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LA FILOSOFIA - CONCEZIONE CRITICO-METODOLOGICA

filosofia



LA FILOSOFIA


La filosofia del diritto è l'applicazione di una visione di concezioni generali del mondo. La filosofia del diritto dei filosofi consiste nel rendere il diritto come oggetto di attenzione teorica da parte della filosofia intesa come forma superiore di conoscenza della realtà. Dalla conoscenza empirica del diritto la filosofia del diritto si differenzia in quanto conoscenza collocata su un diverso piano: ontologia metafisica. Si delinea la differenza fra quid ius che sono le proprietà essenziali del diritto e quid iuris che rappresentano le caratteristiche contingenti dei diritti storicamente esistenti. Il metodo usato dalla filosofia del diritto è dall'alto verso il basso, mediante il metodo sintetico.

La filosofia del diritto dei giuristi è il metodo dal basso verso l'alto mediante un continuo contatto con il mondo empirico del diritto. È il metodo analitico. I discorsi dei giuristi servono per chiarire i concetti che ne fanno parte e i procedimenti attraverso cui i giuristi li producono (metadiscorso). La filosofia del diritto dei giuristi è la chiarificazione concettuale per sciogliere i nodi della pratica del diritto. I discorsi dei giuristi sono nella prospettiva della contestualizzazione storico/sociologica/culturale.


CONCEZIONE CRITICO-METODOLOGICA




La rivoluzione scientifica è:

Ø 656j95g   Il rifiuto del principio di autorità;

Ø 656j95g   Il sapere costruito secondo regole di metodo;

Ø 656j95g   Contrabbilità delle osservazioni,

Ø 656j95g   Condivisione intersoggettiva del sapere.

La concezione critico-metodologica è la contrapposizione tra il sapere scientifico, circoscritto, ma rigoroso e controllabile e il sapere filosofico, orientato alla conoscenza della realtà nel suo complesso ed aspirante alla conoscenza assoluta, ma privo di evidenze razionali e non controllabili. Secondo filosofi come Kant e Hume la filosofia non è la strada alternativa e superiore rispetto a quella della scienza per conseguire la conoscenza della realtà. La filosofia è la riflessione critica ai diversi ambiti di attività umana.

Agli inizi del novecento si afferma l'attenzione sulla centralità della dimensione linguistica in tutti gli ambiti dell'esperienza umana e si ritiene che il compito critico della filosofia debba essere svolto con specifico riguardo al linguaggio.

La scienza è un linguaggio. Il diritto è un diverso tipo di linguaggio, la cui costruzione e interpretazione costituiscono l'aspetto essenziale dell'attività dei giuristi.

La filosofia ha inizialmente affrontato il chiarimento della natura, della funzione dei requisiti e delle difficoltà dei linguaggi delle scienze. Successivamente, ha posto l'attenzione sui discorsi dell'etica, in generale, e del diritto, in particolare, favorendo la comprensione, e talora, indicando la strada per la soluzione dei problemi.


IL LINGUAGGIO


Il linguaggio è una combinazioni di segni e suoni aventi un significato. I segni naturali hanno con le cose di cui sono segno una relazione che non dipende dalla volontà umana. I segni artificiali o simboli hanno con le cose di cui sono segno una relazione che dipende dalla volontà umana. Tra le parole e ciò che significano c'è una relazione naturale, cioè viene rispecchiata l'essenza delle cose. La concezione rispecchiativa del linguaggio osi basa su presupposti essenzialistici, ma anche empiristici. Il linguaggio è costituito da un insieme di segni in relazione di corrispondenza con i fatti del mondo. Il verificazionalismo è inteso come i discorsi le cui proposizioni possono essere qualificate come vere o false attraverso un controllo empirico o un controllo logico. L'ambito del significato è circoscritto alle proposizioni empiricamente vere (verità come corrispondenza), logicamente vere (verità come coerenza). La verità empirica riguarda le proposizioni che possono essere messe in corrispondenza con i fatti del mondo. La verità logica concerne proposizioni correttamente prodotte rispettando regole di formazione e trasformazione. In questa prospettiva i discorsi dell'etica sono privi di significato come quelli della metafisica. Il descrittivismo è la teoria assimetrica del significato e l'emotivismo formulato da Ayer. Il prescrittivismo viene trattato ampiamente da Hare e Scarpelli. Negli enunciati prescrittivi e descrittivi dotati di un significato, può essere individuato un elemento (frastico) che contiene il riferimento ad un certo stato di cose del mondo, ad un'azione o ad una serie di azioni, fermo restando la diversa funzione degli enunciati (neustico). Gli enunciati privi di significato sono quelli incapaci di far riferimento ad una situazione o ad un'azione per descriverla piuttosto che per qualificarla prescrittivamente come obbligatoria, vietata, lecita, giusta ed immorale.

Il linguaggio descrittivo utilizza la forma indicativa, quello prescrittivi la forma deontica. Però il collegamento tra forme e funzioni è tipico ma non necessario in quanto si possono esprimere enunciati prescrittivi in diverse forme linguistiche. Il linguaggio descrittivo ha la funzione informativa, quello prescrittivo ha la funzione di orientamento del comportamento. Il linguaggio descrittivo si qualifica come vero-falso, quello prescrittivi come valido-invalido, giusto-ingiusto, efficace-inefficace. Nel linguaggio descrittivo la prova dell'accettazione è la credenza, in quello prescrittivo è l'esecuzione.

Il linguaggio può essere definito come una struttura regolativa. Esistono tre livelli di regole: livello sintattico, semantico e pragmatico.

Il livello sintattico sono regole relative alla combinazione di segni tra loro.

Il livello semantico sono regole che riguardano il rapporto dei segni con le cose significate.

Il livello pragmatico sono regole che determinano le relazioni tipiche tra segni, significati e utenti.

Il triangolo semiotico consente di evidenziare la stretta interconnessione tra gli elementi del fenomeno segnico di tipo linguistico, cioè tra segni, significati, referenti e interpreti o utenti. Inoltre, consente di visualizzare tre livelli di analisi di linguaggio, corrispondente a tre livelli di regole che del linguaggio determinano formazione ed uso. Il significato è la complessa relazione tra segni ed elementi non linguistici, determinata da regole espressamente imposte o implicitamente accolte dagli utenti del linguaggio. Ricercare il significato di parole significa individuare in quali circostanze e a quali condizioni, di una parola o di un insieme di parole si può fare, nella comunicazione, un uso legittimo perché conforme alle regole fatte proprie dagli utenti del linguaggio. Nel significato si può distinguere la denotazione (estensione) classe delle cose, fatti denominati dalle parole e la connotazione (intensione) insieme delle proprietà ritenute necessarie perché certi fatti rientrino nella denotazione di una parola. I linguaggi formalizzati sono costituiti secondo regole chiaramente esplicate. Il linguaggio ordinario/naturale è fluido , vago perché le regole sottese al suo uso non sono univoche, precise, stabili.

Il linguaggio giuridico in senso stretto è il linguaggio delle norme, mentre in senso più ampio è il linguaggio anche sulle norme (insieme dei discorsi prodotti nei diversi contesti nei quali si fa uso delle norme o se ne elabora la conoscenza). È composto da enunciati prevalentemente prescrittivi. Il linguaggio giuridico è parzialmente tecnicizzato, settoriale, in rapporto di continuità con il linguaggio ordinario in quanto importa da quest'ultimo la struttura aperta, cioè l'ambiguità e la vaghezza.

I termini utilizzati sono per lo più descrittivi di fatti, che appartengono al linguaggio ordinario, ma anche termini propriamente tecnico-giuridici. I termini del linguaggio giuridico servono per la determinazione del loro significato come elemento centrale dell'attività teorica e pratica dei giuristi e per il chiarimento dell'operazione definitoria come passo preliminare per comprendere e valutare le divergenze di opinioni.


PRECISAZIONI


Il performativo significa fare le cose con le parole.

Una proposizione prescrittivi dotata di significato deve possedere: frastico e naustico.

L'essenzialismo è una teoria del linguaggio che ritiene che devono essere tenute buone certe analisi in relazione al linguaggio. È una teoria del linguaggio che ritiene che tra le parole e i significati ci sia una relazione naturale. La teoria convenzionalistica del linguaggio ritiene che tra le parole e il significato non ci sia una relazione naturale. Infatti, questa teoria ritiene che il linguaggio è costituito da un insieme di segni, che attraverso complicati processi, sono stati posti in altrettanto complicate relazioni tra loro e con elementi di esperienza non linguistica, per rispondere alle esigenze degli utenti, dove le relazioni non sono causali, ma conformi a regole.

L'ambiguità di un termine si ha quando si possono dare più significati ad un termine. Un termine è vago quando il suo uso presenta, oltre ad ipotesi centrali e non controverse, casi controversi riguardo ai quali non è certa l'applicazione del termine.


DEFINIRE


Il termine definire significa tracciare i confini, delimitare e circoscrivere. La concezione realistica statica consiste nel definire le res mediante un discorso vero/falso ed è definito definizione diretta o per genere e differenza. La concezione realistica dinamica ha una funzione conoscitiva, cioè attraverso la definizione degli enti, si conosce l'essenza stessa delle cose che si vanno a definire. La concezione nominalistica ed analitica statica ha per oggetto i nomi e si basa sulla formulazione mediante altri termini delle condizioni di uso del termine da definire. La sua struttura è diretta o indiretta. La concezione nominalistica ed analitica dinamica svolge diverse funzioni: lessicale, stipulativa, ed esplicativa o ridefinitoria. La definizione lessicale descrive il modo in cui un termine è usato all'interno di un gruppo di utenti del linguaggio (può essere qualificato come vero-falso). La definizione stipulativa prescrive che un termine già in uso, o, più spesso, di nuova introduzione, sia adoperato in un determinato significato (non può essere qualificato come vero-falso). La definizione esplicativa o ridefinitoria consiste nel fatto che a partire da certe aree di significato consolidato nell'uso di un termine, individua il significato da preferire a discapito di altri, e lo propone come quello nel quale il termine deve essere adoperato.

Scarpelli afferma nel saggio "La definizione del diritto" che i termini appartenenti al vocabolario del linguaggio usato nel diritto possono essere codificati in tre categorie:

Ø 656j95g   Termini designanti fatti semplici, cioè non qualificati secondo norme;

Ø 656j95g   Termini designanti fatti qualificati secondo norme giuridiche o non giuridiche, come persona giuridica, contratto, negozio giuridico e termini designanti qualificazioni di fatti secondo norme, giuridiche o non giuridiche, come obbligatorio, lecito, vietato;

Ø 656j95g   Termini che designano norme o sistemi di norme assunti come schemi di qualificazione di fatti, o loro elementi o aspetti. Appartengono a questa categoria termini come norma giuridica, diritto di famiglia, legge.

I termini della prima categoria possono essere definiti, secondo i casi, con una definizione semplice o condizionale, e sollevano il problema s quando sono usati nel linguaggio giuridico mantengono o meno lo stesso significato che hanno nel linguaggio ordinario o in altri linguaggi.

I termini della seconda e terza categoria richiedono sempre una definizione condizionale con la quale si espliciti che tra le condizioni per il loro impiego vi è il riferimento a norme che qualificano in un certo modo i fatti ai quali i termini si riferiscono.

Il negozio giuridico è l'atto di autonomia privata (dichiarazione di volontà) diretto ad uno scopo pratico riconosciuto dall'ordinamento e ritenuto meritevole di tutela, cui l'ordinamento ricollega effetti giuridici conformi, idonei a proteggere ed assicurare il raggiungimento dello scopo pratico.


LE FONTI DEL DIRITTO


Le fonti del diritto sono quegli atti o fatti a cui un determinato ordinamento giuridico attribuisce l'idoneità o la capacità di produrre norme giuridiche. La fonte che si trova sul piano gerarchico più elevato è la legge perché è la diretta manifestazione del potere sovrano dello Stato. Il diritto premoderno era di formazione sociale (usi, consuetudini) di carattere giudiziale con un impronta dottrinaria. Inoltre era valido in base ad un'intrinseca ragionevolezza e non era solo positivo, ma anche naturale. Sono tre le principali teorie che si sono affermate per spiegare  il fondamento della giuridicità delle norme consuetudinarie. La dottrina romano-canonistica riduce la consuetudine alla legge, in quanto individua il fondamento della giuridicità della consuetudine nello stesso fatto che fonda la giuridicità della legge: la volontà del popolo. La dottrina moderna della consuetudine individua il fondamento della validità delle norme consuetudinarie nel potere del giudice che tali norme accoglie per risolvere una controversia. La dottrina della scuola storica individua il fondamento della validità delle norme consuetudinarie nella stessa consuetudine in quanto la consuetudine ha carattere giuridico indipendentemente dal legislatore, dal potere giudiziario e dallo scienziato.

La decisione del giudice rappresenta fonte del diritto al pari delle consuetudini, ma subordinati alla legge. La dottrina distingue tre tipi di equità: sostituiva, integrativa e interpretativa. L'equità sostitutiva si ha quando il giudice stabilisce una regola che supplisce alla mancanza di una norma legislativa. L'equità integrativa si ha quando la norma legislativa esiste, ma è troppo generica. L'equità interpretativa presuppone che il giudice definisce in base a criteri equitativi il contenuto di una norma legislativa che esiste ed è completa.

La giustificazione della legge nel pensiero gius-politico moderno è da collegare ad Hobbes (stato assoluto), Montesquieu (divisione dei poteri) e Rousseau (stato democratico).

Hobbes nacque in Inghilterra alla fine del 1500. La sua concezione di Stato passò da un modello aristotelico, come prolungamento della famiglia, ad un modello di Stato quale frutto di patti fra gli individui. La concezione dello stato hobbessiana è immanentistica, individualistica e razionalistica. L'immanentismo è la filosofia  che risolve l'oggetto del conoscere nell'esperienza o nel pensiero o nella conoscenza del soggetto. L'individualismo privilegia l'individuo a livello politico, sociale e morale, in rapporto ai diritti, interessi e valori dei gruppi. Il razionalismo è una corrente filosofica che ritiene che la ragione umana può essere la fonte di ogni conoscenza. Lo Stato è il prodotto di ragione, cioè la capacità di costruire discorsi, i cui passaggi possono essere controllati, capacità di rigoroso sviluppo da principi o conseguenze e capacità di apprestare i mezzi adeguati per fini che si considerano irrinunciabili da proseguire. I fini da proseguire sono la scurezza per tutelare il bene primario della vita e la sicurezza nelle attività quotidiane. Questi obbiettivi si realizzano con la produzione normativa nelle mani di un unico soggetto sovrano, attraverso la legge come manifestazione della volontà del sovrano e potere di comando del sovrano. Il sovrano assoluto è legibus solutus cioè non sottoposto alle leggi e non incontra limiti nella produzione normativa né nel diritto consuetudinario, né nel diritto elaborato di giudici, tuttavia è in grado di autolimitarsi ai principi del diritto naturale.

Montesquieu nacque alla fine del 1600 in Francia e definì il potere come un male, anche se inevitabile, i cui effetti più pericolosi andavano controllati e prevenuti attraverso opportuni meccanismi affinché non degeneri in dispotismo e minacci la libertà. Il fine prioritario da raggiungere è la libertà e il mezzo adeguato è rappresentato dalla separazione dei poteri. La libertà è il potere di fare ciò che si deve volere, cioè di fare tutto ciò che le leggi permettono. Mentre, per Hobbes la libertà è ciò che non è espressamente vietato.

Rousseau visse nel 1700 e definì la legge come condizione per la garanzia dell'autonomia individuale, cioè la libertà di dare regole a sé stessi. La contrapposizione fra autorità dello stato ed autonomia individuale viene meno se la legge è prodotta democraticamente e la volontà di chi ha prodotto la legge coincide con la volontà di chi deve obbedire. Rousseau espresse il concetto di contratto sociale in riferimento al fatto che ogni individuo ha voluto la legge e ad essa si attiene ed inoltre ogni individuo esprime anche in forma tacita il proprio consenso alle leggi emanate. La legge è espressione di volontà dell'organo rappresentativo o in maniera generale ed astratta e rappresenta garanzia di imparzialità, uguaglianza e di certezza.


COMMON LAW


La common law è un diritto consuetudinario tipicamente anglosassone che sorge direttamente dai rapporti sociali ed è accolto dai giudici nominati dal re, in seguito diventa u diritto di elaborazione giudiziale, in quanto è costituito da regole accolte dai giudici per risolvere le controversie. In Inghilterra il diritto statutario vale se non è in contrasto con il diritto comune. Sir Edward Coke, sostenitore della common law, affermava due caratteri tipici della concezione positivistica del diritto: il formalismo in base all'autorità che pone le norme e l'imperativismo in quanto il diritto è un comando che viene dato dal sovrano.

Bentham e Austin formularono delle critiche nei confronti del sistema del common law. Bentham aveva una visione utilitarista, antigiusnaturalista ed illuminista. L'utilitarismo è una corrente filosofica che assume come criterio orientatore per  le scelte da compiere, la ricaduta, la conseguenza che si avrebbe, sul piano generale, nell'adottare una certa linea d'azione. Il fine ultimo di questa corrente è realizzare la maggiore utilità per il numero maggiore di consociati. Egli criticava il common law perché era caratterizzato dall'incertezza, retroattività e non fondato sul principio di utilità. Inoltre, riteneva controproducente il fatto che fosse fatto da persone che non avessero competenze specifiche in tutte le materie in cui si dovevano pronunciare. Riteneva che i vantaggi del codice fossero l'utilità, la completezza, la conoscibilità e la giustificabilità.

Austin criticava che il diritto giudiziario fosse difficilmente conoscibile, prodotto con insufficiente ponderazione e retroattivo. Inoltre, era vago ed incoerente, di difficile accertamento riguardo la validità e non autosufficiente. Austin definisce la legge come un comando generale ed astratto ed inoltre riteneva che le caratteristiche di uno Stato sovrano sono l'obbedienza abituale di una massa di individui a un comune superiore e l'assenza di ogni rapporto di subordinazione e di obbedienza di questo superiore nei confronti di qualsiasi altro superiore umano.


DIRITTO POSITIVO E DIRITTO NATURALE


Il positivismo giuridico nacque in Germania ed indica quella dottrina della filosofia del diritto che considera come unico possibile diritto il diritto positivo, prodotto dal legislatore. La dottrina del positivismo si presenta in opposizione a quella del giusnaturalismo, tanto che Bobbio le ha chiamate "I due fratelli nemici".

Aristotele definì il diritto positivo come quello che aveva efficacia solo nelle singole comunità politiche in cui era posto, mentre il dritto naturale ha la stessa efficacia dappertutto.

In epoca romana c'è la distinzione tra lo ius naturale che è limitato ad un dato popolo ed è posto dal popolo stesso e lo ius gentium che non ha confini ed è posto dalla naturalis ratio.

In epoca moderna Grozio ha definito il diritto naturale come un dettame della ragione, rivolto a mostrare che un atto è moralmente turpe o necessario secondo che sia o non sia conforme alla stessa natura razionale dell'uomo, mentre il diritto civile deriva dal potere dello Stato di porre in essere leggi. 

Esistono sei tesi caratterizzanti del giuspositivismo:

Ø 656j95g   La concezione imperativistica del diritto come comando del sovrano che è l'organo detentore del potere politico in una società politica indipendente;

Ø 656j95g   Diritto come insieme di comandi che sono enunciati in norme che hanno la peculiarità di essere generali ed astratte;

Ø 656j95g   La coercitività o coattività delle norme giuridiche perché la loro violazione comporta una sanzione;

Ø 656j95g   La legge è fonte suprema ed esclusiva del diritto;

Ø 656j95g   L'insieme dei comandi del sovrano dà origine al sistema che deve essere completo, privo di lacune e coerente mediante l'assenza di antinomie;

Ø 656j95g   Il potere giurisdizionale si esercita applicando la legge e l'interpretazione della legge deve consistere in una pura ricognizione del significato univocamente determinabile.

Per arginare gli arbitrii del legislatore, il pensiero liberista ha introdotto due espedienti: la separazione dei poteri e la rappresentatività, che prevede che il potere legislativo sia espressione dell'intera nazione, mediante la tecnica della rappresentanza politica.

Il concetto di subordinazione dei giudici alla legge è ripreso da Beccaria nella sua celebre opera "Dei delitti e delle pene" nella quale afferma che le sole leggi possono decretare le pene sui delitti, e quest'autorità non può risiedere che presso il legislatore. L'autorità di interpretare le leggi penali può risiedere presso i giudici criminali per la stessa ragione che non sono legislatori. Il giudice nell'applicare le leggi deve fare come colui che trae la conclusione da un sillogismo, in questo modo egli non crea nulla di nuovo, ma rende esplicito ciò che è già implicito nella premessa maggiore.


SCUOLA STORICA DEL DIRITTO


La scuola storica del diritto, il cui maggiore esponente è Savigny, è caratterizzata dai seguenti punti:

Ø 656j95g   Il senso della varietà della storia dovuta alla varietà dell'uomo stesso;

Ø 656j95g   Il senso dell'irrazionale nella storia, contrapposto dall'interpretazione razionalistica della storia propria degli illuministi;

Ø 656j95g   Lo storicista è pessimista in quanto non crede nelle magnifiche sorti dell'umanità;

Ø 656j95g   L'elogio e l'amore per il passato visto che non ha fiducia verso il futuro;

Ø 656j95g   L'amore per  la tradizione, cioè per le istituzioni e i costumi esistenti nella società.

La scuola storica ritiene che il diritto consuetudinario rappresenti la forma genuina del diritto, ma questa tesi fu ribattuta da Thibaut, il maggiore esponente della scuola filosofica. Egli rifiuta l'idea che si possa ricavare un intero sistema giuridico da alcuni principi razionali a priori, inoltre voleva mettere in luce l'importanza del ragionamento logico-sistematico sulla interpretazione del diritto. Thibaut nella sua opera "Sopra la necessità di un diritto civile generale per la Germania" iniziava parlando della rinascita della nazione tedesca, facendo l'elogio del popolo tedesco ed uno dei principali compiti dei sovrani tedeschi è promuovere la codificazione. Egli prosegue illustrando i due requisiti che deve avere una buona legislazione, cioè la perfezione formale e la perfezione sostanziale. L'autore afferma che in Germania non esiste alcuna legislazione che abbia questi due requisiti, né il diritto germanico, né il diritto canonico, ma neanche il diritto comune romano.

Savigny risponde alle critiche avanzate da Thibaut affermando che non è contrario in linea di principio alla codificazione, ma ritiene che la Germania della sua epoca non si trovi in condizioni culturali particolarmente felici che rendano possibile una codificazione. Per Savigny le fonti del diritto sono sostanzialmente tre: il diritto popolare, il diritto scientifico e il diritto legislativo. Il primo è proprio delle società nel loro formarsi; il secondo delle società mature e il terzo della società in decadenza.


LA DOTTRINA PURA DEL DIRITTO


La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo che prevede che il diritto è costituito solo dalle norme positive e che non esiste nessun rapporto tra diritto e società. Essa delimitando il diritto dalla natura, cerca di distinguere la natura dallo spirito in quanto la scienza del diritto è scienza dello spirito. Questa corrente tende a rappresentare il diritto com'è, senza giustificarlo come giusto o squalificarlo come ingiusto. Il diritto può essere considerato come un campo della morale, che indica la giustizia. Tuttavia, la giustizia deve essere rappresentata come un ordinamento superiore che sta di fronte al diritto positivo e che è diverso da questo. Se il diritto, come la morale, è considerato una norma e se il senso della norma è espresso in un <<dover essere>>, una parte del valore assoluto della morale è aderente al concetto della norma giuridica. Il diritto non è considerato come un fine, ma il mezzo per raggiungere la convivenza pacifica. Non è solo il timore della pena che provoca il rispetto delle leggi, ma può essere dovuto da motivi religiosi e morali.


IL CODICE NAPOLEONICO


Il più antico codice è il Corpus iuris civile di Giustiniano che è una raccolta di leggi precedenti e di pareri dei giureconsulti romani distribuiti per materia e collegati tra loro.

Il primo codice moderno è il codice napoleonico del 1804 che è un corpo di norme appositamente elaborate e sistematicamente organizzate. Esso era costituito da una nuova legislazione, ma faceva anche ricorso al diritto consuetudinario e al diritto comune nei casi non contemplati da una specifica disciplina normativa. Prima di giungere a questa codificazione ci furono alcuni progetti. Durante il Direttorio Cambacérès, uomo di legge, presentò in meno di quattro anni, tre progetti di codice civile di ispirazione giusnaturalistica. Nel 1793 presentò il primo progetto di codice che si basava su tre principi fondamentali: riavvicinamento alla natura, unità e semplicità. Il secondo codice fu presentato nel 1794 e si ispirava a tre esigenze che l'uomo ha nella società: essere padrone della propria persone, avere i beni per soddisfare i propri bisogni ed utilizzare i beni nell'interesse proprio e della propria famiglia. Il terzo progetto del 1796 fu caratterizzato da una maggiore elaborazione tecnica e da una notevole attenuazione delle idee giusnaturalistiche. Il progetto definitivo del Codice civile fu opera di una commissione di quattro giuristi, il più importante Portalis. La Commissione per la redazione del progetto del codice elaborò un progetto che fu sottoposto al Consiglio di Stato, le cui sedute furono presiedute da Napoleone. L'art. 4 del Codice regola i rapporti fra il giudice e la legge affermando: <<Il giudice che ricuserà di giudicare sotto pretesto del silenzio, dell'oscurità o dell'insufficienza della legge, potrà essere processato come colpevole di denegata giustizia>>. L'interpretazione della legge deve avvenire, secondo Portalis, ricorrendo al giudizio di equità.

In questo contesto storico nacque in Francia la scuola dell'esegesi che intese lo studio del diritto come stretto commento del codice, articolo per articolo. Le cause principali che hanno portato all'avvento della scuola dell'esegesi furono quattro:

Ø 656j95g   La prima causa è rappresentata dal fatto stesso della codificazione;

Ø 656j95g   Una seconda ragione è rappresentata dalla mentalità dei giuristi dominata dal principio di autorità;

Ø 656j95g   Una terza causa è rappresentata dalla separazione dei poteri che costituisce il fondamento ideologico della struttura dello stato moderno;

Ø 656j95g   Una quarta motivazione è la certezza del diritto, che permette di conoscere in anticipo le conseguenze di una determinata condotta.

La scuola dell'esegesi era caratterizzata da una concezione rigidamente statualistica del diritto, dall'interpretazione della legge fondata sull'intenzione del legislatore e dal rispetto del principio d'autorità.


NORMA


La norma secondo la concezione imperativistica è costituita da un emittente tipico, da un ricevente tipico e dal vincolo. Thomasius distingueva la condotta umana in tre categorie, a seconda che riguardino l'honestum, il justum e il decorum: il diritto coincide con le norme riguardanti la sfera del justum, mentre l'honestum e il decorum comprendono tutte le azioni che l'uomo compie per adempiere a un dovere verso se stesso, sia che tale dovere riguardi lo stesso soggetto agente, sia che riguardi gli altri soggetti.

Kant ritiene che la morale sia un concetto autonomo in cui coincide il soggetto che pone la norma e quello che la deve rispettare. Mentre, nel diritto si ha una divergenza fra colui che pone la norma e colui che la deve rispettare. Si possono distinguere norme imperative categoriche e ipotetiche. L'imperativo categorico presuppone la prescrizione di un comportamento che deve essere tenuto senza condizioni. L'imperativo ipotetico è la prescrizione di un comportamento che deve essere tenuto buono in relazione ad un certo fine. Gli imperativi possono essere autonomi o eteronomi in cui la differenza sta nel fatto che nel primo caso chi pone la norma e chi deve eseguirla sono la stessa persona, mentre nel secondo caso sono due soggetti diversi. Gli imperativi possono essere personali o impersonali con riferimento al soggetto che pone la norma. Gli imperativi si distinguono i generali ed individuali con riferimento al soggetto destinatario della norma giuridica.

Nella dottrina dell'imperativismo giuridico si è avuta un'evoluzione in cui si distinguono due fasi, qualificabili come imperativismo ingenuo ed imperativismo critico. L'imperativismo ingenuo considera il diritto come un complesso di comandi rivolti dal sovrano ai cittadini. L'imperativismo critico precisa i caratteri dell'imperativo giuridico sotto due aspetti: la norma giuridica è un imperativo che si rivolge non ai cittadini, ma ai giudici.

Il diritto è considerato una norma tecnica o una regola finale che permette due scelte: compiere l'azione prescritta e raggiungere il fine oppure ignorare la prescrizione e raggiungere il fine opposto che comporta la sanzione.

Kant esprime il concetto di norma fondamentale (grundnorm) in quanto la ritiene il fine principale del diritto. Ritiene che essa permetta di raggiungere una finalità di unità, di validità e conoscitiva. La norma è valida quando è prodotta nel rispetto di competenze e procedure previste (profilo formale) e che nei contenuti non è in contrasto con norme di grado superiore (profilo materiale). L'efficacia rappresenta la corrispondenza tra il comportamento prescritto e la norma. Kelsen ritiene che la norma è uno schema di qualificazione dei comportamenti, che agisce come una griglia all'interno della quale i fatti o gli atti assumono rilevanza giuridica. Sviluppa una concezione anti-imperativistica della norma in cui si deve avere la preoccupazione di non trasferire caratteristiche della moralità (imperatività categorica) nel mondo del diritto. La norma giuridica è uno schema qualificativo che ha la struttura di un giudizio ipotetico che consiste in una  proposizione di carattere condizionale che istituisce un collegamento tra un fatto condizionante ed una conseguenza condizionata. Il fatto condizionante è rappresentato dall'illecito, la conseguenza condizionata è la sanzione e il collegamento tra i due elementi è l'imputazione. Egli formula una tecnica di motivazione di tipo indiretto per ottenere la condotta desiderata: << Se non X (illecito), allora Y (sanzione). Sono le norme stesse che prevedono la messa in atto di sanzioni, se si verificano i presupposti per la sanzione stessa. I destinatari diretti delle norme sanzionatorie sono gli organi dello Stato, gli operatori del diritto incaricati dell'applicazione delle sanzioni, invece i destinatari indiretti sono tutti i cittadini. Le norme possono essere primarie e secondarie. Le norme primarie sono giudizi ipotetici che contengono imputazioni di sanzioni ad illeciti, cioè che dispongono circa la sanzione. Le norme secondarie non hanno funzione coercitiva, ma sono derivati logici o frammenti di norme primarie. Sono norme di tipo secondario quelle attributive di competenza, che disciplinano la produzione di altre regole, che disciplinano l'attività dei tribunali, norme della Costituzione che disciplinano i poteri e l'attività degli organi dello Stato e le norme del codice che disciplinano la capacità dei soggetti e stabiliscono i procedimenti per il compimento di atti giuridici validi. Kelsen sostiene che una norma resta valida a prescindere dalla sua efficacia, perché per essere valida basta che essa esista all'interno dell'ordinamento giuridico. La norma metapositiva o metagiuridica è necessario presupporla per dare una rappresentazione teoricamente adeguata del diritto e per comprendere le operazioni compiute dai giuristi. La norma fondamentale contiene poteri di fatto che permettono la durevole obbedienza alle stesse norme grazie ad un efficace potere sanzionatorio. I giusrealisti negano la distinzione tra efficacia e validità per ogni norma. Questa critica non è accettata dall'intero mondo giuridico ed Hart mantiene la distinzione tra validità ed efficacia. Egli definisce la norma fondamentale, come norma di riconoscimento, che rappresenta l'insieme dei criteri adottati per l'attribuzione della giuridicità. Hart critica Kelsen, perchè anche se supera l'imperativismo di Austin e del giuspositivismo, propone un concetto di norma improntata al riduzionismo, cioè all'idea di diritto come mezzo per l'imposizione di obblighi. Inoltre, Kelsen riducendo le norme giuridiche considerate "secondarie" all'unico modello della norma "primaria" mantiene l'uniformità al prezzo della deformazione del diritto. In epoca post-kelseniana si viene a delineare una distinzione fra norme primarie e secondarie. Le norme prescrittive possono essere norme permissive o costitutive. Le norme permissive attribuiscono facoltà o poteri, annullando o limitando le norme che impongono obblighi o divieti. Le norme costitutive realizzano l'effetto che nominano ( es. "L'art. del cod. civ. ... è abrogato).


L'ORDINAMENTO GIURIDICO


L'ordinamento giuridico è caratterizzato da una pluralità di norme. La teoria dell'ordinamento giuridico si basa su tre caratteri fondamentali: l'unità, la coerenza e la completezza. Kelsen espone il concetto di unità parlando di due diversi tipi di ordinamenti normativi: l'ordinamento statico (morale) e l'ordinamento dinamico (diritto). L'ordinamento statico prevede che tutte le norme sono già contenute nel principio fondamentale. Un ordinamento di questo tipo può cambiare solo se si cambia la norma fondamentale. L'ordinamento dinamico prevede che le norme sono valide in forza del modo di produzione. La norma fondamentale, in questo caso, stabilisce il modo in cui devono essere prodotte le singole norme di un ordinamento. Il carattere della coerenza e della completezza sono strettamente correlati. La coerenza prevede che non ci sia una norma incompatibile con l'altra, mentre la completezza prevede che tutte le fattispecie giuridiche siano regolate. Il principio della coerenza dell'ordinamento giuridico consiste nel negare che in esso siano presenti delle antinomie, cioè delle norme fra loro incompatibili. La dottrina ha formulato tre criteri per la soluzione delle antinomie: il criterio cronologico, gerarchico e di specialità.

Il criterio cronologico prevede che la norma successiva prevale su quella precedente. Il criterio gerarchico prevede che la norma di grado superiore prevale su quella di grado inferiore. Il criterio di specialità presuppone che la norma speciale prevalga su quella generale. Nel caso di inapplicabilità di tutti e tre i criteri, in quanto si hanno due norme antinomiche che sono contemporanee, paritarie e generali si è fatto ricorso il criterio che afferma: la prevalenza della lex favorabilis, norma che stabilisce un permesso, sulla lex odiosa, quella che stabilisce un imperativo.

La completezza dell'ordinamento giuridico prevede che è assente da lacune e la dimostrazione di questo fatto fa capo a due diverse teorie. La teoria dello spazio giuridico vuoto che ritiene che se non esiste nessuna norma che regola un determinato fatto, significa che esso è giuridicamente irrilevante. La teoria della norma generale esclusiva prevede che ogni norma giuria particolare che assoggetta a una data regolamentazione certi atti è sempre accompagnata da una seconda norma implicitamente contenuta in essa, definita norma generale ed esclusiva.

La validità della norma giuridica,secondo Kelsen, non deriva dall'efficacia della stessa norma giuridica, ma dall'intero ordinamento giuridico.

L'ordinamento giuridico è costituito a gradi, ovvero Stufenbau.

Al di sotto del presupposto della norma fondamentale vi è la Costituzione la cui funzione essenziale è quella di regolare gli organi e il processo generale della sua produzione giuridica, ovvero la legislazione.

Ø 656j95g   La legislazione determina la produzione di atti giurisdizionali e amministrativi. Essa è esecuzione in senso relativo della costituzione, di grado superiore, ed è allo stesso tempo produzione alla costituzione.

Ø 656j95g   La giurisdizione è fonte del diritto in quanto individua la norma generale che collega ad un fatto astrattamente determinato una conseguenza astrattamente determinata.

Ø 656j95g   La giurisdizione ed amministrazione in quanto entrambe sono fonti del diritto, infatti quest'ultima produce norme amministrative. Tuttavia, il giudice gode di una maggiore autonomia rispetto agli organi amministrativi.

Ø 656j95g   Negozio giuridico ed atto esecutivo permettono l'individualizzazione e concretizzazione di norme giuridiche in certi campi del diritto. Delegate dalla legge, le parti pongono delle norme concrete per regolare il comportamento reciproco, e soltanto la loro infrazione costituisce ciò che la sentenza deve poi accertare.


DIRITTO SOGGETTIVO ED OGGETTIVO


Tradizionalmente si è affermata una concezione dualistica tra diritto soggettivo e diritto oggettivo. Il diritto soggettivo è l'ambito di libertà spettanti all'individuo in base alla loro natura umana e preesistenti al diritto positivo, al diritto oggettivo. Il diritto oggettivo è l'insieme delle norme finalizzate al riconoscimento e alla tutela delle prerogative in cui consistono i diritti soggettivi. Kelsen propone il superamento del dualismo tra diritto oggettivo e soggettivo in quanto le due tipologie di diritti sono strettamente collegati. Le norme del diritto oggettivo hanno due funzioni: attribuzioni di obblighi (funzione necessaria) e attribuzione di autorizzazione (funzione eventuale). L'autorizzazione consiste nel potere attribuito dal diritto positivo ad un soggetto leso in un suo interesse, di manifestare la propria volontà, affinché si metta in moto il meccanismo del processo, che porta alla produzione di una sentenza nella quale, ove sia rilevato l'illecito commesso nei confronti del soggetto, porti ad una sanzione. La proprietà come diritto soggettivo è un termine che funzione come anello di collegamento tra un insieme (disgiuntivo) di condizioni previste da norme ed un altro insieme (congiuntivo) di conseguenze, connesse al primo insieme, sempre attraverso norme.

Kelsen considera la persona come un concetto normativo che prevede una serie di obblighi, poteri, autorizzazioni posti in capo a certi soggetti, sia come singoli esseri umani, che come soggetti frutto della volontà degli essere umani. Kelsen supera il dualismo anche tra persona fisica e giuridica, definendo quest'ultima come un concetto normativo che consiste in una serie di obblighi, poteri in capo ad una pluralità di soggetti.


DIRITTO PRIVATO E DIRITTO PUBBLICO


Il dualismo viene a crearsi tra diritto privato e diritto pubblico. Nel diritto privato si ha un rapporto tra soggetti posti sullo stesso livello, mentre per quanto riguarda il diritto pubblico si ha un rapporto tra un soggetto sovraordinato e un soggetto subordinato. Secondo la dottrina tradizionale il rapporto di diritto privato è giuridico, mentre i rapporti di diritto pubblico sono di imperio. Questo imperio si manifesta attraverso l'attribuzione, da parte dell'ordinamento, di produrre leggi ad un determinato organo. Nel diritto privato i soggetti hanno parità giuridica e quindi entrambi possono produrre diritto ponendo in essere determinati rapporti. Kelsen ritiene che il dualismo viene parzialmente superato in quanto sia nel diritto pubblico che privato c'è produzione di diritto e l'unica differenza sta nel metodo di produzione che è più libero nel diritto privato.


DIRITTO E STATO


Si viene a creare anche il dualismo tra diritto e stato che Kelsen cerca di superare appiattendo lo stato, organizzato da una serie atti coattivi che coincidono con gli atti coattivi dell'ordinamento giuridico, sul diritto.

Lo stato è il suo ordinamento giuridico, tuttavia non è sempre vera l'inversa proposizione giuridica.

Lo stato è una persona giuridica e quindi viene definito attraverso l'imputazione di alcuni atti al concetto dello stato stesso.

Lo stato come meccanismo di organi burocratici in quanto la violazione del dovere dello stato, non può essere imputato allo stato stesso perché un soggetto è un organo o funzionario dello stato solo quando il suo comportamento è conforme all'organo giuridico. Infatti, lo stato non può contemporaneamente determinare la sanzione e l'illecito contro sé stesso. Kelsen ammette l'illecito dello stato tra stato e diritto internazionale, in quanto l'illecito dell'ordinamento giuridico parziale (ordinamento statale) viene seguito dalla sanzione dell'ordinamento giuridico totale (ordinamento internazionale).

La dottrina dello stato come dottrina del diritto permette la risoluzione dello stato da concetto politico a concetto giuridico. Infatti gli elementi dello stato quali la sovranità, il territorio e il popolo vengono ricondotti a quelli di validità dell'ordinamento giuridico.

La forza dello stato come efficacia dell'ordinamento giuridico presuppone che gli atti coattivi che adotta lo stato permettono di massimizzare l'efficacia dell'ordinamento giuridico.

La dissoluzione dell'ideologia della legittimazione in quanto Kelsen ha svuotato la teoria dello stato di diritto. Egli ritiene che lo stato vero è quello che coincide con il suo ordinamento giuridico.


DOVERE GIURIDICO, RESPONSABILITA' ED ILLECITO


Kelsen ritiene che il dovere giuridico sia la nozione centrale per il diritto. Tuttavia esistono altre linee di analisi che sostengono che il dovere giuridico sia condizionato anche dalla psicologia di un individuo. Bentham e Austin hanno una concezione predittiva del dovere giuridico che rappresenta la probabilità oggettiva che un soggetto subisca un male se non adempie all'obbligo. Entrambe le concezioni sono state oggetto di critiche da parte di Hart e mette in luce la differenza tra il punto di vista oggettivo e soggettivo di sentirsi obbligati. Il punto di vista interno consiste nel guardare la norma per trovare dei criteri guida del comportamento proprio e criteri per la valutazione del comportamento altrui. Il punto di vista esterno consiste nel limitarsi alla descrizione di un certo stato di fatto delle norme in una certa società, in un dato momento storico.

La responsabilità è la situazione soggettiva determinata da precise regole che impongono al soggetto, di cui si predica la responsabilità, doveri di comportamento, e prevedono la sanzione nel caso di inosservanza di quei doveri.

L'illecito sono tutti quei comportamenti che una norma giuridica prevede come condizione per l'applicazione di una sanzione. La concezione extra-sistematica (dottrina tradizione-derivazione giusnaturalistica) considera l'illecito come un comportamento con connotati intrinseci di negatività che la norma giuridica ha il dovere di sanzionare. La concezione intra-sistematica (giuspostivistica-Kelseniana) prevede che è la norma giuridica stessa che determina la illiceità di un comportamento, prevedendo come condizione a cui è imputata come conseguenza una sanzione. Sono state mosse critiche alla teoria kelseniana in quanto la condizione della sanzione è troppo generica e tra le condizioni di sanzione ve ne sono alcune appaiono illogiche da considerare come illeciti. Un altro limite della definizione Kelseniana è rappresentato dal fatto che non viene riconosciuta la rilevanza alla norma che pone il precetto, mentre pone in risalto il comportamento il cui contrario dà luogo all'illecito.


L'INTERPRETAZIONE


L'interpretazione è il risultato dell'attività di riconoscimento di significato ai segni del linguaggio giuridico.

L'interpretazione è solitamente testuale, ma ci sono casi in cui è extratestuale. L'interpretazione testuale consiste nel ricostruire la volontà che il legislatore ha espresso nella legge e il positivismo giuridico si serve di quattro mezzi. Il mezzo lessicale consiste nella definizione del significato dei termini usati dal legislatore, mediante l'analisi e la comparazione dei contesti linguistici. Il mezzo teologico si basa sulla ratio legis, cioè sul motivo o fine per cui la norma è stata posta. Il mezzo sistematico implica che la volontà del legislatore sia unitaria e coerente. Il mezzo storico consiste nell'utilizzare i documenti storici diversi dallo stesso testo legislativo per ricostruire la volontà del legislatore. I mezzi di interpretazione extra-testuale consistono nell'integrare l'ordinamento giuridico nel caso in cui esso presentasse lacune.

Esistono tre teorie dell'interpretazione: formalista, scettica ed intermedia. La teoria formalista prevede che l'interpretazione è attività di mera conoscenza. Questa teoria prevede che l'ordinamento è completo e c'è l'assenza di antinomie. Tuttavia, oggi il mito della completezza è scaduto e ci si trova davanti ad antinomie che devono essere risolte con l'analogia. L'analogia legis presuppone che il fatto non è regolato ed è disciplinato da norme dettate per un caso diverso, mentre l'analogia iuris prevede che si vanno a cercare se esistono elementi di somiglianza tra il caso non regolato e i principi generali contenuti in un ordinamento. Il ricorso all'analogia nel nostro ordinamento è previsto dall'art. 12 delle preleggi che prevede che si può far ricorso all'analogia ad eccezione dell'ambito del diritto penale e delle leggi speciali. La teoria scettica presuppone che l'interprete non si limita a riproporre un significato prederminato delle disposizione, ma compie attività creativa mentre interpreta il diritto. Si ritiene che l'ordinamento non sia né completo, né coerente. La teoria intermedia si pone a metà strada tra i formalisti e gli scettici.

L'interpretazione rappresenta per Kelsen il procedimento intellettuale che accompagna il passaggio dalla norma di grado superiore a quella di grado inferiore. La norma di grado superiore vincola la norma di grado inferiore sia riguardo al procedimento che al contenuto. La norma di grado inferiore trova nello schema situato al grado normativo superiore il limite e il vincolo, entro il quale possono essere poste scelte discrezionali. La discrezionalità è lasciata volontariamente al legislatore e si verifica spesso a causa del linguaggio (vago, ambiguo).


LA LAICITÀ DEI GIURISTI IERI ED OGGI


Il concetto di laicità odierno è espresso nella "La déclaration universelle sur la laicità" . In questo trattato viene affermata la libertà di coscienza e la libertà religiosa, l'indipendenza del potere politico da ogni confessione religiosa e la politica di non discriminazione per assicurare l'uguaglianza sostanziale a tutti gli individui. Questa concezione si percepisce dal riconoscimento del fatto che le norme sono valide perché poste da un organo competente, legittimato alla produzione normativa. Hobbes faceva ruotare il suo pensiero sul paradigma <<auctoritas, non veritas, facit legem>> dove sosteneva la distinzione tra il potere dello Stato e il potere spirituale della Chiesa. Le critiche di Hobbes nei confronti della Chiesa erano basate sul fatto che ritenesse che la religione fosse causa di tensioni e guerre nel tessuto sociale. Anche se non espressamente trattato nelle sue opere egli auspicava il giurisdizionalismo che presupponeva la sovranità dello Stato e la sottomissione della Chiesa, al pari di ogni altro organismo, alle regole del sovrano.

John Locke trattò il tema della laicità nell'opera "Lettera sulla tolleranza" in cui affermava la necessità di tenere distinto il potere sovrano da quello spirituale. Questo fine si realizzava con il dovere di tolleranza sia in capo al potere civile (magistrato) che alle singole organizzazioni religiose (chiese).  Se una forza dovrà essere usata nel campo della fede dovrà trattarsi di una forza esclusivamente persuasiva che incida nella sfera della spiritualità delle persone, nel loro intimo in via diretta, non in via indiretta, attraverso una costrizione estrinseca, senza dover chiamare in aiuto, dall'esterno, l'autorità civile con le sue armi. Inoltre, sosteneva che lo Stato non può interferire nell'attività della Chiesa, così come qualsiasi confessione religiosa non può interferire con l'attività dello Stato.

Francesco Ruffini ha mosso critiche sia nei confronti  del modello di Hobbes che di Locke, affermando che la laicità è il criterio giuridico che deve porre le condizioni per la assoluta libertà religiosa. Egli ritiene che per tutelare la laicità bisogna tutelare la libertà religiosa

di ogni individuo, la libertà di coscienza e la libertà di culto. Inoltre, bisogna affermare la supremazia dello Stato rispetto a qualunque chiesa. Inoltre, deve essere garantito la libertà di ogni cittadino di credere o di non credere in una religione particolare.

La legge 174/1978 tratta della tutela della maternità e dell'interruzione volontaria della gravidanza. L'art. 1 di questa legge afferma che lo Stato garantire il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. I seguenti articoli di codesta legge affermano che l'interruzione di gravidanza è ammessa nei primi 90 giorni quando il proseguimento della gravidanza comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica oppure in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, o sociali o famigliari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. L'interruzione di gravidanza oltre i 90 giorni è ammessa solo nei casi in cui la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Il personale sanitario può non prendere parte alle attività di interruzione di gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. L'obiezione di coscienza deve essere garantita dalle strutture pubbliche, tuttavia non può essere invocata quando l'interruzione volontaria di gravidanza è un intervento indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. Il titolo X del libro II del codice penale è abrogato in virtù dell'entrata in vigore della legge 174/1978. Sono abrogati anche l'art. n 3 del primo comma e il n 5 del secondo comma dell'art. 583 del codice penale. Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente colui che abbia commesso il fatto prima dell'entrata in vigore di tale legge, se sussistevano i principi della legge stessa.


PROCESSO DI NORIMBERGA


Il processo di Norimberga prevedeva che il compito di giudicare sui crimini compiuti dai gerarchi nazisti fosse affidato a tre giudici. Si sono delineate tre correnti su questo processo: la posizione giusnaturalista, la posizione giuspositivista ideologica e quella giuspositivista metodologica.

La posizione giusnaturalista prevede una coincidenza tra diritto e morale e i principi non sono legati alle scelte degli individui, ma sono dati una volta per tutte ed hanno una connotazione oggettiva. I giusnaturalisti emettono una sentenza di condanna in quanto la legge dell'ordinamento nazista non è in realtà vero diritto, perché non è conforme ai principi di giustizia.

La teoria giuspositivista ideologica prevede la separazione tra diritto e morale e ritiene che la morale non possa essere presa come criterio di valutazione giuridica dei comportamenti. Essi emettono una sentenza di assoluzione perché pur ritenendo dal punto di vista morale un prodotto aberrante, il diritto dei nazisti era valido e quindi doveva essere sempre e comunque obbedito.

Le posizioni affermate dai giuspositivisti metodologici sono state oggetto di critiche sia dai giusnaturalisti che dai giuspositivisti ideologici. Essi sostengono la separazione tra diritto e morale, ma emettono una sentenza di colpevolezza. Le motivazioni di questa sentenza stanno nel fatto che in quelle condizioni eccezionali, di contrapposizioni radicali estreme, di uomo contro uomo, è necessario soppesare i valori in gioco, e si può arrivare a considerare che l'obbedienza  alla legge sia un valore da subordinare ad altri valori. Questa operazione è frutto di una scelta, in quanto è una valutazione tutta interna dell'esperienza umana.






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