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GORGIA
Gorgia nacque a
Lentini, in Sicilia, probabilmente nel 484 a.C. Fu allievo di Empedocle e
crebbe in un ambiente culturale che si alimentava del contrasto tra seguaci
dell'eleatismo, la setta pitagorica ed i sostenitori di Empedocle.
Visse a lungo, si dice 109 anni. Fu soprattutto un retore, diremmo noi: più un
critico letterario ed un avvocato che un filosofo, ma scrisse un'opera, da
alcuni giudicata semiseria, di chiaro contenuto antieleatico e, soprattutto
antiparmenideo, che molti ritengono una sorta di burla.
Di essa vi è un ampio stralcio in Sesto Empirico ed un altro importante
riferimento si trova nel testo di un anonimo pseudo-aristotelico del III secolo
dopo Cristo.
In genere è conosciuta come Intorno alla natura, ma il vero titolo
potrebbe essere stato Del non essere, giacchè la conclusione paradossale
cui essa perviene è che nulla esiste, e che se qualcosa esiste non è
conoscibile e comunicabile.
Tale radicale attacco aveva un duplice bersaglio: il razionalismo eleatico e
l'empirismo, o meglio, il semiempirismo ionico ed eracliteo che ad esso si
contrapponeva, muovendo dalla constatazione che la realtà è il molteplice, il
divenire delle cose, la natura e non l'essere immobile di Parmenide.
La conclusione gorgiana pr 626j99g eannunciava un radicale nichilismo ed un altrettanto
radicale scetticismo ma, secondo diverse interpretazioni contemporanee, essa
andrebbe intesa, piuttosto, come una denuncia della pretesa umana di avere
certezze incrollabili, e di avere quindi una scienza della realtà.
In tale ottica, il senso delle confutazioni gorgiane sarebbe quello di far
osservare ai più che le nostre convinzioni intorno alle cose non sono il frutto
di ragionamenti logici o di autentiche esperienze, ma di un processo di
autopersuasione dovuto ai discorsi che abbiamo letto od ascoltato.
In altre parole: vi sarebbe in Gorgia una sconcertante anticipazione di quella
che è la nostra condizione attuale: pochissime esperienze dirette, pochissime
conoscenze di prima mano, una conoscenza solo libresca e virtuale fondata sulla
fiducia che assegniamo ai giornali, alle tv, alla scienza ufficiale, oppure
alla stampa alternativa ed alla controinformazione.
Francamente tutto questo mi pare eccessivo, anche perchè in nessun frammento di
Gorgia si può in qualche modo trovare la traccia di una concezione così vasta e
profonda.
Di Gorgia si può solo dire, a mio avviso, che a differenza di Eraclìto, il
quale intendeva il logos come comprensione e ragione delle cose e del loro
fluire, concepì il logos come semplice discorso, e quindi come semplice
capacità rappresentativa ed argomentativa.
Per Gorgia non vi era, dunque, un'opposizione tra discorso e realtà, ma solo
un'opposizione tra discorso e discorso.
Tra le opere di Gorgia, sono particolarmente note ed importanti l'Encomio di
Elena e la Difesa di Palamede, perchè è in esse che Gorgia diede
davvero il meglio di sé come retore e come avvocato, ma ci sono giunti anche
alcuni frammenti di un Epitafio, cioè un discorso commemorativo sui
caduti in battaglia, di cui diremo in chiusura, per mostrare la dottrina etica
di Gorgia.
Quando penso a Gorgia non posso sottrarmi all'idea dell'avvocato del diavolo,
non già nel senso di difensore di cause che paiono impossibili a sostenersi, se
non per illimitato credito che attribuiamo all'accusato e per la fede nella sua
innocenza, quanto all'abilità che Gorgia dimostrò nel discolpare diversi tipi
di accusati.
Fosse vivo oggidì, Gorgia non esiterebbe a difendere madri che uccidono i loro
figli e figli che uccidono i loro genitori, non già per mancanza di un
qualsiasi senso morale, ma per un senso umano forse più ampio del
consueto.
Ciò che in fondo nobilita Gorgia è che egli non investì il proprio talento per
accusare innocenti, come tanti procuratori dell'Inquisizione nel medioevo, ma
solo per difendere presunti colpevoli, spesso condannati solo dalla normale
inclemenza e dal sommario senso della giustizia del volgo.
E' tuttavia da notare che il tema di Elena non è il tema di Medea, la madre che
uccise i suoi figli. Gorgia si scelse, per l'esercizio retorico, un oggetto più
semplicemente difendibile e meno scabroso.
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Orbene, con Gorgia, siamo ad un punto altissimo della teoria della difesa.
Non esistono cause perse in partenza. Anche Hitler, Milosevic o Bin Laden sono
difendibili. Tutto sta ad intendersi su cosa sia la responsabilità, su cosa si
possa applicare, in quale contesto, con quali motivazioni.
Ecco perchè, in Gorgia, la potenza del discorso, la sua capacità di abbagliare
e persuadere è tutto, ovvero la cosa più importante.
Quello che in Protagora era un principio non portato fino alle estreme
conseguenze, ovvero che è possibile organizzare su diversi argomenti un
discorso del tutto alternativo, ma comunque vero, fondato su precise esperienze
e ragioni, in Gorgia diviene un'applicazione del tutto sviluppata.
Tuttavia, a differenza di Protagora che assegnava grandissima importanza alle
sensazioni ed alla percezione soggettiva delle cose e degli eventi, in Gorgia
la percezione è di nuovo inganno dei sensi.
Per Protagora tutto è vero; per Gorgia tutto è falso, è impossibile la verità
stessa. Le ragioni e le esperienze nascono dal discorso stesso, ed in esso
tramontano. Tra discorso e realtà non c'è più comunicazione, perchè l'unica
realtà, ormai, è la chiacchiera.
Gorgia è un finissimo ragionatore sia dove ci confonde, o comunque ci prova,
sia dove, in fondo, cerca solo di chiarire in che senso una giustificazione è
davvero una giustificazione e non un pretestuoso nascondersi dietro il classico
dito.
La prima cosa che va compresa è la seguente: per Gorgia, ma non solo per lui,
perchè la situazione si presentava simile per tutti quelli che bazzicavano
agorà e tribunali, la società civile, la polis, aveva prodotto un mondo di
leggi e di regole ben ordinato.
In questo mondo relativamente sicuro, in cui ognuno, perfino lo schiavo privo
di diritti, poteva sentirsi al riparo dalla prepotenza dei più forti, il
delitto, il furto, l'azione criminosa, la vendetta, l'adulterio, l'offesa,
rappresentavano l'irruzione dell'irrazionale, una sfida non solo nominale alla
legge ed all'ordine, bensì una sfida reale alle più ovvie convinzioni sulla
razionalità.
L'essenza del tragico, secondo alcuni, stava proprio in questo: il fato e gli
dei si incaricavano di ridicolizzare ogni umana pretesa di assicurare l'ordine e
la sicurezza. Il caos ed il disordine rientravano da ogni lato della vita. E
gli autori tragici si incaricarono di rappresentarlo.
Edipo non voleva uccidere suo padre, così come aveva decretato l'oracolo;
eppure finì con l'ucciderlo.
E' facile comprendere che, se questo fatalismo è parte fondamentale della
mentalità dominante, nessuna filosofia potrà averne ragione. Nemmeno la new
age inaugurata da Pericle e dai suoi intellettuali: Anassagora e Protagora.
L'illusione della libertà umana, l'illusione di poter sfuggire ai decreti del
cielo è regolarmente smentita dai fatti.
Che poi non siano fatti, ma solo storie di poeti, è tutto da dimostrare.
La tragedia incontra il favore popolare non già perchè racconta storie
fantastiche, ma perchè incrocia la realtà, pur esagerandola.
A Pericle che sostiene che "non è vergognoso l'essere povero, ma il non
far nulla per non esserlo", la realtà stessa risponde che "solo uno
su mille ce la fa, e, se ce la fa, è perchè così il cielo ha decretato."
In questo pessimismo di fondo, che si nutre di un dubbio radicato su quale sia
la vera giustizia degli dei, ha buon gioco la tesi gorgiana dell'innocenza
degli uomini, e si noti, persino delle donne.
Fu Gorgia, nell'Encomio di Elena, a rompere con il maschilismo ed il
patriarcato. Era nell'aria, d'accordo, ma nessuno aveva osato tanto in modo
così esplicito. La donna, secondo gli uomini, ma anche secondo le donne, doveva
guardare al modello Penelope ed Andromaca: sposa fedele, buona madre.
Con la difesa di Elena, Gorgia, rovesciò una serie incredibile di principi,
attingendo, si faccia attenzione, non già ad un mondo alieno ed inesistente, ma
al mondo delle credenze e delle esperienze, al senso profondo del tragico che
gli stessi greci coltivavano.
In sostanza, disse Gorgia, se noi crediamo che l'individuo non sia libero di
fare le scelte che preferisce, allora nessuno è colpevole di niente.
Nessuno si è chiesto, per quanto ne sappia, se Gorgia abbia davvero creduto in
quello che affermava. Personalmente credo di no.
Ma questa tesi, in fondo, era la risposta che molti si aspettavano. Una sorta
di giustificazione dei loro errori, delle loro intemperanze e delle loro
prepotenze.
Senza rendersene conto fino in fondo, come dimostrerà Platone nel dialogo
Gorgia, il retore di Lentini aveva indicato la via maestra
all'individualismo più sfrenato, alla ripulsa delle regole e delle leggi, al
diritto del più forte di fare quello che più gli piace nella società.
L'encomio di Elena
Nella difesa di Elena, il ragionamento di Gorgia fu molto più sottile di
come l'ho presentato finora. Esso abbracciava tutti i possibili punti di vista,
tranne uno, quello per il quale la donna Elena era in grado di opporsi per
fondata decisione al rapimento di Paride.
Si dirà che questo punto non poteva essere preso in considerazione, perchè
Gorgia non postulava la sovranità della donna su sé stessa, ma la sua totale
condizione di dipendenza. Ma questo non poteva significare che non c'era
libertà di scelta, ma solo che Elena aveva innanzi a sé solo una scelta limitata:
o la schiavitù in casa di Menelao, o quella in casa di Paride, in terra
straniera, tra persone che potevano anche esserle ostili.
Più fondata mi pare l'obiezione di chi sostiene che, nel tentativo di
giustificare, Gorgia abbia sortito un effetto opposto alle sue possibili
intenzioni: chiese l'assoluzione per incapacità totale di intendere e volere.
Non si può condannare una deficiente.
Ma, andiamo con ordine.
Gorgia sostenne che Elena poteva essere stata indotta a seguire Paride per
quattro diverse ragioni: o per decreto divino, o per violenza, o
perchè persuasa dal logos di Paride (cioè dai suoi discorsi di spasimante),
o per decreto della necessità. Potrebbe sembrare che i sentimenti di
attrazione o di amore dipendono, in Gorgia, più logos di Paride che non dal suo
aspetto fisico. Ma, il significato gorgiano di logos si deve intendere come una
sorta di discorso interno: è Elena che parla a sè stessa, è una voce che prende
vita come persuasione e si nutre anche dell'apparenza sensibile.
Cosa intendeva Gorgia per decreto della necessità?
Mi pare che la risposta più plausibile sia questa: sia che si creda agli dei,
sia non vi si creda, la condizione umana è tale per cui a Elena risultava
necessario, ovvero indispensabile, pena la vita stessa, seguire Paride. Ne
sarebbe morta, o fisicamente o spirtualmente, se non l'avesse fatto.
Questo argomento è il più sottile ed il più razionale, per quanto sembri
riconoscere l'irrazionalità dei sentimenti.
Anzi, è tanto più razionale in quanto riconosce l'irrazionale. In questo sta il
suo valore. Per quanti sforzi l'uomo possa fare per ordinare il mondo ed i
costumi secondo leggi, norme e consuetudini, verrà sempre il momento nel quale
una qualsiasi Elena ed un qualsiasi Paride, violeranno queste regole per loro
necessità vitale.
Il filosofo razionalista rischia di non capire; il moralista fa naufragio,
l'uomo comune condanna e persino si accinge a tirar pietre per la lapidazione.
La difesa di Palamede
Quest'opera è di più difficile interpretazione perchè i frammenti sono molto
scarsi.
L'Untersteiner vi rinviene diversi temi, che probabilmente meriterebbero più
ampia trattazione, non ultimo quello che sembrerebbe riportare Gorgia alla
convinzione che la civiltà non è un dono del divino all'uomo, ma una conquista
faticosa dell'uomo stesso.
Ma la tesi di fondo della difesa di Palamede pare essere stata quella
dell'impossibilità tragica di dimostrare la verità, quando la dimostrazione
stessa non può contare su dati e testimonianze di fatto, ma solo su una logica
che si contrappone ad un'altra logica.
Il non-essere secondo Gorgia
Sia che la si prenda sul serio, come opera filosofica a tutti gli effetti, sia
che la si consideri solo come un'esercitazione retorica, o addirittura una
burla composta in età giovanile, il trattato sul non-essere ha fatto discutere
gli storici del pensiero filosofico.
Persino Aristotele se ne occupò, peraltro in un trattato andato perduto. Nella Metafisica
il nome di Gorgia non ricorre, e questo potrebbe sembrare strano, ma in realtà,
dimostra solo che, forse, ai tempi dello stagirita, era già chiaro che il
lavoro di Gorgia era nientaltro che una presa in giro dei filosofi seriosi.
Tuttavia, in chiusura del Libro IV della Metafisica, Aristotele dice:
sia quelli (Protagora) che affermano che tutto è vero, sia quelli che affermano
che tutto è falso (Gorgia, per l'appunto), cadono in una clamorosa
autoconfutazione delle proprie posizioni, in quanto, se tutto è vero, sarà
anche vero quello che dice che diciamo il falso, e contemporaneamente, se tutto
è falso, sarà anche falsa la proposizione che afferma che tutto è falso.
Chi prende sul serio le tesi di Gorgia, tuttavia, non ha torto del tutto.
Il ragionamento ha un punto forte e di eccezionale rilievo nella sua
conclusione, che, peraltro, non ha quasi nulla a che fare con le premesse e le
confutazioni precedenti.
Gorgia dice, infatti, che se anche l'essere fosse, non sarebbe nè pensabile, nè
comunicabile. E questo, pur facendo le debite considerazioni e precisazioni,
viene comunque a presentarsi come un dato di tante situazioni, anche moderne.
Infatti, l'essere potrebbe venire qui inteso da Gorgia come totalità. E
legando strettamente il concetto di totalità a quello di verità, pare a Gorgia
impossibile sia pensare che comunicare questo senso profondo dell'essere.
Ma andiamo con ordine: le tesi di Gorgia erano sostanzialmente tre, legate
l'una all'altra, ma non dipendenti l'una dall'altra.
1) Nulla esiste; 2) Se anche qualcosa esiste, non è conoscibile; 3) Se anche
fosse conoscibile, non è comunicabile agli altri.
In tutta franchezza, per chiudere il cerchio, se ne poteva aggiungere una
quarta, ovvero: se anche fosse comunicabile, non sarebbe comprensibile a chi
riceve la comunicazione.
Ma vediamo come giustifica la tesi che nulla esiste.
Per Gorgia, il non essere è non essere, dunque non esiste, perchè se ci fosse,
sarebbe insieme essere e non essere, il che è assurdo. D'altro canto, l'essere,
se ci fosse, dovrebbe essere o eterno o generato, oppure eterno e generato
insieme. Se fosse eterno, sarebbe infinito, e se infinito, non sarebbe in alcun
luogo, ovvero non sarebbe affatto. Inoltre, se fosse generato, dovrebbe
provenire o dall'essere o dal non essere; ma dal non essere non nasce nulla, e
se fosse nato dall'essere, c'era già prima di nascere. Conclusione: l'essere
non può essere né eterno, né generato, e neppure le due cose insieme, perchè
l'una esclude l'altra. Allora? Allora, né l'essere, nè il non essere esistono.
Non ho mai compreso come le premesse giustifichino una simile conclusione, ma
essa è lì ed ognuno è libero di trarre le sue conclusioni.
La seconda tesi gorgiana è: se anche l'essere esistesse, non sarebbe pensabile,
perchè se tutto ciò che esiste fosse pensabile, non esisterebbe più il falso, e
quindi tutto ciò che si pensa sarebbe vero, anche la favola di cocchi che
corrono sulla superficie del mare o quell'altra di Bellerofonte che vola.
Anche qui, a ben vedere, è palese che per affermare il falso di un Bellerofonte
che vola, bisogna comunque muovere da un'esperienza sensibile vera, ovvero che
gli uomini non volano, ma questo non sembra preoccupare Gorgia, che procede
imperterrito, affermando che se è vero che non esiste ciò che pensiamo, allora
sarà vero che ciò che esiste noi non riusciamo a pensarlo, e quindi risulta
inconoscibile.
La terza tesi afferma che se anche fosse pensabile, l'essere non sarebbe
comunque comunicabile, giacchè tra parole e cose c'è una bella differenza in
quanto le parole non sono le cose, ovvero i fenomeni, ed il suono può solo
essere udito, ed il colore può essere solo visto. Quando dico "rosso"
non dico la cosa, ma solo un suono che potrebbe significare "rosso".
E poichè ogni uomo, secondo una dottrina di estremo pessimismo, non percepisce
allo stesso modo, ma ognuno capisce solo la propria persuasione, la parola,
così come il discorso intero, potrebbe essere equivocato.
Il tragico della vita è nel costante equivoco che genera inganni continui.
Nei testi scolastici l'interpretazione più ricorrente di questo testo gorgiano
è quella che afferma l'avvenuta distruzione delle tesi eleatiche attraverso i
suoi stessi procedimenti dialettici.
A me pare che, in realtà, Gorgia non abbia distrutto alcunchè, e non già perchè
le tesi eleatiche siano ancor vive e vegete, ma perchè esse, pur nella loro
incompletezza e parzialità, rappresentarono pur sempre un mozzicone di verità,
la realtà dell'esistente, rispetto alla sua completa negazione.
Gorgia è stato abile nel procedere alla scomposizione del nesso eleatico tra
essere, pensiero e discorso, evidenziando in particolare la decisiva
preponderanza del discorso sia sul pensiero che sull'essere. Il discorso, per
Gorgia, è in grado di far essere ciò che non è, e di far sparire ciò che è,
ovviamente solo nel pensiero, perchè nella realtà, né le cose, né le tracce, né
i segni possono sparire mai del tutto.
Tuttavia, questa abilità non poteva e non può, in nessun caso, aver ragione
delle cose stesse, le quali sono non solo sotto i nostri occhi, ma sotto le
nostre mani, la nostra abilità tecnica nel manipolarle.
Nel nostro mondo quotidiano le cose esistono. Non c'è miglior argomento.
L'etica di Gorgia
Bisogna guardarsi dal credere che Gorgia fosse un immorale nel senso che noi
oggi attribuiamo al termine.
Come gli altri sofisti, anch'egli, sia pure con meno enfasi, si presentò come
un maestro di virtù, ma pose in chiara evidenza un dato, poi ripreso da
Aristotele negli scritti di Politica, ovvero che non ci sono virtù
assolute, ma solo virtù relative, che sono enumerabili. Diversa è la virtù del
giovane, diversa è la virtù del cittadino maturo, diversa quella della donna e
quella dell'anziano. E persino diversa saranno le virtù per un cittadino
ateniese, per un barbaro e per uno spartano. L'importanza di un valore è data
dal contesto in cui esso vive e dall'individuo che lo esprime.
L'Untersteiner valuta questo atteggiamento etico come irrazionale.
Francamente non sono d'accordo, per il semplice fatto che a me pare del tutto
irrazionale la pretesa di fondare un'etica assolutistica muovendo dal supremo
concetto del bene e del male.
Del resto, se persino Platone riconobbe che anche in una banda di ladri devono
vigere principi di reciproco rispetto e di legalità, pena il disfacimento della
banda stessa, è evidente che il principio dell'etica non è diverso da quello
della necessità che lo ispira: su quali basi è possibile una convivenza tra
individui così irascibili, prepotenti, volubili e vanitosi come gli esseri
umani?
Il punto da considerare, in Gorgia, è che egli anticipò Machiavelli
nell'intendere che in guerra tutto è lecito.
Ognuno di noi, ovviamente, è libero di pensarla diversamente, ma intanto, i
capi di stato continuano a pensarla così. I terroristi la pensano così. Tanti
loschi affaristi credono di essere in guerra anche quando siamo in pace.
I politici credono di essere in guerra con il polo opposto, i colpi bassi si
sprecano: tutti provano un fortissimo dolore sotto la cintura e le lacrime che
si versano ogni giorno, in ogni parte del mondo, sono più numerose delle gocce
di pioggia che provocano inondazioni.
Nell'Epitafio, un discorso di grande efficacia retorica, Gorgia scrisse,
riferendosi ai caduti in guerra: "questi ispirati da dio possedevano il
valore, di umana natura il destino di morte; ed effettivamente spesso si
decisero per la bontà del vero giusto più che per l'arroganza del diritto
positivo, e spesso più che per il rigore della legge per la perfezione del
ragionamento, perchè credevano che questa legge è divina e universale: il dire
e il tacere, il fare e il tralasciare ciò che si deve nel dovuto momento."
A coronamento della teoria della morte e del sacrificio su esposto, non
potevano seguire parole più efficaci e persuasive, che hanno fatto scuola
imperitura, purtroppo non solo tra i demagoghi. Quando il dovere chiama, con
uno squillo di tromba, tutti a combattere, senza chiedersi il perchè.
Ma, ora, forse, è venuto il momento: sterminate masse umane, perchè?
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