invece, fa più correttamente riferimento al solo deficit uditivo, sottendendo quindi l'idea che chi non sente non ha per questo perduto la facoltà di apprendere la lingua.


Il deficit uditivo raramente è un deficit totale, più frequentemente si parla di audiolesi o ipoacustici, ossia di persone che, pur avendo compromesse le capacità di accesso al mondo dei suoni, conservano anche in questo ambito potenzialità e risorse.


Conformazione dell'orecchio.

L'orecchio si suddivide in:

Orecchio esterno, che è costituito dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo. Il timpano separa l'orecchio esterno dall'orecchio medio

Orecchio medio, ossia una cavità che contiene l'insieme di ossicini ( staffa incudine e martello), deputati alla trasmissione del suono. La tromba di Eustachio collega l'orecchio medio alla gola

L'orecchio interno, in cui si trova la coclea, che contiene l'organo dell'udito.



Tipi di sordità e cause.

La classificazione della sordità può avvenire tenendo conto :

della localizzazione del danno;

della gravità della perdita uditiva

delle cause della sordità e dall'epoca della sua insorgenza.


Una prima suddivisione dei tipi di sordità riguarda la localizzazione del danno che comporta la conseguente perdita uditiva, distinguendo:

  • Sordità trasmissive, che interessano le parti dell'orecchio deputate al suono ( orecchio medio ed esterno). In questo caso le onde sonore non arrivano o arrivano distorte all'orecchio interno. Solitamente sono sordità lievi.
  • Sordità percettive, in  cui la trasmissione delle onde sonore avviene normalmente, ma è compromessala trasformazione di tali vibrazioni in percezioni uditive. Tali sordità sono suddivise in:

neurosensoriali quando l'anomalia riguarda l'orecchio interno e le connessioni nervose ad esso prossime;

centrali quando l'anomalia riguarda i centri uditivi del cervello e le connessioni distali del nervo acustico.

  • Sordità miste, nelle quali si sommano anomalie nella conduzione e nella percezione uditiva, in quanto sono interessate zone sia periferiche che centrali dell'apparato del suono.

Sono vari gli esami clinici che possono consentire di discriminare le sordità di percezione da quelle di trasmissione:

l'impedeziometria, , che fornisce misure oggettive sul funzionamento dell'orecchio medio;

i metodi elettrofisiologici, che registrano i potenziali uditivi suscitati da stimoli sonori lungo le vie uditive;

l'audiometria soggettiva, che consiste nel verificare la capacità di un soggetto di percepire suoni a diverse frequenze e intensità.


Un'altra classificazione dei tipi di sordità è effettuata in base al fattore di gravità della perdita uditiva. Questa gravitàè definita attraverso due parametri di riferimento per la quantità e la qualità del deficit: l'intensità e l'altezza dei suoni percepiti.

L'INTENSITA' è data dall'ampiezza di pressione dell'onda sonora e si misura in decibel. Essa corrisponde alla sensazione soggettiva di sentire un suono più o meno forte.

L'ALTEZZA è data dalla frequenza di tale pressione e si misura in Hertz.


La sordità è tanto più grave quanto più alta è l'intensità necessaria perché i suoni vengano ricevuti, e quanto minore è la gamma di frequenze che l'orecchio percepisce.

In base a questi parametri, l'ipoacusia può essere definita:

leggera, con perdita da 20 a 40 db

media, con perdita da 40 a 70 db

grave con perdita da 70 a 90 db

profonda con perdita oltre i 90 db.


Un'ulteriore modalità di classificazione può essere operata a partire dalle cause della sordità (ereditarie o acquisite) e dall'epoca di insorgenza del deficit (pre/peri/post- natale).


Per quanto riguarda le cause ereditarie, distinguiamo cause:

Dominanti in cui la sordità interessa molti individui di una generazione, solitamente sordità meno gravi, ma che si possono manifestare anche dopo la nascita.

Recessive, in cui la sordità interessa pochi individui distribuiti in varie generazioni. Essa è responsabile di sordità anche molto gravi, che si manifestano dalla nascita.


Per quanto riguarda le sordità acquisite, si suddividono a seconda del periodo di insorgenza in:

prenatali, per cause virali, microbiche parassitarie o tossiche;

neonatali, a causa di un trauma ostetrico, prematurità, o per ittero neonatale.

Postatali, per traumi, malattie infettive e intossicazioni.


Le conseguenze di una perdita uditiva possono essere molto diverse in relazione a questi fattori causali. Per esempio una sordità che si manifesta dopo l'acquisizione del linguaggio ha sicuramente un effetto minore sullo sviluppo del bambino nel suo complesso; tuttavia tale evento potrebbe provocare un trauma notevole sul piano psicologico di una sordità congenita.


Lo sviluppo dei bambini sordi.

Nello studio sugli effetti della sordità sullo sviluppo del bambino, si incontrano varie difficoltà a causa di campioni di audiolesi non sufficientemente ampi, rispetto alla popolazione normale, tali da consentirne una generalizzazione. Questo problema è aggravato dalla forte variabilità che si registra all'interno della popolazione dei sordi.

L'intento non è quindi quello di una generalizzazione, bensì quello di capire in che modo questa condizione deficitaria possa interagire con le variabili ambientali, al fine di avere effetti differenziati nei vari ambiti di sviluppo.


Lo sviluppo affettivo e sociale.

Molte ricerche evidenziano come il reagisca selettivamente alla voce materna fin dai primi giorni. Questa capacità, assente nei bambini sordi, compromette lo stabilirsi di un legame di attaccamento. Si è visto però che i bambini sordi sfruttino altre fonti, come l'odore, per reagire selettivamente alle figure familiari.

Un ulteriore ostacolo allo stabilirsi di tale legame è l'assenza di reciprocità tra madre e figlio, dovuta al fatto che i bambini sordi sono poco reattivi e questo causa frustrazione per i genitori udenti che non immaginano la causa di tale atteggiamento e si sentono rifiutati dal figlio.


Certamente le vocalizzazioni rivestono un ruolo molto importante nelle diadi di udenti, ma spesso le madri, di fronte a questa assenza di reciprocità vocale, adottano, spesso anche inconsapevolmente sistemi sostitutivi di comunicazione con il proprio bambino sordo, che a sua volta mette in atto una compensazione sensoriale, utilizzando più estesamente i dati provenienti da altri sensi.


Da alcune ricerche è risultato che la qualità di comunicazione sia positiva e reciproca sia in diadi normali che in diadi con bambino sordo. Anche il legame di attaccamento risulta essere sicuro in entrambi. Nelle ricerche però le madri dei bambini sordi erano coinvolte in programmi educativi.

Al fine di un buono sviluppo affettivo e sociale è proprio la capacità degli adulti di non scoraggiarsi per la mancata produzione di suoni e di mantenere un contesto vivo e stimolante e una comunicazione ricca ad essere importante, e a questo scopo importanti sono i programmi educativi per i genitori.

Spesso infatti i genitori di bambini sordi reagiscono di fronte alla mancata reattività del figlio, eliminando ogni tipo di comunicazione.


Altro elemento che può danneggiare lo sviluppo del bambino sordo è la tendenza a una maggiore direttività e intrusività. Un'eccessiva generalizzazione di questi comportamenti, necessari al fine di garantire l'incolumità del bambino che ha un accesso ridotto ai suoni, può sfociare in iperprotezione, rendendo difficoltosa l'acquisizione di abilità che sono alla portata del bambino.


Vi sono poi effetti secondari alla sordità a livello comportamentale, che non dipendono tanto dal deficit di partenza quanto dalla problematicità delle relazioni che si instaurano nella vita sociale.

Problema relazionali che possono essere superati, anche nel gruppo di pari, adattando i modi di comunicare del bambino sordo e di quello udente.


Sviluppo cognitivo e della memoria.

L'interesse per lo sviluppo cognitivo dei soggetti sordi è legato alla volontà di capire il ruolo del linguaggio nello sviluppo cognitivo dei soggetti udenti.

Alcuni studi classici hanno per esempio evidenziato un ritardo di sviluppo nei bambini sordi di 2/4 anni rispetto ai coetanei udenti. Ritardo che si manifesta soprattutto nel pensiero astratto e strettamente legato alle carenze dello sviluppo linguistico, essendo il linguaggio un modo per esercitare il pensiero. Tali studi hanno contribuito a creare l'immagine del sordo come di un soggetto legato alla concretezza difficilmente capace, da adulto, di raggiungere forme di pensiero più elevate.

Ricerche recenti hanno invece evidenziato che, non solo lo sviluppo intellettivo nel periodo operatorio è equivalente nei sordi che negli udenti.


Nell'ambito dello sviluppo cognitivo importanti risultano essere poi gli studi sulla memoria.

Da questi studi risulta che i bambini sordi utilizzino codici diversi a seconda delle abilità linguistiche possedute.

I bambini che , per esempio , fanno uso della lingua dei segni, un codice visivo può aiutare la memoria, così come un codice verbale può aiutare i bambini con udito o i bambini sordi che fanno uso di linguaggio orale.

Occorre poi condurre con i bambini sordi un lavoro sistematico sulla memoria, in quanto essi hanno le stesse capacità mnemoniche dei bambini udenti, ma spesso tali capacità non sono messe in moto spontaneamente.

Occorre offrire gia nella prima infanzia occasioni di ripetizione e fissazione del materiale di apprendimento, compensando con tale intervento la scarsa ridondanza di informazioni a cui sono sottoposti i bambini sordi.

Un bambino udente impara spesso nuovi concetti perché ne fa esperienza ripetuta: con i bambini sordi occorre quindi compensare questa assenza con ripetute occasioni di fissazione, alla quale seguirà un'interiorizzazione degli elementi appresi, al fine di poterli poi utilizzare al momento opportuno ( apprendimento).


Sviluppo linguistico.

L'acquisizione del linguaggio costituisce l'ostacolo principale per un soggetto audioleso.

Occorre innanzitutto effettuare una distinzione tra apprendimento della lingua dei segni e apprendimento della lingua parlata.


Sicuramente un bambino sordo che nasca da una famiglia dove almeno uno dei genitori è segnante, apprende la lingua in tempi simili a quelli che un bambino udente impiega a imparare la lingua parlata, acquisendo quindi nei primi anni di vita una modalità comunicativa visivo- gestuale, che gli consente di interagire efficacemente all'interno del nucleo familiare e con chi tale lingua conosce.


Per tutti i figli sordi di genitori udenti non potrà mai avvenire un apprendimento naturale di questo tipo, in quanto tali genitori non posseggono questo strumento comunicativo. E questi casi risultano essere la maggioranza. È quindi ipotizzabile che nella maggior parte dei casi anche il bambino sordo segnante entri nella lingua con un ritardo più o meno marcato rispetto ai compagni.


Ritardo presente nel caso in cui il bambino sia educato oralmente, ma dipendente sia da fattori intrinseci al deficit ( entità, epoca di insorgenza), sia da caratteristiche del soggetto e dell'ambiente. Infine importante è anche il contesto educativo per influenzare l'uso di un linguaggio più o meno elaborato.

Fattori importanti per il successo dell'apprendimento verbale sono per esempio:

una predisposizione individuale per la comunicazione e per il linguaggio

una disponibilità alla comunicazione nell'ambiente


Per l'apprendimento della lingua scritta, alcune ricerche hanno evidenziato nella scrittura di soggetto sordi problemi analoghi a quelli riscontrati nel linguaggio orale.

Da uno studio di Moog si evidenzia come soggetti audiolesi anche gravi all'età di 16 anni abbiano capacità di lettura simili ai loro coetanei udenti, se stimolati correttamente da famiglia e terapisti.


I metodi riabilitativi.

Il dibattito sui metodi riabilitativi ed educativi per soggetto con deficit uditivo è storicamente centrato sulla lotta fra oralismo e gestualismo. In questo caso occorrono alcune considerazioni:

nessuna scuola propone un'educazione esclusivamente gestuale, e in ogni caso è riconosciuta l'importanza di una competenza anche verbale.

Le differenze tra le scuole sono marcate, anche all'interno di un'impostazione moralista o mista: queste differenze riguardano le modalità di insegnamento del linguaggio verbale, sia i tempi di inizio di tale insegnamento.


v    Metodo bimodale

L'educazione bimodale si pone come obiettivo il raggiungimento di una buona competenza linguistica orale da parte del bambino sordo, utilizzando un supporto segnico nell'insegnamento della lingua vocale.

La lingua dei segni è così utilizzata come supporto per la lingua parlata: per questo non può essere utilizzata la lingua dei segni vera e propria, in quanto essa ha una morfologia e una sintassi completamente diversa dalla lingua vocale.


Viene generalmente utilizzato un adattamento di tale lingua: non la Lis (lingua italiana de segni) ma l'Ise ( italiano segnato esatto): quest'ultimo ha un lessico uguale alla Lis, ma con un ordine di parole che segue le regole dell'italiano.


L'attenzione del bambino viene così generalmente attirata sulle parti del discorso che generalmente sono omesse. Nel momento in cui però l'intento della seduta logopedica è di far comprendere il significato globale di una storia, si utilizza l'italiano segnato, che segue l'ordine delle parole italiane ma omette le parole funzione.

Infine tale metodo prevede una formazione dei genitori nella Lis, affinché i bambini possano utilizzare questa lingua anche a casa.


Le problematiche maggiori riguardano la pluralità di codici sottoposti all'utilizzo del bambino: lingua italiana orale, lingua italiana dei segni, italiano segnato, italiano segnato esatto...


v    Educazione bilingue.

I sostenitori di un'educazione bilingue propongono che i bambini sordi siano esposti a due lingue: lingua dei segni, che darebbe al bambino la possibilità di utilizzare il linguaggio nella modalità visivo- gestuale in modo spontaneo e senza un insegnamento formale, e la lingua vocale parlata dai genitori, per comunicare con gli udenti della propria comunità.

A differenza del precedente approccio le due lingue non sono utilizzate contemporaneamente, ma separatamente, in modo che il bambino possa operare l'associazione: una lingua / un interlocutore.

Nel caso del bambino sordo, è difficile che la lingua parlata sia appresa con gli stessi tempi della lingua dei segni: ci troveremo quindi di fronte a un bilinguismo successivo, nella quale l'apprendimento della lingua parlata si appoggerebbe su quello della lingua gestuale.


Non è facile creare, nei casi di figli di udenti, una situazione di bilinguismo naturale, simile a quella vissuta dai bambini che hanno almeno uno dei genitori sordo e segnante; inoltre occorre capire con quale modalità la lingua vocale debba essere insegnata, visto che per un soggetto con grave perdita uditiva, tale perdita impedisce un'acquisizione per semplice esposizione della seconda lingua ( verbale).


v    Metodo orale classico.

Questo metodo ha l'obiettivo di fornire al bambino anche sordo profondo una competenza linguistica vicina a quella degli udenti.

Presupposti principali sono una diagnosi molto precoce ( primi mesi di vita), una tempestiva protesizzazione, un tempestivo intervento riabilitativo e un'assidua partecipazione della madre al programma riabilitativo.


L'insegnamento sul linguaggio si basa su:

allenamento acustico, iniziato precocemente con l'uso di strumenti e successivamente con il riconoscimento a bocca schermata delle proposte vocali;

labiolettura, facendo concentrare il bambino sui movimenti delle labbra e della lingua

tattolettura, facendo poggiare le mani del bambino sulla gola, guance e naso, per registrare a livello tattile le vibrazioni

impostazione dell'articolazione, in cui il terapeuta mostra davanti a uno specchio, il modo e il punto esatto di articolazione di un fonema.

Associazione della parola con l'oggetto o con l'immagine corrispondente

Uso precoce della lettura, a partire dal secondo anno di età.


Il principale problema risulta essere la mancata corrispondenza tra le tappe previste e le modalità di evoluzione del linguaggio.


v Metodo verbo- tonale.

È un metodo creato da un'equipe multidisciplinare guidata da Peter Guberina.

Si basa su alcuni principi e in particolare sul fatto che il residuo uditivo possa essere utilizzato nella riabilitazione, attraverso speciali apparecchi che a protesi acustiche.


Tutto il corpo è considerato uno strumento appropriato per ricevere e trasmettere messaggi in quanto sensibile alla componente vibratoria del suono.

Nell'intervento sono così utilizzati sia i canali comunicativi integri (visivo, tattile ecc), che il canale deficitario.

Spesso nella riabilitazione sono utilizzati vibratori, sia situandoli direttamente sul corpo del bambino che collegandoli ad apposite pedane.

Inoltre si utilizzano strumenti musicali e apparecchi audiovisivi.


Principale caratteristica di questo metodo è la multidisciplinarità, in quanto alla sua realizzazione concorrono:

attività corporee ritmiche, in cui ampi movimenti del corpo accompagnano le emissioni sonore;

stimolazioni musicali

attività di drammatizzazione, utilizzate per motivare all'uso del linguaggio attraverso un forte coinvolgimento emotivo

stimolazioni grafo- motorie, cioè l'uso di segni grafici per rappresentare gli elementi della stimolazione sonora;

psicomotricità, per affrontare i problema di sviluppo psicomotorio talvolta associati alla sordità;

sussidi visivi per rappresentare storie con nessi logici e temporali.


Le lezioni possono essere svolte in gruppo, per incrementare la socializzazione, la comunicazione e l'apprendimento linguistico, oppure individualmente per verificare il livello raggiunto dal singolo soggetto e per la correzione.


Merito di questo modello è l'aver dato un ruolo fondamentale alla motivazione e all'esser centrata sul coinvolgimento della persona in questo processo.

La multidisciplinarità crea il problema di stimoli che se poco coordinati creino fenomeni di interferenza e possano generare confusioni, soprattutto nei casi di sordità profonda.


v Uso di tecnologie informatiche

Attualmente si utilizzano con i bambini audiolesi software riabilitativi e didattici, tra cui vi sono:

programmi che permettono di visualizzare le caratteristiche acustiche della voce;

programmi che servono a mettere in comunicazione bambini sordi inseriti in diverse scuole;

programmi finalizzati alla costruzione di testi attraverso lavori di completamento, , produzione, e discussione sui prodotti ottenuti;

programmi finalizzati a incrementare la competenza linguistica nei soggetti audiolesi;

programmi di riconoscimento vocale, realizzati con l'obiettivo di rendere partecipi le persone audiolese a occasioni di interesse sociale, riducendo così la distanza che li separa dal mondo degli utenti.


v    Il metodo creativo, stimolativo, riabilitativo della comunicazione.

Tale metodo ideato da Zora Drezancic è finalizzato a insegnare anche ai bambini sordi profondi un linguaggio verbale orale e scritto, corretto e adeguato alle richieste comunicative dei diversi ambienti.

Esso agisce nel rispetto delle normali tappe di sviluppo, tenendo conto delle potenzialità dei soggetti audiolesi e non solo dei limiti connessi al danno.


I PRINCIPI di questo metodo sono riassumibili nei seguenti:

anche i soggetti sordi profondi dalla nascita possono arrivare a una buona competenza linguistica: a tal fine la stimolazione deve iniziare il più presto possibile, con un intervento pedagogico idoneo, cioè nel rispetto delle fasi dello sviluppo linguistico normale.

Il linguaggio è uno strumento complesso. Tale metodo fornisce stimoli adatti a sviluppare gradualmente e parallelamente i diversi processi implicati nell'appren-dimento e nell'uso del sistema linguistico.

I modelli vanno proposti rispettando i modi e i tempi di ricezione e di immagazzinamento dei soggetti sordi

I modelli proposti sono multisensoriali: l'attenzione del bambino viene richiamata sulla proposta vocale, sulla percezione uditiva, sull'espressione del viso e dei movimenti.

A tal fine molta importanza riveste un uso corretto delle protesi acustiche, scelte sulla base dei residui uditivi presenti nel soggetto.

Inoltre una funzione fondamentale è svolta dai movimenti, programmati in relazione alle diverse proposte vocali. Tali movimenti evidenziano la presenza nella frase di elementi non accentati come articoli, proposizioni ecc, che rischiano altrimenti di essere omessi nel linguaggio dei soggetti audiolesi e inoltre favoriscono la memorizzazione delle proposte e l'evocazione delle stesse in assenza del modello vocale.

I suoni del linguaggio e i vocaboli sono accessibili per il bambino con ipoacusia profonda se si rispetta una progressione fonetica, rispettando i tempi del bambino, al fine di demotivarlo con insuccessi e pronunce errate.

La voce cantata e il ritmo musicale sono i principali supporti per l'apprendimento di una competenza comunicativa orale: la voce cantata serve a ottenere un buon timbro della voce parlata e una giusta articolazione, impegnando in modo naturale le corde vocali ed evitando le alterazioni della voce tipiche nel passato dei sordomuti.

La scelta dei vocaboli viene effettuata in funzione dell'età dei bambini, tenendo conto della loro capacità di comprensione e di espressione vocale.

La Pedagogia prevede una stretta collaborazione tra logopedisti, educatori e famiglia, che insieme operano per un progetto comune, nella consapevolezza che la riabilitazione non è un lavoro che si può imporre a un bambino, ma un processo educativo che richiede forte adesione e carica motivazionale di tutti i partecipanti.


Per quanto riguarda i PROGRAMMI, una programmazione rigorosa e coerente nel tempo è necessaria per un apprendimento del linguaggio in bambino con gravi deficit uditivi. Merito di questo metodo è di aver previsto questa programmazione, tenendo conto delle possibilità e delle richieste di ogni fascia d'età. I programmi si suddividono in:

1° programma. Adatto a bambini di età inferiore ai tre anni, i mezzi principali sono la voce, cantata- modulata- parlata, e i giocattoli.

2° e 3° programma, in cui si consolidano le acquisizioni precedenti e si estendono le competenze linguistiche sui versanti fonologico, semantico, sintattico e pragmatico.

4° programma prevede infine un'autonomatizzazione del ragazzo nella gestione di quel minimo di esercizio che consente di non perdere la qualità di quanto si è imparato nei programmi precedenti.








































HANDICAP VISIVO


Cecità e ipovisione.

Il principale parametro per valutare la capacità visiva è l'acuità visiva o visus, definibile come la capacità di distinguere a una distanza data determinate forme o di discriminare due punti vicini.

La misura di tale capacità viene normalmente espressa con frazioni numeriche. Un visus ottimale corrisponde, in Italia a 10/10.


Un ulteriore parametro di valutazione della funzionalità visiva è il campo visivo, che corrisponde all'ampiezza della scena visibile quando lo guardo è fisso su un punto dello spazio.

I deficit visivi possono essere attribuiti a una riduzione dell'acuità visiva ( ambliopia) oppure a una riduzione del campo visivo ( emianopsia).

Il grado di minorazione visiva puo variare :

dalla cecità totale, in cui vi è l'impossibilità di percepire qualsiasi simolo visivo,

alla cecità legale, ossia un residuo visivo inferiore a un minimum prestabilito.

alla ipovisione ossia una parziale capacità visiva. Per parlare di ipovisione si fa riferimento a un residuo visivo fino a 3/10 o a un campo visivo inferiore a 30°, indipendentemente dall'acuità visiva.


In Italia i parametri per definire una persona legalmente cieca fanno riferimento alla sola acuità vsiva e fissano come limiti superiori il residuo visivo di 1/10, per usufruire dei benefici previsti dalla legge, e di 1/20 per essere considerati ciechi civili a tutti gli effetti.


Importante risulta essere quindi la distinzione tra cecità reale e cecità funzionale:

è oggettivamente cieco colui che non dispone di nessuna percezione visiva derivante da stimoli luminosi provenienti dall'esterno

è funzionalmente cieco colui che pur disponendo di percezioni visive non può organizzare tali input sensoriali in percezioni operativamente utili rispetto alla necessità di sviluppare strategie adattive almeno in un settore della vita quotidiana.


Rigamonti e Alberti suggeriscono due criteri di classificazione dei deficit visivi:

la suddivisione anatomica, che prende in considerazione le zone interessate a seconda che la patologia riguardi gli annessi, la cornea, l'iride, il nervo ottico, le vie ottiche o la corteccia...

l'epoca di insorgenza, in quanto l'ipovisione può essere congenita o acquisita. Le conseguenze del deficit sono così collegate non solo all'entità della menomazione, ma anche, nel caso di disturbo acquisito, con l'età in cui essa insorge.


I principali fattori responsabili delle compromissioni visive in età infantile sono:

patologia congenita, ossia una trasmissione genetica di alterazioni organiche, ma anche fattori prenatali extragenetici, quali intossicazioni, infezioni ecc durante la gravidanza..

cause perinatali, come prematurità e relativi trattamenti, diabete materno;

cause post- natali, come infezioni virali, fattori immunitari, degenerativi e traumatici.



Lo sviluppo nel bambino non vedente

Nella descrizione e nella valutazione dello sviluppo dei bambini non vedenti è importante distinguere fra:

aree di sviluppo direttamente colpite dalla cecità ( blind specific). Queste aree includono o presuppongono le capacità di coordinazione visuo-motoria, come per esempio le abilità locomotorie e di motricità fine.

aree di sviluppo influenzate in modo indiretto dal problema visivo (blind non- specific), che non presuppongono la coordinazione visuo-motoria e quindi gli effetti indiretti nello sviluppo di tali aree possono essere compensati in seguito, come per esempio il controllo posturale ecc.


in passato si sostenevano i forti svantaggi dei soggetti non vedenti nelle rappresentazioni spaziali. Attualmente si è però notato che la rappresentazione dello spazio , che nei ciechi si realizza attraverso l'udito e il tatto avviene più lentamente, ma in modo sostanzialmente simile a quello di soggetti normodotati.


Sviluppo motorio.

La motricità permette al bambino l'esplorazione dell'ambiente circostante e la conoscenza della realtà, favorendo conseguentemente lo sviluppo cognitivo , percettivo e sociale.

Nei bambini non vedenti questa capacità è compromessa, in quanto la deprivazione sensoriale incide sulla modicità e sulle conoscenze spaziali che conseguentemente si realizzano più lentamente e con maggiore difficoltà.


Diversi autori concordano sul fatto che l'entità del ritardo sia particolarmente elevata in quelle abilità che implichino una motricità volontaria, come il sollevarsi sulle braccia o lo spostarsi da una posizione all'altra, oltre che nelle capacità di deambulazione (camminare) e di prensione dell'oggetto sonoro. Queste capacità risulterebbero influenzate direttamente dalla mancanza di visione.


Per quanto riguarda l'acquisizione della deambulazione autonoma, il bambino non vedente presenta un considerevole ritardo: impara a stare in piedi in un periodo relativamente normale, ma di rado cammina in posizione quadrupedica e spesso non si rotola. Necessita inoltre di un tempo maggiore affinché la mobilità avvenga per iniziativa personale.


La vista e la prensione dal punto di vista biologico, si sviluppano in sincronia e ciò determina nei bambini non vedenti un evidente ritardo nella strutturazione dello schema di prensione e nell'utilizzo delle mani.

Nei primi mesi di vita le mani del bambino rimangono vicine alla spalla e c'è la tendenza nel bambino con deficit visivo a utilizzarle più come strumento di autostimolazione che come strumento di esplorazione


Brambing ritiene poi che la cecità congenita agisce con effetti:

  • DIRETTI, che riguardano il ruolo che il feedback visivo gioca nel coordinare i movimenti verso uno scopo preciso e nel controllare la postura. Per raggiungere un oggetto è infatti importante un continuo aggiustamento della traiettoria del braccio e dei movimenti della mano, basato appunto sul controllo visivo. Il bambino cieco impara a coordinare i movimenti solo sulla base del successo ottenuto in quanto non può tener conto della traiettoria.
  • INDIRETTI, tra cui:

una minore attività motoria in mancanza di stimoli visivi. Il notevole ritardo riscontrato nei bambini non vedenti appare determinato dall'assenza dell'incentivo che la vista rappresenta per tutta la motricità volontaria

minori stimolazioni sociali iniziali, in relazione ai tempi necessari alle madri per interpretare correttamente le reazioni ai propri bambini.

maggiore insicurezza nel comportamento esploratorio, dovuta sia alla difficoltà di localizzare gli eventuali ostacoli, sia all'impossibilità di ricevere sicurezza emotiva dalla madre attraverso il semplice contatto visivo.

Ritardo nella costruzione del reale, in senso piagettiano, in quanto nessuna modalità sensoriale è paragonabile alla visione nel consentire di integrare diverse impressioni sensoriali in una totalità dotata di significato.


Data l'importanza che il movimento riveste per l'autonomia del bambino e per la sua crescita psicologica, un'attenzione particolare va rivolta alla stimolazione dell'attività esploratoria precoce e alla conquista di un certo grado di sicurezza, tale da contenere in prospettiva i problemi motori nell'ambito ristretto delle attività direttamente condizionate dal controllo visivo.


Sviluppo cognitivo

Nel parlare di sviluppo cognitivo in caso di bambini con deficit visivo, la situazione cambia a seconda dell'epoca di insorgenza, dall'entità, ma anche dal fatto che la cecità sia congenita o acquisita.


La mancanza della vista nei primi mesi produce infatti danni irreversibili. Succede a volte che il bambino, privato nei primi mesi della nascita della vista ( cataratta congenita) e successivamente riacquistata la funzionalità degli occhi, comunque non sanno vedere.

Alcuni ricercatori sostengono così, che se il bambino viene privato della vista per un periodo di 6 mesi nei primi 3 anni di vita, esso si "dimentica come vedere".

Al contrario chi ha auto esperienza di visione per 1-2 anni, al di sotto dei tre, può recuperare la visione anche molto tempo dopo.


Analogamente per la visione binoculare, se per periodi anche molto brevi, entro i 3 anni, essa viene impedita per il mancato funzionamento di un occhio, può conseguire un deficit permanente.

L'ipotesi è che le cellule celebrali delle zone proiettive dei recettori visivi non stimolate, siano occupate da altre modalità sensoriali che invece stanno ricevendo impulsi.


L'esperienza di deprivazione del cieco poi è diversa da quella dell'ipovedente, in quanto quest'ultimo può utilizzare un dato visivo seppur imperfetto.

Qui si parlerà di persone cieche dalla nascita.


Secondo la teoria di Piaget sullo sviluppo cognitivo, le prime attività cognitive sono strettamente collegate all'attività motoria, distinguendo l'intelligenza sensomotoria dei primi sei mesi, dall'intelligenza rappresentativa.


La mancanza dello stimolo visivo, che stimola l'esplorazione e la conoscenza degli oggetti e dello spazio comporti un ritardo non solo sulla motricità, ma anche sulle attività della prima infanzia collegate ad essa.


La ricerca degli oggetti nel bambino cieco deve fondarsi su afferenze sensoriali diverse da quelle visivi, quali quelle tattili e sonore.

Nel bambino cieco però l'afferramento dell'oggetto sonoro avviene più tardivamente rispetto a quello dell'oggetto visivo per il bambino vedente. Alcuni studiosi però hanno riscontrato che anche nel bambino vedente la coordinazione udito- prensione avviene più tardi rispetto alla coordinazione visione- prensione anche nel bambino vedente.

Il ritardo dimostrato dal bambino non vedente nella ricerca dell'oggetto non sarebbe quindi da attribuirsi alla cecità in quanto tale, ma alla necessità dell'uso del canale informativo uditivo, la cui coordinazione con la prensione avviene normalmente in un periodo più tardo.

Nel bambino non vedente si riscontra un'altra condotta tipica : i BLINDSMES, tic e condotte stereotipiche di autostimolazione ( pugni schiacciati sugli occhi, dondolamento della testa e del tronco, ecolalia), cioè una produzione di stimoli suppletivi a quelli che non gli provengono dall'esterno, che di per se non inficiano specificatamente lo sviluppo cognitivo, ma che, in quanto privi di significato funzionale, certamente non lo incoraggiano.


Negli stadi successivi e in particolare allo sviluppo del ragionamento logico, i bambino non vedente dalla nascita mostrano un ritardo principalmente nelle operazioni infralogiche e, più lieve, in quelle logico-matematiche implicanti percezione e manipolazione di oggetti concreti, secondo alcuni autori non vi sono invece quasi, o affatto, differenze nelle operazioni logico- matematiche basate sulla comunicazione verbale.


Gli autori concludono che gli effetti negativi della cecità sullo sviluppo cognitivo nell'infanzia sembrano essere collegati a un certo contenuto di conoscenza o a un certo compito piuttosto che a un deficit globale relativo a determinate classi di competenze.

Essi inoltre mettono in luce come, anche in compiti dove si riscontra un certo ritardo,i bambino non vedente mostrino differenze significative nelle prestazioni ai due livelli evolutivi considerati, suggerendo come col tempo processi integrativi tendano colmare in gran parte tali differenze.


È nelle rappresentazioni spaziali che il cieco ha le maggiori limitazioni conoscitive, dal momento che gli altri canali sensoriali non sono altrettanto efficienti di quello visivo per gli stimoli distali.

Piaget osserva che nello sviluppo cognitivo la caratteristica basilare è il passaggio dalla centrazione su di sè alla centrazione sull'altro, passaggio che per il pensiero concreto si attua intorno ai 7-9 anni.

Per il bambino non vedente congenito la posizione egocentrica permarrebbe più a lungo poiché egli tenderebbe a considerare il proprio corpo come l riferimento dominante.


Concludendo gli handicap cognitivi risultanti dalla cecità completa si risolvono in ritardi di acquisizione, per quanto permangono le limitazioni sul piano sensoriale e delle immagini.

Il solo deficit visivo non comporta differenze né inferiorità nel bagaglio cognitivo dell'adulto.

La deprivazione sensoriale visiva comporta delle riorganizzazioni funzionali che utilizzano processi vicarianti per la presa in carico delle informazioni: queste vicarianze sono dapprima di ordine sensoriale, con una maggiore implicazione del sistema tattilo-uditivo. Esse però sono anche di ordine cognitivo.

I ciechi si servono spesso di altri quadri di riferimento per elaborare i quadri spaziali e, più generalmente, privilegiano più dei vedenti il linguaggio e l'elaborazione astratta dei dati.


Sviluppo affettivo e sociale

Vinello parla del deficit visivo a due livelli:

  • Influenza diretta determinata dalla deprivazione visiva sullo sviluppo psico-fisico del bambino
  • Influenza indiretta sullo sviluppo psicologico, a volte determinata anche dal disorientamento dei genitori di fronte all'handicap del figlio con conseguenti interventi educativi inadeguati.

Le madri dei bambini non vedenti per esempio, tendono a sovrainvestire la parole, limitando esclusivamente ad essa la comunicazione, e quindi togliendo al figlio il piacere legato ad altri canali, quali dondolii, contatto cutaneo ecc.


Com'è noto il bambino è dotato sin dalla nascita di sistemi di segnalazione che suscitano risposte in chi si prende cura di lui. Inizialmente questi comportamenti non sono intenzionali, ma le risposte degli adulti portano il bambino a interagire con loro, attraverso soprattutto il contatto visivo, e portando al legame di attaccamento.

Anche il bambino non vedente è capace di emettere vocalizzi e di sorridere alla stessa età dei bambini vedenti, rispondendo ala voce e alle stimolazioni corporee. Tuttavia non è in grado di stabilire un contatto visivo.. a volte i genitori dei bambini non vedenti rimangono scoraggiati dalla mancanza di uno sguardo reciproco o di una risposta al sorriso.


Si registra poi un ritardo di alcuni mesi in alcune tappe fondamentali, come la capacità di discriminare le figure familiari dagli estranei. E successivamente anche il processo di individuazione/ differenziazione può risultare ritardato in relazione a diversi fattori:

la possibilità del bambino di sperimentare il mondo circostante è legata alla locomozione, e nei bambino non vedente le competenze motorie si sviluppano con notevole ritardo;

l'iperprotezione da parte degli adulti, manifestata attraverso una costante mediazione tra il bambino e l'ambiente circostante o semplicemente come difesa dai pericoli esterni.

Il bambino non vedente, così come acquisisce in ritardo una coscienza della costanza degli oggetti fisici, così tarda ad attribuire alla madre un'individualità separata e un'esistenza indipendente dalla sua presenza fisica.


Il bambino non vedente sembra possedere una serie di competenze di base che rendono possibile uno sviluppo affettivo e sociale simile a quello di un bambino vedente.

Nel rapporto adulto bambino si fa generalmente carico di sostenere l'interazione adattandosi alle modalità comunicative del bambino non vedente, utilizzando in misura maggiore il contatto corporeo e la stimolazione vocale.


Le relazioni con i coetanei, in quanto interlocutori meno disponibili, pongono al bambino non vedente nuovi problemi. Il permanere di tendenze egocentriche proprie del rapporto con la madre poi ostacola il rapporto con i pari.

Le attività ludiche coordinate da un adulto competente appaiono le modalità più adeguate per promuovere lo sviluppo di comportamenti sociali nei confronti di coetanei.

Il bambino con deficit visivo infatti, non essendo in grado di vedere l'attività svolta dal compagno di gioco, tenderebbe a svolgere di preferenza giochi concentrati sul proprio corpo oppure a riprodurre con gli oggetti degli schemi d'azione ripetitivi.


Sviluppo linguistico

L'interesse allo sviluppo linguistico nei bambini ciechi è legato in parte al proposito di verificare il peso che su tale evoluzione possono avere le limitazioni del canale visivo tipiche dei primi scambi fra adulto e bambino non vedente.


Sino a 6-7 mesi non sono state riscontrate differenze nelle vocalizzazioni fra bambino non vedente e bambino normodotati.

Successivamente i bambino non vedente appaiono meno loquaci ma comunque pronti a rispondere alle stimolazioni con vocalizzi.


È possibile ipotizzare che i bambini non vedenti siano a rischio di ritardo nell'acquisizione dei primi vocaboli, sia per i limiti evidenziati nella comunicazione non verbale, sia per la limitata esperienza del mondo esterno che rallenta il processo di conoscenza degli oggetti e delle persone.

Senza la vista il bambino deve compiere un percorso molto più lungo e difficile per costruirsi il mondo degli oggetti, dare loro un nome e attribuire loro qualità e azioni di cui non ha esperienza diretta.

È possibile tuttavia che l'attenzione delle madri a sostenere attraverso altri canali la comunicazione preverbale e a stimolare l'esplorazione e la conoscenza degli oggetti possa in alcuni casi favorire i bambini ciechi fin dalle prime fasi di sviluppo linguistico.


Alcuni aspetti degli input adulto al contrario non favoriscono lo sviluppo linguistico. Emerge infatti che:

i genitori dei bambino non vedente iniziano più frequentemente l'interazione e lo fanno spesso esclusivamente con il solo commento verbale;

tali genitori usano con frequenza molto superiore rispetto agli altri le richieste di informazione, comportamento inadeguato per bambini piccoli;

prevalgono i riferimenti a oggetti potenzialmente interessanti piuttosto che a oggetti presenti nel contesto.


Per le fasi di sviluppo successive, si segnala un ritardo nell'uso appropriato di frasi di due o territorio parole, ancora una volta a causa della discrepanza fra input linguistico e i dati esperenziali.

Quelle che emergono nelle età successive sembrano essere differenze principalmente qualitative, che rifletterebbero la peculiare esperienza della realtà dei soggetti non vedenti. In particolare è stata da più autori sottolineata una certa tendenza all'iperverbalismo: il bambino ripeterebbe molti termini o strutture frasali che sente dall'adulto senza accedere completamente al significato ( colori, o spazi come il mare).

Fenomeno che sembra destinato a spegnersi o attenuarsi con l'ampliamento dell'esperienza e la conoscenza di nuove situazioni.

Gli autori concludono che i bambini ciechi dalla nascita imparano gli stessi elementi lessicali e le stesse relazioni tematiche, e quasi nello stesso ordine, dei bambini vedenti.


Le disabilità multiple

I sordo- ciechi, sono definiti come individui con un deficit uditivo e visivo da moderato a profondo, in presenza o meno di altre disabilità, che necessitano di servizi finalizzato all'incremento del livello di autonomia.


Sono rarissimi i casi di impedimento completo nei vari canali sensoriali. Ciò consente di programmare interventi di potenziamento delle capacità residue, visive e uditive oltre a quelli di addestramento delle altre abilità sensoriale (tattile, olfattiva, cinestesica) . cruciale risulta essere la precocità dell'intervento.


Dal punto di vista comportamentale i bambini con duplice disabilità sensoriale appaiono meno responsivi, meno attivi e meno coinvolti in esperienze di interazione giocosa con i propri genitori.

Essi possono manifestare un maggior numero di comportamenti di autostimolazione e un repertorio ridotto di comportamenti comunicativi preverbali.

La peculiarità dell'handicap determina ridotte possibilità di interazione reciproca fra il bambino e chi si prende cura di lui, ma queste risultano indispensabili per il primo e gratificanti per il secondo.


Interventi riabilitativi ed educativi.

I ritardi di sviluppo del bambino non vedente si dimostrano più o meno consistenti anche in funzione del RUOLO svolto dai genitori e dagli educatori nella relazione con il bambino.

Infatti nonostante le difficoltà connesse con l'handicap sensoriale, la presenza di stimolazioni costanti, di interazioni coinvolgenti e di arricchimenti continui dell'esperienza fanno si che un bambino con handicap visivo possa evidenziare uno sviluppo psicofisico simile a quello di un vedente.


Gli interventi riabilitativi ed educativi rivolti ai bambini non vedenti si pongono dunque come obiettivo principale l'acquisizione di un soddisfacente livello di autonomia. È infatti proprio l'autonomia e sicurezza negli spostamenti che è la premessa essenziale per l'integrazione sociale.


Strumenti di orientamento e mobilità

La maggior parte dei bambini con deficit visivo, e in particolare il bambino non vedente congenito, necessitano di un supporto per l'acquisizione del movimento autonomo.

In generale orientamento e mobilità sono acquisite dal bambino non vedente attraverso attività grosso- motorie come il gioco, ma è necessario che egli sia in possesso di prerequisiti essenziali:

  1. conoscenza del proprio corpo
  2. lateralizzazione
  3. comprensione dei concetti topologici
  4. padronanza delle abilità uditive, tattili, olfattive
  5. controllo posturale.

Il training di orientamento e mobilità prevede dapprima percorsi motori graduati per difficoltà, interamente decisi e guidati dall'adulto; in seguito il ruolo dell'adulto passa in secondo piano e lascia al bambino ampi spazi di autonomia.

I più comuni ausili per la mobilità sono:

L'ACCOMPAGNATORE VEDENTE, per il quale le tecniche di accompagnamento prevedono un controllo dell'accompagnatore da parte del non vedente attraverso indici senso- motori.

IL CANE GUIDA, spesso addestrato alla disobbedienza intelligente in risposta ai comandi pericolosi del non vedente

IL LONG CANE,cioè il bastone lungo, che richiede un maggior livello di attenzione da parte del non vedente, con un maggiore fattore di stress. Attualmente esistono long cane più moderni, che attraverso raggi infrarossi o ultrasuoni avvisano degli eventuali ostacoli.

Al fine di favorire l'autonomia di movimento sin dalla prima infanzia sono anche disponibili dispositivi che contribuiscono alla mobilità del bambino. Tra questi vi sono:

apparecchi per l'infanzia, applicati alle gambe dei bambini per dar loro protezione e opportunità di esplorazione.

giocattoli, come carrelli della spesa che consentono di esplorare lo spazio con un buon livello di protezione.

dispositivi adattivi per la mobilità, hanno le funzioni dei giocattoli ma sono più ingombranti.


Training e strumenti per il potenziamento dell'efficienza visiva.

Con il termine "potenziamento dell'efficienza visiva" intendiamo l'utilizzo significativo del residuo visivo allo scopo di ottenere informazioni sull'ambiente circostante e migliorare l'autonomia.

Per ciascuna delle singole abilità relative alla visione è necessario mettere in atto un pacchetto di strategie da applicarsi con modi e tempi appropriati ai singoli bambini.


Tale intervento si realizza in contesti naturali e significativi con obiettivi di apprendimento predefiniti. Le abilità che è possibile e necessario potenziare sono:

la consapevolezza della luce

l'attenzione alla luce

la localizzazione della luce in vari unti del campo visivo

la localizzazione di oggetti

l'uso della visione periferica


Nei soggetti ipovedenti è possibile potenziare capacità visiva residua mediante l'uso di specifici ausili ottici. Tali apparecchiature si possono distinguere in due categorie:

  • apparecchi per la visione da vicino, come le lenti di ingrandimento
  • apparecchiature per la visione da lontano, come:

sistemi telescopici , utilizzati per ingrandire le immagini e favorire l'autonomia personale e di movimento del soggetto ipovedente

computer a caratteri ingranditi, per lettura e scritto, con i quali si può modificare luminosità e contrasto figura- sfondo

sistema televisivo a circuito chiuso, che è un video ingranditore che consente la lettura.


Strumenti per vicariale la funzione visiva

Il sistema Braille fu inventato da un educatore non vedente, Louis Braille, nel 1829.

La scrittura Braille è costituita da punti in rilievo, da 1 a 6, su due colonne e tre righe, che sono incisi procedendo da destra a sinistra, in modo che girando il foglio la lettura avvenga normalmente da sinistra a destra. Il significato del segno dipende dal numero e dalla disposizione dei punti.

Attualmente con la dattilobraille, si scrive direttamente da sinistra a destra.

Ai soggetti con deficit visivo vengono insegnate le tecniche di utilizzo dei principali sussidi per la lettura e dei sussidi informatici per non vedenti ( pc con display vocale o Braille).


Nonostante quindi la tecnologia sia molto importante, essa non può sostituire la lingua scritta o braille, ma solo rendere i mezzi di comunicazione più fruibili. Quindi il supporto tecnologico amplia la gamma di mezzi di contatto con la lingua scritta che con il solo braille risulterebbero limitati.


L'OPTACON è uno strumento costituito da uno scanner che traduce i caratteri stampati in informazioni tattili, mentre la Kurweil Reading Machine li converte in suoni.

L'utilizzo del pc è consentito grazie a ausili come la sintesi vocale o la Braille Labile, consistente in una riga di caratteri braille i cui puntini in rilievo si possono sollevare e abbassare con impulsi elettrici.






















HANDICAP MOTORIO


Introduzione.

I disturbi motori relativi all'assetto posturale e al controllo dei movimenti sono classificabili dal punto di vista eziologico come problemi di origine organica.


È possibile classificare il disturbo della funzione motoria riconducibile a un preciso substrato organico in base alla localizzazione del danno:

  • DANNO PERIFERICO, cioè disturbo della funzione motoria dell'apparato esecutore.

In questo caso si verifica una degenerazione progressiva delle fibre muscolari e delle fibre nervose fino a una totale compromissione dell'attività motoria, che può essere anche seguita da morte a causa di complicazioni agli apparati cardio- circolatorio e respiratorio.

In forme gravi il decesso avviene entro il 1°-2° anno di età, mentre in forme più lievi, con esordio tardivo individuabile nel periodo adolescenziale o nella prima metà dell'età adulta, si verifica uno sviluppo pressoché normale e la successiva insorgenza di deficit progressivi.

La fisioterapia risulta l'unica forma di trattamento che consente di prolungare l'efficienza muscolare impedendo il precoce costituirsi di deficit secondari.

  • DANNO CENTRALE, cioè disturbo della funzione motoria in seguito a danno del sistema nervoso centrale, che a sua volta si distingue in:

disturbo a danno specifico, in cui vi è un disturbo che è diretta conseguenza di un danno alle aree deputate alla motricità;

disturbo a danno non specifico, in cui il quadro sintomatologico non si caratterizza esclusivamente per la presenza di deficit motorio, ma contempla deficit cognitivi di tale gravità che l'impoverimento della componente motoria assume caratteristiche di rilevanza secondaria, facendo piuttosto parlare di un grave ritardo mentale.


La paralisi cerebrale infantile.

La paralisi cerebrale infantile (Pci ) una delle più descritte disabilità motorie a causa di un danno cerebrale specifico.

Caratteristica peculiare di questi quadri patologici è la presenza di una lesione di varia entità che interessa le strutture encefaliche deputate alla funzionalità motoria.


La definizione più comunemente accettata della Paralisi Cerebrale Infantile la indica come un disordine del movimento e della postura dovuto a un difetto o a una lesione del cervello ancora immaturo ed esclude disturbi di breve durata dovuti a deficit progressivi o dovuti esclusivamente a insufficienza mentale.


Quandi caratteristiche della Paralisi Cerebrale Infantile sono:

PRECOCITÀ della lesione

STABILITÀ della lesione, in quanto il substrato anatomo- patologico non subisce successive modificazioni legate allo sviluppo del bambino. Ciò significa che, mentre i sintomi neuromotori e quindi la varietà e la gravità delle manifestazioni motorie associate possono variare con la maturazione cerebrale, lo stato della lesione rimane tale e non progredisce.


Cause

Le lesioni cerebrali che determinano la paralisi cerebrale infantile hanno un'eziologia che varia secondo il momento di insorgenza:

  • in EPOCA PRENATALE, gli insulti cerebrali possono essere determinati da malformazioni congenite del sistema nervoso centrale, fattori genetici, episodi ishemici, in cui a causa della riduzione del flusso sanguigno in una zona cerebrale, si determina una lesione del tessuto nervoso.
  • In EPOCA PERINATALE, i danni sono imputabili a emorragie intracerebrali, asfissia durante il parto, disturbi respiratori associati a prematurità.
  • In EPOCA POSTNATALE i danni possono essere dovuti a traumi, infezioni o agenti tossici.

Una delle cause postatali più diffuse è un danno neurologico chiamato leucomalacia. È una lesione cerebrale determinata dall'interruzione di ossigeno in alcune regioni encefaliche da cui consegue l'istaurarsi di un processo necrotico, e cioè di morte cellulare, circoscritto a quelle regioni.

La gravità del quadro patologico derivante da tale manifestazione patologica dipende da alcune variabili quali la sede esatta, l'estensione della lesione e il tipo di danno.


Ci sono molti tipi di alterazioni che interessano il sistema nervoso centrale quando questo è ancora in fase di matuazione e che non determinano perdite funzionali di eguale entità rispetto a quando le stesse alterazioni interessano la struttura nervosa matura.

La plasticità cerebrale è un meccanismo di adattamento anatomo- funzionale che promuove un rimodellamento dei circuiti nervosi, e quindi della struttura cerebrale nel suo complesso in risposta alle stimolazioni ambientali.

In caso di lesioni cerebrali precoci, spesso non si determinano evidenti perdite funzionali in seguito a un danno in una regione cerebrale, in quanto si sviluppa un'azione vicariante delle funzioni generalmente espletate dalle suddette aree lese da parte dei circuiti nervosi ridondanti che, in condizioni normali, sarebbero destinati a sparire con il progredire della maturazione, oppure da parte di altre aree.

Nel caso della Paralisi Cerebrale Infantile, però i danni a carico del sistema nervoso sono di tale entità che l'azione di meccanismi vicarianti non è sufficiente a ripristinare la completa funzionalità.


Manifestazioni motorie

La gravità dell'impedimento motorio dovuto a Paralisi Cerebrale Infantile varia secondo la localizzazione e l'estensione della lesione cerebrale.

Accardo distingue la disfunzione motoria a seconda del QSM, ossia il Quoziente Di Sviluppo Motorio, basato sul rapporto tra età motoria e età cronologica, in:

DISFUNZIONE MOTORIA MAGGIORE, che si articola in tre forme principali:

Sindrome spastica caratterizzata da un disturbo del tono muscolare e dal movimento che coinvolge gli arti. Al suo interno vi è una sottoclassificazione, che divide la sindrome spastica in:

tetraplegia, si distingue per un disturbo del tono muscolare e del movimento che si evidenzia sin dalla nascita e che interessa tutti gli arti in egual misura. Lo sviluppo della postura e della motricità risulta fortemente ritardato al punto che la possibilità della deambulazione autonoma e le capacità manipolatorie appaiono fortemente limitate. Si tratta di casi gravi, in cui spesso alla patologia motoria si associano deficit visivi, epilessia e ritardo mentale.

Displegia spastica, in cui i disturbi del tono muscolare e del movimento riguardano in particolare gli arti inferiori, mentre la motricità degli arti superiori è sufficientemente preservata. L'esordio può avvenire dopo il 3-4 mese di vita.

In genere la deambulazione autonoma è raggiunta e talvolta non necessita di ausili; inoltre risulta normale lo sviluppo dell'intelligenza e del linguaggio. Frequenti sono lo strabismo, le contratture muscolari e le deformità articolari degli arti inferiori.

emiplegia spastica interessa più frequentemente la parte distale degli arti superiori o di quelli inferiori ( ad esempio mano o piede).

Anche in questo caso la deambulazione autonoma è raggiunta. Talvolta si evidenziano ritardi nello sviluppo dell'intelligenza e, a seconda dell'emisfero cerebrale leso, problemi nello sviluppo del linguaggio.


La SINDROME ATASSICA è caratterizzata da un disturbo della coordinazione dei movimenti. Fin dalla nascita si presenta con un evidente ipotonia.

Lo sviluppo psicomotorio è ritardato e così anche lo sviluppo del linguaggio. A volte è presente un deficit mentale.

Si possono distinguere due forme della sindrome:

atassia congenita

diplegia atassica, in cui vi è la sovrapposizione della diplegia spastica e dell'atassia.


La SINDROME DISCINETICA, risulta da disfunzioni del sistema extra- piramidale, ossia il sistema coinvolto sia nel controllo della muscolatura volontaria che in quella involontaria. La sindrome si manifesta in due forme:

forma atetosica, caratterizzata da ipotonia e presenza di movimenti lenti, aritmici, continui e involontari, in cui l'intensità aumenta durante l'esecuzione di movimenti volontari. Il quadro è presente sin dai primi mesi di vita, con un particolare interessamento della muscolatura del viso, della lingua e della parte distale degli arti.

Forma distonica, che si distingue per un'alterazione della regolazione del tono muscolare che determina ampie variazioni di questo: dall'ipotonia in condizioni di riposo all'assunzione di posture sovrapponibili a quelle delle sindromi spastiche in condizioni di sollecitazione motoria.


I deficit associati.

Vi è spesso la presenza di deficit associati all'impedimento motorio, che riguardano principalmente:

ritardi mentali

deficit uditivi e visivi

strabismo

epilessia

soprattutto in adolescenza, problemi a carattere emotivo/comportamentale.


Per quanto riguarda i disordini affettivi e comportamentali questi sono presenti con una frequenza maggiore rispetto alla popolazione normale: è soprattutto l'iperattività ad essere associata alle paralisi cerebrali.

Nei casi in cui è presente anche il ritardo mentale è più probabile l'emergere di una forma psicotica.



Lo sviluppo della conoscenza

Il bambino con Paralisi Cerebrale Infantile può manifestare disturbi cognitivi che sono direttamente imputabili alle lesioni delle aree cerebrali deputate alle funzioni cognitive superiori.


Secondo una prospettiva piagettiana la formazione della conoscenza nei primi anni di vita è legata all'attività esplorativa, intesa come capacità di eseguire comportamenti manipolatori o motori su un oggetto finalizzati a ottenere informazioni sul mondo circostante: da ciò consegue che le operazioni intellettuali originano da azioni reali. I processi inferenziali sarebbero legati all'atto motorio.


Secondo Bruner potrebbero però essere gli elementi anticipatori del risultato dell'azione, e cioè i tentativi di scelta di mezzi e l'attento controllo sulla sequenza e non l'esecuzione di un movimento disordinato e scorretto a consentire lo sviluppo della conoscenza astratta. L'intervento riabilita-tivo non può quindi prescindere da questi aspetti.


L'apprendimento e il controllo motorio del bambino.

Sebbene la Paralisi Cerebrale Infantile riguardi precisamente gli aspetti esecutivi, la lesione può colpire, oltre al comportamento motorio, anche le capacità sensoriali e percettive, e più in generale la capacità di elaborazione delle informazioni.


L'indagine diagnostica dovrà perciò comprendere:

una valutazione sensoriale,

dello sviluppo cognitivo,

dell'organizzazione percettiva e prussica,

dello sviluppo affettivo.


La valutazione.

Quando parliamo di valutazione del bambino con Paralisi Cerebrale Infantile ci riferiamo a un'indagine delle conseguenze del disturbo:

  • sul piano ANATOMICO STRUTTURALE.

Nel caso della Paralisi Cerebrale Infantile infatti l'indagine anatomica è essenziale e quindi deve essere ben documentabile la presenza del danno cerebrale. Dall'entità e dalla localizzazione del danno si possono poi effettuare previsioni sulla gravità e sulle caratteristiche qualitative del conseguente impedimento motorio.

Alla luce di queste informazioni è poi possibile delinearne il decorso e progettare un intervento riabilitativo adatto a consentire lo sviluppo delle funzioni cognitive superiori, l'emergere delle quali è particolarmente ostacolato dalla presenza del deficit motorio.

  • sul piano della FUNZIONALITÀ MOTORIA, attraverso scale di osservazione della motricità spontanea gia nelle prime settimane di vita, che danno informazioni sulla funzionalità motoria basata sull'integrità di esecuzione di movimenti spontanei.
  • sul piano COGNITIVO, il problema della valutazione cognitiva precoce consiste nel fatto che essa è strettamente legata alle funzioni motorie.

L'utilizzo di uno strumento come il corpo di scale ordinali dello sviluppo psicologico di Uzgiris- Hunt consente di superare alcune delle difficoltà insite in questo tipo di rilevazione.

Tale strumento è applicabile con bambini da 1 a 24 mesi e trova la sua base teorica nel modello piagettiano di sviluppo dell'intelligenza e si compone di 6 scale articolati in livelli di prestazione.

L'impiego di questo strumento consente di ottenere informazioni di carattere qualitativo sul livello di sviluppo delle strutture di pensiero, informazione indispensabile alla progettazione e messa in opera di un approccio riabilitativo mirato a sfruttare le potenzialità del bambino per il raggiungimento di obiettivi realistici.


La spina bifida

Questo disturbo è causato da un'errata fusione della parte che formerà la colonna vertebrale del bambino: ciò determina una fenditura (spaccatura) ossea attraverso cui protrudono le membrane che rivestono la spina dorsale (meningi).


Le conseguenze nel bambino variano a seconda della localizzazione e dalla gravità della fenditura.

L'80% dei casi è costituito da un danno alla parte inferiore della schiena, in particolare nella zona lombo-sacrale.

Il grado di disabilità motoria e sensoriale nella spina bifida dipende da una serie di fattori, come il luogo della lesione spinale e la presenza di deformità dal punto di vista ortopedico.

Collegato al problema motorio spesso si verifica una disfunzione della vescica e degli sfinteri, con possibile compromissione dell'apparato renale.


La popolazione di bambini e adolescenti con spina bifida risulta avere un'intelligenza nella norma, anche se a volte risultano problemi di apprendimento e problemi di tipo percettivo.

Alcuni bambini con spina bifida e idrocefalo manifestano problemi di apprendimento tali da compromettere una serie di competenze sociali che sono apprese attraverso l'osservazione del comportamento altrui.

Tali bambini manifestano così bassa tolleranza alla frustrazione, difficoltà nell'alternanza dei ruoli e nella comprensione delle regole sociali, difficoltà nel comprendere la comunicazione non verbale ecc.


Lo sviluppo psicologico

Il sé nucleare si organizza e costruisce grazie anche alla conquista da parte del bambino della piena padronanza del corpo, della gestualità, delle proprie azioni.

È quindi attraverso il comportamento motorio che il bambino raggiunge tappe dello sviluppo psicologico che gli consentono l'organizzazione di una propria identità.


Il bambino con Paralisi Cerebrale Infantile manifesta un'eccessiva dipendenza dalla madre, con la quale stabilisce un rapporto di fusione- confusione in cui egli perde la coscienza dei propri limiti, determinata dal vivere attraverso il corpo e la mente dell'altro un'illusione di realtà.

Nelle situazioni di disabilità motoria il sostegno professionale e la motivazione del bambino rivestono un ruolo di primaria importanza non solo sulla capacità i sviluppo motorio, ma anche e soprattutto sullo sviluppo psicologico legato alla coscienza dell'handicap, alla capacità di mettersi in relazione con il proprio mondo interno, integrando le parti malate del proprio corpo e consentendo l'accesso a livelli più evoluti di simbolizzazione.


Solo in corrispondenza del pieno sviluppo del linguaggio e della maturazione della percezione, comincia a manifestarsi la coscienza dell'handicap.

Il raggiungimento di tale consapevolezza è seguito dall'insorgere di stati depressivi, collegati in adolescenza alla percezione della propria immagine corporea in rapporto con quella dei propri pari, dal cui confronto emerge il vissuto di imperfezione fisica aggravato dalla condizione di irreversibilità e permanenza.


L'adolescente che si percepisce inadeguato può manifestare un ritiro dall'esperienza verso la fantasia oppure elaborare un'immagine compensatoria falsa.

In entrambi i casi risulta diminuire l'interazione formativa con l'ambiente circostante.

In caso di handicap motorio tale situazione è avvantaggiata dalla condizione oggettiva di disabilità.


Da alcune ricerche per esempio è emerso che ragazzi con Paralisi Cerebrale Infantile siano meno esposti alla cultura e all'influenza dei pari, anche perché molto spesso questi ragazzi sono costantemente seguiti e accompagnati da familiari anziché da coetanei.

Questo inevitabilmente porta a un forte isolamento sociale che ha conseguenze sull'acquisizione della capacità di interazione in senso lato e sulla possibilità di instaurare relazioni privilegiate.


Aspetti poi quali la sessualità sono influenzati negativamente non solo dall'impedimento motorio, ma anche dalla possibilità di apprendere comportamenti appropriati. Il sostegno esterno riveste così un ruolo importante diretto anche alla realizzazione di un progetto educativo rivolto a questi aspetti della sessualità, con il quale non si intenda solo trasmissione di nozioni sul funzionamento sessuale, ma anche insegnamento, guida e apprendimento di espressioni e gesti appropriati.


Gli aspetti relazionali

v I GENITORI.

Dal punto di vista psicologico non è raro che i genitori non riescano a considerare un bambino con handicap motorio nella sua complessità e che stabiliscano una relazione preferenziale con la parte malata: ciò determina un'eccessiva concentrazione di risposte selettive sui bisogni speciali legati alla motricità, a svantaggio dei reali bisogni infantili, uguali a quelli di tutti i bambini.

L'aiuto primario che deve venire dagli operatori è mirato a favorire il superamento del trauma iniziale dovuto alla discrepanza tra il bambino reale e quello ideale, così come era stato fantasticato durante la gravidanza.

Questo per consentire il passaggio da una relazione puramente assistenziale a una relazione parentale nel pieno senso del termine.


La famiglia sembra avere un ruolo importante come moderatore delle reazioni agli stress recenti: infatti le famiglie con clima positivo risultano avere un ruolo di forte contenimento dello stress.


In un recente lavoro, i genitori di bambini con spina bifida mostrano maggiori difficoltà di adattamento rispetto ai genitori di bambini senza disabilità motorie, manifestando inoltre un minor livello di soddisfazione nel ruolo genitoriale.


v L'INTERAZIONE CON I PARI

Il problema dell'integrazione dei soggetti con severi handicap fisici, riguarda soprattutto la loro percezione di inadeguatezza fisica.

Nei bambini le categorizzazioni sono largamente influenzate dalle caratteristiche fisiche e comportamentali delle altre persone e tendono a essere semplici, superficiali ed esclusive.

Alcuni autori hanno evidenziato come a scuola i coetanei dei bambini con gravi handicap rivolgano loro numerose iniziative interazionali.

Questo numero è però soggetto a un calo col procedere nel tempo: ciò fa supporre che il possesso di abilità comunicative che consentono la produzione di risposte sociali adeguate sia cruciale per il mantenimento della relazione.


L'aiuto dell'operatore potrebbe risultare efficace se rivolto soprattutto alla mediazione degli aspetti riguardanti l'intraprendere relazioni d'amicizia con i pari.

Alla particolarità delle relazioni che vedono coinvolti i bambini disabili possono contribuire anche le conoscenze che in generale i bambini hanno dell'handicap.


Interventi.

Affrontare il problema del trattamento riabilitativo delle Paralisi Cerebrale Infantile ci conduce a considerare la situazione di grande eterogeneità degli approcci, derivante da una altrettanto grande varietà delle figure professionali implicate e della loro disomogenea formazione culturale.


Più che di riabilitazione nel caso dell' handicap motorio si preferisce parlare di integrazione. Si ritiene infatti che in questo caso specifico è più grave il rischio di un'emarginazione del soggetto, dovuta a cause maggiormente imputabili all'ambiente circostante piuttosto che all'inabilità in quanto tale.

Importante poi deve essere l'attenzione soprattutto verso quegli ostacoli esterni che impediscono o limitano questi individui nello svolgimento delle normali attività quotidiane: le barriere architettoniche.


L'uso del computer.

Alla luce della campagna per l'integrazione dei soggetti portatori di handicap, riveste un ruolo molto importante l'utilizzo di nuove tecnologie studiate per favorire questi processi.

Negli ultimi anni si è assistito a una grande diffusione del computer anche nell'ambito della disabilità motoria.

L'utilizzo di questo strumento può assumere una doppia valenza nelle situazioni di handicap:

1. nei casi di handicap mentale o di disturbi dell'apprendimento può risultare un valido strumento a disposizione dell'educatore,

in caso di handicap fisico/ sensoriale esso assume talvolta i connotati di una protesi, dove con questo termine vogliamo sottolineare il fatto che l'utilizzo del computer può costituire, nei casi più gravi "l'unica possibilità di interazione costruttiva e autonoma con la realtà".


Nonostante gli indubbi vantaggi esso però:

rimane uno strumento rigido, sia rispetto alla persona che lo utilizza che rispetto alla varietà delle attività consentite;

il suo utilizzo richiede un'acquisizione di competenze supplementari a quelle richieste per l'esecuzione dei compiti proposti;

è sconsigliabile il suo utilizzo con soggetti con difficoltà relazionali poiché potrebbe favorire eventuali tendenze all'isolamento.





























HANDICAP MENTALE


Premessa

La tendenza attuale dei teorici, sull'elaborazione dell'informazione, è considerare l'intelligenza non come un fenomeno unitario, ma come l'insieme di una serie di componenti.


La definizione di ritardo mentale del DSM III del 1987, fa riferimento solo in parte alla multidimensionalità dell'intelligenza e comprende tre aspetti principali:

  1. un livello di funzionamento intellettivo generale sotto la media
  2. una difficoltà  o incapacità di adattamento
  3. un'insorgenza in età evolutiva. Entro i 18 anni.

Nel 1992 fu data una nuova definizione, che, nella valutazione del ritardo mentale, teneva conto anche delle differenze culturali e linguistiche che possono influenzare la prestazione della persona e la correttezza stessa del procedimento diagnostico. Si centra così l'attenzione su tre elementi chiave:

le capacità

gli ambienti di vita



il funzionamento reale.

Tale nuovo paradigma è alla base del DSM IV del 1995, un nuovo sistema di valutazione che comprende una descrizione accurata dei punti di forza e di debolezza rilevabili nelle capacità soggettive e nell'ambiente, ma anche una serie di supporti necessari nelle varie aree.

Inoltre la valutazione diagnostica non si basa sul livello del ritardo (lieve, moderato, severo, profondo), bensì sull'intensità dei supporti necessari ( intermittente, limitata, estesa, pervasiva).


Sono state molte le critiche rivolte però a tale classificazione, che riguardano:

la mancanza di precisione sia per il livello di QI indicati come demarcatori tra normalità e patologia (70-75), che rendono difficoltosa la classificazione nei casi al limite della norma.

l'attendibilità delle misure del comportamento adattivo

le regole per determinare l'intensità del rapporto necessario.


Il termine Ritardo mentale fa pensare all'adesione alla teoria per la quale lo sviluppo di tali soggetti è più lento, ma non diverso da quello dei soggetti normodotati.

Il termine handicap mentale più in generale, fa riferimento invece agli effetti negativi che danni alle strutture o alle funzioni psicologiche possono avere sull'attività intellettiva di un individuo inserito in una capacità.

Solitamente però le diciture sono utilizzate con equivalenza di significato.




Cause

Sono molteplici i fattori alla base dell'handicap mentale ( sia biologici che ambientali).

Le cause principali sono:

BIOLOGICHE CROMOSOMICHE o GENETICHE, come alterazioni cromosomiche, forme ereditarie dominanti o recessive, a causa di malformazioni ( come micro/ macrocefalo) e per malattie endocrine.

BIOLOGCHE NON GENETICHE, le quali non sono facilmente quantificabili in quanto non è sempre possibile individuare un fattore causa/ effetto tra i fattori di rischio e il manifestarsi poi del ritardo. Attualmente poi per molte di tali cause esistono forme di prevenzione quali vaccini, monitoraggio costante in gravidanza, individuazione di eventuali incompatibilità sanguigne.. I rischi nelle cause biologiche non genetiche possono essere:

rischi prenatali, come infezioni durante la gravidanza, incompatibilità di sangue materno/paterno, assunzione in gravidanza di farmaci, droghe o alcool, irradiazioni, malnutrizione, problemi cronici di salute materna come il diabete...

rischi perinatali, come nascita prematura, sofferenza alla nascita, infezione da herpes genitale materno, trauma cranico durante il parto.

Rischi postatali, come infezioni quali la meningite, traumi cerebrali, carenze ormonali e malnutrizione.

  • AMBIENTALI. Alcuni studiosi ritengono infatti di poter suddividere coloro che sono affetti da ritardo mentale in due gruppi, ( cause organiche- cause ambientali). Risulta infatti che i ritardi mentali gravi sono per lo più legati alle principali patologie del sistema nervoso centrale, mentre quelli lievi sono di solito conseguenza di fattori ambientali.

Tra tali fattori ambientali vi sono gravi carenze educative, soprattutto in presenza di madre con deficit intellettivo, per una mancata risposta ai bisogni primari, di carenze affettive, di inadeguata stimolazione a livello cognitivo.

Si è notato comunque notevoli progressi nei bambini gravemente compromessi in seguito a deprivazioni, grazie ai cambiamenti con l'ambiente.

Il riconoscimento del ruolo dell'ambiente assume un ruolo molto importante, perché:

mette in crisi l'idea che l'handicap sia immutabile, facendo largo al concetto che l'intelligenza è modificabile attraverso un intervento educativo e riabilitativo

anche nelle situazioni in cui vi è un danno organico di partenza, le differenze dei contesti educativi incidono largamente sui livelli di competenza, adattamento e qualità dei percorsi di vita individuali.


La valutazione

Al fine di garantire una diagnosi sempre più corretta e funzionale, concorrono vari tipi di valutazione:


v DIAGNOSI MEDICA.

Una diagnosi medica accurata è necessaria per tre ragioni:

1. per individuare quei casi in cui è possibile un intervento chirurgico o farmacologico che impedisca, attenui o rallenti il deterioramento mentale. Si tratta poi di discriminare quelle sindromi a carattere degenerativo per poter poi indirizzare l'intervento al fine di contenere tali processi.

2. per individuare precocemente eventuali altri deficit associati e potersi attrezzare al più presto per affrontarne le conseguenze

3. l'identificazione o l'esclusione di una causa genetica è importante per una programmazione serena e consapevole di eventuali future nascite da parte dei genitori.


v DIAGNOSI PSICOMETRICA E PSICOLOGICA

Al fine di riconoscere e quantificare il ritardo mentale è necessario il ricorso a test standardizzati che valutino il QI, ossia il Quoziente Intellettivo.

I test dai quali è ricavabile una misurazione dell'intelligenza in termini di QI sono generalmente indirizzati alla seconda infanzia.

Per le fasce d'età precedenti esistono prove che ci consentono di valutare il Quoziente di sviluppo.



Nella valutazione della primissima infanzia, il metodo è quello di:

I. misurare il decremento di attenzione che l'infante manifesta per aspetti dell'ambiente che non cambiano ( abitazione);

II. successivamente misurare il recupero di attenzione che si verifica quando l'infante si accorge di qualcosa di nuovo nell'ambiente (risposta alla novità).

Un maggior recupero di attenzione per lo stimolo nuovo e un veloce decremento di attenzione per lo stimolo ripresentato sono interpretati come efficienti modalità di elaborazione dell'informazione.


La misurazione del QI può avvenire in due modi diversi:

in alcuni casi si ricava dal rapporto tra età mentale ed età cronologica, moltiplicato per cento;

in altri lo si intende come Quoziente di deviazione, sulla base dello scarto tra la prestazione di un individuo e quella della media dei suoi coetanei.

Il Quoziente Globale , dato dal Quoziente verbale, in cui sono valutate le abilità strettamente legate all'espressione verbale e alle influenze culturali, e dal Quoziente di Performance, di tipo non verbale.

Esso consente di poter confrontare su basi standardizzate due tipologie di competenze e di rilevare eventuali discrepanze nell'evoluzione del soggetto. Sulla base dei punteggi globali ottenuti si registrano i seguenti livelli di ritardo mentale:

lieve

moderato

grave

profondo.


È necessario che tali test siano somministrati da persone competenti e che non siano mai l'unica base per individuare e quantificare un ritardo mentale.

Il QI deve essere affiancato da altri strumenti diagnostici, come test per l'organizzazione psicomotoria, per la percezione visiva, test di memoria e di comprensione verbale ecc.

La diagnosi psicometria va inserita in una valutazione globale della persona e del suo ambiente, al fine di configurarla come diagnosi di sviluppo, che partirà dalla storia delle principali acquisizioni del soggetto, mettendone in luce disfunzioni, deficit, competenze e potenzialità.

Infatti un elemento considerato nelle definizioni ufficiali di ritardo mentale è l'adattamento all'ambiente, valutato attraverso vari test, come quello di sviluppo sociale di Hurting e Zazzo.


v LA VALUTAZIONE CLINICA

Questa valutazione tende a situare le prestazioni del bambino in relazione alla progressione studiale proposta da Piaget.


Essa si propone di superare le tradizionali scale psicometriche, che informano sulle abilità acquisite dal bambino, ma nulla dicono sui processi sottostanti tali abilità.

Si utilizza il colloquio clinico e le prove Piagetiane, al fine di stabilire quali sono le modalità di ragionamento che il bambino usa per spiegare i fenomeni e risolvere i problemi.

Questa valutazione dunque fornisce informazioni a carattere qualitativo sull'organizzazione del pensiero infantile. È importante al fine di capire se il bambino con ritardo mentale ha accesso al pensiero simbolico e quanto sia ancorato ai dati percettivi per la risoluzione di un problema.


Handicap mentale e di sviluppo.

La compromissione causata dall'handicap mentale può riguardare anche aspetti della personalità non strettamente collegati allo sviluppo intellettivo.

È importante innanzitutto adottare una certa cautela al fine di non generalizzare i singoli risultati. Infatti molti casi di ritardo mentale sono associati ad altre patologie. In casi per esempio di epilessia o di Paralisi Cerebrale Infantile, il disturbo della personalità potrebbe essere legato alla percezione della malattia che comporta l'essere soggetto a crisi epilettiche o al riflesso delle menomazioni fisiche sullo sviluppo del se e della propria autostima.


Sviluppo cognitivo e linguistico

Vi sono alcune qualità di pensiero che sembrano caratteristiche dei soggetto con handicap intellettivo:

  • CONCRETEZZA, che si esprime a diversi livelli:

in senso generale come incapacità a raggiungere il pensiero astratto

in termini piagetiani in impossibilità a superare lo stadio delle operazioni concrete e in molti casi permanenza a uno stadio preoperatorio;

il soggetto rimane così centrato su una sola dimensione del problema, incapace di rappresentarsi mentalmente un'azione e il suo opposto, oppure sull'incapacità di una classificazione categoriale in elementi con caratteristiche differenti ( topo/ elefante = animali)

  • RIGIDITA', in stretto collegamento con la concretezza, essa è l'elemento che ostacola l'estensione di una conoscenza a situazioni diverse da quelle di acquisizione.

A causa di tale rigidità il bambino insufficiente mentale non è in grado per esempio di mediare tra due obiettivi diversi, tendendo a raggiungerne uno solo, in maniera ostinata.

In questo caso si parla di atteggiamento del "tutto o niente": il debole di mente cioè tende a impegnarsi a fondo nel proprio compito, oppure lo interrompe con qualcosa di completamente diverso.

  • LIMITI NELLA PIANIFICAZIONE, ma anche di prevedere, di andare al di la dei propri sensi attraverso attività immaginative e creative. Tutti elementi strettamente collegati alla concretezza e alla rigidità mentale. A queste caratteristiche poi si aggiungono anche:

tendenza a regredire verso forme di pensiero precedenti

inerzia

passività...


Alcune di queste caratteristiche potrebbero essere legate a fenomeni di isolamento e di emarginazione che nei tempi passati hanno caratterizzato la vita di questi individui e delle loro famiglie. Attualmente si preferisce quindi indirizzare gli studi verso settori più specifici, quali:

  • L'ESPERIENZA PERCETTIVA, caratterizzata da una maggiore lentezza e imprecisione e improntata al sincretismo, ossia all'incapacità a collegare e integrare diversi dati percettivi in unità strutturate, a cogliere relazioni fra i diversi punti di una configurazione nonché i rapporti fra le parti e il tutto.
  • TEMPI DI REAZIONE, che aumentano in proporzione alla diminuzione del QI e siano quindi particolarmente lenti nella popolazione ritardata, sebbene si riscontri al suo interno una maggiore variabilità che fra soggetti normodotati.
  • LA MEMORIA, ha un ruolo molto importante, in quanto la sua limitazione ha influenza sulle abilità cognitive.

Le difficoltà principali riguardano:

la minore capacità di organizzazione del materiale da ricordare,

il momento dell'immagazzinamento e quello di recupero dati.

Tali difficoltà riguardano soprattutto il materiale verbale, come per esempio liste di parole.

Per quanto riguarda la memoria a breve termine i deficit in questo ambito riguardano principalmente l'incapacità di utilizzare la ripetizione.


Le ABILITÀ COMUNICATIVO- LINGUISTICHE, rivestono particolare importanza data la loro centralità nella definizione dell'intelligenza umana e l'influenza sulle prospettive di inserimento sociale dell'individuo.

Il DSM IV indica come nel ritardo mentale lieve e moderato esse vengano acquisite di norma nel periodo prescolare, mentre nei casi di ritardo mentale grave l'apprendimento risulterebbe incerto e più tardivo ( periodo scolastico).


Da uno studio condotto da Mc Lean, la popolazione con ritardo mentale è estremamente eterogenea per quanto riguarda le abilità linguistiche e nell'utilizzo di forme simboliche.

Le carenze linguistiche si esprimono generalmente a vari livelli:

le abilità di comprensione e espressione verbale si evolvono con un ritardo marcato rispetto ai coetanei;

si riscontra una povertà lessicale, estrema semplicità e scorrettezze nella struttura sintattica

difficoltà a livello pragmatico, sia nell'uso adeguato del linguaggio rispetto ai diversi contesti, sia nel fare presupposizioni corrette sulle conoscenze e aspettative dell'interlocutore.


Per quanto riguarda gli APPRENDIMENTI SCOLASTICI , la discrepanza segnalata tra gli apprendimento della prima e della seconda infanzia e quelli connessi alla scolarizzazione sembra dovuta almeno in parte all'inizio di un'istruzione formale che spesso consente, almeno ai bambini con lieve insufficienza mentale, di imparare a leggere, scrivere e a fare semplici calcoli.


Analogamente nella conquista delle AUTONOMIE SOCIALI, mentre viene raggiunto a buon livello nella cura e igiene personale, così come nell'autonomia in brevi spostamenti e nella scelta delle attività ricreative, si riscontrano problemi più rilevanti nell'uso del denaro, competenze che spesso non sono oggetto di un'istruzione scolastica esplicita.


Sviluppo sociale e della personalità

Il problema posto è se ci possa essere una personalità integra in presenza di svantaggio intellettivo.

È indiscutibile che i problemi psicologici e di personalità riguardino i soggetti ritardati in misura significativamente maggiore rispetto alla popolazione senza handicap intellettivi.

Fra questi problemi si riscontrano:

nei ragazzi più grandi l'ansia, la paura dell'insuccesso, la tendenza al ritiro;

nei ragazzi più piccoli l'impulsività, l'iperattività e la bassa tolleranza alle frustrazioni.

Diversi autori segnalano poi un'eccessiva dipendenza dall'ambiente, che rende i soggetti con ritardo mentale particolarmente influenzabili e suggestionabili.


Tali problemi non sono relazionabili esclusivamente al ritardo mentale, ma anche a suoi effetti indiretti, quali per esempio la frequente sperimentazione di insuccesso e il conseguente basso livello di autostima.

Inoltre la capacità di accoglienza dell'ambiente familiare prima e scolastico/sociale poi, è di estrema importanza per soddisfare i bisogni fondamentali di intimità e di amore che consentono uno sviluppo non patologico della personalità.


Per quanto riguarda le tappe dello sviluppo sociale, diversi autori evidenziano uno stretto legame tra competenza sociale e competenza cognitiva.

Gli studenti con ritardo mentale valutano se stessi come più competenti dal punto di vista sociale se vengono valutati dagli insegnanti migliori dal punto di vista del funzionamento scolastico, misurato in termini di orientamento al compito.


L'intervento

Alcune linee generali di comportamento sembrano essere alla base di una presa in carico dell'insufficiente mentale:

la presa in carico va rivolta sia alle dimensioni cognitive che allo sviluppo globale della persona e della sua socializzazione;

considerare i meccanismi di compensazione messi in atto da ogni soggetto, consente di partire da una valutazione centrata non solo sui suoi deficit, ma anche sulle sue potenzialità di superamento e così considerare ogni individuo non come parte di una categoria, ma come portatore di una propria individualità.



L'approccio comportamentale

La BEHAVIOR MODIFICATION è un approccio terapeutico applicato in ambito educativo, nel training e nella gestione di bambini con ritardo mentale.


Gli ambiti di applicazione sono dunque l'insegnamento di abilità e competenze in diversi settori, il miglioramento dei comportamenti adattivi e la riduzione dei comportamenti devianti, che possono costruire un ostacolo per tali apprendimenti ( cognitivo- sociale- di autonomie ecc).


Le principali tecniche comportamentali consistono nel creare le condizioni affinché le conseguenze dei comportamenti individuali siano programmate puntualmente in modo da incoraggiare i comportamenti voluti e scoraggiare quelli indesiderati.

Esiste dunque un sistema di rinforzi, all'interno del quale si può scegliere quello più adeguato al raggiungimento dei propri scopi:

sono rinforzi positivi le gratificazioni sociali, come le lodi, cosi come le ricompense mate-riali

sono rinforzi negativi le punizioni e i comportamenti di estinzione, basati sull'ignorare l'azione indesiderata.


Esistono poi una serie di tecniche e metodologie finalizzate all'acquisizione di comportamenti adattivi:

lo SHAPING, che è un metodo in cui vengono rinforzati comportamenti sempre più simili a quello desiderato;

il CHAINING, che consiste nel proporre gradualmente ogni singola operazione per giungere all'attuazione del comportamento complesso;

il PROMPTING consiste nel fornire l'aiuto necessario al completamento di una determinata attività. Una volta che il comportamento si è stabilizzato e, nei casi in cui è necessario, viene generalizzato, il suggerimento può essere abbandonato.


La riabilitazione della metamemoria

Gli studi sul ruolo della metacognizione nel ritardo mentale si propongono di comprendere quale livello di conoscenza del proprio funzionamento mentale possiede il soggetto e come utilizza tale conoscenza nell'affrontare i compiti di vario tipo.


Esso nasce dalla constatazione che spesso in un quadro di ritardo mentale sono proprio le capacità di usare strategie e di generalizzare le competenze acquisite, ad essere maggiormente deficitarie.


Ci si è proposti quindi di progettare e realizzare percorsi educativi e riabilitativi centrati non tanto sulle singole competenze, ma sulla più generale capacità di apprendimento.

Si tratta di spostare l'impegno e il relativo investimento di energie dall'insegnamento delle singole abilità, all'insegnamento di strategie, finalizzato al loro mantenimento nel tempo e alla loro applicazione pratica.



Un esempio potrebbe essere quello di una strategia mnemonica immaginativa, che consiste nel far uso di immagini mentali, rappresentandosi mentalmente e guardandosi con l'occhio della mente parole, concetti, idee che si vogliono apprendere.

Un altro esempio è costituito dalle strategie organizzative, che attraverso una classificazione del materiale da ricordare, alleggeriscono il carico della memoria di lavoro.

Quest'ultima strategia, a differenza della precedente, è più complessa, in quanto poggia su prerequisiti di accesso categoriale non presenti in tutti i soggetti ritardati.


In questi casi si parla di un deficit di produzione, in cui la strategia è disponibile, ma non viene utilizzata spontaneamente dal bambino: occorrerà tentare un insegnamento all'uso di tale strategia.

Esiste poi un deficit di mediazione, che non permette di mettere in pratica la strategia neanche quando questa è esplicitamente insegnata e suggerita. In questo caso si potrà ripiegare su strategie più semplici o lavorare sull'atteggiamento strategico generale del soggetto.


Importante da sottolineare è poi il ruolo della persona con handicap nel processo riabilitativo: il soggetto diventa protagonista del suo apprendimento e l'impegno dell'educatore è quello di restituirgli un feedback rispetto alle sue prestazioni, non tanto in termini di premio, quanto in termini di consapevolezza dei risultati dei propri sforzi.


Problematiche connesse alle situazioni di gravità.

Il criterio di gravità non può essere assoluto, in quanto non si può definire né quando né in rapporto a cosa la condizione di una persona può essere definita grave.

Le condizioni che portano a definire una persona gravemente handicappata sono:

  • sono definiti gravi e profondi i soggetti il cui QI cade al di sotto dei 45 e 25 punti.

L'insufficienza mentale profonda è caratterizzata:

da un'età mentale che non oltrepassa i 2-3 anni,

da un'assenza quasi totale di linguaggio

da un livello parziale di autonomia anche nelle condotte più elementari della vita quotidiana

da una totale dipendenza dalle altre persone.

da risposte del soggetto che seguono il criterio del "tutto o niente", senza operare nessuna analisi o distinzione all'interno della realtà.

  • Gravi sono anche definite anche le situazioni in cui gli individui non hanno accesso al mondo della simbolizzazione, rendendo improbabile qualsiasi forma di elaborazione culturale.
  • Si riscontrano alterazioni relazionali massicce, con isolamento o ritiro affettivo, stereotipie sotto forma di dondolii, scariche aggressive, impulsività, automutilazioni ecc.

L'intervento nei confronti di persone così gravemente compromesse non si può tradurre in accanimento riabilitativo nei confronti di ogni singola abilità.

L'obiettivo principale in questi casi è lavorare per un assetto migliore possibile della globalità della persona, orientando l'intervento al benessere e a una migliore qualità della vita.


In questi casi non occorrerà tanto curare quanto prendersi cura:

con il termine curare si intende vedere il problema sotto il profilo medico, che si scontra contro l'inguaribilità di questi soggetti, che al contrario sono spesso esposti a ulteriori deterioramenti;

con il termine prendersi cura si vuole intendere l'idea che nei casi di compromissione così grave, ci troviamo di fronte a una persona che ha diritto a una presa in carico dei suoi problemi e a un intervento equidistante dagli opposti rischi di accanimento terapeutico e di atteggiamento puramente assistenzialistico.













































DISTURBI DELL'APPRENDIMENTO


Introduzione.

Il termine disturbi dell'apprendimento raccoglie in se diverse accezioni:

nel senso più generale comprende ogni tipo di condizione che esprime bisogni speciali

più in particolare può riferirsi a ogni tipo di condizione che esprime ritardo mentale lieve;

può comprendere casi in cui sono presenti disturbi dell'apprendimento, cioè legati a problemi relativi a competenze quali la lettura, la scritto ecc.


Gli aspetti generali.

La definizione.

Nel dare una definizione di disturbi dell'apprendimento specifico, nel 1977 l'Office of Education, indicò come portatori di tale difficoltà:

quei bambini che hanno un disturbo in uno o più processi psicologici di base coinvolti nella comprensione e nell'uso del linguaggio, parlato o scritto,

e che tale disturbo possa manifestarsi attraverso deficit nella capacità di ascoltare, pensare, parlare, leggere, scrivere correttamente e fare calcoli matematici.

I deficit includono condizioni quali gli handicap percettivi, danni cerebrali, disfunzioni cerebrali minime, dislessia..

La definizione esclude i bambini che hanno difficoltà di apprendimento risultanti principalmente da deficit sensoriali visivi e uditivi, handicap motori, ritardo mentale, disturbi emotivi o svantaggi di carattere ambientale, culturale e economico.


Quindi vediamo che i disturbi dell'apprendimento fanno riferimento a abilità scolastiche, e quindi una diagnosi dei disturbi dell'apprendimento sarebbe riscontrabile solo in età scolastica.


Nel 1988 tale difficoltà fu denominata Learning disabilites. La definizione rispecchiava in gran parte la precedente, ma in quest'ultimo caso, la prospettiva con cui ci si rivolge all'individuo è tutto l'arco della vita e non solo la fanciullezza e l'adolescenza. Questa prospettiva ha importanti ripercussioni sul riconoscimento della presenza di bisogni speciali anche in età adulta.


Cause e fattori associati.

Le cause: dalle neuroscienze alla psicoanalisi.

L'acquisizione della conoscenza è un processo complesso a cui concorrono diversi fattori, che sono stati trattati separatamente dalle varie discipline.


Le NEUROSCEINZE ha privilegiato il funzionamento cerebrale. Nel trattare i disturbi dell'apprendimento, le neuroscienze hanno sviluppato l'ipotesi della minimal brain dysfunction, secondo la quale esiste un continum delle disfunzioni cerebrali minime nei bambini: esse non sarebbero altro che forme circoscritte delle disfunzioni cerebrali maggiori ( paralisi cerebrali, disturbi convulsivi ecc.).


Dal punto di vista BIOLOGICO alcuni ricercatori hanno evidenziato differenze nella morfologia cerebrale dei soggetti con dislessia evolutiva.

Nei soggetti normali vi è un'asimmetria cerebrale, riguardanti le diverse dimensioni di alcune aree del cervello.

Una di esse interessa il plantum cerebrale dell'emisfero sinistro, area interessata ai processi fonologici; in soggetti normali quest'area è più estesa rispetto all'emisfero destro.

Si è notato che invece in alcuni soggetti dislessici tale asimmetria non è presente.

Anche se è azzardato attribuire le cause dei disturbi dell'apprendimento esclusivamente a cause cerebrali, questa ricerca conferma il coinvolgimento di fattori neurobiologici nel deficit.


Nell'approccio PSICOANALITICO, la spiegazione sui disturbi di apprendimento si fa risalire alla qualità della relazione madre/ bambino.

Dalla capacità del bambino di tollerare la frustrazione in assenza della madre, dipenderebbe la possibilità di costruirne un sostituto simbolico ( immagini o pensieri), fenomeno che, generalizzandosi, è alla base della conoscenza.


Quando lo sviluppo della relazione madre/ bambino non consente l'affermarsi della tolleranza alla frustrazione, è ostacolata la costruzione del simbolo.

Si struttura allora una pseudo-conoscenza che condizionerà la futura capacità di apprendere dalla realtà: astrazione e generalizzazione risultano impedite in quanto il percetto è costantemente ancorato alla presenza fisica dell'oggetto e perde le caratteristiche di realtà in sua assenza.


È assodato comunque che quando si parla di apprendimento non si possono scindere gli aspetti affettivo emotivi da quelli cognitivi:

se da un lato le esperienze affettive inadeguate possono causare lacune nella comparsa di funzioni legate all'apprendimento,

dall'altro un disturbo dell'apprendimento determinato da un'oggettiva disfunzionalità organica può innescare una serie di reazioni psicologiche che a loro volta radicalizzano il problema.


La "learned helplessness"

Le ricorrenti esperienze fallimentari in cui si imbattono i bambini con disturbi dell'apprendimento nello svolgimento delle attività scolastiche, hanno forti ripercussioni sia dal punto di vista cognitivo che psicologico.


Peterson ha descritto il fenomeno della learned helplessness ( cioè impotenza appresa), applicandolo all'ambito dei problemi scolastici.

La percezione dell'incontrollabilità degli eventi, dalla stabilità e immodificabilità delle situazioni, e, infine, l'attribuzione di tali percezioni alla globalità delle attività con segni inequivocabili della presenza di una passività che appunto va sotto il nome di IMPOTENZA APPRESA.


Alcuni bambini, per i quali è stata ipotizzata la presenza di una forma di learned helplessness:

attribuiscono eventuali fallimenti al peggioramento delle loro abilità,

impiegano strategie inefficaci nell'esecuzione dei compiti proposti,

esprimono sentimenti negativi - pessimismo-

sono caratterizzati da un'eccessiva attività ruminativa su argomenti irrilevanti

un appropriato intervento educativo sui disturbi dell'apprendimento non potrà prescindere dal considerare il peso di questi elementi.


L'ambiente

Lo svantaggio determinato dall'ambiente è un fattore importante nei disturbi dell'apprendimento, non perché può costituirne la causa, ma per il suo effetto aggravante e la sua azione ostacolante il recupero funzionale.

Per SVANTAGGIO SOCIOCULTURALE,si intende una serie di situazioni in cui sono assenti o fortemente limitati gli stimoli intellettuali, in seguito a carenze ambientali di tipo materiale, povertà linguistica, problemi familiari che ostacolano l'educazione e il rapporto con la scuola.



Un approccio teorico: il modello Human Information processing.

La neuropsicologia cognitiva ha molto influenzato la teoria dei disturbi dell'apprendimento. Essa si rifà all'approccio dello Human Information Processing, e distingue nell'ambito dei processi mentali alcune funzioni cognitive quali il linguaggio, la memoria, l'attenzione, la cui attività è scomponibile in componenti deputati a compiti specifici.


In questa prospettiva la condizione deficitaria in un compito specifico (la lettura) sarebbe determinata dall'alterazione di una o più componenti collegati alla funzione oggetto.

Le funzioni cognitive non sono autonome e indipendenti le une rispetto alle altre: esse si integrano e si influenzano reciprocamente dando luogo ai processi di elaborazione delle informazioni.


Il linguaggio

È stata più volte dimostrata un'associazione fra disturbi dell'apprendimento e disturbi del linguaggio.

Il linguaggio è un fenomeno complesso, in cui si distinguono 2 componenti principali:

  1. capacità di comprensione;
  2. capacità di produzione linguistica.

All'interno di queste si articolano rispettivamente altre sottocomponenti, che possono essere singolarmente disturbate:

  • Da un lato le difficoltà relative alla COMPRENSIONE possono riguardare il materiale presentato per via uditivo- verbale ( difficoltà a comprendere quanto udito) e per via visiva (materiale verbale scritto).
  • Dall'altro i deficit di PRODUZIONE possono manifestarsi attraverso difficoltà di articolazione dei suoni e delle parole, errori grammaticali e sintattici, errori semantici.

Le difficoltà del linguaggio possono quindi riguardare diversi aspetti: l'aspetto fonologico, semantico, morfologico- sintattico e pragmatico.

Occorre quindi inizialmente effettuare una distinzione tra due tipi di disturbo:

  • DIAFASIA, ossia un deficit persistente soggetto a poche trasformazioni nel tempo;
  • RITARDO SPECIFICO DEL LINGUAGGIO è caratterizzato in un ritardo nel raggiungimento delle tappe di sviluppo linguistico. Questo disturbo comprende tre grandi raggruppamenti:

Disturbi misti recettivi- espressivi, che comportano incapacità a comprendere il linguaggio attraverso il canale uditivo, espressione assente o poco fluente, espressione caratterizzata da disorganizzazione fonologica e sintattica;

Disordini espressivi, che si manifestano con deficit dell'eloquio talvolta dovuti a difficoltà a programmare la corretta sequenza dei suoni all'interno delle parole a fronte di competenze linguistiche adeguate.

Disordini nei processi linguistici ad alto livello, che si manifesta con difficoltà di denominazione e con deficit riguardanti il contenuto del linguaggio a fronte di una competenza fonologica e sintattica poco compromessa.


La lettura e la scrittura.

La lettura e la scrittura sono funzioni linguistiche, ma meritano una trattazione a parte data sia la frequenza che le modalità con cui si manifestano in soggetto con disturbi dell'apprendimento.


Il modello che spiega la LETTURA negli adulti prevede che vengano attivati alcuni processi a seconda delle richieste del compito:

I. Il primo prevede il passaggio attraverso il sistema semantico e corrispondenza lessicale;

II. Il secondo attiva l'immagine fonologica della parola senza il contributo del sistema semantico,

III. Il terzo prevede il solo intervento del sistema di conversione grafema- fonema.


L'individuo raggiunge le tappe di questo modello attraverso tre stadi:

STADIO LOGOGRAFICO, in cui è ignorato l'ordine delle lettere e il loro valore fonologico, il processo di riconoscimento delle parole è globale e istantaneo, risultando simile a quello impiegato nella produzione e riconoscimento delle figure; questo stadio avviene verso i 4-5 anni, in cui i bambini riconoscono le parole come se fossero un oggetto, una figura.

STADIO ALFABETICO, in cui l'approccio alla lettura da globale diventa sistematico con i processi di conversione grafema- fonema e si acquisisce, quindi la conoscenza di forme visive e motorie dei singoli grafemi e delle loro correlazioni col linguaggio parlato ( fonema- grafema e viceversa). Questo stadio avviene tra 6-7 anni, in cui inizia ad essere appresa la corrispondenza fonema- grafema, consentendo al bambino di leggere parole che non conosce.

STADIO ORTOGRAFICO, in cui si sviluppa la conoscenza delle regole per la conversione di più morfemi in fonemi. È verso i 7-8 anni che inizia a consolidarsi un vocabolario interno (lessico visivo d'entrata), e successivamente, le regole che governano la corrispondenza grafema, fonema, contenute nel lessico fonetico d'uscita.


La SCRITTURA è un atto compositivo complesso che richiede la specializzazione di differenti processi la cui integrazione dà luogo a elaborazioni di notevole complessità.

I modelli a due vie propri della lettura sono stati poi estesi anche alla scrittura.


Da un punto di vista eziologico i disturbi della lettura, dislessie, a cui sono spesso associati disturbi di scrittura, disgrazie, che possono essere distinti in:

  • DISLESSIE ACQUISITE, generalmente conseguenza di un deficit cerebrale che danneggia i meccanismo funzionali percettivo- linguistici maturi. Si tratta di disturbi circoscritti, in cui una funzione subisce un danno e la possibilità di recupero della suddetta dipendono spesso dall'instaurarsi di meccanismi compensatori.

Si possono principalmente distinguere due forme di dislessia / disgrazia acquisita:

dislessia (disgrafia) superficiale, è caratterizzata da un disordine che colpisce l'accesso o la rappresentazione della conoscenza specifica delle parole. (conversione fonema- grafema). Sono così presenti difficoltà nella lettura di parole irregolari, errori di accentazione, difficoltà in scrittura, lettura comprensione di parole omofone e non omografe ( l'una- luna).

Dislessia ( disgrafia) fonologica, caratterizzata da una maggiore difficoltà a leggere stringhe (sequenze) di lettere senza significato e parole non conosciute a causa di un deficit che interessa i processi di conversione grafema-fonema.


  • DISLESSIE EVOLUTIVE, la cui causa è più incerta. In generale le manifestazioni della dislessia evolutiva possono  essere influenzate da fattori molto diversi, che:

possono avere origine organica, culturale, motivazionale, psicologica;

possono essere legate ad altri disturbi di carattere cognitivo che coinvolgono altre funzioni: esempio un deficit da memoria da lavoro, può compromettere l'elaborazione degli aspetti morfologici necessari per la comprensione di un testo.

Anche qui si distinguono due forme di dislessia/ disgrafia: dislessia superficiale e dislessia fonologica, le cui caratteristiche sono molto simili a quelle delle dislessie acquisite.



Il calcolo

Nel trattare i problemi relativi ai deficit nel calcolo, occorre innanzi tutto distinguere:

  • il sistema responsabile dell'elaborazione dei numeri, che si articola in due processi (comprensione e produzione), relativamente all'elaborazione dei numeri in ingresso e in uscita; ognuno di essi ha:

un meccanismo lessicale, che elabora le cifre secondo il codice verbale, ( parola numero) che consente la rappresentazione fonologica e quella grafemica; e il codice arabo, relativo alla sola rappresentazione grafemica;

un meccanismo sintattico, relativo alla struttura del numero.

  • il sistema responsabile dell'elaborazione del calcolo, che è deputato all'elaborazione dei segni matematici e delle operazioni, comprende inoltre le procedure di calcolo e il magazzino dei fattori aritmetici.

Eventuali disturbi evolutivi del calcolo possono riguardare i processi di comprensione e produzione dei numeri, interessando:

sia l'elaborazione delle cifre prese singolarmente ( esempio sostituzione di una cifra in un numero- 127/117)

che la struttura del numero (172 anziché 1072)

inoltre possono essere anche compromessi i processi relativi al calcolo, con deficit nell'identificazione dei segni matematici, errori nelle procedure di calcolo, come l'incolonnamento delle cifre ecc.


la diagnosi gli interventi riabilitativi.

La diagnosi precoce.

La diagnosi rappresenta un punto nodale per l'intervento sui disturbi dell'apprendimento.

La riduzione delle possibilità di insuccesso scolastico dipende infatti dalla tempestività con cui essa viene fatta e dalla precoce messa in atto delle iniziative educative efficaci.

Importante diviene quindi la diagnosi precoce, effettuata nel periodo prescolare, quando cioè il disturbi dell'apprendimento non si è ancora manifestato.


In un primo momento la ricerca non ha seguito nessuna considerazione teorica nella selezione dei predittori delle successive abilità.

Successivamente gli studi longitudinali hanno indicato invece dei prerequisiti specifici, necessari all'acquisizione delle successive abilità di lettura/ scrittura, tra i quali:

la consapevolezza fonologica, cioè la capacità di identificare e manipolare unità fonologiche del discorso,

la conoscenza precoce delle lettere, derivante da una precoce familiarizzazione con la lingua scritta

la capacità di memoria di lavoro, cioè la capacità di mantenere mentalmente attivi gli elementi richiesti per l'esecuzione di un compito.


Il concetto di discrepanza.

È stato proposto un metodo per individuare i bambini con disturbi specifici dell'apprendimento, proprio in relazione alla abilità scolastiche: il METODO DELLA DISCREPANZA.

Tale criterio si riferisce alla differenza tra il livello intellettivo generale e il reale successo scolastico del bambino, in altre parole, tra il livello di prestazione atteso e quello realmente ottenuto.

Ci sono tre fondamentali criteri, per la sua individuazione:

il criterio di deviazione graduata, che isola quei casi che dimostrano un livello di prestazione pari a quello di bambini di età inferiore;

i successivi criteri richiedono un confronto tra un punteggio relativo al livello intellettivo generale e uno relativo alla capacità di apprendimento di un'abilità specifica.


Intelligenza e disturbi dell'apprendimento.

L'applicazione del metodo di discrepanza però non può e non deve essere l'unico strumento diagnostico per individuare bambini affetti da disturbi dell'apprendimento.

Essa infatti propone il confronto tra livello intellettivo generale e l'effettiva prestazione di compiti specifici...nn si può quindi prescindere dall'utilizzo del QI. Esso però non consente di riuscire a distinguere, da solo, un soggetto affetto da disturbi dell'apprendimento da un cattivo lettore.


La diagnosi

La formulazione di una diagnosi di disturbo specifico dell'apprendimento non può essere condotta sulla base di semplice constatazione di un basso rendimento scolastico, oppure esclusivamente sull'esame dei punteggi relativi alle sottoscale dei test di intelligenza.

Vi sono infatti altri metodi, elaborati dalla psicologia cognitiva e dalla neuropsicologia clinica e si articolano in prove dirette ad abilità specifiche.

Fra questi vi sono le batterie per la valutazione dei disturbi di calcolo, per i disturbi di letto- scrittura, per la valutazione della dislessia e disortografia evolutiva ecc.

Questi ultimi due strumenti sono legati principalmente alla valutazione dei disturbi di lettura, mentre per quanto riguarda la scrittura, ci si basa più su caratteristiche quantitative, legate a un numero totale di errori.


Non vi è dubbio comunque, che per un fenomeno multidimensionale come è il disturbi dell'apprendimento, è necessario un approccio diagnostico multivariato, indicando con questo termine l'integrazione delle informazioni ottenute da prove diverse: esami per accertare l'integrità fisica, prove di intelligenza, prove per accertare la funzionalità delle singole abilità cognitive e ancora per accertare l'equilibrio affettivo emotivo.

Occorre quindi anche integrare il cognitivo con l'emotivo: un'estrema attenzione solo all'area emotiva condurrebbe a trascurare gli aspetti cognitivi, mentre l'eccessivo risalto degli aspetti cognitivi rischierebbe di far assumere all'intervento la connotazione propria dei trattamenti farmacologici.



Gli interventi riabilitativi.

È possibile classificare le tecniche riabilitative in base all'oggetto di trattamento e le modalità con cui esso viene applicato.

v L'intervento sulla PRESTAZIONE DEFICITARIA, caratterizzata dall'utilizzo di tecniche comportamentali, ha come obiettivo quello di migliorare l'abilità deficitaria attraverso un esercizio continuo, la ripetizione di un dato comportamento e la ricerca di soluzioni Didattiche complementari.

Questo tipo di intervento si organizza in una programmazione Didattica articolata in alcuni momenti fondamentali:

I. un'analisi che conduca all'individuazione degli obiettivi a breve, medio e lungo termine;

II. una valutazione d'entrata, cioè l'esame delle conoscenze e abilità del bambino prima dell'intervento

III. segue poi l'intervento didattico vero e proprio

IV. infine vi è una valutazione di uscita che ha lo scopo di verificare l'efficacia dell'intervento attraverso la misurazione del grado di acquisizione raggiunto.


v L'intervento sulle COMPONENTI DELLA PRESTAZIONE scompone la prestazione stessa e promuove la riabilitazione sui singoli elementi costitutivi.

È un intervento che consente di agire in modo mirato proprio grazie all'isolamento delle singole variabili.

Tale approccio però non facilita l'integrazione delle componenti e il rischio è di non ottenere effettivi miglioramenti sull'abilità complessiva.


v L'intervento sulle ABILITÀ GENERALI, che si focalizza appunto sulle abilità generali e presuppone un rapporto di causalità, peraltro non provata, tra deficit nelle abilità generali e problemi di apprendimento.


v L'intervento MIRATO ALLE STRATEGIE COGNITIVE, che parte dal presupposto che ai disturbi dell'apprendimento si affianchino problemi metacognitivi, che non consentirebbero la presenza di consapevolezza e controllo sull'attività cognitiva, inoltre ostacolerebbero l'utilizzo di strategie specifiche al superamento delle difficoltà.


L'intervento sui disturbi dell'apprendimento deve comunque avere l'obiettivo di potenziare le abilità residue, dove con questo termine si indicano le competenze che l'individuo è in grado di attivare per il recupero funzionale della prestazione deficitaria.

Occorre così programmare interventi che rispettino la multidimensionalità del fenomeno integrando aspetti cognitivi con aspetti affettivi.


Gli aspetti relazionali

I bambini con disturbi dell'apprendimento hanno difficoltà relazionali che si manifestano in primo luogo nella comunicazione.

Per quanto riguarda la COMUNICAZIONE VERBALE, questi soggetti non sembrano possedere le regole della turnazione verbale, ma padroneggiano poco l'abilità di ricavare informazioni da indici non verbali come intonazione della voce, espressione del volto, postura..., dimostrando così anche difficoltà nella comunicazione non verbale.


All'origine di questo fenomeno ci sarebbe una difficoltà di tipo metacognitivo che non consente di far raggiungere all'individuo piena consapevolezza delle strategie più appropriate al contesto sociale in cui egli si trova.


Le interazioni con gli altri individui sono rese più difficili anche dall'alterazione dell'atteg-giamento di questi nei confronti dei soggetti con disturbi dell'apprendimento.

Per esempio gli insegnanti si rivolgono meno frequentemente a questi bambini, rispetto a quanto si rivolgono ai loro coetanei.


Il decorso.

Alcuni bambini normalizzano la prestazione e dopo un inizio incerto, raggiungono i traguardi di apprendimento dei loro pari.

Altri bambini devono avere un sostegno nelle attività scolastiche per un periodo limitato.

Altri ancora continuano a manifestare difficoltà di lettura, e quindi devono essere seguiti per più tempo.

Ci sono poi altri bambini che conservano un quadro generale di limitazione a livello scolastico. Spesso però i casi di disturbi dell'apprendimento evolvono in esito positivo, e ci sono solo alcune direzioni verso le psicopatologie, che si manifestano con devianza sociale, depressione e suicidio.

In questi casi è però opportuno stabilire se la causa è imputabile ai disturbi dell'apprendimento, oppure sono problemi secondari dovuti alla caduta di autostima causata dal protrarsi di tale disturbo.

















































DEFICIT DI CONTROLLO DEL COMPORTAMENTO


Introduzione

Per chi svolge attività a stretto contatto con il mondo infantile, non è raro trovarsi di fronte a bambini con scarso controllo sul proprio comportamento, con condotte inadeguate rispetto al contesto o all'età del bambino.

Sebbene non è corretto indicare questi casi come casi di handicap, tuttavia determinano spesso problemi nei processi di apprendimento e socializzazione.

È comunque importante non confondere un bambino vivace con bambino per i quali è realmente diagnosticata tale diagnosi.


In questi casi occorre distinguere due categorie di comportamento ipocontrollato:

  • Disturbo da deficit dell'attenzione/ iperattività
  • Disturbi della condotta

Disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività.

La disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività si riferisce a una sindrome caratterizzata da distraibilità, scarse capacità attentive, eccitabilità motoria e associata a disturbi del sonno, bassa tolleranza alla frustrazione...


Inizialmente tali disturbi sono stati attribuiti a un lieve danno del sistema nervoso, alla quale segui un'attribuzione di tale deficit a un danno cerebrale, comunque di natura organica.

Fu negli anni 70 che si imposero principalmente due modelli per la spiegazione di tale fenomeno:

  • Il primo si rifà alla disfunzione cerebrale minima, descrivendo il disturbo nei termini di  disordine del comportamento motorio con alterazioni del coordinamento, turbe dell'attenzione e del controllo degli impulsi, difficoltà di apprendimento, difficoltà nelle relazioni interpersonali e turbe affettive.
  • Il secondo sottolineava la presenza di sintomi che colpivano la capacità di portare e mantenere l'attenzione e la concentrazione, la capacità di inibire le risposte impulsive, tendenza a cercare gratificazioni immediate.

Negli anni 80 nel DSM III si fa riferimento a un disturbo da deficit dell'attenzione con iperattività, in cui implicitamente si distingue il deficit attentivo con le sue conseguenze, cioè l'iperattività.


Verso una definizione

La definizione riportata dall'attuale DSM IV definisce il disturbo da deficit dell'attenzione/iperat-tività stabilendo alcuni criteri:

la presenza dei sintomi per almeno 6 mesi

età di insorgenza anteriore ai 7 anni

sintomi di disattenzione

sintomi di iperattività

sintomi di impulsività

presenza di compromissione in almeno due contesti ( casa- scuola - lavoro)

interferenza del disturbo nel normale funzionamento sociale, scolastico, lavorativo.


Il DSM IV distingue all'interno del disturbo tre tipologie:

  • disturbo da deficit dell'attenzione/ iperattività combinato, con sintomi legati sia alla disattenzione che all'iperattività,
  • disturbo da deficit dell'attenzione /iperattività con disattenzione predominante
  • disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività con iperattività - impulsività predominante.

Le cause

La popolazione per cui è formulata la diagnosi della di disturbo da deficit dell'attenzione/iperat-tività presenta caratteristiche eterogenee e risulta quindi difficile risalire alle cause predisponesti o scatenanti.


Dal punto di vista organico è stata suggerita l'esistenza di una disfunzione dei lobi prefrontali, che risulterebbero coinvolti nei processi relativi alle funzioni esecutive.

Accreditata è poi l'ipotesi di una predisposizione ereditaria, in quanto si è visto come bambini con disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività hanno genitori con tale deficit.


Altre ricerche hanno evidenziato alcuni fattori individuabili nel periodo pre o perinatale: ritardi nella crescita intrauterina, peso alla nascita al di sotto della norma, asfissia perinatale.

Inoltre iperattività e aggressività si sono riscontrati in bambini le cui famiglie hanno una storia di assunzione di sostanze stupefacenti.

Si annoverano poi tra le cause anche alcune sostanze tossiche, con cui i bambini sono stati a contatto durante la vita intrauterina, come alcool, tabacco, cocaina, ma anche dopo la nascita, come farmaci.


Feingold inoltre ipotizzò alla base di tale deficit la presenza di sostanze chimiche simili agli additivi alimentari: numerosi bambini sottoposti a una dieta infatti portarono a risultati incoraggianti, ma successivamente fu negata la fondatezza di tale teoria.


I sintomi

Secondo i recenti orientamenti bambini e adulti con disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività, hanno determinati comportamenti caratteristici:

v DISATTENZIONE

Gli individui con disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività manifestano difficoltà a prestare attenzione ai particolari, commettono errori di disattenzione, sono disordinati, non riescono a portare a termine attività e giochi, passando da un'attività all'altra.

Tendono a evitare compiti che richiedono applicazione protratta e sforzo mentale.

Nel corso di un'attività si interrompono spesso e sono attratti da eventi irrilevanti: nel corso di una conversazione interrompono gli altri e saltano da un evento all'altro.


v IL COMPORTAMENTO IMPULSIVO.

Il disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività è spesso anche associato a comportamenti impulsivi.

L'impulsività può manifestarsi attraverso lo scarso controllo del comportamento, l'incapacità di ritardare una risposta, a deferire le gratificazioni o a inibire risposte prepotenti, l'incapacità di aspettare il proprio turno in un gioco, l'incapacità di tener conto delle conseguenze di azioni potenzialmente pericolose o la tendenza a ricercare soddisfazioni immediate e a prendere scorciatoie.

La disinibizione e la scarsa capacità di regolazione del comportamento sono la peculiarità del disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività: infatti è proprio l'iperattività e l'impulsività a discriminare i bambini con disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività dai bambini normali.


v L'IPERATTIVITÀ

Altra caratteristica è l'eccessivo livello di attività motoria e verbale, con bambini che non possono stare seduti, sono sempre in movimento, parlano troppo, rumoreggiano...

Tali bambini sono instancabili, irrequieti sia di giorno che di notte.

Risulta però problematico distinguere nettamente le caratteristiche dell'impulsività con quelle dell'iperattività, occorre così raggrupparle in un problema globale relativo alla disinibizione del comportamento.


v LE ALTRE MANIFESTAZIONI

Data la presenza di deficit nelle capacità di base, come quella attentiva, è intuitivo ipotizzare che i bambini iperattivi dimostrino prestazioni inferiori alla norma in compiti più complessi.

I bambini con disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività sono meno adatti dei bambini normali a controllare il loro comportamento e a inibire risposte non corrette, meno capaci di svolgere un compito che richiede l'isolamento di uno stimolo importante partendo da uno sfondo confuso.

Tra le difficoltà associate al disturbo ritroviamo:

lievi deficit cognitivi, come disturbi specifici dell'apprendimento, scarsa capacità di stima del tempo ecc

disturbi nel linguaggio

difficoltà delle funzioni adattive

disturbi dello sviluppo motorio, a livello di coordinazione

difficoltà nel contesto scolastico

difficoltà a livello emotivo

difficoltà nell'esecuzione dei compiti

rischi per la salute, in quanto sono molto propensi a infortuni, disturbi nel sonno ecc.


le interpretazioni del disturbo.

Una delle ipotesi attribuisce il disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività a un DEFICIT DELL'ATTENZIONE.

L'attenzione nell'insieme di meccanismi che:

da un lato regolano l'elaborazione di informazione in funzione dei limiti massimi di attività possibile del sistema umano;

dall'altro contribuiscono a determinare le condizioni di entrata dell'informazione nel sistema, oppure le condizioni minime di funzionamento del sistema e regolano la flessibilità del sistema stesso.


L'attenzione quindi ha un ruolo fondamentale sia nell'elaborazione delle informazioni in ingresso dal mondo esterno che nella modulazione dei processi cognitivi in genere.

Lo studio sull'attenzione ne ha determinato tre componenti:

I. la componente relativa all'orientamento, che coinvolgono i processi di attenzione selettiva, cioè la scelta di alcune informazioni anziché altre;

II. la componente relativa alla componente di allerta, che consente il mantenimento di un certo livello di efficienza nel tempo,

III. la componente relativa al controllo esecutivo, che è alla base della capacità di regolare l'atività in presenza di più processi mentali simultanei.


Per ATTENZIONE SELETTIVA, quindi si intende un processo che consente l'elaborazione differenziale di diverse fonti di informazione e nei bambini iperattivi tale capacità è carente.


Un ulteriore indice di distraibilità è individuato nel complesso dei comportamenti estranei al compito, che il bambino attua durante l'esecuzione dello stesso.

Accade frequentemente che il bambino iperattivo impegnato in qualche attività, si alzi, si guardi intorno, intraprenda un'altra attività...


La difficoltà a concentrarsi per un periodo prolungato rappresenta una delle manifestazioni del disturbo fra le più studiate.

Essa è riconducibile a un più generale deficit relativo all'ATTENZIONE SOSTENUTA.

Il Continous Performance Test consiste nel rispondere alla comparsa di una particolare lettera, solo se preceduta da un'altra lettera definita: i bambini iperattivi dimostrano un numero eccessivo di risposte fuori luogo e manifestano un complessivo peggioramento di prestazione nel tempo.

L'utilizzo di strategie come il rinforzo, ricompensando ogni risposta corretta del bambino, dirige costantemente la sua attenzione verso il compito.


Per quanto riguarda il CONTROLLO ESECUTIVO, i bambini con disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività manifestano difficoltà di interrompere una risposta quando questa ha avuto inizio e tendono a sparare immediatamente risposte anche se è richiesto di ritardarle.

Quindi in questo caso il disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività è attribuito a un deficit nel controllo esecutivo e di autoregolazione di cui le manifestazioni comportamentali sono solo un risultato.


Un'altra ipotesi attribuisce il disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività a una disfunzione dei MECCANISMI DI ATTIVAZIONE, e in particolare a problemi nella regolazione dell'arousal, ossia alla fase di attivazione del sistema nervoso centrale che precede e accompagna ogni attività: l'eccessiva attività motoria è stata messa in relazione a una eccessiva attività fisiologica. Tuttavia alcuni elementi inducono a ipotizzare una sottoattivazione che determina nel bambino iperattivo una continua ricerca di stimolazione.

Gli stessi risultati ottenuti dal trattamento psicofarmacologico con farmaci stimolanti sono a favore di questa ipotesi: l'assunzione di tali sostanze determina un miglioramento del comportamento e della capacità attentiva dei bambini iperattivi.


Per quanto riguarda le TEORIE A CARATTERE PSICOLOGICO, una particolare prospettiva vede all'origine del problema il contesto transizionale e cioè l'insieme delle interazioni fra madre e bambino, scuola, compagni.

In particolare se consideriamo la relazione tra madre e bambino, vi è una corrispondenza tra comportamento anaffettivo della madre e iperattività nel figlio.

Pur essendo azzardato attribuire la causa del disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività esclusivamente al difetto nella relazione materna, non si può però escludere che tale situazione relazionale sia responsabile di un aumento dei problemi.



La diagnosi

La diagnosi di disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività è formulabile per un periodo di 6 mesi, in un'età inferiore ai 7 anni.

La diagnosi deve partire dalla raccolta di notizie dettagliate sulla storia del bambino: rivestono quindi un ruolo fondamentale sia gli accertamenti clinici che quelli a carattere psicologico, sotto il profilo sia cognitivo che comportamentale.


La funzionalità cognitiva è possibile accertarla attraverso test specifici sull'attenzione, l'autocontrollo ecc.


Il quadro comportamentale è verificabile con l'uso di questionari da somministrare a genitori e insegnanti: spesso però la mancanza di obiettività rende difficoltosa la raccolta dati.

Nella versione italiana esiste un questionario, che non tiene conto esclusivamente degli aspetti comportamentali esteriori del bambino, ma anche dei suoi pensieri, delle sue sensazioni e emozioni: quindi alcune schede sono compilate dal bambino, finalizzate proprio a comprendere come il bambino vive il problema e la sua consapevolezza del deficit.

Questi elementi sono un buon punto di partenza per la programmazione di interventi di riabilitazione efficaci che necessitano sia della collaborazione del bambino che dei suoi referenti.


Approcci terapeutici

Un corretto intervento terapeutico deve considerare l'età del bambino, il suo livello di maturità, la gravità del disturbo, ma anche le aree specifiche che esso coinvolge.

Un intervento integrato risultante dall'associazione di più approcci terapeutici, ognuno appropriato ai diversi ambiti in cui si intende agire, richiede, però anche la partecipazione della famiglia e della scuola.


v LA TERAPIA COGNITIVA

Questo tipo di terapia è rivolta in modo diretto al miglioramento di alcune abilità che si dimostrano carenti nei bambini iperattivi: la capacità attentiva, la capacità del problem solving, l'autovalutazione...

Il primo passo per un intervento efficace è l'individuazione delle aree specifiche sulle quali agire e dal coinvolgimento del bambino stesso in un ruolo di partecipazione attiva alla terapia.


Alcuni interventi di riabilitazione sono mirati ad accrescere la capacità di controllo attraverso auto- verbalizzazioni.

Un esempio di utilizzo del linguaggio interiore è dato dall'insegnamento delle capacità di problem solving: il bambino viene istruito a rappresentarsi verbalmente tutti i possibili percorsi per la soluzione di un problema e successivamente a considerare le conseguenze relative alla scelta di ciascuno.

Strategie che spesso però hanno benefici a breve termine.


v L'INTERVENTO IN CLASSE

È importante che nel trattamento del disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività non collaborino solo il bambino e la sua famiglia, ma anche scuola e insegnante.

Per questo sono state elaborate una serie di strategie adatte ad essere impiegate in classe.


Per esempio il bambino iperattivo deve essere sistemato in un punto della classe per cui sia costantemente nel campo visivo dell'insegnante, accanto a un compagno sensibile e molto partecipe alle attività didattiche. Occorre poi dare al bambino iperattivo continue conferme sull'attività svolta.

L'insegnante deve contribuire ad aumentare l'autostima del bambino, facilitare le interazioni con i pari e proporre compiti diversi che ne suscitino l'interesse.


È importante programmare attività didattiche in base alle effettive capacità del bambino, incrementando le difficoltà in modo graduale. È quindi necessario che l'insegnante abbia aspettative realistiche sulle competenze del bambino, in modo da proporre mete raggiungibili in brevi periodi.


v IL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

Il trattamento con farmaci psicostimolanti è quello più impiegato.

A breve termine l'assunzione di tali sostanze ha effetti positivi sia dal punto di vista cognitivo che comportamentale, favorendo il controllo dei comportamenti impulsivi e distruttivi.

Tuttavia questo trattamento si accompagna a effetti collaterali non trascurabili, come insonnia, blocco della crescita ecc.


Per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, gli effetti positivi si hanno con una terapia multimodale ( farmacologico- psicopedagogico...), mentre i bambini trattati solo con farmaci hanno dimostrato comportamenti antisociali e arresti.


Conclusioni

La metà dei bambini con disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività guariscono. Negli altri il disturbo permane, con gravi conseguenze, quali disturbi anti-sociali in età adulta, bassa autostima ecc. sono poi molto frequenti le condotte criminali, un aumento del rischio di abuso di alcool e di sostanze stupefacenti.








































L'AUTISMO


Premessa.

L'autismo è una delle più gravi manifestazioni che colpiscono il bambino nelle sue capacità di comunicare e instaurare relazioni con il mondo esterno.

Il grave disordine della comunicazione che caratterizza l'autismo è un impedimento o, in casi meno gravi, una limitazione alla socializzazione e all'integrazione nei normali processi di vita.


L'autismo: definizioni e criteri diagnostici.

La diagnosi dell'autismo si scontra con due principali tipi di problemi:

  1. non esiste un test a carattere medico o comportamentale e neppure un assetto genetico o un agente patogeno che portino in modo univoco e definitivo a diagnosticare l'autismo.
  2. sotto un'unica etichetta sono compresi individui unificabili dal fatto che, a partire dalla primissima infanzia, in rapporto alle abilità intellettive, hanno avuto maggiori menomazioni nel capire ed esprimere sentimenti, e nell'inserirsi in modo reciproco negli scambi sociali.

Tuttavia possono essere diagnosticati come autistici sia soggetti con gravi ritardi mentali, che soggetti intellettualmente dotati.


Freeman ha riassunto in modo efficace gli assunti su cui si basa l'attuale definizione dell'autismo:

  • è una sindrome CLINICA, cioè definita su base comportamentale, poiché non è stato ancora identificato un elemento oggetto che accomuni tutti i casi dal punto di vista medico.
  • È un disturbo A SPETTRO, che presuppone cioè un continum di sintomi combinati in modo diverso fra loro e con differenti livelli di gravità;
  • È una diagnosi in EVOLUZIONE, perché l'espressione dei sintomi varia a seconda dell'età e del livello di sviluppo
  • È una diagnosi RETROSPETTIVA perché richiede un'attenta ricostruzione dello sviluppo dell'individuo, dato che età di insorgenza e manifestazioni variano da individuo a individuo.
  • È un disturbo UBIQUITARIO visto che è diffuso in tutto il mondo, in tutte le razze e in tutti i tipi di famiglie.
  • È in ASSOCIAZIONE con altre sindromi.

Tale disturbo è definito come sviluppo anormale o blocco dello stesso, che avviene in un'età inferiore ai 3 anni, in una delle seguenti aree:

linguaggio recettivo o espressivo delle comunicazione sociali;

sviluppo delle relazioni sociali privilegiate o di interazioni sociali reciproche,

gioco funzionale o simbolico.


Inoltre devono essere presenti almeno 6 sintomi delle categorie seguenti, facenti parte comunque della triade dei disturbi sociali, linguistici e di comportamento:

anomalie di carattere qualitativo nelle interazioni sociali reciproche:

inadeguatezza nell'uso dello sguardo reciproco, espressione facciale, della gestualità nell'interazione sociale;

fallimento dello sviluppo di interazioni che implichino condivisione di interessi, di attività e di emozioni con i propri pari.

Assenza di reciprocità socio affettiva che appare dal blocco o dall'anormalità delle risposte alle altrui emozioni;

Assenza di ricerca spontanea nella condivisione delle attività ricreative, interessi o risultati con altre persone.



Anomalie di carattere qualitativo nella comunicazione:

ritardo o assenza di sviluppo del linguaggio che non si accompagna a tentativi di compensazione con la gestualità;

fallimento nell'iniziare o sostenere una conversazione,

uso del linguaggio stereotipato e ripetitivo,

assenza del gioco sociale imitativo.

Insieme limitato, ripetitivo e stereotipato di comportamenti, interessi e attività:

preoccupazione esclusiva per uno o più interessi stereotipati e ristretti che risultano anormali in contenuto o focalizzazione

aderenza a rituali e routine

manierismi motori stereotipati, che interessano mani (batterle), dita (torsione) e tutto il corpo,

attenzione per parti di oggetto o per elementi non funzionali dei materiali di gioco (odore, rumore, vibrazione).


Gillberg suddivide lo "SPETTRO AUTISTICO" in 4 categorie:

1) autismo infantile, cioè la condizione clinica che presenta tutti i sintomi previsti come criteri diagnostici;

2) condizioni quasi- artistiche, cioè casi che, a parte alcuni tratti non caratteristici, mostrano quasi tutti i sintomi tipici dell'autismo.

3) Sindrome di Aspenger, che si identifica con soggetto autistico ad alto funzionamento

4) Presenza di tratti autistici, che non soddisfano completamente i criteri diagnostici per essere definiti autistici.


Lo sviluppo nel bambino autistico.

Nell'evoluzione del disturbo è L'ASPETTO SOCIALE quello maggiormente compromesso nell'evoluzione del disturbo.

I problemi si manifesterebbero gia a partire dalle prime forme di interazione, cioè quella madre/ bambino. Da ricerche sull'attaccamento emerge come i bambini autistico non mostrino preferenza per la persona che li accudisce rispetto a una persona estranea.


Bruner parla di un disturbo affettivo primario che interessa la comprensione intuitiva e sintonica che il lattante ha dei sentimenti materni.

L'incapacità di contatto intersoggettivo, intesa come mancata condivisione da parte dei bambini autistici di esperienze emotive e cognitive, impedisce loro di conoscere le persone e i loro stati psicologici.

I disturbi di socializzazione sono globali e investono sfere quali la capacità di fare amicizia e di cercare confronto con le persone familiari.



Le carenze dello SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO appaiono una caratteristica centrale nella definizione di autismo.

Gia a livello preverbale si verifica una difficoltà nell'uso della gestualità convenzionale nei rapporti interpersonali, legata secondo alcuni autori a carenze più generali nelle capacità imitative.

Inoltre diverse ricerche sottolineano che i bambini autistici hanno carenze nei comportamenti di attenzione condivisa, soprattutto nell'uso di gesti per indicare o condividere l'esistenza delle caratteristiche di un oggetto.


Il linguaggio verbale è completamente assente nei casi più gravi. Quando si presenta, spesso con ritardo, è caratterizzato da alcune peculiarità:

ecolalia, cioè il bambino tende a ripetere, in modo inadeguato agli scopi comunicativi, le parole proprie e altrui,

l'uso stereotipato di alcune espressioni verbali,

l'uso errato di pronomi, come per esempio l'inversione del pronome "io" con il pronome "tu".


Inoltre, anche quando rispettano le regole conversazionali, non immettono nel dialogo alcuna informazione nuova. Questo accade perché i soggetti autistici non sanno tradurre in forma narrata le proprie esperienze.

Gli interlocutori hanno così la sensazione di non stabilire un legame, anche se la conversazione è fluente. Questo disagio degli interlocutori ha importanti conseguenze nella vita sociale e rappresenta una spiegazione supplementare alla difficoltà di stabilire legami di amicizia.


Lo SVILUPPO COGNITIVO è estremamente variabile, soprattutto in relazione alle differenze di livello intellettivo dei soggetti.

Non è facile fornire un'interpretazione univoca sulla natura e reale entità dei deficit cognitivi evidenziabili attraverso una valutazione psicometria.

Le carenze nella reciprocità sociale sono spesso alla radice di un incompleto sviluppo delle capacità mentali; il bambino autistico, impossibilitato a utilizzare una "mente adulta" che condivida i suoi messaggi e che glieli restituisca elaborati, non riuscirebbe a sfruttare a pieno le potenzialità del suo sistema nervoso.



Approccio psicoanalitico all'autismo.

Nella tradizione psicoanalitica, l'autismo è stato inserito tra le psicosi infantili.

Vi sono due forme tipicamente evolutive:

la psicosi simbiotica;

l'autismo infantile

Dal punto di vista clinico, psicosi simbiotica e autismo sono caratterizzati da quadri sintomatologici solo in parte simili.

Vi sono alcuni tratti peculiari che distinguono l'autismo da altre manifestazioni patologiche:

incapacità di relazione con gli altri,   

uso peculiare del linguaggio

eccessivo desiderio di mantenere invariate le situazioni,

limitazione dell'attività spontanea.


La Mahler ritiene che autismo e psicosi possano essere legate a problematiche precoci del rapporto madre / bambino, dovute alla freddezza emotiva delle madri.

Tustin invece sostiene che non si possa affermare che tutti i bambini autistici sono stati rifiutati, così come non tutti i bambini che vivono esperienze di rifiuto diventano autistici.

L'autrice mette inoltre in evidenza come i casi di depressione post partum non siano solo una peculiarità della madre, ma anche dei bambini: allora una reazione potrebbe essere quella di chiudersi in un proprio mondo al fine di difendersi da quel "buco nero" derivato dalla sensazione di aver perduto, con il distacco dalla madre una parte vitale del proprio corpo.

È da qui che partono i sintomi tipici dell'autismo: gli oggetti per esempio non sono usati per il loro significato funzionale, ma sono visti come prolungamenti del corpo. Il bambino così non impara a giocare, perché gli oggetti sono parte di se, non possiedono quello stato di differenziazione necessario per rappresentare qualcosa a parte.


Tustin afferma quindi che il bambino, dopo la nascita, a seguito di una reazione catastrofica alla consapevolezza di separazione dalla madre, subisce un blocco dei normali processi di sviluppo, oppure un innaturale grado di fusione con la madre.

Avvertire infatti il proprio corpo come separato da quello della madre è l'inizio dei processi di individuazione. Un blocco a questo processo, porta a due reazioni da parte del bambino:

encapsulated children, in cui il bambino si chiude in se. È il caso dei bambini autistici, che hanno un blocco quasi totale dello sviluppo psicologico, escludendo il mondo dal proprio campo di attenzione;

confusion entangled, in cui il bambino si crea l'illusione di essere avvolto in un corpo diverso dal proprio. Si tratta di bambini psicotici, che mostrano un'identificazione simbiotica, adesiva con la madre, con uno sviluppo psicologico frammentato, ma non inesistente come nel caso dell'autismo.


La Mahler al contrario non attribuisce la causa a una consapevolezza catastrofica. Ella sostiene che tutti i bambini vivono una fase autistica fisiologica, in cui il bambino non conosce né la propria individualità né quella della madre: è dal 3° mese sino ai 3 anni che viene posto in atto il processo di individuazione.

Il verificarsi di blocchi nello sviluppo di tale processo sfocia nell'autismo, quando tali blocchi sono molto precoci, mentre sfocia in psicosi infantili, quando avvengono in una fase successiva di sviluppo.

Quindi l'autismo non è altro che una fissazione alla fase più primitiva della vita extrauterina, di completa indifferenziazione tra sé e altro, in cui la madre non sembra esistere.


Interpretazioni cognitive dell'autismo.

Negli anni 70 nacque l'ipotesi che vedeva l'autismo come la risultante di un danno nella capacità di simbolizzazione (l'incapacità di generalizzare le proprie conoscenze a contesti nuovi, di trasformare l'informazione per immagazzinarla, la povertà del gioco simbolico...).

I bambini autistici per esempio non intraprendono a 2-3 anni quell'attività tipica di tutti i bambini, di raccontarsi e raccontare storie.

L'uso di queste forme narrative consente di attribuire significato agli eventi della propria vita, facendo poi acquistare loro significato culturale raccontandogliagli altri.


Mancando questa innata propensione a raccontare i bambini autistici si trovano privi di un bagaglio di significati convenzionali e ciò impedisce di partecipare in modo significativo all'interazione sociale in genere e alla conversazione in particolare.


Per quanto riguarda le capacità metarappresentazionali, si è avanzata l'ipotesi che i bambini autistici non abbiano una TEORIA DELLA MENTE: questi soggetti hanno una seria difficoltà a comprendere gli stati mentali altrui e nel produrre espressioni verbali relative al rapporto fra pensieri, credenze conoscenze e realtà.

La ragione di questa lacuna è cercata in una generale carenza nella capacità metarappresentazionale, che emerge con il gioco simbolico: il bambino autistico non è in grado di intraprendere e interpretare giochi di finzione.


Alcuni autori ritengono ancora poco chiaro comunque, quanto i deficit nella teoria della mente spieghino i problemi a livello sociale, o quanto piuttosto essi derivino da anomalie precoci di competenze sociali e conseguentemente dalla limitatezza delle esperienze connesse.

Tali deficit sembrano piuttosto la conseguenza di un più vasto difetto del funzionamento cognitivo generale, identificabile nell'incapacità di partecipare a quelle routine interattive che consentono poi al bambino di entrare in contatto con le forme canoniche di comportamento.


Interpretazioni affettivo- relazionali dell'autismo.

Hobson sostiene che è tipico delle persone artistiche un accesso limitato al "concetto di persona", traducibile in una difficoltà a concepire gli individui come portatori di esperienze soggettive e di orientamenti psicologici nei confronti del mondo.


Egli sostiene che normalmente il bambino arriva a formarsi conoscenze sulla natura delle persone attraverso l'esperienza di relazioni interpersonali cariche affettivamente.

In questa prospettiva, nel caso dell'autismo, le difficoltà dimostrate nel comprendere stati mentali avrebbero la loro base in un'incapacità innata a instaurare i normali contatti affettivi con le persone.

Inoltre, tale primitiva inabilità, intesa come profonda mancanza di connessione emotiva, sembra essere tale da suscitare una sensazione forte di inaccessibilità anche nelle persone più vicine.


Una lettura del fenomeno in chiave relazionale deve partire dalla considerazione del ruolo fondamentale che la reciprocità sociale riveste nella crescita normale dell'essere umano.

Zappella descrive una serie di passaggi che portano all'evoluzione di tale relazione:

intersoggettività primaria, propria dei primi mesi, in cui c'è una relazione dulistica non mediata da alcun oggetto

intersoggettività secondaria, verso i 18 mesi, in cui vi è una prima forma di relazione collaborativi, mediata da oggetto. Il bambino iniziando a rapportarsi all'adulto, con proprie intenzioni, inizia una propria teoria della mente.

Gioco simbolico e capacità di narrare, in cui prendono forma le prime esperienze di narrazione, interpretazione e elaborazione del reale, con le quali si giungerà poi a una condivisione di significati.


Nel bambino autistico sono compromesse varie forme di reciprocità sociale: nei casi di insorgenza precoce, è la relazione diretta a essere perturbata, in fasi successive e lo sviluppo del linguaggio e del gioco simbolico.

L'intervento di Zappella ha quindi come obiettivo prioritario l'aiutare i genitori a recuperare le forme fondamentali di relazione.


Le basi biologiche dell'autismo.

Le interpretazioni recenti attribuiscono un ruolo decisivo, nella genesi dell'autismo, ai fattori neurofisiologica e genetici.

Nel 74 Delacato, sulla base di una teoria organicista, ipotizzò per esempio una lesione cerebrale alla base di gravi disfunzioni percettive: a causa dei sistemi sensoriali distorti, gli autistici dovrebbero fronteggiare un mondo caotico e i vari comportamenti anomali rappresenterebbero un tentativo di normalizzare le vie sensoriali deficitarie.


A partire degli anni 80 aumentarono le teorie che ponevano una base biologica nel disordine autistico, attibuendolo a disordini neurologici che danneggiano il funzionamento cerebrale.



Il fiorire di tali ipotesi organiciste, ha creato profondi cambiamenti negli operatori che lavorano con i soggetti autistici e con le loro famiglie: la famiglia non è più ritenuta diretta responsabile dei problemi del figlio e tale atteggiamento è sicuramente positivo ai fini di un più proficuo rapporto di collaborazione.


Allo stato attuale, però non esiste un singolo danno organico cui la sindrome possa essere attribuita con certezza e diverse sono le ipotesi: dal ruolo dei neurotrasmettitori, alle anomalie del sistema nervoso, a fenomeni immunitari...

Decorso.

A causa della diversità delle manifestazioni del disturbo, è difficile delineare un quadro che descriva in modo univoco il decorso dell'autismo, in quanto esso varia da soggetto a soggetto.


Gli indici predittivi dell'autismo, possono essere:

  • il livello intellettivo globale.
  • Le prestazioni verbali e non verbali.

Più è alto il livello intellettivo più favorevole è il decorso: infatti buona parte dei soggetti autistici che manifestano un'intelligenza nei limiti nella norma conducono una vita adulta normale, tanto che alcuni di loro completano anche gli studi superiori.

All'estremo opposto i bambini che manifestano ritardo mentale profondo evolvono inevitabilmente in quadri caratterizzati da scarsa capacità di prendersi cura di se stessi, vocabolario limitato o assente e comportamenti autolesivi.


Nonostante la reale possibilità di decorsi favorevoli e inserimento sociale, molti soggetti autistici da adulti manifestano forti difficoltà comunicative e di socializzazione, che precludono loro la possibilità di intessere relazioni intime con gli altri individui.

Le relazioni sessuali sono rare o inesistenti, ma c'è da dire che non si è mai considerata la possibilità di un'educazione di questi soggetto dal punto di vista sessuale.


Trattamento.

Non esistono terapie che possono rendere con certezza reversibile questo disturbo.

Il trattamento psicoterapeutico non è facilmente applicabile, in quanto questi soggetti hanno forti limitazioni nelle attività ludiche che spesso sono alla base delle psicoterapie infantili.


È comunque necessario un atteggiamento di "totale disponibilità", di attenzione, di ascolto costante e un intervento intensivo e prolungato. Si è infatti notato che i miglioramenti più consistenti si hanno in bambini che sono sottoposti a una terapia precoce e intensiva, di 40 ore la settimana.

Anche il setting è molto importante: deve essere costante e semplice, al fine di dare fiducia al bambino.

Fondamentale è anche il coinvolgimento dei genitori, mirato a fornire loro un sostegno psicologico e a ridare loro fiducia nelle loro capacità genitoriali. Inoltre i genitori devono essere protagonisti, col bambino, dell'intervento, affinché la terapia possa continuare a casa tra una seduta e l'altra.


Efficaci risultano anche le tecniche di modificazione del comportamento, con rinforzi:

positivi, come il modellamento che consiste nel fornire graduali rinforzi via via che il bambino si avvicina al comportamento desiderato;oppure la ricompensa, con la quale si ricompensano i comportamenti incompatibili con attività di cui se ne desidera l'estinzione (premiare per tenere in mano il giocattolo, il che non consente di toccarsi i capelli)

negativi, come la punizione.


Importante è poi l'atteggiamento del terapista, che deve fornire segnali comportamentali chiari, sicuri, che rappresentino un modello per il bambino.

Negli ultimi anni si è poi diffuso il metodo della COMUNICAZIONE FACILITATA, che è un metodo comunicativo alternativo: il bambino potrà digitare su una tastiera o una tavola alfabetica segni e simboli. In questo modo non ci si propone un intervento riabilitativo, ma rientra nella comunicazione aumentativa, ossia un tipo di comunicazione non verbale usata da persone non audiolese.


Lo scopo è quello di consentire ad autistici non parlanti un accesso alla comunicazione. Questo perché si pensa che alla base dell'autismo, ci sia anche una forma di APRASSIA, che impedirebbe l'esecuzione volontaria di movimenti. Facilitando l'esecuzione di questi movimenti si otterrebbe così una comunicazione.


Anche se alcune critiche hanno portato ad attribuire la comunicazione al facilitatore e non al soggetto autistico, si sono notate forme di comunicazione indipendenti dal facilitatore a dispetto di tali critiche, ma anche una sorta di indipendenza comunicativa della popolazione facilitata.






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