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IL REGIME POLITICO IN ROUSSEAU

filosofia



IL REGIME POLITICO IN ROUSSEAU

Una volta analizzato il pensiero politico del filosofo ginevrino è importante individuare la realtà empirica alla quale Rousseau vuole applicare la propria filosofia. Appurato che il compito dello stato per Rousseau è preservare le intrinseche libertà dell'uomo naturale e garantirne la sicurezza e l'incolumità è importante vedere come si possa giungere a ciò dopo che l'uomo ha abbandonato lo stato di natura e stipulato il contratto sociale. Il "governo" è al servizio della volontà, ma non ne è il depositario, è un organismo che s 242g69c i trova in posizione intermedia tra cittadini e governo. Il governo decade ogni volta che il popolo si riunisce in assemblea. In tale occasione cessa ogni potere del sovrano in quanto il popolo rievoca a sé tutti i poteri per la conservazione del patto sociale. L'autorità sovrana viene preservata e perpetuata grazie alla Costituzione che, qualora sia valida ed in grado di mantenere l'equilibrio sovrano-governo. Col termine "sovrano" si intende colui che riesce "nel far guidare la forza comune dalla volontà generale"(5). Questi è, quindi, il depositario del principio di sovranità che possiede due diversi attributi: inalienabilità ed indivisibilità. La sovranità non può essere alienata poiché essa è in stretta relazione con un'altra realtà, per sua natura inalienabile: la volontà generale. Il sovrano può essere rappresentato solamente da se stesso poiché è un essere collettivo. Per i medesimi motivi neppure la volontà generale e la sovranità possono essere divise. Una Costituzione in grado di assolvere ai propri compiti è quella che costringe il governo ad adempiere al proprio compito primario: l'applicazione delle leggi e soltanto delle leggi. Le leggi, infatti, sono l'espressione diretta e più autentica della volontà generale. E' anche molto importante che le istituzioni politiche create dal popolo in assemblea non rafforzino troppo la propria esistenza fino a non poter essere sospese o mutate. Infatti leggi troppo rigide, non flessibili e non in grado di adattarsi alle diverse realtà con le quali si troverebbe a contatto, risultano essere pericolose e dannose. Solo in casi eccezionali si può ricorrere a forme di particolare rigidità e fermezza creando realtà politico-istituzionali definibili con il termine "dittatura". In tal caso, anche se ciò può apparire paradossale se confrontato con ciò che si è detto fino ad ora e con ciò che si può leggere nella prima parte del "Contratto Sociale", la volontà generale non è affatto intaccata poiché, come ha scritto lo stesso Rousseau: "E' evidente che il popolo vuole innanzi tutto che lo Stato non perisca. A questo modo si sospende l'attività legislativa senza abolirla; il magistrato che la fa tacere non può farla parlare; la domina senza avere il potere di rappresentarla; può fare tutto eccetto le leggi ". Inoltre tale esperienza dittatoriale è, sull'esempio dell'antica Roma, un evento che deve consumarsi in un breve lasso di tempo e non prolungabile in modo che il dittatore, dovendo affrontare in breve tempo l'emergenza, non possa fare futuri progetti personali di potere spinto dalle proprie ambizioni. La ricerca della migliore forma di governo deve essere compiuta tenendo ben presente due principi fondamentali: la libertà viene meglio preservata e difesa nelle comunità composte da un basso numero di individui poiché in caso contrario si assiste ad un progressivo sganciamento delle singole volontà particolari dalla più ampia volontà generale. In secondo luogo bisogna tenere presente che quanto è maggiore il numero dei governanti tanto è minore e più debole l'incisività risultante dall'azione del governo poiché un tale esempio di governo deve concentrare troppa parte della propria azione su se stesso non riuscendo, così, ad avere abbastanza forza pubblica da impiegare in un'azione che abbia ripercussioni tali da coinvolgere tutto il popolo. Rousseau recupera una terminologia comprendente espressioni quali monarchia, aristocrazia, democrazia e repubblica, o, per esprimersi utilizzando un linguaggio più rigoroso, si deve parlare di governo monarchico, di governo aristocratico e di governo democratico. Tali forme di governo differiscono per quanto riguarda il luogo di allocazione del "concetto di governo": nel primo caso esso è nelle mani di un solo magistrato, nel secondo di poche persone e nel terzo dell'intero popolo. Le forme di governo citate ed analizzate sono tutte legittime poiché guidate dalla volontà generale e dalla legge che è espressione della già citata volontà generale. La democrazia viene vista come una forma di governo insufficiente in quanto non è mai esistita realmente in nessun luogo poiché si tratta di un governo adatto agli dei: "Un tale governo tanto perfetto non conviene agli uomini". Nel Terzo libro del IV Capitolo "Contratto Sociale" col termine democrazia si intende quella forma di governo in cui il popolo , in quanto corpo, applica direttamente le leggi: c'è una palese unione tra legislativo ed esecutivo. Ciò è visto in maniera negativa poiché il popolo distoglie il proprio interesse dalle idee generali per applicarlo alle necessità particolari in quanto è venuta meno la distinzione tra sovrano e popolo: i due poteri devono restare necessariamente divisi. L'aristocrazia viene apprezzata nella sua accezione elettiva e condannata, invece, nell'accezione ereditaria. Si assiste, quindi, ad una sorta di governo dei migliori che, una volta posti alla guida dell'esecutivo, possono occuparsi del governo guidando il popolo tenendo come obiettivo finale, ovviamente, il massimo e supremo interesse del popolo medesimo. L'aspetto negativo di tale forma di governo sta nel fatto che la volontà generale può risultare mortificata a vantaggio della volontà di una sola parte: i governanti. L'ultima forma di governo, quella monarchica, viene apprezzata per la forte vigoria che è in grado di esprimere, ma viene condannata in quanto può divenire illegittima, ossia espressione della volontà particolare, cioè dell'ambizione dei potere di un singolo. E' questo tipo di monarchia illegittima basata su un potere abusivo quella tipica del dispotismo illuminato e del pensiero assolutistico. Poiché nessuna di queste forme di governo è quella perfetta ci si interroga come si debba scegliere il tipo di potere esecutivo che uno stato debba adottare. Si è, quindi, alla ricerca di un nuovo criterio selettivo in campo politico per creare l'organigramma di uno stato. L'elemento che viene indicato dal filosofo ginevrino per raggiungere tale meta non è affatto né nuovo né, tanto meno, innovativo; infatti si prende in considerazione la dimensione dello stato analizzato. Ritorna l'elemento "clima" analizzato e scelto come criterio discriminante già da Montesquieu nella prima fase del periodo illuminista. Per gli stati piccoli vanno bene governi democratici, per gli stati medi quelli aristocratici e quelli monarchici per gli stati di grandi dimensioni. Si torna, quindi, all'affermazione iniziale che può essere riassunta dicendo che, per tentare di ottenere la miglior forma di governo possibile, il numero dei governanti deve essere inversamente proporzionale al numero dei governati. Rousseau indica, inoltre, anche criterio che può essere utilizzato per verificare la bontà di un regime politico: si avrà un buon governo in quelle realtà nelle quali il popolo aumenta di numero senza bisogno di innesti ed interventi esterni.








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