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Il CONCETTO DI DIO DOPO AUSCHWITZ
Auschwitz rappresenta l'incarnazione perfetta di quello che Giobbe subisce e il fallimento di quello che Giobbe ostenta fieramente e senza nessun momento di cedimento: la fede verso Dio nonostante tutto: «Se da Dio si accetta il bene, il male non si deve accettare?» (Giobbe 2,10). Dio «guarda» ad Auschwitz attra 747b16h verso gli stessi occhi di chi, in quel luogo, ha incontrato la morte, impotente e addolorato, forse pentito dell'assoluta libertà concessa all'uomo. Jonas si sofferma sul concetto di un Dio sofferente che ha in sé l'onnipotenza ma anche il dolore che lo avvicina a quegli occhi che hanno visto la morte e sofferto in silenzio
o Dio trema:il libero arbitrio. Dio segue l'agire dell'uomo (salvezza o perdizione) trattenendo il respiro, sperando e corteggiandolo.
Nelle mani dell'uomo è
tutta la vita, Dio è il mondo, nel mondo, ma il mondo è nelle mani dell'uomo.
La presenza dell'uomo come risultato della creazione, legittima l'onnipotenza
di Dio anche se: «Dopo essersi affidato totalmente al divenire del mondo, Dio
non ha più niente da dare; ora tocca all'uomo dare» dice Jonas. E ciò che
l'uomo ha dato
giustifica quasi il non intervento divino, Dio pur essendoci non interviene,
mostrando quanto l'uomo possa fare del male, un male spietato e privo di
motivazioni valide, un male che non ha nessun obiettivo se non quello di
mettere alla prova l'umanità stessa: «Forse non per nulla teme Giobbe Iddio?
[...] Ma e ... stendi un poco la tua mano e tocca tutto quel ch'è suo:
vedrai... se non ti benedice in faccia!» (Giobbe 1,11). Le parole di Satana
rivolte a Dio affinché metta alla prova la fede di Giobbe, trovano la giusta
collocazione nella vicenda ebraica del nazismo. Il popolo di Abramo (l'umanità
tutta) è stato messo alla prova da un male che viene dall'uomo stesso, da
un'ideologia che sacrifica ogni sentimento di compassione e pietà. «In tutto
questo non peccò Giobbe con le sue labbra...» (Giobbe 2,10) e nella tragedia
di Auschwitz nessun figlio di Davide pecca verso Dio, nessun atto di ribellione
muove l'animo dei condannati stupiti, avviliti del non intervento divino. Dov'è
Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile». Potenza e onnipotenza sono due diversi concetti, per Jonas il primo è attribuibile a Dio e non il secondo, in quanto «il male c'è solo in quanto Dio non è onnipotente. Solo a questa condizione possiamo affermare che Dio è comprensibile e buono e che nonostante ciò nel mondo c'è il male». Per Jonas la bontà Divina quindi, non esclude l'esistenza del male; e come se Dio si fosse privato di qualcosa, della sua assoluta onnipotenza per dare all'uomo determinati caratteri (la conoscenza del bene e del male) che gli permettessero di agire nella più completa libertà; e questo, nonostante tutto, potrebbe essere considerato un atto d'amore: «Concedendo all'uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua potenza». Il non intervento non dà la misura di un limite Divino, casomai di una penosa, dolorosa incapacità nel ristabilire l'ordine del mondo attraverso l'esercizio di un miracolo. Perché farlo? Oggi, in questi ultimi anni non sarebbe stato costretto a rifarlo ancora ed ancora? Dio è imperscrutabile, il mistero che lo caratterizza riduce, secondo Jonas, ogni teoria, ogni illazione ad un misero (umano, io direi) balbettio dove solo la responsabilità umana può dare a Dio ciò che gli viene tolto attraverso il male da noi compiuto. Nei confronti del male Dio reagirebbe come con Giobbe e direbbe a Satana: «Egli è ancora saldo nell'interezza sua, e tu mi hai spinto su lui, senza ragione, per rovinarlo». (Giobbe 2,3) Il silenzio del dolore è tutto ciò che ha risuonato ad Auschwitz. Non un grido, non un lamento, ma un mutismo di rassegnazione di chi, all'oscuro di tutto, non può immaginare il motivo di tanto odio, perché troppo impegnato a cercare di comprendere il volere di Dio, il suo sentimento per l'uomo.
o esiste una forza attiva del male operante ab origine in ogni cosa contro la volontà di Dio (teologia dei due dei, inaccettabile per l'ebraismo)
o si aderisce alla concezione platonica di una realtà passiva in condizione di incarnare la realtà ideale nel mondo in modo necessariamente imperfetto (risolve il problema dell'imperfezione della natura, non quello manicheista).
B: pienezza di potenza Dio creatore, J: rinuncia alla potenza da parte di Dio
B e J intendono entrambe glorificare e lodare Dio
Ma a questo non c'è stata risposta, «Dio tacque, [...] non
intervenne, non perché non volle, ma perché non fu in condizione di farlo».
Quale potrebbe essere la risposta? «Voi chi dite che io sia?» dice Gesù ai
discepoli: «Maestro la mia bocca non è assolutamente in grado di dire chi tu
sia.» (Vang.
di Tommaso 14, Vangeli apocrifi, Einaudi
COMMENTO
Auschwitz è stata senza dubbio una delle più immani tragedie che la contemporaneità abbia conosciuto e, del resto, non pochi libri, articoli, inchieste si sono preoccupati di analizzare questo fenomeno, nel tentativo di metterne in luce le tante zone oscure, di capirne il significato e, non ultimo, di riuscire a spiegarne il perché.
Hans Jonas abbandona ogni prospettiva storica, sociologica o etica per acquisirne un'altra, del tutto originale: la prospettiva della teodicea. Come può Dio aver permesso la tortura, l'umiliazione ed infine la morte di milioni di ebrei? Come si può ancora accordare a Dio l'attributo della bontà dopo gli orrori che Auschwitz ha conosciuto? L'esistenza di Auschwitz, secondo Jonas, porta a dover ripensare alla radice il concetto di Dio; si deve rinunciare all'idea di un Dio immutabile, onnipotente e al tempo stesso in parte sconosciuto all'uomo.
Attraverso un mito l'autore del libro spiega come Dio abbia volontariamente creato il mondo e abbia rinunciato alla propria perfezione, calandosi nello spazio e nel tempo. Egli ha scelto di farsi immanente, ha preferito il 'divenire' all' 'essere immutabile'; e lo stesso Dio si arrichisce via via grazie all'evoluzione delle specie degli esseri viventi; ogni forma di progresso è per Dio un essere sempre più consapevole di sé e della propria opera. Al comparire dell'uomo sulla terra Dio si rende spettatore del suo cammino: ne segue i primi passi, diviene sentimentalmente partecipe della sua vicenda senza però intervenire mai in essa.
Come si colloca Auschwitz in questo processo cosmico? Esso si pone come un evento che chiude un'era e ne inizia un'altra ma è un evento di cui Dio non è responsabile fisicamente. Il Dio di Jonas non è indifferente alle vicende umane ma Egli non può causarle o dirigerle. È un Dio che non è distante dal mondo e tuttavia non è onnipotente. Egli ha concesso all'uomo una delimitata regione in cui muoversi ed ha deciso di non irrompere in questo luogo circoscritto; Dio ha rinuniciato a se stesso, alla sua perfezione perché noi fossimo, ma noi e solo noi siamo responsabili degli accadimenti del mondo storico.
Al di là delle asserzioni filosofiche e delle conclusioni a cui Jonas giunge attraverso la lettura delle Sacre Scritture, questo libretto ci regala due insegnamenti: primo che le vicende, anche dolorose, che appartegono al nostro passato (e pure quelle che apparterrano al nostro futuro) possono essere guardate anche sotto una nuova luce, quella della religione; secondo che solo l'uomo è responsabile di ciò che compie. Tirare in ballo un cieco destino o un volere imperscrutabile che ci è superiore serve soltanto ad oscurare il fatto che dobbiamo sempre e comunque imporci un attento esame di coscienza.
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