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Etica, qualità ed accreditamento nell'Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) nelle Aziende sanitarie ed ospedaliere

filosofia



Etica, qualità ed accreditamento nell'Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) nelle Aziende sanitarie ed ospedaliere

Corso avanzato

L'etica. Virtù, valore e scienza nell'età della biotecnologia


Introduzione

L'atmosfera presente nelle aziende sanitarie ed ospedaliere vi è ben nota.

Negli ultimi anni, oltre ai soliti gas disciolti nell'aria, si respirano sentimenti e aleggiano atteggiamenti che inquinano quel famoso incontro tra una fiducia e una coscienza che aveva connotato il rapporto tra medico e paziente.

Gli operatori sanitari sono ormai abituati a percepire nel soggetto che si rivolge all'Azienda sentimenti ed atteggiamenti disparati. Alcuni cittadini mostrano aspettative inadeguate, come se la struttura fosse obbligata a soddisfare ogni loro desiderio di salute; altri rivelano un certo sospetto che le procedure diagnostico-terapeutiche siano praticate nell'esclusivo interesse dell'azienda, o il timore che, per motivi economici, non venga fatto tutto il possibile. Altri, invece, manifestano una fiducia sproporzionata verso una particolare tecnica (spesso si tratta della Risonanza magnetica nucleare, o della Tomografia assiale computerizzata), come se essa potesse risolvere magicamente[1] tutti i problemi. Alcuni rivelano, come elemento dominante, una certa conflittualità latente, pronta ad esplodere, se le aspettative non saranno realizzate. I più, seppure soddisfatti degli standard diagnostico terapeutici, lamentano la mancanza di qualcosa d'altro che ha che fare con i valori e con la dignità umana.



Questo accade proprio quando la medicina, progredendo continuamente, sembra poter raggiungere tutti gli obiettivi terapeutici prefissati. Perché ciò avviene?

Nella descrizione dello sviluppo dell'assistenza sanitaria degli ultimi cinquant'anni si è soliti individuare delle fasi ben distinte[2].

All'inizio fu l'espansione. L'era dell'espansione, che va dal dopoguerra alla fine degli anni '70, è caratterizzata dalla costante crescita di finanziamenti da parte del sistema pubblico al settore della salute, dall'aumento del numero dei medici e di altri operatori sanitari, dalla costruzione di nuovi ospedali e dall'introduzione di progra 252j99c mmi pubblici di assistenza sanitaria.

La crescita progressiva e non controllata della spesa sanitaria ha condotto inevitabilmente all'era del contenimento dei costi, contraddistinta da una serie di azioni legislative e regolatorie, nel corso degli anni '80, finalizzate a contenere la spesa sanitaria. L'introduzione dei Diagnostic Related Groups (Drg), quale base per il finanziamento dell'attività ospedaliera e l'espansione della managed care, ovvero dell'assistenza sanitaria gestita secondo logiche di impresa rappresentano gli elementi peculiari di questa fase.

Il traguardo finale da raggiungere sarebbe l'era della valutazione e della responsabilizzazione nella quale l'enfasi non è posta più sulla crescita incontrollata o sul contenimento acritico dei costi, ma sul raggiungimento di obiettivi di salute predefiniti e compatibili con le risorse disponibili.[3]

La suddivisione in fasi ha un indubbio valore didattico, ma esse costituiscono più gli effetti visibili che le cause di ciò che accade.

Il titolo della relazione ci aiuta rivelandoci che viviamo nell'età della biotecnologia[4] e che questa epoca condiziona, in qualche modo, le scelte e gli atteggiamenti morali in ambito sanitario.

Lo scopo della relazione è quello di descrivere i mutamenti che sono avvenuti, per comprendere le ragioni, le tensioni e i problemi etici dell'azienda sanitaria ed ospedaliera.


Dall'etica medica tradizionale all'etica medica attuale.


Prima di addentrarci nelle caratteristiche biotecnologiche della sanità, occorre prendere in considerazione l'etica e tentarne una qualche definizione.

Una possibile definizione dell'Etica le assegna il compito di rispondere alla domanda: come dovrei vivere la mia vita?

Tale appello rivela la sostanziale praticità dell'etica che, al di là della speculazione teoretica, si muove nell'orizzonte della prassi.[5]

Nel corso dei secoli numerose teorie morali si sono assunte il compito di rispondere a tale domanda. L'idea di una legge naturale, l'etica kantiana, la tradizione del contratto sociale, l'utilitarismo, la teoria della virtù, i diritti umani, l'egoismo, la deontologia, i doveri prima facie, il consequalismo hanno tentato di rispondere alla richiesta di definire una possibile vita morale[6].

Tutte queste teorie, nelle versioni più moderne, convivono nella nostra società.

Nell'ambito che ci riguarda, continuando con le definizioni a domande, l'etica medica tradizionale avrebbe, dunque, il compito di rispondere alla domanda: come dovrei orientare le mie azioni professionali nei confronti del paziente[7]?

Sino a pochi decenni fa, al contrario delle numerose teorie etiche riscontrate prima, la fonte della moralità del medico era una sola: l'etica ippocratico[I]-cristiana che informava l'azione del medico. Sin dall'antichità, infatti, sono state chiare le ragioni perché il medico doveva possedere una propria etica, diversa da quella di altri professionisti.

Diversamente dalle etiche degli affari dove la correttezza del rapporto, la trasparenza del contratto rappresentano i cardini esclusivi della condotta morale del soggetto nei confronti del cliente, l'etica medica prescrive qualcosa di più.

Nel primo libro de La Repubblica, Socrate dialoga con Trasimaco sulla definizione di Giustizia.

Lo stesso Trasimaco deve convenire con Socrate che la medicina non mira all'utile della medicina, ma all'utile del corpo e nessun medico, in quanto medico, ha di mira e prescrive l'utile del medico, ma quello del malato: il vero medico è uno che governa i corpi, ma non un uomo d'affari.[8]

Il corpus ippocratico ribadisce la peculiarità della medicina:

Fra le arti ce ne sono alcune che sono penose per i loro detentori, ma molto utili per i loro utilizzatori (...) A tale categoria appartiene la medicina. Il medico, infatti, assiste a spettacoli spaventosi, tocca cose ripugnanti e in caso di sventure altrui guadagna egli stesso dispiaceri. I malati, al contrario, sfuggono grazie all'arte ai mali più grandi: malattie, afflizioni, sofferenze, morte. E' a tutto questo, infatti, che si oppone la medicina[9]

L'azione del medico, inoltre, riceve impulso e vigore etico dal contatto quotidiano con la sofferenza.[II]

Il medico, in quanto agente morale, doveva regolare i suoi rapporti esclusivamente con il paziente, cosicché, il sapere richiesto dall'agire morale, allevato nell'etica medica tradizionale, non esigeva particolari competenze né conoscenze specializzate.

Nel regno dell'etica medica tradizionale, dominato dall'universalità del principio di beneficialità, si realizzava la lezione kantiana:

Non ho dunque bisogno di grande perspicacia per sapere cosa devo fare affinché la mia azione sia moralmente buona (.), è sufficiente che mi domandi: puoi volere che la tua massima divenga una legge universale?

Con questa bussola in mano, la ragione sa benissimo distinguere, in tutti i casi che capitano, ciò che è bene, ciò che è male, ciò che è conforme o non conforme al dovere..

Attualmente la domanda "come dovrei orientare le mie azioni professionali nei confronti del paziente?" non costituisce più l'oikos della medicina, proprio perché l'etica medica tradizionale non è in grado di contenerne in quella risposta l'intero mondo morale.

Oggi è necessario un supplemento investigativo che può suonare così: come dovrebbe rispondere il team di fronte alle richieste di salute del cittadino?

Se analizziamo questa seconda parte della riflessione richiesta all'etica, troviamo tre vocaboli che illuminano i cambiamenti della medicina:

1) la parola team introduce il concetto di cooperazione, e allarga l'etica medica attuale anche a figure professionali non mediche[11]. Non soltanto gli infermieri professionali, ma dai tecnici agli amministratori ognuno entra a far parte di un discorso etico che, fondando le sue radici nell'etica medica tradizionale, investe i mutati rapporti del rapporto medico paziente.

2) Emerge il concetto di salute: il compito del medico non è solo quello di combattere la malattia, in una lotta dove la salute è nascosta[12] o comunque gioca un ruolo del tutto secondario, ma la salute entra a far parte del rapporto con tutti i problemi che tale ingresso comporta[13].

3) Il termine paziente che ha dominato nei testi di etica medica tradizionale e nei codici deontologici perde terreno e subentra il vocabolo cittadino[III].

La deontologia ippocratico-cristiana, inoltre, non è più la fonte esclusiva dell'agire del medico, ma l'etica medica, per la prima volta nella sua lunga storia, riceve impulso e ragioni da molte delle teorie etiche accennate in precedenza.

Anche l'etica medica, come l'etica generale, presenta al suo interno una visione antropologica pluralista. L'etica medica tradizionale, quindi, non rappresenta più l'unica fonte dei criteri razionali che informano l'azione morale del medico.


L'età della tecnica


La medicina del mondo occidentale è stata da sempre una delle arti più conosciute e praticate. Essa, sin dall'inizio della sua storia, si è avvalsa di tecniche, eppure il recente ingresso della tecnologia nella medicina appare fondamentale per spiegare il cambiamento.

Quali sono le differenza tra la concezione della medicina come techne, e della medicina come biotecnologia?

Anche in questo caso può essere utile suddividere la storia della tecnica in tre fasi: la tecnica antica, la tecnica moderna e l'attuale biotecnologia.


La tecnica antica


Prima di valutare il significato che la tecnica ha avuto agli albori della storia occidentale, sfatiamo il mito che la tecnica sia un fatto culturale.

Al contrario essa fa parte del genoma umano: è una caratteristica biologica dell'uomo. La possibilità della tecnica, iscritta nel genoma umano, rende la specie homo sapiens sapiens in grado di migliorare la fitness ambientale.

Al contrario di altre specie estremamente specializzate ed adattate ad un certo ambiente, la specie homo è relativamente poco specializzata, ed è stata capace, nei cambiamenti ambientali, non solo di inseguire l'habitat ma, utilizzando la tecnica, di adattarsi. Si tratta di un duplice adattamento: l'uomo presenta una flessibilità ambientale elevata perché adatta se stesso all'ambiente e, successivamente, lo modifica[15]. In questo senso la tecnica è condizione della vita umana.

Il mito di Prometeo, narrato da Eschilo, ci ricorda l'importanza della techne. Prometeo è incatenato da Zeus per aver insegnato agli uomini il fuoco, il padre di tutte le technai, rendendo gli uomini da infanti quali erano, ad esseri razionali e padroni della loro mente.[16]

Di fronte all'insistenza del coro che vuole conoscere la causa dell'ira di Zeus, il dialogo incalza:

Pietà davvero ispiro a chi mi vede.

Forse non sei andato troppo oltre?

Spensi all'uomo la vista della morte.

Che farmaco trovasti a questo male?

Ho posto in loro cieche speranze.

E molto li aiutasti col tuo dono.

Poi li feci partecipi del fuoco e molti arti da esso impareranno.

Con la tecnica l'uomo si emancipa dalla divinità perché ottiene da sé ciò che un tempo era costretto a implorare dal dio.

E' stata proprio la medicina la prima tecnica ad emanciparsi dal sacro[17]. La tecnica antica, seppure condizione della vita umana, non era inquietante per il greco, perché non era capace di oltrepassare l'ordine della natura che il pensiero mitico e filosofico riconoscevano inviolabile e immutabile.

Il primo stasimo dell'Antigone di Sofocle è rilevante:

L'esistere del mondo è uno stupore

infinito, ma nulla è più dell'uomo

stupendo,

che varca il mare tempestoso, ara la Terra, doma gli animali fornito di sapere e di tecne.

Egli, tuttavia, farà grande la patria solo se accorda la giustizia divina con le leggi della terra.[

La tecnica, infatti, rivela subito tutta la sua ambivalenza: essa libera l'uomo e nel contempo lo incatena, perché l'autonomia della tecnica dà l'illusione di poter sciogliere l'azione umana dai vincoli del destino dalle Moire e dalle Erinni, dalla memoria implacabile, che reggono l'ordine cosmico al quale anche lo stesso Zeus è sottomesso.

La natura, dunque, resta l'orizzonte inoltrepassabile e il limiti insuperabile dell'azione umana: l'uomo non può dominare la natura, ma solo svelare. Da qui la concezione greca della verità come svelamento (aletheia) della natura (physis) dalla cui contemplazione (theoria) nascono le conosceze relative al fare e all'agire[19].

La cosmologia greca, quindi, non conosce il concetto di dominio tecnico della natura.

Come kosmos la natura non è né creazione di un Dio, né opera dell'uomo, ma in sé perenne senza inizio e senza fine. L'ordine ciclico naturale dei tempi del nascere e del morire non consente l'idea di una progressione dei giorni, né tanto meno l'idea della storia come progresso[20].


La tecnica moderna


Sarà la concezione biblica a concepire il tempo come storia e la tecnica come scansione del progresso storico. Attraverso la creazione di Dio, il mondo è affidato all'uomo, e ridotto a proprietà utilizzabile dall'uomo secondo i progetti della scienza.

Con il medioevo il cristianesimo riformula la visione del mondo, sostituendo le categorie bibliche a quelle greche. La concezione meccanicistica della natura scopre un mondo che espresso in linee, forze, può essere misurato e rientra nel pieno dominio della mente umana[21].

La verità che la tecnica inaugura è una verità da fare, da costruire e non da scoprire. Essa quindi non è data, ma costruita dalle ipotesi scientifiche e dalle disponibilità tecniche che condizionano e verificano dette ipotesi.

La costruzione del mondo scientifico avviene, dunque, attraverso procedure di selezione e scarto dei molti abbozzi del mondo che l'orizzonte del possibile dispiega: nell'enigma del mondo l'uomo ritaglia il suo mondo[22]. Il risultato raggiunto dall'organizzazione del mondo, attraverso tale procedura di selezione è l'oggettività: cioè la capacità di selezionare qualcosa del mondo e di guardarlo da distante, dall'alto[23].

Nell'universo delle azioni possibili, la tecnica inaugura quell'agire in conformità a uno scopo, in cui è riconoscibile il tratto tipico della razionalità, il cui procedere non è regolato dal'arbitrio, ma dal calcolo che valuta l'idoneità dei mezzi in ordine a fini prefissati. In questo quadro l'uomo è soggetto dell'azione e la tecnica è vista come strumento a sua disposizione[24].

In questo scenario è l'uomo che si pronuncia sulla scelta dei fini attraverso la saggezza (phronesis), che non è un dispositivo tecnico e perciò non rientra in quella ragione calcolante in cui la tecnica si esprime. Qui troviamo la radice del dissidio tra tecnica ed etica: tra ciò che si può fare e ciò che si deve fare.

La ragione tecnica ha competenza solo in ordine a ciò che si può, il problema è di vedere come si può impedire a ciò che può di fare ciò che può, e in nome di quale sapere, dal momento che non si dà sapere se non come sapere determinato e limitato all'oggetto di applicazione.[25]


I rischi dell'oggettivazione


La comunità medico-scientifica, investita dalla concezione meccanicistica, seppure lentamente, riconosce, negli esperimenti e nello studio razionale dei fenomeni osservabili, le uniche procedure di persuasione, capaci di portare alla costituzione di conoscenze sicure.

La sperimentazione si pone, in primo luogo, come rapporto dialettico tra una esigenza conoscitiva che ripone nella massima oggettivazione dei dati la sua sicurezza veritativa e l'impossibilità etica di oggettivare fino in fondo l'uomo: il soggetto per eccellenza.

Il tentativo di oggettivare l'uomo è stato, d'altronde, un passo obbligato della medicina occidentale. Per poterlo guardare scientificamente essa ha dovuto oggettivarlo e rimuoverlo come soggetto[26]. La rimozione del soggetto, infatti, qualifica il passaggio della medicina come arte alla medicina come scienza.

Il ribaltamento imposto dall'oggettività rende soggetto un inesistente universale: la malattia, e oggetto un particolare: l'uomo malato. E' concentrandosi sulle differenti manifestazioni del corpo al fine di identificarle, organizzarle in degli insiemi più vasti, reperirne i meccanismi e svelarle le diverse cause ed eziologie, che la medicina ha costruito il suo oggetto: la malattia.

Nella diagnosi il medico mentalmente sovrappone la forma del caso clinico del malato a quella delle malattie che conosce, tentando di trovare la stessa configurazione: la diagnosi avviene quando la forma del malato combacia con quella della concezione scientifica accreditata della malattia. E' il malato, quindi, a dover essere informato alla malattia.


La dimensione sociale della medicina


La riduzione scientifica della Medicina che si ottiene mediante la rimozione del soggetto finisce per eliminarne la dimensione sociale[27]. Numerosi sintomi esistono in permanenza nell'ambito di una popolazione normale senza dare luogo a una malattia. Il sapere medico è dunque più di una lettura, è un processo di costruzione della malattia come situazione sociale contraddistinta dal marchio della devianza. Il medico crea la malattia, opponendogli la nozione di una norma alternativa: egli nomina la devianza biologica e così facendo crea la devianza sociale.

L'etichettare uno stato come malattia non è un processo socialmente neutro e il farsene carico della medicina si caratterizza dal disconoscere le implicazioni psicologiche e sociali, da cui la regola medica in base alla quale è meglio diagnosticare a torto una malattia che uno stato di salute buona.

Il fatto di sospettarsi malato ha delle conseguenze immediate per l'identità del soggetto e l'etichettare una malattia anche per errore, può essere sufficiente a introdurre l'individuo in una carriera di malato.

Occupati a chiarire come un processo biologico che riguarda il corpo di un individuo è definito e trattato dalla medicina, impegnandosi a mostrarne le modalità e gli effetti, spesso si è dimenticato l'altro volto della malattia. Essa è non solo l'insieme dei sintomi che ci spinge dal medico, ma anche l'avvenimento sventurato che minaccia o modifica immediatamente la nostra vita individuale. Sotto questo aspetto la malattia esige sempre una interpretazione che va al di là del corpo individuale e dell'eziologia specifica. La malattia comporta sempre la formulazione di interrogativi relativi alle sue cause, che non si riducono, nella nostra coscienza, a un batterio o a dei fattori genetici. La malattia rinvia al suo senso: perché io, perché lui, perché qui, perché ora? Malattia, corpo, individuo e scienza sono i pilastri della medicina tecnico-scientifica.

E' concentrandosi sulle differenti manifestazioni del corpo[28] al fine di identificarle, organizzarle in degli insiemi più vasti, reperirne i meccanismi e svelarle le diverse cause, che la medicina ha costruito il suo oggetto: la malattia.

Il discorso medico, spesso, è un discorso sulla malattia e non sull'uomo: il malato è là solo come informatore di uno stato manchevole del corpo[29]. La medicina tecnico-scientifica, basandosi sulla malattia ha trascurato l'essere umano inteso come una totalità bio-psichico-sociale. Di più la malattia si è imposta come oggetto naturale, ma la malattia non è una categoria obiettiva, ma un modo particolare di mostrare la realtà sociale, che traduce i rapporti tra normale e patologico. In questo modo si corre il rischio di trasformare gli ospedali da luoghi in cui si accolgono dei pazienti in luogo di produzione della medicina.


L'era della biotecnologia[IV].


L'era biotecnologica inaugura, nel mondo occidentale, l'epoca delle infinite possibilità del fare e delle speranze legate a questo fare efficace. L'età dela biotecnologia, tuttavia, si apre anche con un grande rischio: quello della trasformazione della tecnica da strumento a fine[30]. La biotecnologia, inoltre, è strettamente legata all'economia, tanto da configurare una diade biotecno-ecnomica che si muove ed opera sinergicamente: l'economia rende possibile il costoso sviluppo biotecnologico e, viceversa, l'efficacia produttiva della biotecnologia incrementa il quantum economico. Una tale diade non è moralmente neutra, perché non fornisce esclusivamente i mezzi che possono fare bene o male secondo l'uso che se ne fa, ma crea un mondo della medicina con caratteristiche ben determinate che non possiamo fare a meno di abitare, nel quale la biotecnologia non rappresenta una scelta come altre, ma costituisce il paradigma[31] dove ogni opzione è possibile[32]. In altre parole, nell'ambito della medicina tecnologica, ogni fine diagnostico o terapeutico che desideriamo ottenere si svolge nell'orizzonte tecnologico: per cui l'acquisizione del necessario livello tecnico diviene il primo fine a cui aspirare, essendo l'apriori necessario per conseguire ogni altro fine.

La biotecnologia, quindi, rende disponibili molti fini e differenti strade per raggiungere lo stesso fine. La scelta della strada migliore, lasciata alla sola impresa biotecnologica, viene fatta attraverso la ragione strumentale che decide ciò che è adeguato per raggiungere il fine. Essa opera con gli indicatori dell'efficacia e dell'efficienza e dell'appropriatezza. La validazione scientifica inoltre rappresenta il consenso di una particolare comunità scientifica.

Per il conseguimento di questo fine primo, se è necessario, si sacrifica anche la produzione dei beni e la soddisfazione dei bisogni[33].


Quali sono i bisogni da soddisfare e quali sono quelli sacrificabili?


La risposta a tale domanda appare ormai chiaramente: la tecnologia preferisce, logicamente, l'efficacia diagnostico-terapeutica e l'efficienza della struttura sanitaria, che rappresentano i principi regolatori della ragione strumentale: unica legge oggettiva della tecnologia[34]. Tutto ciò avviene a scapito dei bisogni assistenziali, i quali, essendo personali e soggettivi, sono mal definibili con le categorie d'efficacia e d'efficienza.

Se non si prende in considerazione anche il fattore D che rappresenta l'aspetto propriamente etico della dignità, della salvaguardia dei diritti e della dimensione spirituale umana, si introduce nell'analisi della ragione strumentale ciò che i biostastici chiamano errore sistematico.

I calcoli della ragione sono certamente esatti: ottenuti, vale a dire, dalle anticipazioni matematiche, ma non sono veri, perché a causa dell'errore sistematico trascurano la verità che non è unilaterale, ma proviene da tutte le dimensioni umane.



Elogio del fallimento in Medicina


La smisurata disponibilità biotecnologica impone la necessità del fare che, come abbiamo visto, prevale di gran lunga sull'agire. La medicina non può stare senza fare, perché nel momento in cui si dicesse "non c'è più niente da fare" essa decreterebbe il suo fallimento. Ma ciò che sembra fallimento in realtà è solo incomprensione del limite che naturalmente ogni medicina dovrebbe conoscere.

La tecnologia con la sua smisurata disponibilità, tuttavia, appare senza limiti e quindi non può fallire. Questa condanna all'infallibilità e all'incomprensione del limite è stata sancita definitivamente dalla medicalizzazione[V] della società.


La tecnologia e l'etica medica


Con l'ingresso della tecnologia nella Medicina, il processo di matematizzazione della realtà annette nuovi regni: anche l'etica medica, una volta luogo incontrastato della riflessione antropologica, deve fare i conti con le esigenze economico-scientifiche e il suo linguaggio viene contaminato da nuovi fonemi: rapporto costi-benefici, standard, indicatori, verifica di qualità; tutti concetti che si rifanno al computo dei valori relativi (quindi misurabili e confrontabili)   dell'economia piuttosto che ai luoghi del valore assoluto della vita e della salute del soggetto, nei quali il medico era stato abitualmente allevato ed educato.

Il rapporto fra l'esigenza antropologica e quella scientifica, elemento costitutivo della Medicina, si è andato evolvendo nel tempo modificandosi ampiamente negli ultimi trenta quaranta anni. Oggi si avverte la sproporzione di tale rapporto a favore della parte scientifica che si esprime con gli apparati tecnologici della diagnosi e della terapia, rispetto alla componente antropologica che esigerebbe assistenza e comprensione. Un rapporto distorto tende a perdere la sua dialettica per divenire conflittuale e il termine, noto a tutti, disumanizzazione della medicina, indica chiaramente la perdita di quel tantum antropologico necessario affinché l'atto medico non sia solo un atto diagnostico, ma un atto umano tra uomini.

Questo meccanismo è alla base del "sentire comune" che l'assistenza sanitaria spesso non è a misura d'uomo e che si è perso qualcosa di quel rapporto tra "una fiducia e una coscienza" che caratterizzava l'incontro tra operatore sanitario e malato[35]. La parola disumanizzazione ha un significato profondo: seppure si indirizzi in un mondo di malattie e di dolori non ha a che fare con la sofferenza in quanto tale; l'uomo, infatti, è vissuto da sempre con essa[36]. Il termine disumanizzazione ha a che fare con il concetto di dignità umana: indica un'irruzione distruttiva nel nucleo della dignità dell'uomo.


Conclusioni.


Come conclusione possiamo riassumere alcuni punti fondamentali nell'incontro con il cittadino-paziente:

1.considerare il cittadino malato come il primo fine, restituendo alla persona il primato sulla biotecnologia.

2.In una società medicalizzata, alla struttura sanitaria provengono non solo richieste di salute.

3.La personalizzazione del rapporto con il paziente è necessaria per contrastare la rimozione del soggetto.

4.Esiste una dimensione sociale della medicina che deve essere riconosciuta.

5.Il fallimento in medicina è consapevolezza del limite.

6.In ogni esercizio della ragione strumentale, in ogni calcolo di efficacia e di efficienza, per evitare l'errore sistematico, inserire il fattore D.

7.Per quanto si tenti di oggettivare l'uomo, egli rimane il soggetto per eccellenza ed è indecifrabile dal linguaggio della matematica.

8.Al cambiamento delle regole etiche della sanità, si può rispondere allargando la concezione ippocratico cristiana a tutti gli operatori sanitari.


[1] CFR la scheda sulla medicalizzazione della società

[2] Redman A.S. Assessment and accountability. The third revolution in medical care, N. Engl. J. Med. 319 1988 1220-22


[3] Recchia G., Rizzini P., De Carli G.: Oltre il budget: la terza era della sanità. Ricerca sanitaria, misura dei bisogni di salute e valutazione della qualità di assistenza, in Longo F. ( a cura di) ASL, distretto, medico di base, EGEA, Milano 1999, 215-217.


[4] Il termine biotecnologia può essere usato in diversi modi: esiste un'accezione più ristretta che definisce la biotecnologia come l'uso della tecnologia del DNA ricombinante; nella relazione odierna, invece, per biotecnologia si intende, più in generale, l'applicazione della tecnologia nell'ambito delle scienze mediche e biologiche.


[5] E' chiaro che tale domanda per avere significato si pone già in un orizzonte morale.

Orientare le proprie azioni eticamente presuppone, infatti, la consapevolezza che ciò sia possibile e necessario, l'etica dovrebbe illuminare tale ricerca esistenziale.

[6] L'elenco è stato tratto dalla parte IV intitolata appunto how ought I to live? de Singer P. (ed.) A companion to ethics, Blackwell Publishers 1993 Oxford


[7] Ancora una volta il medico si muove in uno scenario etico, richiedendo alla etica medica tradizionale di indicare le ragioni delle scelte morali


[8] Platone Repubblica Laterza 1997 I, 342-343

[9] Corpus ippocraticum I Venti c. 1

[10] Kant I, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza 1993, 24-25


[11] Una delle possibili vie contro la colonizzazione economica dell'etica medica sta nell'allargamento delle obbligazioni morali (dell'ethos del medico) anche alle figure non mediche e non viceversa.


[12] Gadamer Dove si nasconde la salute, Cortina ed.


[13] Vedi la medicina del desiderio dove alcune richieste del cittadino non hanno a che fare propriamente con uno stato patologico, ma ricadano in un legittimo desiderio, che viene soddisfatto dalla medicina privata, ma che investe in qualche modo anche quella pubblica.


[14] Per la riflessione sull'età della tecnica, seguiremo il testo di Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli 1999


[15] Eldredge N., Ripensare Darwin, Einaudi 1999 pg 139-146


[16] Eschilo, Prometeo incatenato, vv 443-444

[17] CFR la scheda alla radici del pensiero medico occidentale

[18] Sofocle, Antigone, Primo Stasimo, strofe I, antistrofe I strofe II, antistrofe II

[19] Galimberti U., Psiche e techne, Feltrinelli 1999, 279


[20] L'età della potenza arbitraria degli dei, tuttavia, è destinata a finire: è questo il terribile segreto di Prometeo che Zeus vorrebbe conoscere:

L'avversario prodigioso con cui è arduo contendere,

escogiterà una fiamma più penetrante del fulmine

e un rombo che sovrasti quello del tuono

La previsione segreta di Prometeo chiude l'età mitica per aprire l'età storica, connotata dalla potenza che l'uomo guadagna attraverso la scienza.

Aristotele ci racconta come si genera la tecnica:

In ogni caso l'esperienza crea la tecnica, mentre la mancanza di esperienza crea solo eventi fortuiti. A sua volta la tecnica si genera solo quando, da molte osservazioni d'esperienza, si forma un giudizio generale e unico riferibile a tutti i casi simili.


[21] Galimberti U., Psiche e techne, Feltrinelli 1999, 301

[22] Galimberti U., Psiche e techne, Feltrinelli 1999, 107

[23] Galimberti U., Psiche e techne, Feltrinelli 1999, 120

[24] Galimberti U., Psiche e techne, Feltrinelli 1999, 251

[25] Galimberti U., Psiche e techne, Feltrinelli 1999, 262


[26] Soggetto nell'accezione greca di hypò-keumenon, ossia di ciò che sta sotto a ogni variazione. Nella clinica sono le variazioni che contano, in quanto possono essere misurate, selezionate mentre ciò che sta sotto sfugge ad un'indagine quantitativa.


[27] Per una visione sociologica del ruolo della medicina nella costituzione delle scienze umane CFR Focault M., Nascita della clinica, Einaudi, 1969. Per una introduzione sulla dimensione sociale della medicina CFR Basaglia F.O. salute/malattia, Einaudi 1982. Per affilare lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente CFR Good B.J. Narrare la malattia Edizioni di Comunità 1999.


[28] CFR Galimberti U., il corpo Feltrinelli 1983

[29] Clavreul J:, L'ordre mèdicale, Paris, Le Seuil, 1977, 58

[30] Galimberti U., Psiche e Techne, Feltrinelli Milano, 1999, 37


[31] Emanuele Severino che più di ogni altro, nel nostro tempo, ha riflettutto sull'età della tecnologia utilizza il termine Apparato tecnico-scientificob


[32] Galimberti U., Psiche e Techne, Feltrinelli Milano, 1999, 34

[33] Galimberti U., Psiche e Techne, Feltrinelli Milano, 1999,251

[34] Galimberti U., Psiche e Techne, Feltrinelli Milano, 1999, 252


[35] Il paziente, investito da una patologia di un certo peso, quando necessita di cure e assistenza specialistica ospedaliera, si sente come straniero in una terra straniera. Si sente straniero perché il rapporto che contrae con l'ospedale, almeno in prima battuta, non è un rapporto personale, ma risente dell'impostazione taylorista legata alla produttività di una macchina complessa. in cui si parla un linguaggio scientifico sconosciuto i cui oscuri fonemi assumono un significato di speranza e di timore per la salute e per la sua stessa vita .


[36] CFR la scheda sul significato della sofferenza



[I] Scheda n° 1

Alle radici del pensiero medico occidentale.


La seconda metà del V secolo a.c. vede la nascita dell'arte medica occidentale, nascita, quindi non della tradizione medica o di un genere letterario, ma momento in cui la medicina si costituisce in techne.

I medici non si accontentano di descrivere le malattie, di prevedere la loro evoluzione e di enumerare i rimedi, ma si interrogano sia sulla finalità della loro techne e suoi suoi metodi, sia sul suo posto rispetto le altre tecnai. Le risposte possono essere convergenti o contraddittorie: attorno allo scopo dell'arte, tutti concordano che la medicina debba essere utile al malato, o almeno non nuocergli, ma quando si tratta di sapere se il medico debba seguire tutti i malati, o soltanto quelli che giudica curabili, le risposte si fanno contraddittorie.

Quanto ai procedimenti dell'arte, non esiste arte medica senza metodo, ma si registrano divergenze su quello che si può intendere metodo. Riguardo al posto della medicina rispetto alle tecnai i medici sono concordi nel convenire che la medicina appartiene alla categoria delle arti che hanno per oggetto l'uomo, ma divergono quando si tratta di decidere se la scienza dell'uomo debba precedere la medicina o se ne costituisca l'esito.[I]

Il pensiero medico dunque in quegli anni fiorisce e sembra fare un salto di qualità, ricevendo impulso determinante dalla speculazione dei filosofi fisici che giganteggiavano allora.

Anassagora, che nacque tra il 500 e il 496 e morì nel 428, fu amico di Pericle e venne condannato nel 432, accusato di empietà per avere negato gli dei e per aver introdotto teorie potremmo dire "eretiche" sulla natura dei fenomeni celesti..

L'impostazione della sua ricerca implica un modo diverso di concepire e di pensare, indipendentemente da ogni ricorso a ordini teologici. Le tesi di Anassagora secondo le quali il sole è pietra incandescente e la terra e la luna non ha luce propria, ma è il sole che dà alla luna la sua lucentezza, erano il frutto di una lineare ricerca razionalistica che si fondava sui dati dell'esperienza e che portava a una concezione dell'uomo del tutto rivoluzionaria.

La convincente ipotesi di Anassagora sulla linea della fisica ionica si basa, innanzi tutti, sui dati osservabili direttamente, sui dati dell'esperienza.

Per la debolezza dei sensi non siamo capaci di discernere il vero: ma possiamo valerci dell'esperienza, della memoria e dell'arte nostre proprie; poiché ciò che appare è un fenomeno di ciò che non si vede con gli occhi.[I]

Quindi i dati vengono vagliati, collegati, interpretati attraverso l'esperienza che è un'analisi mediante la quale si tenta di ricostituire quelle strutture di cui la realtà visibile è l'apparire, discernendo, distinguendo ciò che di fatto non è separato, ma continuità.[I]

Si delinea così una teoria del conoscere: appare in embrione il metodo scientifico che basandosi sull'esperienza e l'osservazione diretta, induce a ipotesi non fantastiche, ma verosimili, razionalmente valide e che servono al proseguimento dell'indagine della natura, alla ricerca di tecniche con cui operare e costruire.

La ricerca e l'andamento culturale e critico della seconda metà del V° secolo sono riflessi negli scritti del Corpus Ippocraticum appartenenti ai medici della scuola di Cos.



Contro i medici della scuola di Crotone (Democede, Alcmeone, i primi pitagorici), o a quelli di Agrigento (Pausania, Arone forse Empedocle); che ricorrono a ipotesi troppo generali e astratte, rigide, o contro ai medici della scuola di Cnido, che rimangono su un piano esclusivamente descrittivo, i medici di Cos si rifanno di proposito alla vecchia tecnica medica: in medicina si deve fare attenzione non allo specioso teorizzare, ma all'esperienza e al ragionamento presi insieme....concordo con il fatto che il teorizzare deve essere accettato, dato che è basato sui fatti, e che sistematicamente si debbano trarre deduzioni da ciò che si è osservato... ma le conclusioni scaturite da ragionamenti fatti senza alcun appoggio raramente possono essere utili. Solo quelle tratte dall'osservazione dei fatti sono idonee.[I]

Pagato in parte il debito che i medici hanno contratto con il pensiero filosofico contemporaneo, si sottolinea come le novità rappresentate dall'arte medica si raccolgono attorno ad una figura di medico e alla sua scuola: Ippocrate e la scuola di Cos.


1.Ippocrate di Cos (Cos 460)[I]e il corpus hippopcraticum


I 60 scritti di Ippocrate non possono essere stati redatti da lui né dai suoi discepoli della scuola di Cos. L'essenziale è anteriore ad Aristotele e costituisce un nucleo antico e globalmente coerente che permette di definire un pensiero ippocratico. Ippocrate è citato da Platone almeno due volte nel Protagora (430- fine del V° sec) dove si scopre che è possibile apprendere la medicina pagando una retta e nel Fedro, dove è descritto un concetto ippocratico: non si può conoscere la natura del corpo se non si ha conoscenza del tutto. Aristotele sottolinea la grandezza di Ippocrate maggiore della sua statura fisica.

Il Corpus ippocratico è però un insieme eterogeneo tanto da condurre alla questione ippocratica: quali opere sono autentiche? Aristotele ci dà una mano attribuendo nella sua Storia degli animali a Polibio, discepolo carissimo e genero di Ippocrate, la natura dell'uomo nella quale è espressa la teoria dei 4 umori (sangue, flegma, bile gialla, bile nera).

Di Ippocrate forse è il trattato sui Venti (un papiro del I-II s d.c. dice come Ippocrate sostiene che le cause delle malattie sono i venti) e i due trattati chirurgici Articolazioni e Fratture (polemica con Ctesia di Cnido che rimproverava Ippocrate di ridurre la lussazione dell'anca che secondo la sua esperienza, si sarebbe riprodotta subito dopo essere stata ridotta). I trattati Epidemie I e III (polemica con Diocle grande medico di Caristo che rimproverava Ippocrate di aver riconosciuto l'esistenza di febbri quintane, settane e nonane, accanto alle continue, alle quotidiane, alle terzane e alle quartane; le febbri quintane etc non potevano corrispondere ai quattro tipi di umore).


2.Il pensiero medico nei vari trattati:


In molte opere sulle malattie compare la descrizione delle notizie secondo uno schema costante che comporta tre parti: descrizione dei sintomi, prognosi, terapia.

Nelle epidemie siamo di fronte ad una medicina più tradizionale di quella di Cos: i medici viaggiatori non si interessano tanto ai singoli malati quanto alle malattie, che classificano e suddividono secondo varietà sottili, compare l'auscultazione.

I trattati a sfondo filosofico Carni e Regime sono estranei sia alla scuola di Cos che a quella di Cnido. Nelle Carni è esposta una cosmologia a tre elementi (etere, aria e terra), in Regime, dove sono presenti solo due elementi (l'aria e il fuoco), è conservata la più antica formulazione nella letteratura greca della teoria micro-macrocosmica: l'uomo è a imitazione del Tutto. Settimane pretende di spiegare tutto con il numero sette.

Contro questi trattati si scagliano altri due trattati: Natura dell'uomo e Antica medicina, nel quale si afferma che la conoscenza positiva della natura umana, lungi da essere preventivamente necessaria alla medicina, deriva dalla medicina stessa. In entrambi gli scritti la medicina è una scienza autonoma che si pone consapevolmente in opposizione alla filosofia.

Cuore è del tutto posteriore a Ippocrate. I tre scritti deontologici, Decoro, Precetti e Il medico, pur essendo tardi, delineano un'etica che segue perfettamente il filo dell'ideale ippocratico: rispetto del malato e orrore della ciarlataneria: là dove c'è amore per l'uomo c'è anche amore per l'arte. Gli aspetti più importanti dal punto di vista filosofico sono l'approccio razionalistico ippocratico e l'umanesimo ippocratico.


Caratteristiche del medico ippocratico

(destrezza manuale con intelligenza)


Al tempo di Ippocrate l'arte del bendaggio aveva raggiunto un altissimo grado di raffinatezza; 4\5 dell'Officina del medico si occupavano delle fasciature. Per certi praticanti era l'occasione di suscitare a buon mercato lo stupore del malato e degli spettatori (vedi l'importanza dello stupore del pubblico per la pratica della medicina).

Il bendaggio del naso era quello che offriva le forme più artistiche di bendaggio, ma il medico ippocratico non deve cedere alla tentazione di sfruttare questa dimensione teatrale: quelli che praticano una destrezza manuale senza intelligenza fanno opere artistiche, ma inefficaci: bisogna rifiutare i bendaggi eleganti e teatrali che non sono di alcuna utilità, perché volgari e ciarlataneschi... quello che cerca il malato non è un abbellimento, ma sollievo[I]

La teatralità è condannata in nome dell'utile e della natura anche se purtroppo già allora:

la terapia nuova, di cui non si sa ancora se sia utile, è lodata più della terapia abituale di cui si è certi che sia utile e le cose strane lo sono più delle cose evidenti.[I]


I nemici del pensiero ippocratico: gli indovini e i ciarlatani.


Pur essendo un atto razionalizzato la prognosi del medico risente di una eredità, la forma tradizionale della profezia, e di una concorrenza, quella dell'indovino. Per il medico antico la prognosi, così come per l'indovino, riguarda allo stesso tempo passato, presente e futuro.

La pestilenza si è abbattuta sull'esercito acheo che assedia Troia, nessuno dubita che la causa sia da attribuire alla collera di Apollo, ma perché? Si alza Calcante, Omero lo definisce superiore a tutti gli altri indovini perchè conosce il presente, il passato e il futuro. La profezia di Calcante individua in un gesto passato, il rifiuto di Agamennone di rendere la figlia adottiva a Crise, sacerdote di Apollo, la causa dell'ira del dio e della presente epidemia. Solo la restituzione della figlia potrà calmare la collera di Apollo.

La prognosi del medico ha quindi la dimensione totale della profezia, ma se ne distacca poiché la conoscenza trae origine non da segni inviati dagli dei, ma dai sintomi offerti dallo stato del malato. E' il metodo razionale su cui si fonda la predizione.


Le relazioni fra il medico e malato: fondamenti teorici.


Esiodo aveva sottolineato come le malattie visitano spontaneamente l'uomo, alcune di giorno, altre di notte, portando mali ai mortali in silenzio, perché il saggio Zeus ha loro rifiutato la parola.[I]

Il medico combatte contro la malattia per ripristinare la salute: il bene supremo.

Salute! La più venerabile delle divinità felici, possa abitare con il te il resto della mia vita! (..) E' in tua compagnia che tutto fiorisce... senza di te non c'è felicità.[I]

La medicina che mette al bando i mali e porta la salute appartiene secondo i greci alla categoria delle arti della salvezza.

Nel mito di Prometeo portato in scena da Eschilo la medicina fa parte delle arti scoperte da questo ladro di buon cuore per salvare gli uomini dall'annientamento progettato da Zeus.

In Platone e Aristotele la medicina diviene un paradigma per la riflessione politica: la medicina è un modello di disinteresse che l'uomo politico deve seguire, perché essa ha la funzione di procurare un vantaggio non a chi esercita l'arte, ma a chi assa viene applicata, cioèil malato.[I]

Fra il Prometeo di Eschilo e i filosofi del IV secolo si colloca l'essenziale dell'opera ippocratica. Ippocrate nel suo primo non nuocere afferma chiaramente già prima di Platone e Aristotele che la finalità della medicina è l'interesse del malato:

Essere utile, ma quando questo fine non può essere raggiunto, non nuocere al malato.

Fra le arti ce ne sono alcune che sono penose per i loro detentori, ma molto utili per i loro utilizzatori (...) A tale categoria appartiene la medicina. Il medico, infatti, assiste a spettacoli spaventosi, tocca cose ripugnanti e in caso di sventure altrui guadagna egli stesso dispiaceri. I malati, al contrario, sfuggono grazie all'arte ai mali più grandi: malattie, afflizioni, sofferenze, morte. E' a tutto questo, infatti, che si oppone la medicina[I].


Il razionalismo ippocratico e il divino


Come lo storico Tucidide, al contrario di Erodoto, rifiuta di spiegare lo svolgimento dei fatti storici con l'intervento della divinità negli affari umani, così il pensiero ippocratico ignora o rifiuta l'intervento specifico di una divinità nello sviluppo della malattia, così come rifiuta la terapia magica fatta di preghiere, incantesimi e purificazioni.

Nel trattato Male sacro il medico ippocratico si scaglia contro l'origine divina della malattia proponendo una spiegazione razionale della crisi epilettica. E' il primo documento nel quale la medicina razionale si pone in antitesi ad una medicina religiosa e magica.

Il primo inventore di questa malattia è paragonato ai maghi e purificatori e mendicanti e ciarlatani. E' infatti per mancanza di risorse che certi terapeuti hanno attribuito agli dei la causa di ogni tipo di malattia. L'accusa principale è di incompetenza: all'origine della sacralizzazione della malattia è l'ignoranza. Costoro dunque presero il divino a riparo e pretesto della propria sprovvedutezza (giacché non sapevano con quale terapia potessero dar giovamento) e affinché la propria totale ignoranza non fosse manifesta, asserirono che questo male era sacro[I].

Si deve notare come la medicina magico-religiosa aveva raggiunto un alto livello di sofisticazione nel momento stesso in cui fioriva la medicina razionale.

La concezione divina della malattia nella mentalità popolare del secolo di Pericle era importante. Ciò può spiegare come i medici ippocratici si guardano bene da contrapporre scienza e religione. Mentre Tucidide esclude totalmente la nozione di divino dalla causalità storica in quanto il divino riguarda solo la superstizione degli uomini, i medici ippocratici considerano divini gli elementi permanenti dell'universo, indipendenti dall'uomo, che hanno un sua incidenza sulla sua salute e sulla malattia: l'aria, i venti, il sole o il freddo. Il razionalismo ippocratico non è ateismo anche per la frequentazione del santuario di Asclepio. Nel male sacro troviamo un'ulteriore rassomiglianza tra il razionalismo ippocratico e quello di Anassagora.

Plutarco[I] riferisce come fu portato a Pericle un capro che aveva un solo corno e l'indovino lampone interpretò questa anomali come un segno della prossima vittoria di Pericle, mentre Anassagora, fece aprire il cranio dell'animale e dimostrò che l'anomalia era dovuta all'atrofia del cervello. Così nel Male sacro, l'autore apre il cranio di animali colpiti da epilessia per costatarne lo stato patologico del cervello e mostrare che non è la divinità che altera il corpo, ma la malattia.[I]


Umanesimo


Per umanesimo si intende il senso ampio di riflessione dell'uomo su se stesso e sulla sua condizione. L'uomo prende coscienza del suo posto nell'universo che lo circonda, e al tempo stesso della sua storia che è passaggio dalla natura alla cultura grazie alle risorse inventive della sua ragione.

A partire dall'epopea omerica, passando per la poesia lirica, per arrivare alla poesia tragica, l'uomo si è definito soprattutto attraverso le sue relazioni con gli dei.

I poeti contrappongono il potere e il sapere degli dei alla debolezza e all'incoscienza degli uomini. Aiace di Sofocle l'eroe è in preda alla follia provocata dalla dea Atena, il suo nemico Ulisse:

vedo che non siamo altro che sogno, noi che viviamo, oppure ombra leggera... Un giorno basta per far salire o scendere tutte le cose umane, gli dei amano i saggi e detestano i malvagi.[I]

Per i medici ippocratici non c'è malattia che sia più divina o più umana di un'altra per cui non è più in rapporto agli dei che l'uomo viene situato, ma in rapporto all'universo che lo circonda. L'uomo non può essere colto nella sua totalità senza tenere conto delle influenze dell'ambiente esterno nel quale vive.

Nasce quindi una medicina meteorologica in quanto tiene conto dell'influenza dei fenomeni di lassù (meteora) sulla salute e la malattia. La nozione di moderazione, tradizionalmente applicata dai greci al comportamento umano, viene trasferita al medico all'ambiente naturale in cui l'uomo vive.

Nasce anche nella medicina l'idea di progresso. Al tempo di Esiodo i greci avevano una visione pessimistica della condizione umana che declinava dall'età dell'oro fino all'età del ferro. Nel V°secolo l'avventura umana è vista come un progresso a partire dallo stato selvaggio verso uno stato di civilizzazione progressiva grazie alla invenzioni delle arti. Tra le arti del progresso accanto all'agricoltura e alla navigazione è la medicina.

Il prometeo di Eschilo si vanta di aver mostrato agli uomini le miscele dei rimedi calmanti grazie ai quali essi allontanano tutte le malattie. Sofocle pone la medicina tra le meravigliose invenzioni dell'uomo che sa concepire dei mezzi per sfuggire alla malattie irrimediabili. Ma mentre per il Prometeo di Eschilo la medicina appare una scoperta totale, in quanto allontana tutte le malattie, ed è quindi una scienza già compiuta, per il medico di Antica medicina l'evoluzione non si è conclusa: c'è una concezione di progresso aperto che è originale nel V° secolo:

La medicina dispone da molto tempo di tutto, di un punto di partenza e di una via, grazie ai quali da una parte molte scoperte di buona qualità sono state fatte nel corso di un lungo periodo di tempo, e dall'altra le scoperte che restano saranno fatte, posto che, unendo alla competenza la conoscenza delle scoperte passate le si prenda come punto di partenza della ricerca.[I]


La medicina come scienza


Nel trattato Arte ci si scaglia su coloro che asseriscono che la medicina non esista, non sia techne (arte scienza), sia perché le guarigioni dei malati curati dal medico sono opera del caso, visto che ci sono dei malati che muoiono malgrado l'aiuto dei medici, sia perché al contrario ci sono malati che guariscono senza ricorrere al medico.

Il medico ippocratico sottolinea come la scienza si definisce per la possibilità di stabilire delle distinzioni normative. Sapere significa poter distinguere fra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Mentre il caso è il regno dell'indifferenziato, l'arte si manifesta con una distinzione di valori e una gerarchia delle competenze che si rivelano nei momenti decisivi. Il regno della scienza è il regno della differenza.

Tutto quello che si produce ha una causa: infatti per tutto quello che accade esiste un perché.[I] Il testo ippocratico preannuncia Aristotele che dice gli uomini di esperienza sanno bene che una cosa è, ma non sanno il perché; gli uomini d'arte conoscono il perchè e la causa.[I] La scienza quindi deve essere causale oppure non è scienza:

Non è sufficiente dire semplicemente così "il formaggio è un cattivo alimento perché fa male a chi ne è saziato", ma (bisogna dire) anche quale male causa, per quale ragione e a quale fra le sostanze contenuto nell'uomo è inappropriato.[I]

Platone, nel Gorgia, sottolinea come la conoscenza delle cause è il criterio per distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è.

Dico che la cucina non è un'arte, ma una empiria perché essa non possiede spiegazione alcuna del modo in cui prescrive quello che prescrive.... la medicina ha esaminato la causa di ciò che fa e può dare spiegazione di ciascuna di queste cose.[I]

Diversamente da Platone, il medico ippocratico attribuisce un valore positivo all'esperienza, sinonimo di competenza, propria dell'uomo che sa.


[II] Scheda n II

Il significato antropologico della sofferenza


La sofferenza è tipicamente umana ed esprime un dolore globale, non solo fisico, ma psichico e spirituale. In questa breve trattazione userò come sinonimi sofferenza e dolore.

Non è possibile per l'uomo accedere pienamente al mistero del perché della sofferenza. E' possibile però partire dall'esperienza del dolore per rilevarne alcune caratteristiche, in modo da capire che cosa rappresenta la sofferenza e quali possono essere le risposte umane.

Tenteremo di sintetizzare un lessico della sofferenza definendola con parole chiave, ognuna delle quali ne rivela un aspetto.

Innanzitutto il dolore è una esperienza radicale Il dolore si conosce per esperienza, ma l'esperienza del dolore produce un modo del tutto nuovo di conoscenza, inaugurando una diversa visione del mondo e del comprendere l'accadere. Sotto il segno del dolore il mondo appare trasformato, la sofferenza produce nel fluire monotono della vita una discontinuità sufficiente per gettare nuova luce ed essere insieme patimento-distruzione e rivelazione-percezione.

Nel senso di esperienza radicale la sofferenza è fatto personale e si caratterizza come separazione: il dolore è soprattutto separazione tra se e gli altri. Il dolore esprime l'individualità come principio e forma dell'esistere e del morire. Si tratta di una doppia separazione: chi soffre è anomalo agli occhi degli altri e questi ultimi divengono eterogenei, irriconoscibili, lontani e vani.

Su lui piango, per la sua

solitudine dagli uomini:

lui che mano sanatrice

mai non sfiora, o sguardo amico;

lui dolente in abbandono

lui malato d'ogni male. (Filottene 169 sgg)

Inoltre il dolore è repellente per se stesso e rende repellente colui che affligge.

La mia carne è coperta di vermi e croste terrose,

la mia pelle si raggrinzisce e si spacca;

i mie giorni sono stati più veloci della spola

e sono terminati per mancanza di filo (Giobbe, 7 5-6)

Io non ho mai potuto capire come sia possibile amare il prossimo. Appunto il prossimo, a parer mio, è impossibile amarlo, a diffrenza forse di chi ci sta lontano.

Perché l'uomo si faccia amare, bisogna che rimanga nascosto: non appena ti mostra il viso, l'amore è bell'e finito.[II]

Io posso soffrire profondamente, ma un altro non potrà mai rendersi conto del grado di profondità raggiunto dalla mia sofferenza, perché appunto egli è un altro e non me, a parte poi che difficilmente l'uomo si riduce a riconoscere in un altro un sofferente (.) perché poniamo, io mando un cattivo odore, oppure ho un viso stupido, o perché una volta, chissà quando, gli ho pestato un piede.

(.) Astrattamente è ancora possibile amare il prossimo, e qualche volta, anche da lontano: ma, da vicino, direi che non è possibile mai.[II]

Seppure individuale la sofferenza è anche evento cosmico: in ogni dolore individuale c'è un riverbero del dolore universale. Ad ogni vivente è assegnato, sia pure a diverso titolo e con diverso peso, il dolore. E' questa l'esperienza di un lungo patire attraverso cui l'umanità ha preso cognizione di sè.

Nessuno dei mortali trascorrerà mai la vita incolume del tutto da pene, paga sempre alla vita ciascuno il suo prezzo. (Eschilo Coef., vv1018-1019)

In questo senso e per questa via il dolore viene agganciato alla vita, viene ritenuto come prezzo da pagare e quindi diviene una determinazione locale del dolore del mondo.

Il dolore non è una esperienza che si sceglie, della quale si può piiù o meno decidere di fare

PaqoV= pathos essere colpito dall'esterno; successivamente sofferenza disgregazione

Pascv = pascho- patior accadere, subire soffrire

La sofferenza inchioda, colpisce e obbliga: è esperienza radicale in quanto inevitabile. Il dolore prova perchè si prova e mette alla prova. algoV algos è il dolore nel doppio valore, sia del significato fisico provo dolore che in quello interiore sono angustiato, turbato.

Nel contempo apre le vie dell'attenzione e dell'intelligenza della comprensione del mondo del patire. Nel silenzio della sofferenza cresce la richiesta metafisica del perchè vi è in generale l'essere piuttosto che il niente. Non è un caso che una delle vie privilegiate che conducono alle religioni sia il dolore e nel contempo alcune religioni o dottrine nascono esse stesse dal dolore. Il dolore ci mette davanti allo specchio che rispecchia il nostro limite, la nostra finitezza. In questo senso è un anticipazione della morte che dissolve il nostro ridicolo comportamento da immortali. Il dolore porta alla luce il lato oscuro della vita: la precarietà dell'esistenza.


Il linguaggio della sofferenza


La sofferenza sfugge al discorso: il sofferente tende al silenzio o al grido. Talvolta i riti e le tradizioni sono in grado dare espressione al dolore e riescono a parlare del dolore. Per lo più si crea un muro di silenzio che contribuisce alla separazione, al di là di ogni pietà con la consapevolezza acuta della impotenza della consolazione e della vanità delle parole.

Ne ho udito molto spesso di simili cose:

consolatori molesti siete voi tutti

Avranno fine queste parole di vento? (Giobbe 16, 2-3)


[III] Scheda nIII

Dal paziente al cittadino


La parola paziente presenta, sia etimologicamente che storicamente, una passivita' che si estrinseca etimologicamente nel subire un dolore, nel soffrire o nell'essere stato colpito da una malattia (la sofferenza e' sempre subita).

Il termine greco pathos, nella sua forma originaria, denota semplicemente l'essere colpito dall'esterno, indipendentemente dalla determinazione positiva o negativa dell'evento che colpisce. Successivamente, pathos assume la valenza negativa di sofferenza, di sciagura che colpiscono il soggetto a cui rimane solo la passività del subire. E subire e' appunto un patire (patior) . Da qui la pazienza come capacità di sopportare.

Il termine paziente presenta anche storicamente una passivita' nel senso di essere l'oggetto (passivo) della diagnosi e dell'intervento del medico. Infatti, se ci si riflette un po', il paziente non e' meramente una persona ammalata, ma e' il malato-che-si-rivolge-al-medico, oppure il malato-che-e'-sotto-la-cura-di-un-medico. Il medico che si prende cura dell'ammalato, definisce quella persona un "suo" paziente. Il termine paziente descrive quindi il prendersi-cura-di-un-soggetto-ammalato, conservando quel tanto di passivita' che avevo indicato precedentemente..

Da quanto osservato discende che il termine paziente, seppure utilizzato da tutti, e' in realta' un vocabolo usato dai medici, per i medici. Non e' automatico, oggi, che il soggetto si riconosca nello status di paziente. Il passaggio dal paternalismo medico al riconoscimento dell'autonomia del paziente esige un soggetto "agente", con un'attività nei confronti della propria salute che il termine paziente sembra non concedere. Inoltre, il concetto di medicina preventiva fa si che il soggetto possa presentare al medico dei problemi di salute, piuttosto che di mera malattia. Il soggetto non deve essere per forza già malato, prima di andare dal medico.

Termini alternativi sono: cliente, assistito, utente. Il primo sancisce l'egemonia economica nelle categorie mediche e conclude un cerchio semantico nel quale la parola azienda è al primo posto. Il termine assistito rientra in un modello di stato assistenziale ormai superato. Utente fa parte di quel linguaggio burocratico, ormai insopportabile e che poco dovrebbe avere a che fare con la medicina. Con il termine cittadino invece si ribadisce il ruolo decisionale sempre piu' importante che la persona avrebbe dovuto assumere nell'ambito del proprio territorio. Con il decentramento dei servizi socio-sanitari e delle tasse, spetta al cittadino, in un confronto democratico, decidere alcune caratteristiche del sistema socio-sanitario locale nel quale vive e lavora. Il termine cittadino sembra avere, quindi, quelle caratteristiche di soggetto agente che il termine paziente non possedeva.




[IV] Scheda IV

Biotecnologia e biotecnologie.


Il termine biotecnologia è del tutto generico e merita una breve definizione che prenda in considerazione due punti essenziali.


1) la Biotecnologia come Paradigma


In primo luogo, la biotecnologia rappresenta un modo d'essere della ricerca scientifica, applicata all'oggetto biologico. In questo senso per biotecnologia si intende la modalità con la quale si studia, si ricerca, si modifica e si produce nell'ambito delle scienze che hanno a che fare con la vita: vegetale, animale ed umana che sia.

La biotecnologia, come modo d'essere, rappresenta una specie di Paradigma della prassi scientifica: un insieme di procedure accettate dalla comunità scientifica come modalità ottimale per condurre e per produrre ricerca scientifica.

Nella storia della filosofia della scienza il termine Paradigma[IV] è stato utilizzato da Kuhn[IV] sotto diversi significati. Per i nostri scopi è sufficiente segnalare alcuni passi indicativi della teoria kuhniana che possono chiarire l'importanza della biotecnologia. Per Kuhn la Scienza normale significa una ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza in passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore.

Il Paradigma di una scienza è lo strumento per un'ulteriore articolazione e determinazione sotto nuove o più ristrette condizioni. Il successo di un paradigma è, all'inizio, in gran parte, una promessa di successo che si può intravedere in alcuni esempi scelti ed ancora incompleti.

I membri della comunità imparano il loro mestiere con lo studio e la pratica dei paradigmi che hanno accettato. Gli scienziati lavorano in conformità a modelli acquisiti attraverso l'educazione e l'assimilazione della letteratura scientifica, talvolta senza conoscere quali caratteristiche hanno conferito a questi modelli lo status di paradigmi della comunità.

Nell'accezione kuhiana il termine paradigma assume un significato prima di tutto teorico, rappresentando la teoria comunemente accettata e, solo secondariamente, il paradigma-teoria incide nella prassi scientifica indicando e, talvolta, imponendo gli strumenti scientifici che sono propri del paradigma.

L'odierna inseparabilità della ricerca dallo sviluppo rende difficile separare la teoria dalla prassi ed è per questi motivi che, in questo periodo, la biotecnologia può essere pensata come Paradigma della prassi scientifica. In quanto paradigma, essa imprime le sue caratteristiche a tutta l'impresa di ricerca e sviluppo, definendo gli strumenti necessari e più idonei per ottenere i risultati scientifici. In quanto paradigma della prassi scientifica, gli strumenti di ricerca, le modalità e gli stessi risultati sono iscritti nei limiti del paradigma e possono essere definiti biotecnologici.


2) La Biotecnologia come Apparato.


In secondo luogo, la biotecnologia non è un modo qualsiasi di fare ricerca scientifica, ma presenta delle caratteristiche peculiari tra le quali quella di essere orientata a risultati di valore commerciale. La ricerca scientifica normalmente è praticata nelle Università, in Centri di ricerca governativi o nel privato. La biotecnologia riconosce una presenza sempre maggiore della ricerca privata e, anche quando la ricerca avviene in ambiente universitario, spesso gli scopi commerciali si intrecciano così strettamente con quelli conoscitivi da non poter separare gli uni dagli altri. In questo senso la biotecnologia si trova collegata ed inserita in un Sistema di Potere tecnico ed economico che la condiziona e che ne definisce i campi di applicazione.


Se per la biotecnologia in quanto modalità di ricerca abbiamo preso in prestito da Thomas Khun il termine Paradigma, per il significato di Sistema di Potere tecnico ed economico possiamo mutuare da Emanuele Severino il concetto di Apparato[IV]. Per Severino l'Apparato scientifico-tecnologico non è costituito soltanto dalla concettualità scientifica e dagli strumenti della tecnica, ma anche dal sistema di condizioni sociali che rendono possibile il rapporto tra scienza e tecnica. L'Apparato è lo Strumento supremo che organizza tutti gli strumenti di cui dispongono le società più avanzate[IV]. La concezione di Severino ci serve perché individua nell'Apparato scientifico-tencologico, uno scopo che possiede di per se stesso: tale scopo è l'aumento indefinito della potenza vale a dire della capacità di realizzare un qualsiasi tipo di scopo[IV].

La Tecnologia, in quanto Paradigma e Apparato, non è soltanto una scienza tra le altre, o una tecnica con degli sviluppi commerciali promettenti, ma rappresenta lo scenario della nostra società: il quadro[IV] che incornicia la ricerca e lo sviluppo delle acquisizioni scientifiche. Non si tratta però di uno scenario passivo: un mero luogo dove può svolgersi qualsiasi scena, ma è lo stesso scenario a dettare le regole e le scene che possono essere interpretate.


[V] Scheda V

La medicalizzazione della società


Con il termine medicalizzazione si intende la riduzione in termini medici di fenomeni che non appartengono necessariamente alla medicina. Il processo di medicalizzazione nasce con la scienza medica e si compie nel nostro secolo. Esso inizia nel momento in cui il corpo e la vita perdono il carattere sacro per diventare oggetto di un'indagine e di una ricerca che si pretendono obiettive.

Il sacro, che inglobava l'uomo nella sua totalità', retrocede in uno spazio che gli viene riconosciuto proprio, lasciando il corpo in balia delle leggi cui soggiacciono gli oggetti naturali. E' questo corpo abbandonato dall'anima che può diventare oggetto di conoscenza e che può dare a questa conoscenza l'obiettività ricercata. La funzione medicalizzante della medicina, rispondendo a una sofferenza del malato la cui origine può' essere individuata in un disagio prodotto da cause sociali e ambientali, offre o impone un'interpretazione a una sola via del suo disturbo. In questo senso la medicina si trova a inglobare nel suo terreno settori sempre più ampi di disagio che, per la sua stessa natura separata, tende a medicalizzare.

Del processo di medicalizzazione fanno parte la traduzione in termini medici di problemi che dovrebbero essere affrontati con misure sociali. Mentre il malato resta con la sua malattia all'interno del suo mondo di bisogni, la conoscenza del corpo e della malattia tende a isolarlo dalla globalità della sua vita e delle sue necessità, limitandosi ad affrontare ciò che, in quel mondo di bisogni, si esprime come malattia: è solo la malattia che parla e che si fa ascoltare.

Nel caso della medicina il progresso scientifico comporta, quindi, la reificazione del corpo, l'eliminazione della soggettività, l'abolizione di ogni legame che il corpo preso in esame continua ad esprimere con il contesto sociale di cui e' il prodotto e con i suoi valori.

La medicina del XX° secolo continua la sua opera di medicalizzazione limitandosi per lo piu' a riparare i danni gia' avvenuti. La medicina procede nell'invenzione di tecniche, strumenti, terapie riparatori, seguendo la spirale dello sviluppo tecnologico e scientifico, ma continua a fornire risposte settoriali, parziali - anche se sempre piu' sofisticate- su un corpo che, oggettivato agli occhi della scienza, viene ora meccanizzato dalla tecnologia. La medicina deve rispondere a ogni tipo di disagio dell'uomo che si esprime attraverso la sofferenza fisica o psichica, nel momento in cui la salute diventa un valore astratto presentato come possibile e realizzabile, l'uomo non e' piu' disposto ad accettare il minimo disagio senza un rimedio. Il potere della medicina si estende fino a coprire ogni momento della vita .


L'annessione di zone sempre piu' ampie di antiche responsabilità umane non sarebbe potuta avvenire senza la delega incessante e senza condizioni che il cittadino ha dato alla medicina stessa. La vittoria della medicina avviene con la resa del singolo che si illude di alienare il suo soffrire, riponendolo totalmente nelle mani efficaci e sicure dei camici bianchi. Quella della medicina e' stata comunque una grande vittoria: disconoscere questo sarebbe un grande errore. Annettere nuovi regni, occupare nuovi spazi, avventurarsi per terre inesplorate, significa avere potere, avere il comando, avere valore.

Lo sforzo immane della medicina ha portato successo e potere agli artefici e i medici, a lungo e giustamente, hanno combattuto, soprattutto nelle zone di frontiera dell'impero, ogni tentativo di attacco. Sarebbe pero' riduttivo e fuorviante interpretare solo corporativamente l'impresa della scienza medica.

Il paradosso, drammatico e un po' beffardo, della medicalizzazione della società e' che essa non produce una comunità sana, ma una società malata. Una società' medicalizzata e' automaticamente malata: una comunità costituita da ammalati! Infatti, quando ogni atto significativo e' iscritto nel dominio della medicina e diviene un atto medico, esso porta dentro di se', costitutivamente e irriducibilmente, una ipotesi di malattia.

Gli eventi sociali, visti attraverso gli occhi dei medici, assumono un colore patologico o, comunque, si situano in un panorama concettuale pronto a discriminare la malattia dalla salute, allenato a cogliere in ogni gesto un "segno" che assume il suo vero (l'unico) significato se viene interpretato attraverso il linguaggio medico. Lo sguardo acuto del medico, affilato da un tradizione millenaria, non e' neutro, ma e' deformato in un pregiudizio che amplifica di ogni elemento visivo il suo possibile carattere patologico. Il nascere, il morire come patologie, come qualcosa da sanare con un intervento riparatore in grado di rimettere le cose a posto!








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