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Il materialismo storico
Restava aperto il problema di individuare quali fossero i caratteri del movimento storico orientato verso l'attuazione del comunismo. La risposta si sarebbe avuta, nel 1845, con quella che Engels avrebbe definito 'concezione materialistica della storia'. In via preliminare, Marx e Engels dovevano sgombrare definitivamente il campo dagli equivoci dei giovani hegeliani, che si erano illusi di trasformare la società tramite l'attività puramente teorica della critica: per questo motivo essi provvidero con La Sacra Famiglia . La punta più avanzata del movimento filosofico contemporaneo era tuttavia rappresentata da Feuerbach: con lui soprattutto bisognava fare i conti. Ciò avvenne nelle 11 Tesi su Feuerbach di Marx e nell' Ideologia tedesca , opera di entrambi, anche se Engels ne attribuì il merito principale a Marx. Feuerbach aveva smascherato il mondo rovesciato della religione, ravvisandone la radice antropologica, ma non aveva colto in modo adeguato il carattere storico della natura umana e le condizioni storiche che rendono possibile il costituirsi della religione stessa. Il problema per Marx ed Engels consiste nell'abolire, più che la religione, le condizioni storiche che la rendono possibile. Questo programma di modificazione storica della realtà trova espressione nella celebre tesi secondo cui ' I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo. ' Nella filosofia di Feuerbach é ancora forte un'eredità di stampo illuministico, specialmente nella sua concezione della natura umana come essenza priva di storia e nell'interpretazione materialistica di tale essenza. Il materialismo di Feuerbach, vicino al materialismo settecentesco di La Mettrie, concepisce l'uomo come entità naturale dotata di corporeità e sensibilità e quindi fondamentalmente passiva, non come prassi attiva trasformatrice della natura; di conseguenza esso considera la realtà sensibile come oggetto già costituito, non prodotto dall'attività sensibile umana. Da questo punto di vista, Hegel risulta superiore a Feuerbach, in quanto ha individuato il carattere autoproduttivo dell'attività umana, anche se solamente in quanto spirito e non come attività sensibile. In realtà, si dice nell' Ideologia tedesca , gli uomini si distinguono dagli animali non perchè dotati di pensiero, bensì quando iniziano a produrre i loro mezzi di sussistenza. Ciò che gli individui sono, dipende dalle condizioni materiali della loro produzione: questo é il presupposto basilare della concezione materialistica della storia . Marx non adopera più il concetto di 'essenza umana' , ma parte dagli uomini caratterizzati dai bisogni e dai mezzi per soddisfarli. Invece di dedurre le categorie dell'economia politica dal principio filosofica dell'essenza umana alienata, come avveniva nei Manoscritti , ora viene introdotta un'analisi storica, economica e sociologica, delle forme di produzione e dei rapporti sociali corrispondenti ad esse. Marx rifiuta una concezione della storia come pura raccolta di fatti senza connessioni, ma anche quella della storia speculativa, che attribuisce le vicende storiche all'azione di soggetti immaginari, come l'autocoscienza hegeliana. Il problema é di spiegare i fatti nella loro successione, senza pretendere di dedurli da un principio filosofico astratto. Dagli scozzesi Ferguson, Smith e Millar, Marx ed Engels riprendono l'idea che la base della società civile in tutti gli stadi della sua storia é il modo in cui gli uomini si procurano la sussistenza: questi pensatori avevano distinto gli stadi della caccia e della pesca, della pastorizia, dell'agricoltura, dell'industria e del commercio. Anche per Marx la base della società é economica ed é data dal modo di produzione che la caratterizza. La soddisfazione dei primi bisogni e l'incremento della popolazione generano nuovi bisogni, per soddisfare i quali é necessario una più articolata divisione del lavoro . Il grado di sviluppo delle forze produttive é quindi indicato dal grado di sviluppo della divisione del lavoro: questa ha assunto storicamente varie forme, dando luogo in particolare alla separazione tra città e campagna, cioè tra agricoltura, da una parte, e commercio e industria, dall'altra, e successivamente anche tra industria e commercio. Il modo di produzione non coincide con la società nella sua totalità, ne é solamente la base; infatti la 'società civile' é costituito da tutto l'insieme delle relazioni materiali tra individui entro un determinato grado di sviluppo delle forze produttive. Ai gradi di sviluppo del lavoro corrispondono forze produttive diverse e diverse forme della proprietà . Marx ed Engels distinguono 4 tipi di proprietà: la proprietà tribale, in cui predominano la caccia, la pesca e la pastorizia e dove, in un secondo tempo, interviene anche l'agricoltura: in essa la divisione del lavoro é ancora scarsa; la forma di proprietà caratteristica della comunità antica, in cui ormai si é costituito lo Stato e in cui la principale forza produttiva di cui si avvalgono i proprietari é costituita in gran parte da schiavi: in questa forma già compare la divisione del lavoro tra città e campagna e, quindi, tra agricoltura, industria e commercio; la proprietà feudale, in cui predomina l'agricoltura: in essa la società é organizzata gerarchicamente in ordini e corporazioni e incominciano a generarsi le prime forme di capitale; la proprietà caratteristica del modo di produrre capitalistico, in cui predomina l'industria. Solo partendo dai differenti modi di produzione, con le connesse forme di proprietà, é possibile comprendere la storia nella sua totalità. In questo quadro, la natura stessa non appare più come qualcosa di statico; infatti anch'essa ha una storia, legata ai processi dell' industria e ai rapporti umani: una natura scissa dalle vicende delle società umane non esiste . La storia umana, a sua volta, non viene più concepita come lo svolgimento dell'essenza umana in generale, ma come sviluppo di forme di produzione della vita materiale e corrispondenti modi di organizzazione sociale. Questo non significa che sia possibile dedurre dal modo di produzione la totalità delle forme e delle relazioni sociali, ma solo che esso é la condizione necessaria per spiegare il carattere delle istituzioni sociali e politiche e i loro condizionamenti reciproci. I modi di produzione determinano il carattere dei rapporti sociali e politici e la stessa produzione delle idee: non la coscienza determina la vita, ma la vita determina la coscienza e i suoi prodotti. Questo é il nucleo della distinzione tra struttura e sovrastruttura , secondo la quale le idee e le produzioni culturali, la religione e la stessa filosofia, oltre che la politica e il diritto, non si generano in modo del tutto indipendente, ma sono anch'esse il prodotto di determinati tipi di organizzazione economica e sociale. Questo significa che per comprendere il processo storico bisogna partire dai modi in cui gli uomini producono la loro vita materiale, più che da ciò che essi dicono o pensano di essere. Marx sottolinea il peso che la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale esercita nella formazione delle illusioni di autonomia che la filosofia e, in genere, le attività intellettuali costruiscono sul proprio conto: in questo consiste l' ideologia che, ritenendo le idee un prodotto autonomo, dà un'immagine parziale o capovolta della realtà, senza necessariamente averne coscienza e sovente di fatto giustificando la realtà esistente. Proprio questa era, secondo Marx ed Engels, l'illusione dei giovani hegeliani, che consideravano la genesi delle idee indipendenti dalla base materiale e ritenevano che fosse sufficiente la critica delle idee dominanti e la sostituzione di esse con altre idee per portare all'emancipazione degli uomini: essi rappresentavano appunto 'l'ideologia tedesca'. Marx e Engels si preoccuperanno comunque di evitare interpretazioni scorrette del rapporto fra struttura e sovrastruttura. Da una parte Marx, già nell' Introduzione , scritta nel 1857, a Per la critica dell'economia politica , metterà in evidenza che il rapporto tra sviluppo della produzione materiale e sviluppo della produzione artistica non é del tutto parallelo: questo, tra l'altro, permette di spiegare perchè i prodotti dell'arte greca costituiscano ancor oggi un oggetto di godimento estetico, pur essendo mutate le condizioni materiali e il tipo di società in cui ebbero origine. Le stesse produzioni culturali e intellettuali non sono completamente ininfluenti, ma possono, a loro volta, agire sulla struttura e sulla vita reale degli uomini. Engels rifiuterà in seguito ogni interpretazione deterministica del rapporto struttura-sovrastruttura, asserendo che non si può considerare il fattore economico come unico fattore determinante: tale rapporto, come d'altronde la tipologia delle forme di proprietà, ha in primis una funzione euristica, serve ad orientare l'analisi storica e la formulazione di programmi politici e non rappresenta una gabbia dentro la quale costringere a forza il materiale empirico fornito dalle vicende storiche.
La lotta di classe e il ritorno all'economia
Secondo Marx ed Engels la concezione materialistica della storia pone il socialismo su basi scientifiche, perchè si costruisce sull'analisi del processo storico e delle condizioni reali che porteranno alla transizione del socialismo ed é quindi lontana dalle costruzioni utopiche e immaginarie dei primi socialisti (Fourier, Saint-Simon, etc.): i socialisti utopistici, infatti, non prevedevano il raggiungimento dei loro obiettivi sociali con la rivoluzione, bensì progettavano a tavolino delle società utopiche e le presentavano ai ceti dominanti, sperando che essi volessero metterle in atto: ovviamente si tratta solo di un'utopia, in quanto le classi dominanti non concederanno mai quanto richiesto da questi socialisti; tuttavia il motivo per cui questo socialisti non penseranno ad un'azione rivoluzionaria, come farà invece Marx, é piuttosto semplice: a quei tempi stava appena nascendo e non aveva ancora preso piena coscienza di sè l'attore principale della rivoluzione prevista da Marx: il proletariato. Un esempio tipico di questa erronea impostazione socialista era dato, secondo Marx, da Proudhon, che egli sottopone a critica nella Miseria della filosofia , dove rende note al pubblico le linee essenziali della concezione materialistica della storia. Proudhon accettava la teoria economica di Ricardo, ma la estendeva come valida ad ogni epoca della storia, ricorrendo a leggi e a idee eterne come motori della storia. Spiegando i fenomeni economici in termini morali e filosofici, egli mistificava la reale base economica e storica della società capitalistica, con la conseguenza di propugnare non una soppressione di essa, ma un astratto ideale di giustizia orientato verso una migliore distribuzione delle ricchezze e una politica di collaborazione tra le classi. A questo Marx ed Engels contrappongono, soprattutto nel Manifesto del partito comunista , la tesi secondo la quale il motore della storia é la lotta tra le classi : ' La storia di ogni società è stata finora la storia di lotte di classe. ' La posizione e missione storica delle classi é determinata dalla loro collocazione all'interno di specifici modi di produzione. La divisione del lavoro, da cui deriva la proprietà privata, genera la disuguaglianza sociale e, quindi, i conflitti tra interessi particolari e interesse collettivo, tra l'attività del singolo e il potere di chi controlla questa attività: da ciò emerge la lotta di classe. Quando ad un determinato grado di sviluppo della divisione del lavoro non corrispondono più rapporti sociali adeguati, allora la relazione tra forze produttive e forme di cooperazione sociale entra in 'contraddizione' e si produce una crisi e una transizione rivoluzionaria ad un diverso modo di produzione e al dominio di una nuova classe. Così é avvenuto con la borghesia nei confronti del precedente mondo feudale: Marx ed Engels tracciano un profilo storico dei trionfi della borghesia sul piano economico ed intellettuale. L'ascesa della borghesia coincide con lo sviluppo del capitalismo: solo con la forma moderna della proprietà e la formazione dell'industria, si afferma un modo di produzione su scala mondiale, ma con esso si genera al tempo stesso una massa ingente di forze produttive, il proletariato industriale, destinato ad abbattere il dominio della borghesia e a condurre all'eliminazione delle classi e della divisione del lavoro. Nella rivoluzione ' i proletari non hanno da perdervi altro che le proprie catene. Da guadagnare hanno un mondo ' , cosicchè Marx ed Engels possono concludere il Manifesto con la parola d'ordine: ' Proletari di tutti i paesi, unitevi! '. Ma in Europa nel 1848 vi é un fallimento generale delle rivoluzioni: Marx e Engels ne prendono atto, ma sono coscienti che, accanto alla sconfitta politica, vi é una vittoria: il proletariato ha finalmente preso coscienza di sè, di essere una forza autonoma, diversa e opposta alla borghesia; fino ad allora il proletariato, infatti, aveva fatto rivoluzioni non sue, al fianco della borghesia per scalzare l'aristocrazia; e del resto così doveva andare: una volta eliminata l'aristocrazia, il proletariato e la borghesia avrebbero rotto la loro alleanza e sarebbe nata la lotta di classe moderna. Marx però non poteva non condannare quei proletari che, per attaccare la borghesia, cercavano improbabili alleanze con l'aristocrazia: sarebbe infatti stato un tornare indietro, ai tempi bui del medioevo; nel 1848, con la dura repressione subita da parte della borghesia francese, il proletariato ha preso coscienza di sè e Marx può affermare che ' Le armi con cui la borghesia ha annientato il feudalesimo si rivoltano ora contro la borghesia stessa. Ma la borghesia non ha solo forgiato le armi che la uccidono; ha anche prodotto gli uomini che imbracceranno queste armi: i lavoratori moderni, i proletari.' Fatto sta che dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848 in Europa, Marx ed Engels pervengono alla convinzione che il centro della rivoluzione si é spostato in Inghilterra, il paese industrialmente e capitalisticamente più avanzato. Teoricamente la possibilità della rivoluzione é ancorata alla previsione dello sviluppo uniforme del capitalismo su scala mondiale, ma le condizioni di sviluppo economico e politico sono ancora disuguali nelle varie nazioni. In Inghilterra, l'introduzione del vapore come forza motrice aveva rivoluzionato il sistema della produzione industriale e il sistema dei trasporti, negli anni '50 la produzione riceveva una nuova spinta in avanti, dando luogo a vaste concentrazioni industriali, all'espansione dei consumi, a un aumento dei salari, alla diminuzione delle ore lavorative. In questa situazione Marx riprende lo studio dell'economia politica e affronta la questione del corretto metodo dell'analisi economica . I risultati più cospicui di questa riflessione sono gli appunti pubblicati postumi sotto il titolo di Grundrisse e Per la critica dell'economia politica , uscita nel 1859, preceduta nel 1857 dalla stesura di un' Introduzione , pubblicata anch'essa postuma. L'oggetto dell'economia politica sono individui che producono in società, non isolatamente, come pensavano gli economisti classici, da Smith a Ricardo. L'indagine deve avviarsi dalla realtà, dal concreto , che esiste autonomamente fuori della mente, ma che alla rappresentazione immediata appare come un 'insieme caotico' di determinazioni. Così è, ad esempio, il concetto di popolazione, una semplice 'astrazione' , se non si tiene conto delle classi da cui la popolazione é composta e del modo di produzione di cui esse fanno parte; così non si può parlare di produzione in generale, a prescindere dai caratteri che essa assume nelle specifiche epoche storiche. Tuttavia il concreto, anche se caotico, é il punto di partenza per l'effettuazione di astrazioni , le quali permettono di ricavare concetti sempre più semplici e sottili. Tali concetti sono le categorie dell'analisi economica, come, ad esempio, quella di divisione del lavoro, soggetto del lavoro, prodotto, strumento di produzione e così via. Stando a Marx, le astrazioni più generali sorgono solo dove il concreto raggiunge il maggior sviluppo, ovvero dove una caratteristica appare comune a una vasta totalità di fenomeni. Per esempio, il concetto di 'lavoro astratto' , in cui il lavoro é pensato in generale, non é in riferimento alle sue forme particolari, può formarsi dove il lavoro non é più legato all'individuo 'come sua destinazione particolare' , ma é diventato nella realtà soltanto 'il mezzo per creare in generale la ricchezza'. Questo é avvenuto solamente nell'economia moderna. Marx dice che ' l'esempio del lavoro mostra in modo evidente che anche le categorie più astratte, sebbene siano valide (proprio a causa della loro natura astratta) per tutte le epoche, sono tuttavia, in ciò che vi é determinato in questa astrazione, il prodotto di condizioni storiche e possiedono la loro piena validità solo entro queste condizioni '. Con questa asserzione Marx ribadisce la validità di uno dei presupposti basilari del materialismo storico: le idee si formano a partire dai caratteri assunti storicamente da un determinato modo di produzione. Le astrazioni concettuali così raggiunte costituiscono un insieme di variabili, rispetto alle quali si possono stabilire solamente leggi logiche generali. Infatti da esse non si possono ricavare presunte leggi naturali della società, se non assumendo arbitrariamente, come fanno gli economisti classici, che i rapporti propri di una determinata società, e precisamente della società borghese, costituiscano forme eterne. Il procedimento corretto consisterà invece nel sostituire alle variabili ottenute per astrazione le proprietà storiche specifiche di ciascuna formazione sociale ed economica e individuare in tal modo le relazioni intercorrenti di fatto tra le variabili. Si tratta in altre parole di ripercorrere il cammino all'indietro, non più dal concreto all'astratto, ma dall'astratto al concreto . La differenza consiste nel fatto che il concreto raggiunto alla fine di questo percorso non é più quell'insieme caotico, che era all'inizio dell'indagine, bensì una totalità di relazioni correttamente individuate, la sintesi del concreto di partenza con le categorie astratte raggiunte tramite l'analisi. La vera dialettica si articolerà dunque nei tre momenti: concreto-astratto-concreto . Gli economisti avevano compiuto solamente il primo passo, arrestandosi al momento dell'analisi e alle categorie astratte alle quali essa dà luogo; Hegel, da parte sua, aveva preteso di dedurre dalle categorie astratte il concreto, la realtà empirica, come se fosse il pensiero a produrre il concreto. A parere di Marx, invece, la dialettica del pensiero può soltanto riprodurre ciò che avviene nella realtà : si tratta dunque di far poggiare la dialettica, ancora una volta, sui piedi e non sulla testa, come pretendeva di fare Hegel. Le categorie economiche più astratte si formano, per Marx, nella situazione storica in cui lo sviluppo economico ha raggiunto la forma più ricca e articolata, ovvero nel modo di produzione capitalistico. Esso é quindi la chiave per comprendere anche le formazioni economiche antecedenti, più arretrate. Nell' Introduzione a Per la critica dell'economia politica Marx sostiene che le categorie che consentono di cogliere la struttura della forma più avanzata di produzione, ovvero quella della società borghese, consentono anche di capire ' la struttura e i rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si é costruita, e di cui sopravvivono in essa ancora residui parzialmente non superati ' , allo stesso modo in cui ' l'anatomia dell'uomo é una chiave per l'anatomia della scimmia '. Il problema fondamentale consisterà allora nell'articolare le categorie della formazione economica e sociale capitalistica. A questa impresa Marx si accinge soprattutto con il Capitale .
Il capitale e il plusvalore
Il modo di produzione capitalistico si presenta come un'enorme produzione e raccolta di merci: l'indagine sul capitale deve dunque principiare con l'analisi della merce . La merce é, in primis, qualcosa che per le sue qualità può soddisfare bisogni umani di qualsiasi tipo, materiali o intellettuali, come mezzo di sussistenza o di godimento o per produrre qualcosa: in questo sta il suo valore d'uso , che si realizza solo nell'uso, ovvero nel consumo che si fa di essa. Rispetto a questo valore si distingue il valore di scambio , che si presenta dapprima nei termini di un rapporto quantitativo e, più precisamente, come la proporzione in cui determinati valori d'uso sono scambiati con altri valori d'uso, per esempio una data quantità di grano con una data quantità di seta o con una d'oro, considerate equivalenti. Ogni merce ha quindi molteplici valori di scambi, secondo le altre merci con cui é scambiata, ma perchè lo scambio sia attuabile bisogna che tutti i valori di scambio delle merci scambiate siano equivalenti e di uguale grandezza. Questo vuol dire che in queste merci scambiabili deve essere presente qualcosa di comune: questa cosa comune non può essere una qualità connessa al loro valore d'uso, visto che ciascuna cosa ha valori d'uso differenti ed é proprio l'astrazione dai valori d'uso che caratterizza il rapporto di scambio delle merci. Invece, tra cose che hanno valore di scambio equivalente non esistono differenze: esse risultano del tutto intercambiabili. Se si prescinde dal loro valore d'uso, nelle merci rimane solo una proprietà, quella di essere prodotte dal lavoro , ma non da un tipo particolare di lavoro distinto da ogni altro, ma dal ' lavoro umano eguale in astratto '. A determinare il valore di una merce é quindi il lavoro cristallizzato in essa. Questo significa che si fa astrazione dalle differenze reali sussistenti fra i vari tipi di lavoro e ' li si riduce al carattere comune che essi possiedono in quanto dispendio di forza-lavoro umana '. In tal modo, un valore d'uso, cioè un bene, ha valore solamente perchè in esso viene oggettivato, o materializzato, lavoro astrattamente umano. Tale valore é misurabile in base alla quantità di lavoro cristallizzata in esso e la quantità di lavoro, a sua volta, é misurata in base alla sua durata temporale . Per determinare questa misura bisogna prescindere dal tempo necessario al singolo operaio: é evidente infatti che se egli é inabile o pigro, impiegherà più tempo per produrre un oggetto e dunque, paradossalmente, il suo prodotto verrebbe ad essere più costoso di quello di un operaio abile e solerte. E' invece il tempo di lavoro socialmente necessario, in media, in specifiche condizioni storiche di produzione a determinare il valore dell'oggetto prodotto. Le cose, quando sono viste soltanto come merci interscambiabili, senza che si scorga il lavoro umano cristallizzato in esse, si trasformano in fetici , assumono una qualità 'sovrasensibile' , che contiene nascosto in sè un rapporto sociale. Si assiste ad un fenomeno analogo a quello che intercorre in ambito religioso, dove un oggetto fabbricato dall'uomo, il feticcio, é tramutato in una divinità autonoma rispetto all'uomo stesso. Questo fenomeno, tipico del modo di produzione capitalistico, dove il prodotto domina l'uomo e i rapporti sociali appaiono come semplici rapporti tra cose, autonome rispetto a chi le ha prodotte, Marx lo chiama feticismo delle merci . Il denaro é l'equivalente generale di tutte le merci; con esso viene determinato sul mercato, tramite il rapporto tra la domanda e l'offerta, il prezzo delle merci, ovvero l'espressione in termini quantitativi del loro valore di scambio. Tipico del modo di produzione capitalistico é il fatto che la conversione di merci in denaro, e viceversa, é finalizzata non all'acquisto di altre merci e quindi al consumo di tali merci, ma all'aumento del denaro, ossia al profitto . Il primo tipo di circolazione denaro-merci , proprio di un modello generale di società mercantile, é esprimibile con la formula M-D-M , dove D sta per Denaro e M per Merce: dalla vendita della merce si ricava denaro, impiegato allo scopo di acquistare altre merci. Per quel che riguarda il capitalismo, invece, la formula diventa: D-M-D' dove D' é maggiore di D, cioè il denaro acquisito a conclusione del ciclo é aumentato rispetto al denaro impiegato inizialmente per acquistare la merce M. Ma quale é la merce che permette di generare questo aumento di denaro, ovvero il profitto (D') ? Una merce non può essere venduta ad un prezzo superiore al suo valore di scambio e quindi non é da tale vendita che dipende il profitto; secondo Marx, la fonte del profitto va ricercata non nella sfera della circolazione delle merci, ma in quella della loro produzione e, più precisamente, in un tipo di merce dotato di capacità produttiva e dal quale può essere estorto un profitto (D'), ovvero un guadagno rispetto al denaro speso per acquistarlo: questa merce é la forza-lavoro , l'energia erogabile per produrre oggetti. L'esistenza sul mercato di questo tipo particolare di merce, ossia la forza lavoro, é resa possibile dall'esistenza di individui giuridicamente liberi e legittimi possessori della propria forza-lavoro, ma costretti a venderla come unico mezzo per procurarsi il proprio sostentamento. Marx non guarda dunque con simpatia al liberalismo, politico ed economico: mentre i socialisti 'riformatori', concependo il processo storico in termini evoluzionistici, vedevano in esso il primo passo avanti verso la democrazia e il socialismo, Marx si accorge che il liberalismo prevede una libertà meramente apparente, che crea solo divario tra poveri e ricchi; essendoci infatti il libero scambio e la libertà giuridica, i ricchi possono ancora più liberamente dominare i poveri. Ora, se per i socialisti si trattava di fare un passo avanti per raggiungere il socialismo, per Marx occorre fare un passo indietro, ossia eliminare il liberalismo: la disuguaglianza tra il capitalista e il proletario che vende la sua forza-lavoro esiste non solo malgrado la libertà giuridica, ma anzi esiste proprio grazie alla libertà di agire così: é vero che l'operaio é libero e non costretto a vendere la sua forza-lavoro, ma se non la vendesse che cosa farebbe? Morirebbe di fame. Allo stesso modo, perchè ci sia uguaglianza giuridica ci deve essere uguaglianza sociale: un ricco e un povero davanti alla legge saranno anche uguali, ma se il povero non ha un quattrino per pagarsi l'avvocato ha già perso in partenza. Per l'operaio non esiste dunque libertà: sceglie liberamente il padrone che lo sfrutterà; è libero di non lavorare, cioè di morir di fame; è libero di lavorare 12 ore al giorno, cioè libero di morire di fatica. Questa situazione non é eterna, ma é tipica dell'età moderna: essa é condizione necessaria per il costituirsi della produzione capitalistica, in cui anche il lavoro, sotto forma di forza-lavoro, diventa una merce. Altra condizione basilare é l'esistenza di individui che siano unici possessori dei mezzi di produzione: essi sono i capitalisti , che impiegano parte del proprio capitale, sotto forma di salario , per acquistare forza-lavoro al fine di generare il profitto, che Marx chiama plusvalore . Come é possibile che l'acquisto di questa merce generi plusvalore? La fonte del profitto é per Marx il pluslavoro : in quanto merce, anche la forza-lavoro ha un valore di scambio che, proprio come tutti i valori di scambio, sarà determinato in base al tempo medio di lavoro richiesto per produrlo. Questo vuol dire che il valore della forza-lavoro é calcolato non in base al suo rendimento, ma al costo necessario per produrla, ovvero per garantire la continua disponibilità di forza-lavoro, assicurando i mezzi per la sopravvivenza dell'operaio, la sua riproduzione e l'apprendimento delle abilità necessarie al suo lavoro. Il plusvalore potrà generarsi solamente se il salario corrisposto dal capitalista equivale ad una sola parte del tempo impiegato dall'operaio nella produzione, e precisamente alla parte che basta a produrre la sussistenza dell'operaio stesso. Se, ad esempio, tale parte equivale a 6 ore di lavoro, tutto il lavoro compiuto in altre ore nella stessa giornata, ovvero il pluslavoro, non essendo retribuito, genera plusvalore: Marx è pienamente convinto che il salario pagato corrisponde ai bisogni minimi per sopravvivere, arbitrariamente calcolati dal padrone, e delle 12 ore che fa l'operaio, 6 servono per mantenerlo in vita, le altre 6 sono regalate al padrone: il lavoro che l'operaio fa in più, senza essere pagato, è appunto il pluslavoro; esso è l'origine del plusvalore e permette l'accumularsi del capitale, costituito dall'insieme dei mezzi di produzione: macchine, operai, riserve finanziarie, ecc. Ed è solo il pluslavoro che consente l'accumularsi del capitale: in questo consiste, nello stesso tempo, l'orrore e la funzione della società capitalistica. Il saggio di plusvalore sarà allora dato dal rapporto fra due quantità di lavoro nella sfera della produzione, cioè tra il tempo di pluslavoro e il tempo impiegato per produrre la sussistenza del lavoratore. Il plusvalore é il fine della produzione capitalistica e si forma nell'ambito della produzione. La concorrenza obbliga il capitalista a smerciare i suoi prodotti al minor prezzo possibile e per abbassare il prezzo egli deve aumentare il pluslavoro. L'instabilità della moneta gli permette di mascherare l'intensificarsi dello sfruttamento. Dal momento che l'unica funzione del salario è quella di mantenere in vita l'operaio come una bestia da soma, e poiché d'altra parte i bisogni dell'operaio sono gli stessi della sua famiglia, la concorrenza spinge il padrone a far lavorare nella sua fabbrica tutta la famiglia dell'operaio: donne e bambini lavorano in fabbrica, ma la somma dei salari di una famiglia intera non supera mai il salario che avrebbe guadagnato l'operaio da solo. Nel Capitale Marx intende studiare anche le differenti fasi storiche dell'organizzazione produttiva del lavoro come metodi differenti per ottenere plusvalore. Diversi sono i modi di organizzare il lavoro nella produzione capitalistica, ma tutti sono finalizzati al plusvalore: a fondamento di essi c'é la cooperazione , intesa come la forma di lavoro di molte persone che lavorano insieme in uno stesso luogo e contemporaneamente, secondo un piano. Questo differenzia i tipi principali di organizzazione capitalistica del lavoro, ossia la manifattura e la fabbrica , dall'artigianato, che non richiede la compresenza spaziale e la contemporaneità nell'esecuzione dei lavori. Il carattere assunto dalla cooperazione nell'economia capitalistica porta ad accrescere la produttività, ma toglie all'operaio il controllo del proprio lavoro, contrariamente a quanto avviene per l'artigiano. Quando tutto il plusvalore é consumato come reddito, si ha quella che Marx definisce riproduzione semplice ; mentre quando una parte di esso é reinvestita per accrescere la produttività si ha la riproduzione allargata , caratterizzata da una crescita del capitale; essa ha luogo nello stadio industriale del capitalismo, quando una parte del capitale é investita nell'acquisto di macchine : queste costituiscono il capitale costante , mentre i salari corrisposti agli operai costituiscono il capitale variabile . Le macchine sono lo strumento fondamentale per accrescere la produttività perchè permettono una divisione del lavoro tendenzialmente illimitata; mentre un artigiano compie un'attività che implica l'uso di una pluralità di strumenti e l'esecuzione di una pluralità di operazioni, tramite le macchine questa unica attività può essere suddivisa in molteplici operazioni affidate ciascuna a persone diverse. In questo modo cresce l'efficienza del lavoro svolto dal singolo operaio, addetto ad una sola operazione, ma il lavoro stesso diventa unilaterale e ripetitivo. Più aumenta la specializzazione delle funzioni e più l'operaio é costretto a vendere la sua forza-lavoro, non solo perchè privo di mezzi di produzione, ma perchè non ha più la capacità di svolgere un mestiere compiuto. Tutte le diverse operazioni necessarie per produrre un oggetto finito sono ormai compiute dal sistema integrato operaio-macchina. Si raggiunge l'apice con la divisione del lavoro tra macchine differenti e con l'organizzazione del lavoro a catena. In questa situazione gli operai sono al servizio della macchina, devono adattare i loro ritmi di lavoro a quelli della macchina, le loro funzioni tendono a livellarsi e gli operai diventano intercambiabili tra loro. Ecco quindi che affiora nuovamente, in una nuova veste, il tema dell'alienazione, caro a Marx fin dalla gioventù. L'operaio non può più decidere sulle modalità delle operazioni da compiere e sull'uso delle macchine stesse ed é completamente subordinato a decisioni prese da altri: in tal modo arrivano al culmine la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale (che consiste nelle funzioni direttive) e l'antagonismo tra le forze produttive. Per non soccombere alla concorrenza, il capitalista deve investire in misura crescente il plusvalore ricavato in macchinari, ovvero in capitale costante, e per non diminuire i propri profitti deve cercare di tenere sempre più basso il capitale variabile (gli stipendi). Ciononostante, Marx é convinto dell'esistenza di una legge tendenziale di caduta del saggio di profitto , con la conseguente progressiva concentrazione del capitale in poche mani. E questo, a sua volta, forma un binomio indisgiungibile con l' immiserimento crescente degli operai : con l'avvento delle macchine, che possono sostituire il lavoro di molti operai, aumentano i disoccupati e, quindi, anche l'offerta di forza-lavoro sul mercato, cosicchè anche per questo aspetto i salari tendono a diminuire: aumenta la povertà e il numero dei disoccupati, di conseguenza il capitalista può tenere più bassi i prezzi dei salari e guadagnarci di più. In questa situazione si genera la massima contraddizione tra il carattere privato della proprietà dei mezzi di produzione e il carattere sociale sempre più rilevato della produzione, tra lo sviluppo delle forze produttive (il proletariato) e il numero sempre più ristretto di capitalisti: e Marx può affermare che ' la produzione capitalistica genera essa stessa, con l'inevitabilità di un processo naturale, la propria negazione '. Ma l'emancipazione della classe operaia non può nè deve avvenire solo sul piano politico; nello scritto Per la critica dell'economia politica Marx aveva asserito che ' una formazione sociale non perisce finchè non si sono sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso. Ecco perchè l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere ', ovvero quando si stanno formando o già esistono le condizioni materiali per la sua soluzione. Il fatto che lo sviluppo delle forze produttive stesse crescendo, ma al tempo stesso non accennasse a diminuire la miseria del proletariato, appariva a Marx, insieme ad un' accresciuta coscienza di classe da parte degli operai, la condizione per il sovvertimento dell'assetto capitalistico e la transizione ad una nuova formazione economico-sociale. Marx prevedeva che una prima fase sarebbe stata caratterizzata dalla dittatura del proletariato , solamente temporanea, che avrebbe portato all'abolizione delle classi sociali. Al 'regno della necessità' , tipico della società capitalistica, sarebbe così subentrato il 'regno della libertà' , il pieno sviluppo delle capacità umane, reso attuabile anche da un impiego alternativo delle macchine allo scopo di alleviare la fatica e di accorciare la giornata lavorativa, oltre che di accrescere la produttività. Nella Critica al programma di Gotha Marx avrebbe descritto questa nuova società, in cui non sarebbe più stata necessaria l'esistenza dello Stato, come il luogo in cui ' il libero sviluppo di ciascuno é la condizione per il libero sviluppo di tutti '. Alla prima fase, in cui il motto é 'A ciascuno secondo il suo lavoro' , sarebbe subentrato il comunismo pienamente realizzato, il cui motto é ' Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni '.
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