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LA FAMIGLIA TERAPEUTICA: UN PERCORSO DI TIROCINIO NELL' ASSOCIAZIONE FAMIGLIE PER L'ACCOGLIENZA

psicologia



LA FAMIGLIA TERAPEUTICA: UN PERCORSO DI TIROCINIO NELL' ASSOCIAZIONE FAMIGLIE PER L'ACCOGLIENZA


INDICE


Parte prima: Concetti chiave e nodi teorici

LA FAMIGLIA

Famiglia e figli tra presente e passato

Le caratteristiche della famiglia affidataria


AFFIDAMENTO:LA LEGGE E LE ISTITUZIONI




L'ASSOCIAZIONE FAMIGLIE PER L'ACCOGLIENZA


IL SERVIZIO FAMIGLIE TERAPEUTICHE


IL RUOLO DELLO PSICOLOGO NEL SERVIZIO

I percorsi di formazione della famiglia terapeutica

La selezione e gli strumenti usati

L'abbinamento famiglia-minore

Cosa si intende per abbinamento?

Compatibilità: funzione, gioco relazionale e modelli interattivi

Contesti determinanti per la decisione di abbinamento

PARTE SECONDA:IL PERCORSO DI TIROCINIO

Presentazione di un processo di selezione famiglie terapeutiche in AFA: la famiglia Rossi

PARTE PRIMA:LA TEORIA


LA FAMIGLIA


Famiglia e figli tra presente e passato

La famiglia è un luogo di condivisione e di solidarietà diretta con un raggio di variabilità differente a seconda delle culture e con numero di membri maggiore o minore, a seconda delle politiche in atto nei diversi sistemi, nel corso della storia e nei diversi contesti geografici.

Gli studiosi distinguono: il gruppo domestico, la famiglia biologica, la famiglia nucleare, la famiglia composta, la grande famiglia e la famiglia estesa.

La definizione corrente più accettata è quella di "unità di persone interagenti"  con un ciclo di vita famigliare suddiviso in diverse  tappe (fidanzamento, matrimonio, allevamento dei figli, nido vuoto, vecchiaia).

Secondo Giddens1, sociologo inglese, la famiglia è definita come ".un gruppo di persone legate da rapporti di parentela, all'interno del quale i membri adulti hanno la responsabilità di allevare i bambini."

Ancora oggi infatti, nell'opinione comune, sembra che ci sia veramente famiglia solo quando ci sono i figli e il matrimonio è visto quindi come passaggio necessario ma non sufficiente al costituirsi della famiglia. Questa concezione è frutto sicuramente dell'influenza della cultura cattolica che ha per molto tempo considerato il matrimonio come strumentale per la procreazione e, benché nel corso degli anni abbia dato pari dignità anche al benessere e alle relazioni di reciprocità nella coppia quali fini e valori del matrimonio, ha visto nella sterilità un sacrificio, una croce da sopportare.

Nell'epoca post-moderna la famiglia diventa unità di condivisione tra persone solidali costruita su basi biologiche, naturali e parentali o su basi affiliative e comunitarie. In tale unità di condivisione esiste il matrimonio, la riproduzione e l'educazione dei figli ma anche la cura delle persone che a tale unità si affiliano.

La famiglia moderna  nasce quindi come famiglia genitoriale educante e come famiglia affettiva, in quanto ridefinisce il posto dei figli: essi diventano il centro affettivo e simbolo dell'affettività familiare stessa; e questo processo è accompagnato  da una diminuzione del numero di figli per famiglia man mano che aumenta la loro importanza affettiva.2

Bisogna osservare però che oggi, alla cultura della responsabilità nei confronti dei figli si affianca una cultura della scelta che risulta spesso ambivalente: un figlio deve essere procreato solo se e perché è voluto; questo significa sia che il figlio è concepito come ricchezza, in quanto individuo singolo e insostituibile, sia che esso, frutto della scelta e del desiderio, deve dare piacere e corrispondere a quel desiderio, con inevitabili conseguenze che possono essere molto pericolose. Egli è esposto al rischio di deludere le attese più profonde dei genitori, nascoste nell'inconscio e coinvolgenti la loro identità personale.

Anche la psicologia conferma quello che il senso comune ha sempre ammesso: nei figli i genitori vedono la possibilità di realizzare quelle parti di loro che non sono riusciti ad attuare.

Diventare padri e madri era, sino a qualche generazione fa, la conseguenza quasi automatica del matrimonio; attualmente il divenire genitori si configura come una delle tante scelte e vi è il rischio di rinviare a data da destinarsi il progetto «figlio», sempre al secondo posto rispetto alla carriera, la casa, la vacanza, tanto che quando i tempi fisiologici sono ormai scaduti si ricorre alle varie tecnologie procreative, che spesso non danno l'esito sperato lasciando come ultima possibilità, forse anche come ripiego, il cammino dell'adozione. o dell'affidamento.3

E' necessario che, per ogni individuo si creino le condizioni perché, come afferma C. Roger, si possa liberare quella tendenza attualizzante che guida il bambino e poi l'adulto verso la piena autorealizzazione.

Solo l'incontro di una persona con l'altra può soddisfare questi bisogni non materiali. Il che implica da una parte che la società abbia una corretta cultura dell'infanzia e dall'altra che la famiglia e la comunità umana, in cui il minore è chiamato a vivere, sappia essere realmente accogliente e solidale, capace di assumere come prioritario il compito di promuovere e sostenere lo sviluppo umano delle nuove generazioni.4 In poche parole, è indispensabile che ad ogni bambino sia offerto ciò di cui ha bisogno; cioè un intervento che sia mirato alle sue proprie caratteristiche personali, che sono diverse da quelle degli altri.


Le caratteristiche della famiglia accogliente

La famiglia affidataria può essere definita  flessibile in quanto si apre all'esterno, 545i87f accogliendo in sé elementi estranei che ne modificano irrimediabilmente gli assetti consolidati e richiedono una continua riorganizzazione: non si tratta solo dell'inserimento del minore, ma anche del rapporto con i servizi e con la famiglia d'origine del bambino.

Aprendosi all'esterno, queste famiglie si rendono disponibili a modificare gli equilibri sin qui maturati, a lasciarsi attraversare da stimoli e circostanze che cambiano i ritmi e le condizioni di vita, che richiedono continui aggiustamenti e grande capacità di adattamento; accogliendo un minore si è costretti a rivedere lo spazio abitativo, a modificare abitudini e interessi, a distribuire diversamente il tempo, a cambiare i rapporti con l'intorno immediato. Inoltre, la famiglia accogliente deve essere in grado di affrontare vicende emotive connesse ad esperienze di separazione e capace di tollerare dolore e frustrazioni anche di notevole entità.

Nella maggioranza dei casi le famiglie che accolgono hanno già figli propri e ciò indica che il minore in affido non è un sostituto di una maternità o paternità mancata, ma viceversa indica che la disponibilità all'affido nasce da una sostanziale apertura della famiglia all' altro, che l'esperienza dei figli propri può avere in qualche misura rafforzato. Importante sottolineare che gli affidatari, nella loro domanda ai servizi, risultano indifferenti circa il sesso del minore da accogliere, mentre prestano attenzione alla sua età e condizione fisica;infatti, si preferiscono minori la cui età sia prossima a quella dei figli biologici e senza problemi di salute per evitare troppi oneri e tensioni. Allo stesso modo ci si impegna generalmente in un solo affidamento per evitare troppe tensioni e problemi.

Nella ricerca di Ichino Pellizzi5 si nota che l'età dei genitori affidatari è, in media, compresa tra i 41 e i 45 anni sia per le madri, sia per i padri; è però tra le coppie più giovani che appare più frequentemente il gradimento della famiglia affidataria da parte del minore. Ciò è facilmente comprensibile dal momento che i giovani sono molto meno legati alle proprie abitudini e sopportano meglio il disordine che l'affido comporta.

Dalla ricerca è emerso, inoltre, che gli affidi presso imprenditori e liberi professionisti sono risultati maggiormente instabili, tendono cioè a interrompersi prima di un anno; al contrario, gli affidi presso operai, impiegati e artigiani funzionano meglio. Questo dato può essere la conseguenza della maggior facilità con cui i minori si inseriscono in nuclei familiari il più possibile vicini al livello culturale, sociale ed economico delle loro famiglie naturali. Interessante anche notare come il tipo di abitazione della famiglia accogliente abbia influenza sul successo dell'affido: nelle villette con giardino, appartamenti civili e case popolari la percentuale di affidi è più alta rispetto a ville e appartamenti di lusso.

È importante tenere conto anche delle motivazioni che spingono una coppia a fare richiesta di un affido temporaneo. La famiglia si può sentire sufficientemente forte per riuscire ad accogliere un soggetto bisognoso, assumendosi la responsabilità della sua crescita ed evoluzione: è il desiderio di fare qualcosa di utile. Al contrario è possibile una scelta narcisistica, in virtù della quale il bambino rischia di rimanere invischiato in un gioco di coppia, che lo rende oggetto di mancanze interne al sistema coniugale: ne è un esempio il caso in cui i genitori si sentono soli in seguito alla tragica morte di un figlio naturale.





AFFIDAMENTO:LA LEGGE E LE ISTITUZIONI


Nel corso degli ultimi anni si è rafforzata l'attenzione politica e sociale verso la tutela del minore e di conseguenza sono nate nuove norme e leggi in materia di diritti dell'infanzia. Per fare un esempio citiamo la legge N.66 del 1996: la violenza sessuale diventa reato e di conseguenza è possibile introdurre protezioni giudiziarie del bambino abusato.

Il Tribunale per i Minorenni è il principale garante della protezione e del sostegno ai minori e alla sua famiglia. Nel caso in cui i genitori naturali non sono in grado di conferire al bambino il benessere di cui ha bisogno, è necessario che intervengano le istituzioni.

L'affidamento familiare è un intervento temporaneo di aiuto e di sostegno ad un minore privo di un ambiente familiare idoneo alla crescita. Possono ottenerlo sia una persona singola che una comunità di tipo familiare. A differenza di quella adottiva, la famiglia affidataria non può considerare il minore come proprio figlio; con l'affidamento, infatti, non si modifica lo stato familiare del minore e non si creano pertanto vincoli familiari tra quest'ultimo e l'affidatario. In Italia l'affidamento è disciplinato dalla Legge 184/1983, successivamente modificata dalla Legge 149/2001 "Diritto del minore alla propria famiglia"; l'art. 2 (comma 2, 3, 4) prevede che un minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo possa essere affidato ad un'altra famiglia o ad una persona singola che gli consenta il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. Ove tale inserimento non sia possibile, esso è previsto in una comunità di tipo familiare o in un istituto d'assistenza pubblico o privato. L'affidamento può realizzarsi nelle seguenti forme:

Consensuale: disposto dai Servizi Sociosanitari con il consenso delle parti coinvolte e reso esecutivo dal Giudice Tutelare che ne controlla la legittimità;

Giudiziale: disposto dal Tribunale per i minorenni, qualora manchi il consenso della famiglia naturale, e gestito dai Servizi Sociosanitari, che adeguano il programma degli interventi alla naturale evoluzione della situazione.

In entrambe le forme, l'affidamento familiare non può avere una durata superiore ai 24 mesi, ma può essere prorogato dal Tribunale per i Minorenni qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.

L'idea di fondo è che l'affidamento a terzi rappresenti una soluzione adeguata ai problemi dei minori in difficoltà. Si tratta di un intervento che si pone anzitutto dalla parte dei minori, che si ispira al valore del bambino in quanto persona, caratterizzato da esigenze e da diritti la cui collettività deve farsi carico. È diritto del bambino crescere in famiglia, in un sistema di affetti, di accudimento e di relazioni quotidiane che rappresentano i requisiti base per far fronte ai compiti dello sviluppo.

Pur caratterizzandosi per un intervento dalla parte dei bambini, l'affidamento presta particolare attenzione anche alle famiglie d'origine e alle condizioni problematiche che essi vivono, in quanto anch'esse sono soggetti da aiutare e potenziare.

Inoltre, l'intervento dell'affidamento è previsto dentro precisi criteri di regolazione sociale. Ciò significa che il minore è preso in carico non solo dalla famiglia affidataria, ma anche dalle istituzioni, che sono chiamate sia a creare le condizioni positive per la riuscita di questo intervento sia a vigilare che esso avvenga nel rispetto delle norme di legge e dei criteri ispiratori.

I servizi istituzionali coinvolti nell'affidamento sono molteplici: Servizi Sociali, Servizi Specialistici ASL(Psicologia, Neuropsichiatria infantile.), Centro Affidi, Autorità Giudiziaria (Tribunale per i Minorenni, Giudice Tutelare), Scuole. L'agire di ognuno deve obbligatoriamente essere esposto alla visione di tutti, conosciuto, condiviso all'interno di un progetto comune.

I servizi territoriali sono i responsabili del caso, cioè organizzano le azioni e attivano, quando necessario, la rete dei servizi istituzionali e non; inoltre, essi hanno l'onere economico che deriva dal progetto di affido(contributo mensile, assicurazione.).




L'ASSOCIAZIONE FAMIGLIE PER L'ACCOGLIENZA


La Cooperativa sociale "Associazione famiglie per l'accoglienza-AFA" con sede legale in Brignano Gera D'Adda, Bergamo, in via Spirano 34/36 si è costituita nel mese di dicembre 1993 assorbendo le attività della precedente "Associazione Famiglie per l'Accoglienza". Quest'ultima era stata fondata nel 1986 da un gruppo di operatori sociali che a titolo volontario gestivano una piccola Comunità Alloggio. Le continue richieste di inserimento hanno poi evidenziato la necessità di ampliare le attività finché, dopo otto anni di lavoro, caratterizzati dall'espansione e sperimentazione di nuovi servizi a favore di minori a rischio, è stata deliberata la trasformazione in Cooperativa. Quest'ultima ne ha rilevato le attività, facendo propri gli scopi statutari e conservandone la denominazione.

La Cooperativa AFA condivide entro una rete nazionale più ampia di comunità, tra cui il C.N.C.A.6 e il Coordinamento Provinciale delle Comunità Alloggio e Reti Familiari, le seguenti linee pedagogiche:

Previsione e attuazione di interventi a sostegno delle famiglie in genere e di quelle in difficoltà al fine di facilitare e promuovere l'assunzione e lo svolgimento dei compiti educativi da parte di genitori e familiari.

La possibilità di ammettere l'allontanamento solo dopo che siano stati vagliati, in tempi rapidi, tutti i possibili interventi di sostegno alla famiglia e sia esclusa la possibilità di contenere e risolvere, attraverso di essi, i problemi presenti nel nucleo familiare.

Intendere ed utilizzare l'allontanamento del minore non come intervento in se stesso risolutivo dei problemi presenti all'interno del nucleo familiare in difficoltà. Si crede in un progetto globale ipotizzato dai diversi soggetti istituzionali coinvolti, al fine di verificare e promuovere un'evoluzione positiva dei problemi presenti nel nucleo familiare, affinché il minore possa rientrare all'interno della propria famiglia sufficientemente capace di soddisfare i bisogni di cui è portatore. In caso d'allontanamento deve essere pertanto predisposto un progetto che ne chiarisca la motivazione e declini modalità, tempi, ruoli e funzioni dell'intervento stesso.

Separare il bambino dalla propria famiglia d'origine deve essere operativamente inteso come una situazione temporanea la cui durata deve essere possibilmente definita al momento dell'allontanamento. Ogni eventuale proroga di tale provvedimento deve essere ratificata alla magistratura minorile previo il riesame della situazione familiare e dell'intervento applicato.


Il progetto educativo di ogni intervento è il risultato di un lavoro in stretta collaborazione tra i servizi sociali invianti e l'èquipe di ciascun servizio.

La multidisciplinarità dell'équipe, che integra professionalità diverse, permette di fare un intervento a più livelli, data la multiproblematicità di ogni singolo caso: le diverse funzioni svolte rappresentano la pluralità di bisogni e di conflitti del minore e della sua famiglia d'origine. Il confronto e i momenti di supervisione degli operatori sono fondamentali: da un lato permettono di seguire passo per passo il progetto individuale del minore e verificarne gli obiettivi iniziali, dall'altro, servono per costruire un luogo di sostegno e tutela per gli operatori stessi.

L'èquipe di ogni servizio è composta dalle seguenti figure professionali:

Coordinatore, al quale compete il Coordinamento educativo e organizzativo della vita quotidiana in Comunità.

Staff di educatori professionali.

Assistente Sociale che, in stretta collaborazione con i Servizi Sociali invianti, cura il progetto sociale di inserimento nelle comunità residenziali.

Psicologo, che si occupa di seguire il percorso che va dalla valutazione psicodiagnostica, attraverso la prognosi e la costruzione del progetto terapeutico, fino all'avvio della cura.

Neuropsichiatra infantile, al quale sono affidate le valutazioni neurologiche e psichiatriche.



IL SERVIZIO FAMIGLIE TERAPEUTICHE


Il valore fondamentale, in cui la Cooperativa AFA crede, è la famiglia.

Prendendo spunto dalla legge regionale n°23 del 1999: "Politiche regionali per la famiglia", la Cooperativa intende la famiglia come il primo luogo dell'umanizzazione della persona. Gli individui in essa coinvolti sono chiamati a formare una comunità in virtù della quale, mediante processi empatici, intelligenza e volontà si sostengono a vicenda, crescono nella mutua donazione, sono inclini ad ascoltarsi e dialogare per infondere consistenza e vigore alla loro vita.

Quando questa unità affettiva e sociale non si può realizzare, a causa di problemi che insorgono all'interno del nucleo familiare, la Cooperativa AFA risponde con delle proposte volte non a sostituire, ma a supportare la famiglia sofferente al fine di spezzare la catena generazionale multiproblematica.

Nello specifico, il servizio Famiglie Terapeutiche si avvale della collaborazione di numerose famiglie appartenenti al territorio della Bergamasca ed offre spazi di accoglienza in ambito familiare di minori in particolare molto piccoli (da pochi mesi a sei anni) per i quali non si ritiene attuabile, né opportuno, da parte dei Servizi Sociali invianti e del Tribunale per i Minori, l'inserimento in struttura comunitaria o l'avvio immediato di un progetto di affido etero familiare. In questo caso l'accoglienza presso le famiglie terapeutiche favorisce un maternage ed una relazione nutritiva con il bambino.

Durante il periodo di permanenza del minore presso la Famiglia Terapeutica, l'AFA si avvale dell'intervento dei propri educatori professionali per sostenere il minore inserito in famiglia. A questa accoglienza si aggiunge la possibilità e/o risorsa di uno spazio neutro dove i minori possono incontrare i loro genitori alla presenza dell'educatore. Questo spazio offre la possibilità al bambino di relazionarsi con le figure genitoriali in una cornice di protezione e, qualora sia presente, di sospensione del conflitto per una migliore tutela del minore stesso. Le visite protette, garantendo la costante presenza dell'educatore di riferimento, si pongono l'obiettivo di supportare il minore affinché possa mantenere la relazione con i genitori, salvaguardando così i suoi diritti a non perdere parte del suo essere figlio, della sua identità e a non smarrire il senso e la continuità della sua storia.

Ma perché la famiglia viene denominata terapeutica?

Le persone che formano la famiglia terapeutica rappresentano i genitori del minore che soffre di carenze, e svolgendo questa funzione sono oggetto di un transfert significativo7; d' altra parte essi sono anche i genitori buoni sognati dal bambino nelle sue fantasie familiari. Collocandosi tra il simbolico e l'immaginario, essi costituiscono delle figure significative che permettono al bambino di accedere alla simbolizzazione: questi nuovi genitori sono probabilmente dei genitori simbolici. Il simbolo permette di creare una certa distanza relazionale che apre la strada alla funzione terapeutica della famiglia.


IL RUOLO DELLO PSICOLOGO NEL SERVIZIO

I percorsi di formazione della famiglia terapeutica

Essere famiglia terapeutica richiede una competenza complessa che viene sovente messa alla prova e quindi va accompagnata. A questo proposito, il servizio Famiglie Terapeutiche dell'Associazione Famiglie per l'Accoglienza propone un percorso di consapevolezza con obiettivi formativi e di orientamento che favoriscono la conoscenza dell'AFA e la condivisione di una cultura d'accoglienza e di avvicinamento alla dimensione del minore.

Inoltre, sono periodicamente previsti gruppi di confronto per la rielaborazione e la condivisione dell'esperienza dell'accoglienza tra le famiglie che la stanno vivendo, per far fronte alla situazione di faticosa solitudine spesso sperimentata dalle famiglie affidatarie. Il gruppo è uno strumento insostituibile per dare ai coniugi la visione concreta di cosa significhi accogliere un bambino in affidamento e per far sentire alla coppia che diventare affidatari li immette in un circolo di famiglie sui generis, che vivono con grande orgoglio il loro status di operatori sociali volontari.

Da parte dello psicologo che conduce gli incontri, vi è la possibilità di vedere i coniugi muoversi in un contesto e con stimoli completamente diversi da quelli offerti nel colloquio familiare.

Il numero degli incontri e la frequenza sono variabili, mediamente hanno cadenza mensile, come variabile è anche il momento in cui tali incontri vengono proposti (serate, week-end.), mentre pressoché assente è il dato relativo alla loro durata.

La metodologia utilizzata dall'équipe di psicologi che tiene il corso può essere definita attiva, in quanto verte sulla partecipazione dei presenti che portano nel gruppo le loro emozioni e motivazioni. Tali elementi, infatti,  non sono trascurabili in un percorso formativo per famiglie che si apprestano a diventare affidatarie e che si trovano e si troveranno a dover gestire un contesto relazionale ed emotivo che richiede una competenza che può sicuramente avere una base di dote personale, ma può essere sollecitata e raffinata attraverso un percorso mirato. La disposizione del gruppo è a cerchio: tutti sono ospiti di riguardo ma, contemporaneamente, padroni di casa. I temi specifici emergono spontaneamente e su di essi ci si sofferma di volta in volta, secondo il livello culturale dell'affido e di maturità raggiunto dal gruppo.

Rendere consapevole il gruppo dei propri potenziali e del proprio valore è una delle funzioni più importanti dei coordinatori: essi individuano nel gruppo stesso le risorse per affrontare le strettoie dell'affido e avvallare le sue soluzioni e risposte. Lo psicologo conduttore deve anche considerarsi partecipe del gruppo, comunicare il senso di solidarietà, di spontaneità, di interesse e influenzare positivamente la coesione del gruppo.

Durante il percorso di formazione gli psicologi approfondiscono temi come la motivazione, la temporaneità dell'affido e il relativo distacco dal minore. Vengono quindi esplicitate le modalità necessarie per accogliere il minore ed entrare in contatto con i suoi bisogni, i rapporti con la famiglia d'origine, e come si conclude un affido. Necessaria, inoltre, una delucidazione sulla conoscenza delle normative che regolano l'affido, gli aspetti burocratici e amministrativi.


Il processo di selezione e gli strumenti usati

Una prima scrematura nel processo di selezione delle famiglie affidatarie avviene con la prima telefonata che la famiglia opera verso una struttura sociale. In questo primo colloquio si possono valutare le intenzioni, i moventi, il grado di cultura e soprattutto se è chiaro alla famiglia che si tratta di affido e non di adozione.

Il passo successivo è fatto da una serie di colloqui della famiglia con lo psicologo che ha preso in carico il caso in questione: una delle prime indagini è scoprire cosa c'è dietro l'apparente motivazione che ha portato la famiglia a chiamare la struttura, cioè quale richiesta psicologica vi si nasconde dietro. Infatti, la coppia dichiara sempre i motivi coscienti che sono stati determinanti per la decisione, ma molto spesso, questi, coprono bisogni diversi di cui la coppia non è consapevole. Per arrivare a comprendere ciò, è necessario che la famiglia venga innanzitutto considerata come un sistema in cui il comportamento di un componente si giustifica in riferimento al comportamento degli altri. In altre parole, lo psicologo non si sofferma sulle singole caratteristiche e peculiarità dell'individuo ma piuttosto analizza le interazioni reciproche, poiché è da un'analisi complessiva del sistema famigliare che si può arrivare a stabilire l'idoneità per l'accoglienza di un minore. Dal momento che la famiglia è considerata una totalità, allora l'entrata del minore introdurrà necessariamente la rottura di un equilibrio: lo psicologo deve assicurarsi che la famiglia in questione sarà in grado di gestire questo tipo di destabilizzazione introducendo variazioni tali da ristrutturare e ricalibrare il sistema. Una situazione positiva, ad esempio, può essere quella in cui un membro della famiglia, un figlio, è prossimo all'uscita: in questo caso la coppia cerca nell'affido una riconferma del proprio ruolo genitoriale che è già stato praticato e conosciuto ed è quindi in grado di ritrovare un giusto equilibrio.

Durante i colloqui è necessario anche ricercare alcune problematiche che vanno ad ostacolare l'idoneità all'affido: in primo luogo l'eccessiva rigidità, cioè quando alcuni membri della famiglia sono in eccessivo antagonismo o quando un membro è subordinato all'altro. Un' altro rischio è dato dall'evidente indisponibilità ad accettare aiuti esterni per sostenere l'impegno dell'affido; o ancora, non è positivo il fatto che sia solo un individuo della coppia a manifestare il bisogno dell'affido e in questo caso è importante sapere chi dei coniugi ha preso l'iniziativa di rivolgersi a una struttura.

Significativo è anche il rapporto dei coniugi con la famiglia allargata, ossia, comprendere quanto la loro storia sia stata strutturante, quali esperienze hanno vissuto e con quali risonanze emotive, se vi sono (stati) conflitti con le famiglie d'origine, cosa queste ultime pensano di loro e della loro scelta di prendere un bambino in affido e, infine, quali sono le modalità relazionali apprese in seno al nucleo d'origine.

Per trattare questo punto, gli psicologi che lavorano nell'Associazione Famiglie per l'Accoglienza si avvalgono di due strumenti: il genogramma e il disegno congiunto. Il genogramma, introdotto nella terapia sistemica familiare da Murray Bowen8, è la rappresentazione grafica della struttura di una famiglia accompagnata dalle verbalizzazioni che colui che compila il genogramma fa rispetto alle relazioni tra i soggetti rappresentati, alla comunicazione tra essi, alle somiglianze o differenze, ai miti o ai rituali che caratterizzano parti del sistema rappresentato. Alla semplice descrizione dei legami di parentela si aggiunge, dunque, l'analisi degli elementi relazionali, emotivi e affettivi.

L'organizzazione del genogramma e l'uso che viene fatto in esso dei simboli permette sia a chi lo compila, sia a chi l'osserva e ascolta, di far emergere la storia della famiglia e di evidenziare alcuni suoi schemi e modelli di funzionamento significativi. Secondo la teorizzazione di Bowen, in ogni sistema relazionale si costituiscono dei triangoli emozionali: esempi classici sono quelli di un genitore che si allea con un figlio contro l'altro genitore oppure della triade figlio adulto, madre e moglie del figlio. I triangoli possono funzionare in molteplici modi, ma portano comunque al disagio emotivo dei soggetti; tramite la rappresentazione grafica del genogramma, Bowen identifica la presenza di triangoli emotivi e l'appartenenza ad essi dei soggetti che si rivolgevano a lui per una terapia.

L'altro strumento utile ai fini di indagare il funzionamento della famiglia è il disegno congiunto: madre, padre ed eventuali figli si pongono di fronte ad un foglio bianco e insieme devono disegnare la famiglia stessa, compreso il bimbo che verrà loro affidato in un'ipotetica situazione scelta da loro stessi. Lo psicologo può dunque andare ad osservare quale dei componenti della famiglia prende l'iniziativa, chi completa i disegni dell'altro, chi chiede collaborazione e chi, invece, lavora autonomamente; inoltre, si vanno ad osservare le vicinanze e le esclusioni tra le persone disegnate, i movimenti delle persone, le posizioni nel foglio. Al termine, lo psicologo fa una lettura simbolica del disegno di ogni persona.

Positivo al fine dell'idoneità all'affidamento è la presenza di relazioni e interessi esterni alla cerchia familiare, dato che non è sempre scontato che siffatte relazioni esistano.

Durante il colloquio si affronta il problema della temporaneità dell'affido, le attese e le idealizzazioni del minore e soprattutto il problema dei rapporti con la famiglia d'origine del minore. Infatti, una delle condizioni basilari per poter aiutare un bambino, già molto provato nel suo percorso di crescita, è il reale accoglimento della sua storia e delle sue origini.

È necessario che chi si candida all'affido sappia assumere un autentico atteggiamento di tolleranza e comprensione verso i genitori del bambino. Inoltre, l'affido, proprio in quanto operazione complessa che mette in connessione diversi sistemi (famiglia naturale, famiglia affidataria, operatori psicosociali e autorità giudiziaria), richiede necessariamente, da parte di ciascuno degli attori coinvolti, la capacità di lavorare in compartecipazione con gli altri. Spesso, approfondendo questi temi, avviene una sorta di autoselezione in quanto alcune famiglie arrivano al colloquio poco informate o senza aver pienamente riflettuto in merito agli aspetti nodali dell'affido.

Alla fine della serie di colloqui, la famiglia è sottoposta alla visita domiciliare in cui si osserva la condizione abitativa, la tipologia di accoglienza dell'altro, il contesto ambientale e l'interazione dei familiari nel loro ambiente di vita, al fine di ricavare ulteriori informazioni utili a considerare la famiglia idonea all'accoglienza di un minore.





L'abbinamento famiglia-minore:

Cosa si intende per abbinamento?

Dopo la fase di conoscenza-selezione, si giunge all'assegnazione del minore agli affidatari: è qui che la loro disponibilità, divenuta idonea, si misura con un volto e una storia concreti, quelli del bambino da accogliere.

Si definisce abbinamento il "processo attraverso il quale viene progettato e realizzato l'inserimento di un determinato minore con difficoltà familiari in una famiglia diversa, con le sue peculiarità. Dal punto di vista funzionale esso ha come obiettivo quello di rendere possibile una coevoluzione, reciprocamente vantaggiosa, dei sistemi considerati [.]"9. In questo senso, l'abbinamento non è più unidimensionale, ma bidimensionale: non più solamente finalizzato a soddisfare i bisogni del minore, ma ugualmente impegnato a trovare una soluzione soddisfacente anche per la famiglia affidataria.

Il punto iniziale di ogni operazione di abbinamento coincide con il termine della fase di definizione dei sistemi da confrontare: è infatti necessario che siano già state realizzate adeguate valutazioni sulla famiglia d'origine del minore e sul minore stesso, e sia stato formulato un progetto che prevede per entrambi un percorso evolutivo volto a superare i problemi che rendono necessario l'affido. In altre parole, l'inizio dell'abbinamento si ha quando il progetto per il minore e la sua famiglia d'origine converge con le informazioni relative alle famiglie disponibili all'esperienza d'affido.

Importante sottolineare che i soggetti coinvolti nella decisione di abbinamento operano in condizioni di incertezza e di incompletezza di informazioni dal momento che alcuni particolari che riguardano il minore o le famiglie emergono solo successivamente. Si tratta di una decisione in cui è necessario prendere in considerazione la possibilità di rischio e fallimento. Il momento decisionale dell'abbinamento si caratterizza dunque come una "situazione di decisione inter-individuale, di tipo collaborativo, sviluppata in condizione di incompletezza di informazioni"10.

Compatibilità: funzione, gioco relazionale, modelli interattivi

La fase dell'abbinamento concerne la presenza o l'assenza di un sufficiente grado di compatibilità tra i sistemi evolutivi interessati. Tre sono i concetti che possono rendere meglio l'idea di compatibilità: funzione, gioco relazionale e modelli interattivi.

La funzione riguarda la capacità di uno strumento di raggiungere le proprie mete; nel caso dell'affido significa considerare se e come ciascuno degli elementi in gioco possa entrare al servizio dello sviluppo complessivo.

Relativamente al concetto di gioco relazionale, il tentativo di verificare compatibilità si traduce nell'esplorazione dei possibili sviluppi di giochi in atto. Il gioco è in questa accezione inteso come la complessità dinamica presente in ogni sistema familiare in termini di posizioni, ruoli, mosse, abilità, tattiche e obiettivi. La stessa richiesta di affido, infatti, nasce strutturalmente nel momento in cui qualcuno valuta che il gioco all'interno del quale è collocato un determinato minore è, per qualche aspetto, incompatibile con le sue esigenze evolutive o con i valori espressi dalla cultura cui appartengono i servizi pubblici. Il collocamento di un minore all'interno di un diverso gioco relazionale ha come obiettivo quello di creare un contesto di crescita sufficientemente in linea con le capacità relazionali del minore.

Oltre a funzione e gioco relazionale, una terza riflessione sulla compatibilità è data dai modelli interattivi. Crescendo all'interno di uno specifico contesto relazionale, ogni soggetto crea dei propri modelli interattivi che utilizzerà in tutte le situazioni simili: gli schemi comportamentali introiettati risulteranno adattativi o disadattativi a seconda del contesto in cui sono inseriti. In altre parole, si riconosce la possibilità che uno stile interattivo riesca in qualche modo a inserirsi e integrarsi con quelli degli individui con cui viene a contatto in determinate situazioni, generando comprensione reciproca ed efficacia interattiva. Obiettivo dell'affido è proprio quello di dimostrare che, attraverso abbinamenti equilibrati, determinati modelli interattivi che risultano disadattativi nella famiglia di origine o nel contesto che la circonda, possano proficuamente integrarsi con modelli interattivi considerati socialmente e psicologicamente adattativi.


Contesti determinanti per la decisione di abbinamento

Gli psicologi in fase di abbinamento tengono conto di alcuni criteri pratici: uno di questi è favorire lo spazio psicoaffettivo di crescita. Infatti, le famiglie aspiranti affidatarie chiedono spesso di inserire un minore dello stesso sesso o di età vicina ai propri figli, ma nella maggior parte dei casi i minori che vanno in affido hanno bisogno di trovare uno spazio affettivo e psicologico tutto loro. Il criterio di differenziare adeguatamente l'età dell'affidato da quello dei minori presenti in famiglia serve ad evitare che questi ultimi mettano in atto movimenti difensivi ed espulsivi nei confronti dell'intruso. Inoltre, l'inserimento di un minore di sesso diverso può risultare più funzionale perché evita situazioni rischiose di confronti fatti personalmente o messi in atto dai coetanei: per esempio, sul rendimento scolastico o sullo sviluppo fisico, e diminuisce il rischio di interferenze dell'affidato nelle amicizie dei figli naturali.

Altro elemento da considerare è la posizione che il minore aveva nella sua famiglia d'origine, in modo da evitare il rischio di proiezioni di sentimenti negativi già vissuti. Nello stesso tempo, però, è importante non accentuare le differenze sociali e culturali tra le famiglie d'origine e quelle affidatarie: troppa differenza rischia di impedire al minore di mantenersi leale verso la sua famiglia e aumenta i motivi di conflittualità e di rigetto da ambedue le parti. Infatti, le differenze culturali sostenibili per il minore sono quelle che gli permettono di sentirsi parte di una famiglia, piuttosto che confrontarsi con famiglie belle e lontane da risultare per lui difficili da capire, soprattutto difficili da vivere. Di conseguenza si deve tener conto della capacità degli affidatari di attuare mediazioni culturali per capire e accettare modi di vita e di pensiero diversi dai propri.

Più in generale, gli psicologi pongono l'attenzione sui contesti relazionali presenti nella famiglia affidataria e anche nel minore. Sono stati individuati gli ambiti relazionali più incisivi nella realtà psicoevolutiva del minore che servono a evidenziare eventuali carenze, disfunzioni o traumi, ma anche risorse e abilità acquisite e segnalare la necessità di reperire risorse familiari attinenti a un certo contesto piuttosto che a un altro. In particolare, in Quale famiglia per quale minore11 si distinguono i seguenti contesti:

Contesto affettivo: riguarda il clima delle relazioni tra le figure parentali, le esperienze di abbandono e trascuratezza. Significativa la presenza più o meno interferente dei nonni.

Contesto accuditivo: tiene conto delle esperienze di accudimento ricevute dal minore nella prima infanzia e le confronta con la quantità delle medesime risorse ancora attive nella famiglia affidataria, al fine di creare corrispondenza con il bisogno del minore.

Contesto educativo: mette in luce i modelli comportamentali già acquisiti dal minore e quelli in vigore nella famiglia affidataria (valori nei confronti della scuola, dell'autorità, della religione.) per evitare accostamenti troppo azzardati e incompatibili.

Contesto dei fratelli: permette di scoprire i giochi di alleanze, gelosie, schieramenti affettivi del minore nella sua famiglia d'origine per evitare, in fase di abbinamento, di riprodurre posizioni già rilevatesi disfunzionali alla crescita del minore.

Contesto dei figli: indaga la composizione della famiglia affidataria, non solo relativamente al numero dei figli, ma anche al tipo di rapporti esistenti tra loro. In questo modo l'abbinatore cerca di individuare l'elemento meno coinvolto (o più reticente) che potrebbe elaborare sintomi di disagio, e tenere conto che, di fronte alla sofferenza dei propri figli, nessuna famiglia è disponibile ad anteporre a essi l'interesse del nuovo arrivato.

Contesto di apprendimento: riguarda le esperienze affrontate dal minore in ambito scolastico, domestico e lavorativo, in modo da evidenziare le esperienze positive che possono suggerire agli abbinatori inserimenti familiari che creano continuità tra le risorse e generano affinità preziose con la famiglia affidataria.

Contesto delle relazioni esterne: è indicativo di uno stile familiare più o meno aperto; la famiglia affidataria deve sapersi mettere in gioco e confrontare con le realtà esterne, soprattutto assumere atteggiamenti di tolleranza e comprensione verso la famiglia d'origine del minore.


Il post-affido

La conclusione di un progetto di accoglienza può avvenire in due modi:

Per provvedimento giudiziario, osservate le condizioni e i miglioramenti della famiglia d'origine, il minore viene fatto rientrare in casa;

La famiglia terapeutica decide di interrompere l'esperienza dell'affido per ragioni interne alla famiglia stessa come ad esempio il disagio di alcuni componenti della famiglia (spesso i figli naturali) oppure incompatibilità con il minore accolto;

Il caso passa sotto la responsabilità di un altro Servizio per ordine del Tribunale per i Minorenni;

I servizi istituzionali possono decidere di interrompere l'affidamento per sollevare la famiglia accogliente da responsabilità troppo gravose, poiché chi è coinvolto emotivamente non è in grado talvolta di prendere posizioni ferme e decise.

E' importante, alla fine di un percorso di accoglienza, valutare il cammino percorso sia riguardo al recupero delle capacità genitoriali da parte della famiglia naturale che della crescita evolutiva del bambino: lo stato di salute, sviluppo psico-sociale adeguato, consapevolezza di sé, costruzione di relazioni soddisfacenti, riconoscimento delle proprie risorse e propri limiti.

Successivamente la famiglia accogliente coinvolta nel processo non va abbandonata a se stessa ma accompagnata nel doloroso e difficile processo del distacco. La famiglia deve elaborare la separazione ed imparare ad accettarla. Talvolta ci si trova di fronte a sentimenti di rabbia, delusione, dolore, preoccupazione per il futuro del minore, risentimento verso i servizi che hanno talvolta interferito negativamente per l'affido.

È necessario quindi un graduale diradamento degli incontri, volti ad attenuare una separazione graduale ma costante.





PARTE SECONDA: IL PERCORSO DI TIROCINIO


PRESENTAZIONE DEL PROCESSO DI SELEZIONE DI UNA FAMIGLIA TERAPEUTICA: LA FAMIGLIA ROSSI


Primo colloquio

La famiglia Rossi è composta dai coniugi C., 40 anni e G., 46 anni e dal piccolo K., 7 anni, figlio adottivo.

In seguito alla telefonata ala Servizio, i coniugi si presentano al primo colloquio con lo psicologo di riferimento.

La signora C. è la prima che prende la parola in merito alla motivazione che li ha spinti verso la scelta dell'affido temporaneo: il completamento dell'esperienza famigliare e l'esigenza di K. di avere un compagno di giochi. Durante il colloquio il marito sembra restare in ombra, preoccupandosi di annuire di tanto in tanto alle affermazioni della moglie; la signora C., al contrario, è molto disinibita e sicura di sé nel rispondere allo psicologo.

C. e G. si sono sposati nel 1988 e inizialmente lasciano in secondo piano l'idea di completare la famiglia con un figlio; essi indirizzano ogni energia sul lavoro, realizzando una propria attività nel settore commerciale. Dopo dieci anni sentono l'esigenza di colmare il "vuoto" che sentono allargando la famiglia; ciò non gli è permesso a causa di una malformazione all'utero della signora C.

Poco tempo dopo, soprattutto per volontà di C., i coniugi prendono la decisione di adottare un bambino ed intraprendono il lungo e tortuoso percorso dell'adozione. Nel 2003 ottengono l'adozione di K, bambino sudamericano dell'età di 3 anni.

Attualmente sono in lista per una seconda adozione ma, consapevoli dei tempi di attesa per quest'ultima, hanno pensato di tentare la strada dell'affidamento temporaneo. Purtroppo è evidente la mancanza di informazione che la famiglia Rossi ha in merito alla definizione di famiglia terapeutica, ben lontano da quella di famiglia adottiva.


Analisi del genogramma

Ai coniugi viene dato un foglio bianco e viene loro chiesto di disegnare l'albero genealogico delle loro rispettive famiglie, contemporaneamente e in due punti diversi dello stesso foglio.


Il signor G. disegna nella parte alta del foglio, a destra; il genogramma è piccolo, i nomi sono ravvicinati e non vi sono linee che colleghino i vari componenti della famiglia. Egli racconta di essere stato cresciuto dagli zii materni, i quali abitavano nell'appartamento adiacente a quello dei genitori. Gli zii si sono occupati di lui come fosse un figlio, forse per sopperire all'impossibilità di avere dei figli propri a causa di sterilità del marito. Le figure genitoriali sono state poco presenti nella vita del signor G. ma egli non ha mai mostrato segni di crisi in merito a questa mancanza. Egli tende a minimizzare quando si affronta l'argomento della sua personale storia faticosa.

Il signor G. è il primogenito di tre figli maschi con i quali non ha alcun rapporto significativo.

La storia della famiglia non registra particolari eventi dolorosi.


La signora C. disegna il proprio genogramma nella parte sinistra del foglio; il grafico è ampio, i nomi vengono messi in evidenza da riquadri e sono collegati tra loro mediante frecce.

La famiglia è composta da padre e madre, figure attualmente fondamentali nella sua vita, e due sorelle più piccole alle quali è fortemente legata.

La famiglia d'origine è il punto di riferimento saldo in cui la signora C. trova conforto ogni qual volta ne sente il bisogno, è il luogo stabile in cui trova una risoluzione ai propri problemi. È una famiglia "controllante", in cui le relazioni sono così strette che ognuno non può fare a meno di sapere quello che fa l'altro; essi si sono costruiti un piccolo mondo separato da ciò che c'è all'esterno. Lo stile di comunicazione familiare è esplicito nell'espressione dei sentimenti.


Colloqui successivi


Situazione famiglia: a fronte dei colloqui emerge che la famiglia Rossi non ha instaurato alcun tipo di relazione con il mondo esterno, elemento peraltro fondamentale per una buona riuscita del percorso di affidamento. Essi sono chiusi, molto riservati e l'unico mezzo di comunicazione con l'esterno è la famiglia della moglie. Proprio la signora C. è la causa principale della rottura di ogni relazione amicale del marito; egli infatti precisa di aver avuto nel passato parecchie attività che lo impegnavano fuori casa, anche a livello sociale e religioso. Dopo il matrimonio è la moglie che prende le redini della famiglia, conseguenza del carattere forte e deciso contrapposto a quello del marito che è più facilmente condizionabile. Da quel momento le uscite e le relazioni esterne riguardano unicamente la famiglia della signora (cene, gite e uscite di ogni tipo), in particolare con la sorella più grande e il cognato.

Nel momento in cui poi è arrivato K. in famiglia, la signora C. ha spostato le sue attenzioni dal marito al bambino: ha "mollato" il marito per poter riversare ogni energia sul piccolo appena arrivato. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, il marito non sembra risentire di questa situazione, forse abituato, nella storia della sua infanzia, ad essere "mollato" e a vivere restando in secondo piano.

La coppia sembra essersi creata un equilibrio finto, le loro affermazioni sulla vita della famiglia sono tutte positive: sostengono di non aver mai litigato e di non aver mai avuto difficoltà nella gestione della famiglia.


Relazione con il figlio: K. arriva nella famiglia Rossi all'età di 3 anni. L' evento traumatico che ha caratterizzato l'esperienza famigliare di K. è stato l'abbandono improvviso da parte di entrambi i genitori.

K. si presenta subito come un bambino tranquillo e capace di adattarsi ad ogni situazione; si ambienta fin da subito in casa Rossi senza manifestare particolari disagi. Il bambino porta in famiglia parecchie gratificazioni sia a livello scolastico che a livello sportivo. La signora C. ha preso la decisione di iscriverlo ad una scuola Montessori, presa dall'idea che K. sia un bambino particolare, diverso dagli altri, "con un qualcosa in più". Inoltre il bambino pratica nuoto a livello agonistico e conquista in tempi brevi numerosi successi. Tutto ciò rende i genitori terapeutici molto orgogliosi di questo bambino e di conseguenza lo incitano a fare sempre meglio, attraverso una sorta di soffocamento e oppressione che potrebbe portarlo con il tempo a scoppiare.

Il bambino è periodicamente sommerso di regali, di oggetti materiali e soprattutto la signora C. è molto puntigliosa per quanto riguarda l'abbigliamento del figlio.

K. non ha il tempo di esprimere i propri bisogni perché vengono anticipati e risolti dalla madre terapeutica.

Il padre terapeutico invece vive il rapporto con il figlio in modo più distaccato e non ha voce in capitolo in merito alle decisioni che lo riguardano. Egli si limita ad assecondare la moglie quasi passivamente anche se, nel contempo, la moglie stessa ha notevole bisogno dell'appoggio del marito, quasi come fosse forte e insicura nello stesso tempo.


Visita domiciliare: lo psicologo si presenta a casa della famiglia Rossi per osservare concretamente come vengono vissute le relazioni interne e come si presenta l'ambiente in cui dovrebbe venire accolto un bambino in affido temporaneo.

Alla visita domiciliare sono presenti tutti i componenti della famiglia, compreso il piccolo K.

La signora G. si presenta molto ansiosa nell'accogliere lo psicologo; è lei che gestisce l'accoglienza: decide come prima cosa, per lei fondamentale, di portare lo psicologo a vedere la stanza di K. in cui è già pronto e sistemato un letto per il futuro bambino che verrà accolto.

Durante la visita la madre terapeutica fa trasparire più volte la sua esigenza sulla prestazione del bambino; lo opprime di richieste continue e decide ad ogni costo che il bambino debba raccontare allo psicologo i suoi successi. K. si mostra a tratti insofferente nei confronti della signora C. e nello stesso tempo controllato: la asseconda e le risponde garbatamente.

Quando invece il bambino è con il padre terapeutico sembra essere più sciolto e meno rigido.

Nel disegno congiunto ai tre familiari viene data la consegna di disegnare la famiglia, compreso l'ipotetico bambino che prenderanno in affido, durante una situazione scelta da loro. Viene lasciata a K. la scelta della situazione da disegnare e viene proposta una gita in campagna.

La signora si preoccupa di disegnare le case, il piccolo paese, le strade; il marito disegna tutta la parte della natura, piante, un laghetto, alcuni animali. Invece il bambino disegna le persone: egli disegna se stesso in mezzo ai due genitori terapeutici ed è l'unico dei tre che porta lo zainetto sulle spalle.

Inizialmente nel disegno manca proprio il bambino da accogliere, mancanza valutata in modo molto negativo ai fini dell'idoneità all'affido. Lo psicologo provvede a far notare la grave dimenticanza e prontamente K. disegna il bambino molto lontano dalla famiglia con un

braccio alzato in segno di saluto.


Restituzione alla famiglia

Ai coniugi viene segnalato il fatto che la famiglia si trova in una situazione di equilibrio precario in cui la moglie, molto insicura, ricerca le gratificazioni personali nel figlio adottivo che purtroppo si sente sommerso di pressioni continue dalla madre. Infatti il bambino ricerca molto il padre che funge da luogo sicuro in cui non necessariamente deve mostrarsi perfetto.

In questo momento la famiglia riesce a reggere grazie al marito che resta in disparte, accetta questo ruolo e non si  mostra sofferente del disagio che prova. Inoltre, i successi ottenuti dal figlio portano soddisfazioni e la coppia ne trae gratificazione personale.

La famiglia non è adatta al ruolo di famiglia terapeutica in quanto ciò prevede alcune considerazioni fondamentali:

Con l'affidamento temporaneo vi è la possibilità di eventuali fallimenti sia da parte della famiglia che da parte del bambino in affido per molteplici cause citate nei capitoli precedenti. La famiglia Rossi non sarebbe in grado di reggere una sconfitta, in quanto si è presentata come una famiglia fragile con un incessante bisogno di rassicurazioni e rimandi positivi.

La famiglia terapeutica non agisce da sola sull'educazione e sul sostegno del bambino: essa fa parte di un'ampia cerchia di persone (psicologi, educatori, assistenti sociali, Tribunale dei Minori) che collaborano con uno stesso scopo. La famiglia in questione presenta difficoltà a relazionarsi con gli altri, è una famiglia chiusa, non abituata ad avere una vita sociale, al fondamentale confronto con gli altri. I Rossi non permettono a nessuno di entrare nel proprio spazio personale.

L'accoglienza temporanea di un minore in famiglia terapeutica riguarda un periodo di tempo talvolta molto ridotto. I coniugi Rossi non sono pronti emotivamente per legarsi a un bambino e poi lasciarlo andare senza che vi siano conseguenze notevoli sull'equilibrio della famiglia. La loro capacità di gestire le forti emozioni è ancora troppo poco consolidata.


Conclusioni

La famiglia Rossi è stata un esempio di percorso di selezione delle famiglie idonee a svolgere il complicato ruolo di famiglia terapeutica.

Lo psicologo che si è occupato del caso in questione ha seguito l'iter classico che il Servizio Famiglie Terapeutiche dell'AFA ha deciso di adottare per selezionare le famiglie: un primo colloquio, la costruzione del genogramma e relativa anamnesi familiare, altri tre/quattro colloqui, la visita domiciliare e infine la restituzione alla famiglia.

Nel caso della famiglia Rossi non si è ritenuto opportuno inserire a breve un minore; la famiglia è stata invitata a partecipare ai corsi di formazione delle famiglie proposti dall'AFA. Ciò li aiuterà a comprendere meglio la differenza tra adozione e affidamento temporaneo e a costruire la consapevolezza del "distacco". Inoltre, frequentando l'AFA inizieranno a stringere rapporti esterni, a confrontarsi con altre famiglie e a comprendere l'ampia realtà di questo Servizio.

La famiglia Rossi, durante il colloquio di restituzione ha manifestato apertamente sentimenti di dolore e commozione per la mancata idoneità; lo psicologo ha provveduto ad aiutarli con un'altra serie di incontri in cui ha cercato di rendere i coniugi consapevoli dei propri limiti ai fini dell'accoglienza di un minore.









NOTE:

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C.N.C.A.: Coordinamento Nazionale della Comunità d'Accoglienza.

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Murray Bowen - genogramma

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SBATTELLA, F.(a cura di),Quale famiglia per quale minore - Una ricerca sull'abbinamento nell'affido familiare, Franco Angeli, Milano, pag. 39.

SBATTELLA, F.(a cura di),Quale famiglia per quale minore - Una ricerca sull'abbinamento nell'affido familiare, Franco Angeli, Milano, pag. 88-91.




BIBLIOGRAFIA

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