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Concezione di stato e Giusnaturalismo in Locke e Hobbes

filosofia



Concezione di stato e Giusnaturalismo in Locke e Hobbes.


T. Hobbes.

L'Etica trova spazio, nel corso della storia, nell'indole naturale umana che è una forma di edonismo egoistico. Cioè, per H, ogni uomo, allo stato naturale, pensa e agisce per sé, per soddisfare i propri bisogni e realizzare i propri desideri, il che è un assunto antropologico. Senza stato civile, l'individuo è pura sensibilità (istinto diremmo oggi), "homo homini lupus" che vive in un mondo di "bellum omnium contra omnes" ridotto ad una bestia colma d'aggressività e pau 757g68h ra. Ciò ha portato necessariamente (perché situazione contraddittoria) alla formazione dello Stato per mezzo del contratto sociale, opera di ragione.

Sul piano epistemologico, allo "sciocco razionale" che agisce sempre e solo in vista di ciò che è immediatamente vantaggioso, H dimostra che l'accettazione e il rispetto di un fondamento etico comune (di leggi sociali) è sempre vantaggioso. Una volta giustificata la necessità dello Stato si giustifica la necessità di limitare l'autonomia del cittadino, perché solo un contratto tra i singoli può portare alla stabilità sociale. Su quali basi? Anche H riconosce, come gli altri giusnaturalisti, l'esistenza di leggi naturali, o meglio, divine, ma attenzione alla novità: tali leggi, seppur infuse da Dio nell'uomo, risultano inefficaci a sé sul piano pratico e vengono rivalutate come diritti fondamentali dell'uomo, cioè sfruttate razionalmente come strumento ad hoc per salvaguardare la pace sociale. Esempio: l'uomo naturale sente che non deve rubare, ma rispetterà tale legge solo se è sicuro che gli altri suoi simili la rispetteranno, e da qui la necessità del contratto.



Dicevamo dell'autonomia. Il garante del contratto sociale è l'autorità che, per essere efficiente, deve avere tutto il potere coercitivo. Cioè, a differenza di Grozio o Pufendorf, per H il contratto non è tra il popolo e la sovranità, che si contendono diritti e doveri, ma tra tutti i singoli che decidono di dare potere illimitato all'autorità. Questa prospettiva un po' cinica di vedere la pace e la stabilità (tanto agognate ai suoi tempi!) garantite da un principio etico (tale infatti è dare il potere assoluto ad un sovrano) derivato da una contrattazione iniziale, è per certi versi bilanciata da un certo limite interno dovuto alla portata del contratto: per H infatti, i pensieri e i sentimenti esulano da ogni patto. Quindi, il cittadino di un sovrano ingiusto può trovar salvezza nella fuga.


J. Locke.

Come Hobbes è calato nella corrente del giusnaturalismo, però Dio fa da protagonista. Cioè, tutto lo spazio dell'etica si esaurisce nel comando divino; ed infatti tale concezione entrò in crisi con il propagarsi del dubbio agnostico. L voleva "salvare capra e cavoli" se mi concedete l'espressione; da una parte, garantire il diritto naturale come diritto divino, dall'altra avvalorare l'empirismo. Ciò si traduceva nel compito di dimostrare che le leggi naturali erano universali e astoriche, e, inoltre, che l'uomo le rispettava perché le sentiva giuste! Ovviamente, la fede in Dio risolve tutto.

Ma come si conosce questa legge divina? di chi o di cosa mi devo fidare? La risposta più ovvia è ricercare nei testi sacri, ma ancora sorgono problemi; qual è la giusta interpretazione? come posso essere certo che questo sia davvero il testo sacro? Occorre un ulteriore atto di fede, L se ne rende conto, e capisce anche che tale atto escluderebbe dall'ambito della morale ogni persona che non conosce il testo (e in effetti è proprio ciò che la Chiesa pensava): ma esistono a livello empirico diversi tipi di 'amoralità'! Un'altra risposta è ammettere che gli uomini hanno una innata coscienza morale che giudica la loro condotta. Ma anche qui sorgono dubbi: spesso la nostra coscienza ci porta a conflitti con conseguente necessità di un criterio discriminante e, inoltre, i dettami di questo 'senso etico' sono diversi da persona a persona. Insomma, alla fine L è costretto a ricercare una complessa argomentazione, circolare e lacunosa (e lo sapeva) per guistificare le leggi naturali come comandi divini. E' evidente che tutto 'sto discorso L lo intraprese dopo essersi convinto che la morale fosse assimilabile alle scienze naturali matematicamente fondate: le nozioni etiche di giustizia, dovere etc sono infatti solo artificiali convenzioni... con conseguenze veramente poco pratiche.

Quali sono i tanto problematici diritti naturali? La vita, la libertà e la proprietà. Chiaramente, se un uomo agisce rivendicando sempre questi diritti (ehi! non nel senso contemporaneo!) si va subito alla guerra, sicché, come Hobbes, anche L pensa bene di porre dei limiti e ci prescrive che ognuno è legittimo proprietario solo del frutto del suo stesso lavoro finché può usufruirne per vivere. In quest'ottica lo stato naturale, al contrario di Hobbes, è la società governata dalla sola legge di natura, cioè la Ragione: se tutti fossimo ragionevoli, non ci sarebbe bisogno di alcun contratto, di alcun sovrano, saremmo liberi se capissimo che, siccome siamo tutti uguali, nessuno deve danneggiare gli altri violandone i diritti. L non è un giocondo e si rende conto del fatto che tale situazione corrisponde più ad un ideale da perseguire che allo stato primitivo. Ed è per questo che il giusnaturalismo lockiano è per certi versi più forte di quello hobbesiano: in L lo stato sociale ha l'unica funzione di sostenere i diritti umani alla vita, alla libertà e alla proprietà.

Qui c'è il germe del liberalismo. Oggi noi pensiamo che ogni uomo abbia dei diritti solo perché esiste, e fra questi (tanti!) i più importanti sono proprio la vita e la libertà, e che lo Stato debba solo mantenere la pace garantendo l'autonomia dei cittadini che possono fare ciò che vogliono purché non danneggino gli altri. Per L la libertà è un valore supremo e costitutivo dello stesso essere umani: il civile hobbesiano rinunciava alla sua autonomia d'azione per la pace, mentre quello lockiano è libero dallo stato perché ad esso può ribellarsi.


Vinz

Fonti: Lecaldano, Etica, UTET Libreria 1995; Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti 1970.






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