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F. W. Nietzsche - Vita, Le edizioni delle opere

filosofia



F. W. Nietzsche


Vita

Friedrich Wilhelm Nietzsche è nato vicino Lipsia il 15 ottobre 1844. Nel 1849 perde il padre a causa di una malattia al cervello, così si trasferisce con la madre e la sorella a Namburg. A dodici anni inizia a scrivere e a comporre musica e nel 1858 entra nella rigida scuola di Pforta. Nel 1864 si iscrive come studente di teologia a Bonn e nel 1865 si trasferisce a Lipsia dove segue le lezioni di Friedrich Ritschl. Qui legge l'opera di Schopenhauer "Il mondo come volontà e rappresentazione" e ne rimane colpito. Nel 1867 inizia l'amicizia con Erwin Rohde e nel 1869 a soli 24 anni ottiene la cattedra di lingua e letteratura greca all'università svizzera di Basilea. Entra in contatto con lo storico Jacob Burckhardt, con il teologo Franz Overbeck e con Richard Wagner di cui era un ammiratore. Durante la guerra franco-prussiana si arruola come infermiere volontario ma si ammala di difterite, così viene congedato. Pubblica il primo libro nel 1872, "La nascita della tragedia", attaccato dai filologi ma difeso da Wagner e Rohde. Progetta "Il libro del filosofo" e nel 1873 scrive "La filosofia nell'epoca tragica dei Greci" e "Su verità e menzogna in senso extramorale". Nel periodo tra il 1873 e il 1876 escono le quattro "Considerazioni inattuali". Stringe nuove amicizie mentre quella con Wagner si affievolisce perché Nietzsche vede in lui l'estremo rappresentante del romanticismo e uno spirito di rassegnazione e rinuncia. Scrive nel 1878 "Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi" dove segna il suo distacco da Wagner e Schopenhauer. Si indebolisce di salute così nel 1876 interrompe le lezioni a Basilea e nel 1879 rinuncia definitivamente alla cattedra. Diventa così un malato inquieto e nervoso, che va da un posto all'altro in cerca di clima favorevole. Vive tra la Svizzera, l'Italia e la Francia. Nel 1880 esce la seconda parte dell'opera del 1878 con le due appendici "Opinioni e sentenze diverse" e "Il viandante e la sua ombra". Nel 1881 segue "Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali" e nel 1882 "La gaia scienza". Nel 1882 incontra a casa Meysenbug Lou Salomé, russa di 21 anni, e crede di aver trovato una compagna ma lei lo rifiuta preferendo Paul Rée con cui vivrà in libera unione a Berlino suscitando lo scandalo. Il filosofo si sente abbandonato e tradito e li incontrerà nel 1882 per l'ultima volta. A causa di Lou si accentuano i dissidi con la madre e la sorella. A dicembre dello stesso anno si aggrava la crisi con i suoi amici e la depressione aumenta fino a rompere definitivamente con loro nel 1883. Entra in contrasto con la sorella a causa del fidanzamento con Bernhard Förster, che poi sposerà nel 1885. Si riconcilierà successivamente con lei ma i rapporti rimarranno comunque conflittuali. Nel 1883 pubblica "Così parlò Zarathustra", la terza parte nel 1884 e la quarta pubblicata a sue spese nel 1885. Successivamente nel 1886 pubblica "Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell'avvenire" dove dichiara di voler scrivere "La volontà di potenza", opera che non verrà mai scritta. Nei due anni successivi pubblica nuovamente gli scritti precedenti e nel 1887, sempre in modo autonomo, pubblica "Genealogia della morale. Uno scritto polemico", "Il caso Wagner, crepuscolo degli idoli. Ovvero come si filosofa col martello", "L'Anticristo. Maledizione del cristianesimo", "Ecce homo. Come si diventa ciò che si è" e "Nietzsche contro Wagner". Il filosofo si è intanto stabilito a Torino, dove rimane entusiasta della città ma dove dà anche i primi segni di squilibrio mentale (abbraccio al cavallo). Nei primi del 1889 ha un crollo psichico e scrive delle lettere (biglietti della pazzia) ai suoi amici, a Cosima Wagner, a uomini di stato e di case regnanti. Uno dei destinatari, Burckhardt, avverte Overbeck che va a trovare l'amico in preda alla pazzia e lo porta con sé a Basilea in una clinica per malattie nervose. Nel 1897 dopo la morte della madre, viene preso in custodia dalla sorella che, dopo il suicidio del marito in seguito al 737i88h fallimento economico, aveva fondato un Archivio a Weimar per gestire l'eredità letteraria del fratello e la fama di Nietzsche continuava a crescere senza che se ne rendesse conto, ormai preso dalla pazzia. Muore a Weimar il 25 agosto del 1900, mentre i suoi libri viaggiavano per l'Europa.




Le edizioni delle opere

La prima edizione complessiva delle sue opere è pubblicata nell'Archivio di Weimar della sorella e consta di 19 volumi. Comprende anche appunti raggruppati in modo tematico da Peter Gast e Elisabeth Förster che saranno pubblicati con il titolo "Der Wille zur Macht" (La volontà di potenza). La prima edizione risale al 1901 con 483 aforismi, la seconda al 1906 con 1067 aforismi, la terza e definitiva al 1911 con lievi modifiche. Quest opera ha un enorme valore storico poiché su questa raccolta di aforismi si eserciterà gran parte dell'intelligenza europea.

La seconda edizione complessiva è la "Musarion Ausgabe" in 23 volumi tra il 1920 e il 1929, in base ad un criterio cronologico. L'edizione critica è a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montanari che presentano gli scritti nella loro oggettività.


Filosofia e malattia

La malattia di Nietzsche è stata spesso usata per screditarlo perché l'alternativa è vedere la sua filosofia come il risultato della sua malattia o la malattia come risultato della filosofia. In ogni caso, veniva considerata come qualcosa di negativo da mettere in correlazione col suo pensiero, malato anch'esso. In seguito si tende a valorizzare la malattia come una condizione creativa, cioè anche grazie alla sofferenza e alla solitudine il filosofo riesce a lasciarsi alle spalle le illusioni e arrivare ad un punto di vista anticonformista sul mondo. Lo spiega lui stesso in un aforisma di "Aurora" intitolato "Della conoscenza di colui che soffre" dove scrive che la malattia non offusca la mente o la conoscenza mentre la profonda solitudine porta benefici intellettuali; chi soffre vede la sua condizione con freddezza, al di fuori, eliminando tutte le fantasie che lo incantano. E' anche vero che la filosofia di Nietzsche va considerata in modo oggettivo e non per la vita del suo autore.


Nazificazione e denazificazione

Spesso parlando di Nietzsche si associa la cultura del nazismo, considerata addirittura un esperimento nietzscheano. Troviamo questa lettura nel libro di Alfred Bäumler "Nietzsche, il filosofo e la politica" del 1931, agevolato dalla sorella Elizabeth. La stessa propaganda nazista si è avvalsa della falsificazione di Elizabeth dell'epistolario pubblicando alcuni frammenti sotto il titolo "Der Wille sur Macht". Ma Elizabeth non è la sorella maledetta che voleva aggiungere intenti antisemiti o protonazisti alle opere del fratello ma si parla di "sorella parafulmine" in quanto ricadono su di lei tutto ciò che non si riesce a sopportare del fratello. Anche se Elizabeth ha avuto un ruolo del processo di nazificazione, il 2 novembre 1933 con la visita di Hitler all'Archivio Nietzsche e la consegna da parte di Elizabeth del bastone del fratello con l'uscita del dittatore tra la folla acclamante. Ma è eccessivo attribuirle la totale responsabilità come è eccessivo attribuire a Nietzsche la paternità delle idee nazionalsocialiste anche se in alcuni testi si trovano spunti antidemocratici volti a favore una lettura di destra. La varie interpretazioni nazifasciste sono state contestate nel dopoguerra con un processo di denazificazione che trova la sua espressione filologica nelle opere di Nietzsche. Negli ultimi decenni si parla addirittura di un Nietzsche progressista e questo cambiamento porta a delle esagerazioni come contrapporre l'immagine di Nietzsche prima con Hitler e poi con Marx. Negli ultimi anni la situazione è cambiata e ha cominciato ad affermarsi un punto di vista che sottolinea gli elementi di novità e rottura della filosofia e non riconosce le componenti reazionarie.


Caratteristiche del pensiero e della scrittura di Nietzsche

Il suo pensiero è caratterizzato dalla radicale messa in discussione della civiltà e della filosofia dell'occidente con una distruzione programmatica delle certezze del passato. In "Ecce homo" descrive questa concezione di prendere una decisione contro tutto ciò che è stato creduto finora e in "Umano, troppo umano" dice che i suoi scritti sono sicuramente visti con sospetto ma anche che egli non crede che altri hanno guardato il mondo con un sospetto ugualmente profondo. Ma quest opera di demolizione non è un semplice rifiuto delle teorie tradizionali ma mette a capo la delineazione di un nuovo tipo di umanità: "il superuomo" o "oltreuomo". Da questo deriviamo l'aspetto costruttivo e non distruttivo del suo filosofare in quanto si considera un lieto messaggero che porta nuove speranze e non uno spirito negatore. Cerca anche un'originalità degli stili e delle forme, infatti Nietzsche era un grande poligrafo in cui alterna stili e generi diversi. Negli scritti giovanili è ancora accademico ma da "Umano, troppo umano" utilizza la forma dell'aforisma, finalizzata a cogliere le cose al volo, per una sfiducia nelle costruzioni del passato e l'illuminazione dei moralisti francesi. Il filosofo paragona l'aforisma ad una figura in rilievo quindi incompleta ma che permette all'osservatore di completarla col pensiero. Quindi non basta leggere un aforisma per capirlo ma va interpretato con una pratica che Nietzsche chiama "ruminare".

In "Così parlò Zarathustra" utilizza la forma dei Vangeli, cioè il modello della poesia in prosa e dell'annuncio profetico, pieno di simboli, allegorie e parabole. Mentre negli ultimi scritti prevale l'aspetto autobiografico e l'invettiva polemica. Questi stili diversi hanno reso un tono personale e coinvolgente a testimoniare l'esistenzialità del suo filosofare. Il suo pensiero è programmaticamente asistematico anche in opere che non hanno apparenza sistematica o organica. Dietro il sistema di Nietzsche c'è una forma di volontà di potenza, un desiderio di impadronirsi del reale. Un desiderio che in quanto scriba del caos è illusorio e porta all'insuccesso. Poi la predilezione per gli orizzonti aperti gli fa constatare la chiusura del sistema così riflette sulla possibilità di una totalità di presupposti di metodo, verità provvisorie. Quindi il suo pensiero è lontano dal creare una costruzione architettonica conclusa, quindi non esiste un monopolio interpretativo ma i suoi discorsi presentano una moltitudine di significati.


Fasi o periodi del filosofare nietzscheano

Le fasi sono quattro:

Gli scritti giovanili del periodo wagneriano - schopenahueriano, da "La nascita della tragedia" fino a "Su verità e menzogna in senso extramorale"

Gli scritti intermedi del periodo illuministico o genealogico, da "Umano troppo umano" a "Gli idilli di Messina"

Gli scritti di "Zarathustra" che comprendono l'opera omonima e alcuni frammenti postumi. Alcuni studiosi ritengono che sia questa l'ultima fase, la maggioranza opta per una divisione in quattro che all'ultimo riconoscono l'enorme consistenza avvalorata dai frammenti postumi. Anche qui, mentre alcuni ritengono che questi frammenti sono il mondo sommerso delle opere che diventano le terre, c'è una divisione perché mentre alcuni affermano che non portano nulla di nuovo di ciò che dicono le opere, altri insistono sulla loro novità rappresentando essi stessi il punto estremo.

Gli scritti del tramonto che vanno da "Al di là del bene e del male" e "Nietzsche contro Wagner".


Il periodo giovanile

Tragedia e filosofia

L'opera "La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo" del 1872, è un'opera composita nella quale coesistono filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura. L'ispirazione è di tipo filosofico, infatti il filosofo non si è mai identificato con la filologia accademica. Il motivo centrale è la distinzione tra "apollineo" e "dionisiaco", una coppia di opposti che si concretizza in altre sottocoppie, in cui lui intende i due impulsi di base dello spirito e dell'arte greca. L'apollineo scaturisce da un atteggiamento di fuga dal divenire e da un impulso alla forma, si esprime nelle arti plastiche. Il dionisiaco scaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire, si esprime nella musica. E' in contrasto con l'immagine neoclassica dell'Ellade come mondo della serenità e dell'equilibrio (regno dell'apollineo) e insiste invece sull'aspetto dionisiaco che scorge ovunque il dramma della vita e della morte. L'apollineo nasce su di una visione dionisiaca dell'esistenza e dal tentativo di sublimare il caos nella forma. In un primo tempo, la Grecia presocratica, apollineo e dionisiaco erano separati e opposti; in un secondo tempo, l'età della tragedia attica di Sofocle ed Eschilo, apollineo e dionisiaco si armonizzano tra loro. La tragedia attica infatti ha sia un carattere apollineo, nelle parti sceniche e nel dramma, sia dionisiaco, nella musica e nel coro, in quanto riunisce la rappresentazione del mondo con il furore orgiastico. L'origine della tragedia è ripresa da Nietzsche nell'etimologia trághos "capro" e odé "canto", quindi nasce dal coro tragico dei seguaci di Dioniso mascherati da capri. Gianni Vattimo scrive: l'origine deriva dalla processione religiosa dei seguaci di Dioniso che nell'esaltazione mistica si trasforma in coro di satiri, l'uomo della vita quotidiana subisce un primo processo di trasformazione: si vede e si sente satiro; nella seconda trasformazione il coro vede il dio Dioniso che raffigura la storia stessa del satiro. Nietzsche vuole dire che il dramma tragico diviene veramente tale quando Dioniso è rappresentato tramite una serie di immagini che trasformano il mondo di sofferenza dell'eroe in uno ideale di bellezza. Successivamente, la sintesi fra dionisiaco e apollineo, per Nietzsche il miracolo metafisico della civiltà ellenica, si rompe e prevale l'apollineo. Il processo di decadenza si concretizza con Euripide che nella sua tragedia porta l'uomo quotidiano sulla scena e attinge la sua espressione paradigmatica nell'insegnamento razionalistico e ottimistico di Socrate. La decadenza della tragedia rivela la decadenza del mondo occidentale e trova simbolo nell'opposizione tra spirito sionistico e spirito socratico, ossia tra uomo tragico che dice sì alla vita e uomo teoretico che violenta la vita.


Spirito tragico e accettazione della vita. La "metafisica da artista"

La celebrazione del dionisiaco coincide con la celebrazione della vita al di là del pessimismo e dell'ottimismo. Riprende da Schopenhauer il carattere doloroso della vita ma respinge l'ascesi contrapponendo alla noluntas, un'accettazione dell'essere nella sua globalità. La vita è dolore ed è dominata dal caos, quindi o c'è la rinuncia e la fuga (ascetismo), l'atteggiamento di Schopenhauer, oppure l'accettazione della vita così com'è, esaltandola e il superamento dell'uomo. Nietzsche è un discepolo di Dioniso, dio della gioia che ride e danza. Quindi solo l'arte riesce a comprendere veramente il mondo e da questo la natura metafisica dell'arte e la sua funzione di organo della filosofia. Infatti Nietzsche formula i giudizi fondamentali sull'essere con le categorie dell'estetica, la chiama "metafisica da artista" perché l'arte è posta al centro e con essa viene spiegato il mondo. Tutto questo sfocia nell'ideale di una rinascita della cultura tragica incentrata sull'arte e soprattutto sulla musica in cui riconosce come maestro Wagner e per la filosofia come maestro sceglie Schopenhauer.


Le considerazioni inattuali: storia e vita

Scrive le quattro "Considerazioni inattuali" fra il 1873 e il 1876 come un'opera di critica della cultura contemporanea.

Nella Prima "David Strass, l'uomo di fede e lo scrittore" attacca Strauss il cui libro "L'antica e la nuova fede" gli appare influenzato da un ottimismo da filisteo.

Nella Seconda "Sull'utilità e il danno della storia per la vita" va contro lo storicismo e lo storiografismo perché l'eccesso di storia indebolisce l'uomo fino a diventare una malattia che non porta più nulla di nuovo e l'individuo diventa restio ad impegnarsi per qualcosa di passeggero. Inoltre favorisce l'idolatria del fatto e l'uomo si sente in balia del passato e incapace di creare qualcosa di nuovo nel presente. Per Nietzsche infatti il fattore oblio è indispensabile alla vita perché senza incoscienza non c'è felicità e per poter agire efficacemente nel presente occorre dimenticare il passato. Questo però non significa che la storia, la quale si fonda sulla memoria, sia sempre dannosa perché oltre al danno ha un utilità per la vita perché ciò che non è storico è necessario quanto ciò che è storico a patto che la storia sia al servizio della vita che rappresenta l'ottica con cui rapportarsi alla storia. La storia appartiene all'uomo sotto tre rapporti: è attivo e ha aspirazioni; preserva e venera; soffre e ha bisogno di liberazione. Ci sono quindi tre tipi di storia: storia monumentale, storia antiquaria e storia critica.

  • Storia monumentale: di chi guarda al passato per cercare modelli a cui ispirarsi perché convinto che la grandezza una volta fu possibile; tende a mitizzare il passato o stimola alla temerarietà e al fanatismo.
  • Storia antiquaria: di chi guarda al passato con fedeltà e amore preservandola e venerandola; può degenerare in una cieca furia collezionistica e tendere a mummificare la vita ostacolando il nuovo.
  • Storia critica: di chi guarda al passato come un peso, che soffre e vuole rompere con il passato per rifare tutto daccapo, trascinando la storia davanti ad un tribunale che lo condanna ma chi giudica è la vita stessa che è ingiusta perché la sua sentenza viene dalle passioni; l'aspetto negativo è la presunzione di poter staccarsi dal passato perché non è possibile liberarsi totalmente da esso.

Finché ognuno di questi generi rimane sul suo terreno è nel suo diritto, altrimenti porta atteggiamenti malsani che vanno corretti con l'intervento degli altri due.

La Terza e la Quarta sono un omaggio ai suoi maestri: "Schopenhauer come educatore" dove esalta il filosofo per il suo anticonformismo intellettuale e il suo amore per la verità; "Richard Wagner a Bayreuth" dove il musicista è redentore della cultura e incarnazione del sentimento tragico. La caratteristica di queste ultime due inattuali è la celebrazione del Genio come prototipo inattuale di un'umanità superiore.


Il periodo illuministico

Il metodo genealogico e la filosofia del mattino

La sua opera "Umano troppo umano" segna il nuovo periodo della sua filosofia, più illuministico. Questo periodo è caratterizzato dalla scrittura aforistica e dal ripudio dei maestri di un tempo contestando Schopenhauer e Wagner come riflessi della decadenza moderna. Abbandona la metafisica dell'artista privilegiando l'ottica della scienza, la riflessione critica, la diffidenza metodica. Il redentore della cultura non è più il Genio bensì il filosofo educato agli ideali della scienza, infatti la prima edizione è dedicata a Voltaire perché era impegnato in un'opera critica della cultura tramite la scienza. Per scienza intende un metodo di pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli errori che gravavano sulle loro menti attraverso un procedimento critico di tipo storico e genealogico. Critico perché eleva il sospetto a regola di indagine e storico o genealogico perché ritiene che non esistano realtà statiche ma che ogni cosa è l'esito di un processo da ricostruire. Assume la forma concreta di chimica delle idee e dei sentimenti che fa scaturire un atteggiamento dal suo opposto e mette a nudo le matrici umane dei valori sovrumani. I concetti sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero è il viandante, colui che grazie alla scienza si libera dal passato inaugurando la filosofia del mattino, basata sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze. La critica della metafisica si trova nella teoria della morte di Dio annunciata nella "Gaia scienza".


La morte di Dio è la fine delle illusioni metafisiche

Realtà e menzogna

Nietzsche per Dio intende il simbolo di ogni prospettiva oltremondana che ponga il senso dell'essere al di là dell'essere, in un altro mondo contrapposto a questo, la personificazione delle certezze ultime dell'umanità elaborate per dare un senso e un ordine rassicurante alla vita. Dio e l'oltremondo sono una fuga dalla vita e una rivolta contro questo mondo a cui Nietzsche contrappone la sua accettazione dionisiaca dell'esistenza. L'immagine di un cosmo ordinato e benefico è una costruzione della nostra mente per sopportare la durezza dell'esistenza, abbiamo bisogno di una menzogna per vivere e la metafisica, la morale, la religione, la scienza sono solo diverse forme di menzogna attraverso le quali si crede nella vita. Cioè di fronte ad una realtà crudele gli uomini, per sopravvivere, si convincono che il mondo è logico e che la vita deve ispirare fiducia. Per fare questo l'uomo deve essere per natura un mentitore e da questo la nascita delle metafisiche e delle religioni. Il carattere complessivo del mondo è caos per tutta l'eternità ma davanti allo sguardo disincantato del filosofo, le metafisiche e le religioni sono definitivamente palesate come bugie di sopravvivenza. La coscienza di vivere in un mondo sdivinizzato ritiene superflua ogni ulteriore contro dimostrazione della non esistenza di Dio. Analogamente a Schopenhauer, per lui l'ateismo era qualcosa di dato, per Nietzsche è la realtà stessa che confuta l'idea di Dio, l'origine della quale è la paura archetipica di fronte all'essere. Infatti Nietzsche non vuole dimostrare né la morte di Dio né la sua esistenza ma il significato di Dio per l'uomo, quindi l'annuncio dell'evento in corso della morte di Dio e la riflessione sulle conseguenze prodotte da questo fatto decisivo.

Il grande annuncio

In "La gaia scienza" Nietzsche drammatizza il messaggio della morte di Dio con il racconto dell'uomo folle. In questo racconto si narra di un uomo folle che una mattina si mise a correre per il mercato con una lanterna accesa gridando "Cerco Dio". Gli uomini del mercato lo deridevano e l'uomo folle gli rispose che siamo stati noi ad uccidere Dio e si chiede come è stato possibile un fatto impossibile con delle metafore come "aver svuotato il mare" e "mandar via con una spugna l'orizzonte".  L'uomo folle continua affermando che ora si trovano tutti in un infinito nulla e per questo devono accendere lanterne nella luce della mattina, hanno ucciso Dio e non c'è un modo per espiare questo peccato. Poi si fermò e gettò la lanterna per terra che si frantumò in mille pezzi e continuò dicendo che è venuto troppo presto perché Dio non è ancora morto ma questo avverrà presto e infine affermò che le chiese per lui sono solo sepolcri di Dio. Questa storia è ricca di simbologie: l'uomo folle è il filosofo - profeta; le risa degli uomini sono l'ateismo ottimistico e superficiale; la difficoltà di bere il mare, di strusciare l'orizzonte e di sciogliere la terra al sole alludono al carattere arduo e sovra umano dell'uccisione di Dio; precipitare nel vuoto è il senso di vertigine e smarrimento dopo lo svanire di ogni ubi consistam e delle certezze assolute; la necessità di divenire dei noi stessi per apparire più degni dell'azione compiuta serve a reggere il peso della morte di Dio facendosi superuomo; il giungere troppo presto indica che la coscienza della morte di Dio non si è ancora concretizzata ma lo sarà in un prossimo futuro; le chiese come sepolcri sono simbolo della crisi moderna delle religioni. Analogamente in "Umano troppo umano" parla del cristianesimo come un'antichità di un'epoca remota e nella "Gaia scienza" afferma la volontà di credere ad ogni costo, anche se si è confutati continuamente dalla realtà.

Morte di Dio e avvento del superuomo

Dopo la morte di Dio c'è la sensazione iniziale di smarrimento esistenziale perché costituisce un trauma per l'uomo-non-ancora-superuomo ma che può divenire tale. La morte di Dio coincide infatti con la nascita del superuomo. Il superuomo è chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e prendere atto del crollo degli assoluti, ha dietro di sé la morte di Dio e la vertigine provocata ma ha davanti a sé il mare aperto delle possibilità e la libera progettazione della propria esistenza. "La morte di Dio, l'avvenimento più terribile per il vaticinatore è per Zarathustra il più felice e pieno di speranza". Ma questo grande avvenimento, più che l'espressione di un convincimento teorico, è il risultato di una constatazione di tipo storico. Infatti anche se la tesi della morte di Dio non è argomentata secondo i termini della metafisica non implica che sia un semplice enunciato di critica della cultura perché la tesi si configura come persuasione filosofica e consapevolezza epocale. Prima di essere un evento l'ateismo è una sorta di istinto filosofico: l'uomo è troppo problematico e Dio è una risposta troppo grossolana che suona come un divieto. L'uomo può diventare superuomo soltanto dopo esser passato sul cadavere di tutte le divinità. Il mondo o è caos e dionisiaco e Dio non esiste o Dio esiste e il mondo non è caos ma in quest ultimo caso il superuomo non avrebbe senso. Perciò l'universo nietzscheano è tale sul presupposto schopenhaueriano di un mondo sdivinizzato e ateo. Lasciare la possibilità di Dio vuol dire minare alla base tutto il discorso che si erge a partire proprio dagli effetti della morte di Dio. Per Nietzsche l'ateismo non vuol dire eliminare l'esistenza di Dio ma non averne bisogno tanto da contestare anche i surrogati di Dio stesso. In "Così parlò Zarathustra" racconta di alcuni uomini che si mettono ad adorare un asino con ira del profeta in quanto l'asino è il simbolo di ogni sostituto idolatrico di Dio. Qui Nietzsche allude all'ateismo positivo dell'ottocento in cui il vecchio Dio è rimpiazzato dallo Stato, dall'umanità, dalla scienza ecc. Nei frammenti inediti accenna ad altri possibili modi di intendere Dio senza contraddirsi, cioè ciò che storicamente si è concepito come tale: l'Essere metafisico e il Valore dei valori.

Come il mondo vero finì per diventare favola e l'autosoppressione della morale

La morte di Dio coincide con la fine del platonismo, considerato da Nietzsche come la metafisica per eccellenza. Il cristianesimo, infatti, è platonismo per il popolo; infatti è stato Platone a calunniare il mondo inventando un mondo che si contrappone a quello apparente ma che alla fin si rivelò una favola. Nel "Crepuscolo degli idoli" Nietzsche scandirà questo processo in sei tappe. All'inizio ritiene che il mondo vero è attingibile dai saggi, con Platone e la filosofia greca, in quanto lui stesso è questo mondo. In un secondo tempo il mondo vero in attingibile viene promesso ai saggi attraverso il cristianesimo. In un terzo momento il mondo vero indimostrabile diviene un obbligo (Kant). In un quarto momento con il canto del gallo del positivismo c'è il primo risveglio della ragione anti-metafisica in quanto il mondo vero non è stato raggiunto quindi è sconosciuto. In un quinto momento il mondo vero si rivela un'idea inutile e confutata quindi da eliminare, è il trionfo degli spiriti liberi. In un sesto momento, il tempo di Zarathustra, c'è l'eliminazione del mondo vero dell'aldilà e del mondo apparente dell'aldiquà, cioè la sconfitta di una prospettiva metafisico-dualistica che fa del nostro mondo una copia negativa dell'altro.

In "Aurora" vuole presentare la fine del mondo vero (la morte di Dio) come autosoppressione della morale, in omaggio ai valori morali e cristiani della veracità e dell'onestà per intendere che ci siamo sbarazzati delle idee morali e metafisiche e quindi si proibisce la menzogna della fede in Dio.


Il periodo di Zarathustra

La filosofia del meriggio

"Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno", scritto tra il 1883 e il 1885, apre la terza e ultima fase della sua filosofia. Dopo la filosofia del mattino inizia la filosofia del meriggio dove è tolto sia il mondo vero sia quello apparente eliminando ogni scissione dualistica della realtà. Dopo la morte di Dio si hanno due possibilità: l'ultimo uomo e il superuomo (o oltreuomo). Sono due opposti ma sono stati creati insieme. Zarathustra insegna il superuomo mostrando l'abiezione dell'ultimo uomo, anche se Zarathustra non è il superuomo ma il suo profeta. In un passo di "Ecce homo" Zarathustra diventa il modello dell'autosoppressione della morale essendo lui il primo ad aver tradotto la morale in termini metafisici e il primo ad essersi accorto dell'errore della morale. Zarathustra ha creato la morale, l'errore, quindi deve essere lui il primo ad accorgersi di questo errore; la morale che supera se stessa, questo è Zarathustra. Quest opera è caratterizzata da una rivoluzione stilistica, infatti è un poema in prosa con tono profetico caratterizzato da immagini e parabole di difficile interpretazione (aspetto religioso dell'opera che non parla però di religione). La trama di fondo è chiara, racconta la storia di Zarathustra che a trent'anni (come Gesù) si ritira per dieci anni in montagna nella solitudine e, giunto vicino all'essenza di tutte le cose, inizia il suo tramonto, la sua discesa verso gli uomini per portar loro l'insegnamento ma le orecchie che lo ascoltano non sono ancora abbastanza sveglie così ritorna e tiene ai suoi seguaci la seconda serie di parabole senza però annunciare il suo pensiero profondo: l'Eterno ritorno dell'Eguale; tornerà così una terza volta per ritrovare se stesso e nella quarta parte mostra il tentativo di vita degli uomini superiori, i nichilisti. Con essi festeggia la cena (altro riferimento a Cristo) ma quando giungono il leone e la colomba (riferimenti cristiani, allegorie di forza e mitezza, ritorna alla sua caverna. Quindi i temi di base sono il superuomo, l'eterno ritorno e il nichilismo. Il nichilismo è l'accettazione che non c'è un Dio e accettare le responsabilità della vita.


Il superuomo

Il superuomo è l'Übermensch, l'oltreuomo. Infatti la traduzione di superuomo è errata in quanto super è superlativo quindi indica un uomo che sprezza gli altri uomini e si pone al di sopra di essi, mentre oltreuomo annuncia l'idea di un uomo nuovo quindi è più corretto. L'oltreuomo è un concetto filosofico che esprime il progetto di un tipo di uomo qualificato da caratteristiche che coincidono con il suo pensiero, colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell'esistenza, di dire di sì alla vita, di reggere la morte di Dio, di far proprio l'Eterno ritorno, di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo, di porsi come volontà di potenza, di procedere oltre il nichilismo e di stagliarsi nel futuro. Infatti Nietzsche non trova questo modello nel passato proprio perché un tipo nuovo, un uomo oltre l'uomo, al di là di ogni tipo antropologico dato; infatti non è l'uomo al superlativo (superuomo) ma un uomo diverso che crea nuovi valori e si rapporta in modo inedito con la realtà (Vattimo). L'oltreuomo è fedele alla terra in quanto è nato per vivere su di essa e l'anima, che invece è nata per un'esistenza ultraterrena, non esiste, l'uomo è solo corpo. Questa rivendicazione della natura terrestre dell'oltreuomo coincide con l'accettazione totale della vita e con lo spirito dionisiaco. La terra non è più deserto dove l'uomo è in esilio ma dimora gioiosa e il corpo non è più la prigione dell'anima ma il modo concreto di essere dell'uomo nel mondo. Nel primo discorso, "Delle tre metamorfosi", descrive la genesi dell'oltreuomo attraverso tre metamorfosi: lo spirito diventa prima cammello, poi leone e poi fanciullo. Il cammello è l'uomo che porta il peso della tradizione e si piega di fronte a Dio e alla morale all'insegna del "tu devi"; il leone è l'uomo che si libera dai fardelli metafisici all'insegna dell'io voglio ma comunque è una libertà negativa (da e non di); il fanciullo è l'oltreuomo, di stampo dionisiaco, sa dire di sì alla vita e inventare se stesso al di là del bene e del male come uno spirito libero. Qualche studioso vede nel superuomo un'umanità liberata e in Nietzsche un profeta progressista ma in realtà il suo pensiero ha espliciti caratteri antidemocratici e reazionari. Nietzsche è il filosofo della liberazione ma questa liberazione dalle autorità umane e divine non riguarda tutta l'umanità ma solo una parte, un'élite di individui superiori che non si limita a erigersi al di sopra della massa come razza dominatrice ma ha bisogno della schiavitù di queste masse come base. Questa filosofia antidemocratica ed antiegualitaria scorge nell'oltreuomo il tipo riuscito al massimo grado, l'eccezione superiore nel gregge inferiore. Il superuomo non è un modo di essere possibile a tutti ma solo a pochi. Questo non deve essere letto in chiave politica, anzi, Nietzsche critica tutti gli idoli politici del suo tempo e questo spiega come mai tutti i tentativi di politicizzare il suo filosofare si riducono ad una forzatura del suo pensiero. Il suo messaggio va quindi interpretato in modo filosofico e non politico.


L'eterno ritorno

La teoria dell'eterno ritorno dell'Eguale indica la ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo, presenta quindi una struttura ciclica del tempo dove tutto ritorna invece di una struttura lineare dove un attimo muore per far nascere un altro attimo senza mai tornare e senza avere legami con l'attimo precedente. Questo tema ricorre in Zarathustra dove la struttura ciclica in cui tutto si riproduce nello stesso modo non riesce a dare un senso alla successione degli attimi e diventa quindi il più abissale dei pensieri. In "Ecce homo" racconta di essere stato folgorato da quest idea durante una passeggiata a Sils Maria nell'agosto del 1881 e formula per la prima volta questo pensiero nell'aforisma 341 della "Gaia scienza" dove lo chiama il peso più grande. In questo aforisma parla di un demone che improvvisamente appare e rivela che la vita come la stai vivendo ora, tornerà infinite volte senza mai niente di nuovo e poi lascia spazio a due reazioni: arrabbiarsi buttandosi per terra e maledicendo il demone oppure amare te stesso e la vita per non desiderare più alcun'altra cosa. Il pensiero dell'eterno ritorno ha un carattere selettivo e funge da spartiacque tra l'uomo e il superuomo, infatti la prima reazione, il terrore, è propria dell'uomo mentre la gioia per l'eterna sanzione è propria del superuomo e del suo sì alla vita. Ma la formulazione più eloquente di questo pensiero la troviamo in "Così parlò Zarathustra" nel discorso su "La visione e l'enigma" in cui Zarathustra narra di una salita impervia in montagna (il faticoso innalzarsi del pensiero) durante la quale vede, insieme al nano che lo segue, una porta con su scritto "Attimo" (presente) e di fronte ad essa due sentieri che nessuno ha mai percorso fino alla fine poiché si perdono nell'eternità: uno porta all'indietro (passato) e l'altro porta in avanti (futuro); così egli chiese al nano se le due vie erano destinate a contraddirsi in eterno e il nano rispose frettolosamente qualcosa sulla circolarità del tempo ma Zarathustra rispose con un abbozzo della teoria dell'eterno ritorno. A questo punto la scena cambia come una visione nella visione in cui Zarathustra vede un desolato paesaggio lunare e un giovane pastore rotolarsi soffocato da un serpente nero che penzolava dalla bocca; Zarathustra tirò con forza il serpente che non usciva dalla bocca del pastore così gli urlò di morderlo e così fece, staccando la testa del serpente e sputandola lontano. Allora il pastore si trasformò in luce che rideva come nessuno prima. Questa storia è ricca di significati enigmatici, tuttavia la storia centrale allude al fatto che il pastore (l'uomo) può trasformarsi in creatura superiore (oltreuomo) solo se vince la ripugnanza soffocante dell'eterno ritorno (il serpente, emblema del circolo) attraverso una decisione coraggiosa nei suoi confronti (il morso). Nietzsche torna quindi ad una concezione precristiana del mondo presente nella Grecia presocratica e nelle antiche civiltà indiane, anche se non è la semplice ripresa di un antico mito ma il punto più difficile della sua intera filosofia. L'eterno ritorno è forse una certezza cosmologica e sembra quasi che Nietzsche voglia spiegarla scientificamente sostenendo che la quantità di energia dell'universo è finita mentre il tempo in cui si propaga è infinito quindi le manifestazioni dell'energia si dovranno ripetere? O forse è un'ipotesi sull'essere che funge da schema etico o da imperativo che prescrive di amare la vita e di agire come se tutto dovesse ritornare. O forse è l'enunciazione metaforica di un modo di essere che l'uomo può incarnare solo se felice. E cosa significa decidere l'eterno ritorno? Forse prendere atto di una struttura cosmica già data o forse istituirlo tramite una scelta. Ognuna di queste possibilità rivela delle difficoltà che non escludono comunque che la funzione di questa teoria sia chiara. Infatti porsi nella prospettiva dell'eterno ritorno significa escludere alcune cose e difenderne altre. Da questo la doppia portata, polemica e propositiva, di questa teoria. Collocarsi nell'ottica dell'eterno ritorno significa rifiutare una concezione lineare del tempo come catena di momenti in cui ognuno ha senso solo in funzione degli altri, come un figlio che divora il padre, destinato a sua volta ad essere divorato dal proprio figlio (Vattimo, struttura edipica del tempo). Questa dottrina ha come presupposto la mancanza di felicità esistenziale poiché nessun momento ha una pienezza autosufficiente. Viceversa credere nell'eterno ritorno significa ritenere che il senso dell'essere non è fuori dall'essere in un oltre irraggiungibile (cristianesimo) ma nell'essere stesso e significa anche disporsi a vivere la vita ed ogni attimo di essa come coincidenza di essere e senso. Il tipo di uomo capace di decidere l'eterno ritorno, cioè di vivere come se tutto dovesse ritornare non è l'uomo, che soffre della scissione fra senso ed esistenza e concepisce il tempo come tensione angosciosa, ma l'oltre uomo in grado di vivere in modo creativo, infatti l'eterno ritorno incarna il massimo grado di accettazione superomistica dell'essere.


L'ultimo Nietzsche

Nelle opere edite dell'ultimo periodo i temi principali sono la critica della morale e del cristianesimo. Entra in una fase polemica col proprio tempo e attraverso una "filosofia del martello" si propone di distruggere definitivamente le credenze dominanti per l'avvento di un nuovo pensiero e del superuomo. Nei frammenti inediti i temi sono la volontà di potenza, il nichilismo e il prospettivismo.


Il crepuscolo degli idoli etico-religiosi e la trasvalutazione dei valori

Il tema dell'accettazione della vita polemizza aspramente contro la morale e il cristianesimo, le tipiche forme di coscienza attraverso cui l'uomo è giunto a porsi contro la vita stessa. La morale è sempre stata considerata come un fatto evidente che si autoimpone all'individuo. Puntualizza, in "Al di là del bene e del male", che in ogni scienza è sempre mancato il problema stesso della morale. Come poi afferma in "Genealogia della morale", si deve mettere in discussione la morale stessa e avere una critica dei valori morali, di cominciare a porre in questione il valore stesso di questi valori. Nietzsche intraprende un'analisi genealogica della morale per scoprirne la genesi psicologica. Egli ritiene che i pretesi valori trascendenti della morale e la morale stessa sono una proiezione di determinate tendenze umane che il filosofo ha il compito di svelare. La cosiddetta "voce della coscienza" è la presenza nell'uomo delle autorità sociali e non la voce di Dio nel petto dell'uomo. La moralità è l'istinto del gregge nel singolo, il suo assoggettamento, e i valori etici sono il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano. Ma, mentre in un primo momento, la morale era espressione di un'aristocrazia cavalleresca, improntata ai valori vitali della forza, salute, gioia (la morale dei signori), in un secondo momento si ha l'esaltazione dei valori antivitali del disinteresse, sacrificio, abnegazione, che trovano massima espressione nel cristianesimo. Si è arrivato alla vittoria della morale degli schiavi perché la morale dei signori comprende anche quella dei sacerdoti. Mentre il guerriero ha virtù del corpo, il sacerdote persegue le virtù dello spirito ma è invidioso e prova risentimento verso i guerrieri. Così i sacerdoti crearono la morale degli schiavi che, essendo numericamente di più, devono unirsi e ribellarsi ai signori attraverso una morale di valori antitetica a quella dei cavalieri, così al corpo viene anteposto lo spirito e così via.  Questo rovesciamento di valori è rappresentato secondo Nietzsche dagli ebrei, il popolo sacerdotale per eccellenza. Sono stati proprio loro, infatti, ad avere il coraggio di ribaltare la situazione affermando che solo i miserabili e i poveri sono buoni e devoti. Questo tipo di morale partecipata dalle masse si trasforma in una potenza con a capo il cristianesimo, una religione frutto di un risentimento dell'uomo debole verso la vita. Nel cristianesimo storico dell'occidente è il simbolo della vita che si mette contro la vita perché ha inibito gli impulsi primari dell'esistenza e ha corrotto le sorgenti naturali di gioia mediante il peccato. Questo cristianesimo ha prodotto un uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa poiché tutti gli istinti che non si scaricano all'esterno si rivolgono all'interno, quindi l'uomo è psichicamente un auto-tormentato che nasconde nel suo risentimento un'aggressività rabbiosa contro la vita. Per questo nasce una casta sacerdotale spesso oppressiva e crudele. Ma Nietzsche è polemico più contro i seguaci che contro la figura principale, affermando che già la parola cristianesimo è un equivoco in quanto ne è esistito solo uno ed è morto in croce e che la chiesa è tutto ciò contro cui Gesù ha predicato. Da ciò la sua proposta di una radicale trasvalutazione dei valori affermando che la sua verità è tremenda perché fino a oggi era chiamata verità la menzogna, la trasvalutazione dei valori è l'atto con cui l'umanità prende la decisione suprema che non è un rifiuto dei valori antivitali per quelli vitali ma un nuovo modo di rapportarsi ai valori intesi come libere proiezioni dell'uomo e della sua antiascetica volontà di potenza. La figura del filosofo diventa legislatore e costruttore di storia, mentre gli operai della filosofia (Hegel, Kant) non sono veri filosofi perché non stabiliscono una meta dell'uomo e non creano una legislazione.


La volontà di potenza

Vita e potenza

Nietzsche identifica la volontà di potenza con l'intima essenza dell'essere, con il mondo e con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi. La molla fondamentale della vita è la spinta all'autoaffermazione e non la ricerca del piacere. Questo espandersi della vita è in ogni forma di vita e trova la sua espressione più alta nel superuomo che non solo è über perché è oltre l'uomo del passato ma anche perché è in un continuo oltrepassamento di sé. La vita è autopotenziamento, cioè autocreazione, libera produzione di sé al di là di ogni piano prestabilito.

La volontà di potenza come arte

Se l'essenza è il potenziamento della vita che si identifica con la creazione che la vita fa di se stessa, ne segue che l'arte non è soltanto una forma della vita ma la sua forma suprema. Nietzsche vede il mondo come un'opra d'arte che genera se stessa. Inoltre se la volontà di potenza trova la sua espressione ultima nel superuomo, l'artista si configura come una prima visibile figura del superuomo. Inizialmente Nietzsche aveva esaltato l'arte, nella fase illuministica ne denuncia i limiti e ora la rivaluta come espressione di forza e pienezza. L'essenza creativa della volontà di potenza si manifesta nella produzione di valori come proiezioni della vita e condizioni del suo esercizio. Da ciò l'essenza interpretativa della volontà di potenza che si configura come la forza con cui nel corso della storia gli uomini progettano e instaurano valutazioni e interpretazioni. Il suo apice è il tentativo di dare un senso all'insensatezza caotica del mondo. Da questo trova il proprio culmine nell'accettazione dell'eterno ritorno, ovvero nell'atto tramite cui il superuomo si libera dal peso del passato e redime il tempo ma trova un ostacolo insuperabile, l'immodificabilità e l'irrevocabilità del passato, che la rende prigioniera. Questo è causato dalle dottrine dettate dallo spirito di vendetta, secondo cui la vita è un castigo e le cose passano perché meritano di passare. Lo spirito di vendetta è sofferenza e porta sempre una punizione che chiama la vendetta stessa, così il volere stesso e la vita dovrebbero essere punizione e alla fine si predica che tutto muore perciò tutto è degno di morire. Zarathustra, invece, afferma il carattere creativo e redentore della volontà rispetto al tempo, portando il macigno del così fu in così volli che fosse. Questa redenzione fa tutt'uno con l'accettazione della sua essenza ritornante, in quanto il superuomo non subisce ma istituisce l'eterno ritorno che coincide con l'apoteosi del divenire, cioè l'atto tramite cui il divenire eternizzato riceve il sigillo dell'essere, la suprema volontà di potenza.

Potenza e dominio

Ma la volontà di potenza non ha solo valenze teoriche, ha anche valenze connesse al concetto della volontà di potenza come sopraffazione e dominio. Dice in "Al di là del bene e del male" che la vita stessa è appropriazione, offesa e sopraffazione del più debole, e che trattenerci dall'offesa può essere buono in una comunanza tra individui ma se diventa un principio basilare della società si mostra come una volontà di negazione della vita. Ogni elevazione dell'uomo è stata opera di una società aristocratica che ha una lunga scala gerarchica e differenza uomo e uomo, vedendo la lotta per l'uguaglianza dei diritti come una malattia. In questo concetto troviamo aspetti antidemocratici e antiegualitari della componente reazionaria del suo pensiero che lo spinge a individuare il soggetto della volontà di potenza in una specie aristocratica di spiriti dominatori.


Il problema del nichilismo e del suo superamento

All'inizio intende per nichilismo la volontà del nulla, ogni atteggiamento di fuga e disgusto nei confronti del mondo concreto, incarnato nel platonismo e nel cristianesimo. In un secondo momento, lo intende come movimento storico da lui riconosciuto per la prima volta ma che già domina i secoli passati e darà impronta al prossimo. Quindi Nietzsche intende per nichilismo la specifica situazione dell'uomo moderno e contemporaneo che, non credendo più nei valori supremi e in un senso delle cose, finisce per avvertire di fronte all'essere lo sgomento del vuoto e del nulla. Nei "Frammenti postumi" presenta se stesso come il primo perfetto nichilista d'Europa ma nasce il problema di capire come mai si ritiene sopra e dopo di esso. L'uomo, in virtù delle metafisiche, prima si è immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti e in seguito, avendo scoperto che non esistono e che l'essere non è né vero né buono, piomba nell'angoscia del nichilismo come stato psicologico quando abbiamo cercato nell'accadere un senso che non c'è. Quanto più l'uomo si è illuso, tanto più rimane deluso. Un esempio è il post-cristiano che ha smesso di credere nell'aldilà, soffre di un senso di vuoto che non percepirebbe se non fosse passato attraverso il cristianesimo, ma pagheremo il fatto di essere cristiani perdendo il centro di gravità. L'equivoco del nichilismo moderno sta nel fatto che esso identifica la mancanza di fini e strutture metafisiche razionali con la mancanza di senso tout-court, cioè nel dire che il mondo, non avendo quei significati forti, non ha nessun senso e la causa del nichilismo è aver misurato il mondo attraverso categorie che si riferiscono ad un mondo fittizio. I significati, non esistendo come strutture metafisiche date, esistono come prodotti della volontà di potenza che affrontano il caos dell'essere e impongono ad esso i proprio fini. Il fine viene visto come richiesto dall'esterno, da qualche autorità sovrumana, e anche dopo aver disimparato a credere in quest ultima, si continua a cercare un'altra autorità in grado di parlare un linguaggio assoluto e di imporre fini. L'autorità della coscienza in sostituzione di un'autorità personale, o l'autorità della ragione, o l'istinto sociale, o la storia a cui ci si può abbandonare. Si vorrebbe aggirare la necessità di avere una volontà, uno scopo. Nietzsche nega la presenza di valori intrinseci alle cose stesse in modo tale da superare il nichilismo stesso. La conclusione non c'è nessun senso è troppo generale, così il nichilismo è considerato uno stadio intermedio di no alla vita che prepara il grande si ad essa. Distingue due tipi di nichilismo: incompleto e completo. Il nichilismo incompleto è  la distruzione dei vecchi valori ma i nuovi hanno la medesima fisionomia, un esempio in ambito politico è il socialismo, in ambito scientifico lo storicismo e in ambito artistico il naturalismo. Il nichilismo completo è il vero nichilismo. Può essere segno di debolezza o forza. Nel primo caso è detto nichilismo passivo che si limita a prendere atto del declino dei valori e si crogiola nel nulla; nel secondo caso è nichilismo attivo che distrugge ogni credenza in qualche verità in sé di tipo metafisico. Che non ci sia una verità, questo è nichilismo estremo, sostenere che ogni fede è falsa perché non esiste un mondo vero. Nietzsche parla anche di nichilismo estatico. Il nichilismo estatico o attivo estremo raggiunge la sua completezza e diviene classico quando funge da premessa per il superamento del nichilismo stesso e passa dal momento distruttivo (reattivo) al momento costruttivo (creativo) quando si rende conto che il senso, non essendo ontologicamente dato, deve essere umanamente inventato. Il compito da assolvere è dare un senso posto che nessun senso vi sia già. Progettare di vivere senza certezze metafisiche assolute non significa distruggere ogni senso ma responsabilizzare l'uomo a porsi come fonte di valori. Accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle antiche certezze e delle vecchie fedi: ecco il significato ultimo del superamento del nichilismo.


Il prospettivismo

Nietzsche radicalizza il concetto di prospettivismo, intendendo la teoria secondo cui non esistono cose o fatti ma interpretazioni di cose o fatti. Contro il positivismo non ci sono i fatti ma solo interpretazioni, quindi il mondo non ha un senso ma innumerevoli sensi che corrispondono ad altrettante interpretazioni. Poiché non si danno centri sostanziali dell'interpretazione, anche il soggetto è una costruzione interpretativa in quanto tutto è soggettivo. Anche la presunta certezza del cogito cartesiano è semplicemente una formulazione della nostra abitudine grammaticale. Affermando che il mondo è caos e l'interpretazione è ciò che dà forma umana al caos, Nietzsche concorda con Kant nell'assimilare il molteplice della sensibilità ad un caos ordinato dalle categorie dell'intelletto. Ma fra prospettivismo e criticismo esistono delle differenze: per Kant esiste un'unica e immutabile chiave di lettura della realtà (forme a priori), mentre per Nietzsche esistono molteplici e mutevoli punti di vista sul mondo. Alla base di ogni interpretazione stanno i bisogni e interessi collegati all'istinto di conservazione, infatti sono i nostri bisogni che interpretano il mondo. Le cosiddette verità sono solo illusioni e il linguaggio è solo un esercito di metafore, mentre i concetti e le categorie sono schematizzazioni e convenzioni scambiate per verità oggettive. La stessa idea dell'io o del soggetto come sostanza unitaria permanente è soltanto finzione. Contestando l'ideale positivistico, Nietzsche mostra come la scienza sgorga anch'essa da presupposti extrascientifici ad es. il desiderio di comprendere nel miglior modo la bontà e la sapienza divina, l'ideale dell'assoluta utilità della conoscenza, la convinzione di possedere qualcosa di disinteressato. In virtù della sua adorazione della verità oggettiva, la scienza risulta la miglior alleata dell'ideale ascetico. Nietzsche ha un atteggiamento ambivalente nei confronti della scienza, da un lato è una scuola di rigore e libertà nei confronti del mondo, dall'altro è imparentata con l'ascesi e fa dello scienziato un sacerdote. Ma dire che non esiste verità assoluta equivale a dire che non esiste un criterio assoluto di verità e falsità, ma non significa che tutte le interpretazioni sono equivalenti e non ci sono criteri di scelta. Nietzsche individua tali criteri nella salute e nella forza, nella vita stessa, una vita che coincide con l'accrescimento della vita, con la volontà di potenza. Con questo non si intende che i concetti di salute, volontà di potenza ecc. abbiano un significato fisiologico o vitalistico, perché intende anche la capacità dionisiaca di accettare la tragicità dell'esistenza. La salute allude al globale modo di essere del superuomo, cioè la capacità di accettare la tragicità della vita e l'assenza di certezze assolute.




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