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L'ASSALTO CONTRO L'ASSOLUTISMO - I "DUE TRATTATI SUL GOVERNO" DI LOCKE

politica



L'ASSALTO CONTRO L'ASSOLUTISMO


CAPITOLO 1

I "DUE TRATTATI SUL GOVERNO" DI LOCKE


Verso la fine del XVII secolo l'Inghilterra da alla letteratura politica l'"Essay of Civil Government", dovuto a John Locke (individualista liberale, uomo di studio, cagionevole di salute, visibilmente fatto per la vita contemplativa) che sferra i primi colpi all'assolutismo. Il titolo esatto dell'opera è "Secondo trattato sul governo civile.:Saggio concernente la vera origine, l'estensione ed il fine del governo civile".

Locke è un antiassolutista e desidera un'autorità limitata sostenuta dal popolo per eliminare il rischio del dispotismo; per fare ciò vuole demolire la teoria del 232c26c diritto divino.

Anche Locke, come Hobbes, parte dallo stato di natura: questo è governato dalla ragione ed è uno stato di perfetta libertà e perfetta eguaglianza, nel quale vige il diritto di punire colui che fa torto agli altri e nel quale è riconosciuta la proprietà privata fondata sull'appropriazione, che a sua volta è basata sul lavoro dell'uomo ed è  limitata dalla sua capacità di consumo.



Ma perché l'uomo ha abbandonato questo idilliaco stato di natura? L'uomo ha preferito lo stato di società per stare meglio, grazie a leggi stabilite, conosciute, accolte ed approvate di comune accordo e grazie ad un potere di costrizione capace di assicurare l'esecuzione delle sentenze emesse. Ciò che ha dato vita ad un governo legittimo è stato il consenso di un certo numero di uomini liberi. Il governo assoluto non potrebbe essere legittimo perché il consenso degli uomini al governo assoluto è inconcepibile. L'uomo entrando nella società si spoglia di due tipi di potere che deteneva nello stato di natura: il potere di fare tutto ciò che ritiene giusto per la sua conservazione e quella del resto degli uomini (se ne spoglia affinché sia regolato dalle leggi della società) ed il potere di punire i crimini commessi contro le leggi naturali (se ne spoglia per dare maggiore forza al potere esecutivo di una società politica). Così la società, erede degli uomini liberi, eredita da questi due poteri essenziali quello legislativo e quello esecutivo. E' opportuno che in un governo ben costituito i due poteri siano in mani diverse, sia per motivi pratici (il potere esecutivo deve essere sempre in funzione, quello legislativo no) sia per motivi psicologici (sarebbe più forte la tentazione di abuso di potere). I due poteri non sono eguali tra loro: il potere legislativo deve tendere a conservare la società, per cui è il potere supremo e l'anima del corpo politico. Il potere esecutivo è in posizione subordinata, anche se per il bene della società è opportuno che abbia un certo margine di discrezionalità.

Il popolo accorda la sua fiducia al legislativo ed all'esecutivo per la realizzazione del bene pubblico: il potere è un deposito affidato ai governati a vantaggio del popolo, il quale può sempre ritirare la fiducia. E' proprio il popolo quindi che detiene il vero potere sovrano: da parte sua c'è deposito, non contratto di sottomissione. Il popolo può anche impiegare la forza ed ha il diritto di insurrezione: l'inerzia naturale del popolo lo porterà a farlo solo nei casi estremi, ma se il peso dell'assolutismo diviene insopportabile non c'è più teoria dell'obbedienza che tenga.


CAPITOLO 2

LO "SPIRITO DELLE LEGGI" DI MONTESQUIEU


L'opera comparve a Ginevra nel novembre 1748.

Montesquieu non crede che sia la fortuna a dominare il mondo; vi sono delle cause generali, sia morali che fisiche, che governano gli accadimenti. Per scoprire la molla principale, il grande ingranaggio centrale, bisogna procedere di osservazione in osservazione, di confronto in confronto, bisogna possedere il gusto dei particolari ed il senso dell'insieme. Dice Montesquieu: "Ho enunciato i principi e ho visto ad essi piegarsi, quasi spontaneamente, i casi particolari". Quali sono i principi? Ogni legge è relativa, suppone un rapporto: ecco lo spirito delle leggi.

Montesquieu ha lavorato alla sua opera (31 libri) per 20 anni ed il periodo più duro è stato quello che ha preceduto proprio la scoperta dei principi sopra ricordati. I primi 8 libri sono dedicati alla teoria dei governi, poi 5 libri per la teoria della libertà politica garantita da una certa distribuzione dei poteri, 5 libri dedicati alle cause fisiche (territorio, clima, ecc.), 1 libro (il XIX) per la nozione di spirito generale di ogni nazione. A partire dal libro XX l'opera perde in organicità e diventa una serie di monografie: ad esempio sulle leggi ed i rapporti di esse con il commercio, la moneta, la popolazione, la religione (fino al XXV libro). Il XXVI è relativo ai singoli settori della legislazione, e così via. "Lo spirito delle leggi" non può essere letto tutto d'un fiato; deve essere letto come è stato scritto, cioè abbandonandolo e riprendendolo più tardi.

Montesquieu non propone una dottrina politica rigorosamente deduttiva come Bodin, Hobbes, ecc.; non era questo il suo proposito.

La classificazione dei governi che Montesquieu adotta è: repubblica (poi distinta in democrazia e aristocrazia), monarchia e dispotismo. Ogni governo ha una natura (la sua struttura, ciò che lo fa essere tale) ed un principio (ciò che la fa agire): le leggi devono essere relative alla natura ed al principio del governo.

  • Repubblica Democratica: la sua natura è il popolo, che vi appartiene per certi aspetti come suddito e per altri come monarca; il suo principio è la virtù politica, la quale esige che si faccia all'interesse pubblico un continuo sacrificio del proprio egoismo, e non deve mai venire meno (amore per la patria). Il regime si corrompe se viene meno lo spirito di eguaglianza ma anche quando questo diviene estremo: lo sbocco di una situazione del genere è la tirannia.
  • Repubblica Aristocratica: il potere sovrano non risiede più nel popolo ma in un certo numero di persone (una sorta di democrazia ristretta). Il principio non è più la virtù, ma lo spirito di moderazione dei nobili al governo.
  • Monarchia: un solo individuo governa, ma la sua volontà è arginata da leggi fisse e stabilite e dai poteri intermedi (nobiltà, clero, città, ecc.). Altro potere intermedio è quello incaricato del deposito delle leggi fisse e stabilite, cioè il Parlamento. Questo complesso gioco di pesi e contrappesi, di forze e contro forze, è ciò che mantiene lo Stato monarchico. Il principio della monarchia è l'onore, cioè il pregiudizio di ogni persona e condizione. Secondo Montesquieu la Repubblica esige stati territorialmente piccoli, la monarchia stati medi.
  • Dispotismo: quando uno stato passa da un governo moderato al dispotismo, cade in disgrazia; il dispotismo è un insulto alla natura umana, è un governo fatto per le bestie più che per gli uomini. Il principio è la paura; nessuna obbiezione è valida contro l'ordine del despota. L'obbedienza assoluta presuppone l'ignoranza di chi obbedisce.

Il libro XI tratta delle leggi che formano la libertà politica nel suo rapporto con la costituzione. La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono. Questa libertà non si trova sempre nei governi moderati perché spesso vi è abuso di potere: l'unica possibilità di evitarlo è che il potere arresti il potere, quindi una certa distribuzione dei poteri separati. A differenza di Locke, Montesquieu vede, oltre al potere legislativo, anche il potere giudiziario distinto da quello esecutivo.

Montesquieu analizza poi le tre forze concrete che caratterizzano il governo (misto) inglese: popolo, nobiltà, monarchia.

  • Popolo: non agisce direttamente, ma per mezzo dei suoi rappresentanti, eletti su base locale (perché conoscono meglio i problemi della propria città) da tutti i cittadini (esclusi quelli da considerare privi di volontà propria). Il corpo dei rappresentanti deve fare leggi o vedere se si sono ben eseguite quelle esistenti.
  • Nobiltà: è ereditaria; deve astenersi dalla legislazione su cui potrebbe esserci conflitto di interessi. Il potere legislativo sarà affidato sia al corpo dei nobili sia al corpo dei rappresentanti del popolo (due camere distinte).
  • Monarca: gli spetta il potere esecutivo, che per le proprie caratteristiche è meglio amministrato da un solo individuo che non da molti.

Al legislativo sono garantite sessioni periodiche: ha la facoltà di deliberare ed ha la facoltà di esaminare in quale maniera le leggi stabilite vengono eseguite (sia allude alla regola inglese dell'"impeachment"). L'esecutivo convoca il legislativo, che non deve essere sempre riunito in assemblea né deve avere la diretta facoltà di riunirsi autonomamente, altrimenti invaderebbe il campo del potere esecutivo. Il monarca partecipa al legislativo non in virtù della sua facoltà di statuire bensì di quella di impedire, allo scopo di potersi difendere (si allude al veto reale per bocciare un "bill" votato dalle due camere). Il monarca è inviolabile e sacro.


Il primo ad introdurre la nozione di clima nella scienza politica fu Bodin, il quale sosteneva l'esistenza di tre climi per tre diversi tipi di uomini:

  • settentrionale: uomo forzuto, brutale, impetuoso, casto, pudico, volubile, taciturno; si governa con la forza;
  • mezzogiorno: uomo vendicativo, astuto, portato alle scienze occulte e contemplative, alla filosofia; si governa con la religione;
  • temperato: uomo più ragionevole, portato per le scienze politiche e la giurisprudenza; si governa con la ragione e la giustizia.

Montesquieu da una spiegazione scientifica dell'influenza del clima sull'uomo: l'aria fredda restringe e rafforza le fibre, quella calda le allunga ed indebolisce. Ne deriva che nei climi freddi si ha più fiducia in se stessi, maggiore sicurezza ed audacia, franchezza, e si è poco sensibili ai piaceri, al dolore, all'amore.

Quindi sono molte le cose che governano gli uomini: il clima, la religione, le leggi, i costumi, ecc. La risultante di tutte queste cose è lo spirito generale, al quale uno solo degli elementi enumerati conferisce il tono, quindi risulta essere la dominante. Ma quale sia questa dominante non è possibile dirlo con certezza.

L'accoglienza fatta all'opera è stata colma di curiosità e di sincera ammirazione; venne tradotta in quasi tutte le lingue. Montesquieu ottenne una gloria europea.


CAPITOLO 3

IL "CONTRATTO SOCIALE" DI ROUSSEAU


L'originalità del "Contratto Sociale" sta nel fatto che quella libertà ed uguaglianza che caratterizzavano lo stato di natura, Rousseau pretende di ritrovarle, trasformate e denaturate, nello stato di società.

"L'uomo è nato libero e dovunque è in catene. Come è potuto succedere? Non lo so, posso solo dire cosa può renderlo legittimo", afferma Rousseau.

L'obbligo sociale non potrebbe essere fondato legittimamente sulla forza; la legittimità può provenire soltanto dal consenso unanime dei futuri consociati. La formula del patto sociale è: "Ognuno di noi mette in comune la sua persona ed ogni suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale, e noi accogliamo nel nostro seno ogni membro come parte indivisibile del tutto". Ogni membro del corpo politico è cittadino (perché partecipa alla sua attività) e suddito (perché obbedisce alle sue leggi). Da una parte c'è il mondo dell'interesse e delle volontà particolari, dall'altra il mondo dell'interesse e della volontà generale: il popolo, come corpo politico, non può che avere una volontà generale. Nel singolo uomo sociale coesistono le due volontà e la libertà denaturata consiste proprio nel far predominare sulla propria volontà particolare quella generale. Riportare all'obbedienza con la forza chi, dominato dalla sua volontà particolare, rifiuta di sottomettersi alla volontà generale è semplicemente costringerlo a essere libero.

Quando in una questione prevale il parere opposto al mio significa che mi ero ingannato: quella che ritenevo essere la volontà generale non lo era affatto.

Secondo Rousseau l'uomo, proprio per la sua condizione, è sottomesso alla natura fisica, alla necessità fisica, alle cose; ma la sua libertà è messa a rischio dalla dipendenza dagli uomini, dai singoli individui. Solo la legge, che è espressione della volontà generale, è capace di ovviare ai mali di questa seconda forma di dipendenza. La clausola fondamentale del patto sociale, che è la stessa per tutti, sostituisce una eguaglianza morale e legittima alla disuguaglianza fisica "naturale".

Per quanto riguarda la ricchezza, lo Stato assicura il possesso legittimo dei beni: i possessori sono considerati depositari del bene pubblico. Per il mantenimento dello Stato è però opportuno avvicinare i gradi estremi: nessun cittadino deve essere ricco da poterne comperare un altro e nessuno povero da doversi vendere.

Il sovrano, costituito dal patto sociale, è il popolo come corpo nell'atto di emanare la volontà generale sotto forma di legge. La sovranità, potere del corpo politico di tutti i suoi membri, ha gli stessi caratteri della volontà generale:

  • inalienabile: non può essere ceduta, trasmessa e non può essere rappresentata;
  • indivisibile: dividere la sovranità è ucciderla;
  • infallibile: non può sbagliare;
  • assoluta.

La legge è espressione della volontà generale e Rousseau ne ha un rispetto religioso: è la garanzia di giustizia e libertà. Il problema della politica è trovare una forma di governo che metta la legge al di sopra dell'uomo. Solo il sovrano ha i requisiti per fare le leggi, e siccome esso è il corpo del popolo, queste non possono essere ingiuste: il sovrano è ciascuno di noi e nessuno è ingiusto verso se stesso; inoltre, essendo sottomessi alle leggi, si è liberi, perché esse non sono che il registro delle nostre volontà. Fare le leggi è un'impresa tanto grande e difficile da richiedere UN legislatore, l'individuo unico, straordinario, ispirato, quasi divino, dotato di genio. E' possibile che Rousseau pensasse a Calvino per questo ruolo prestigioso.

Il legislatore non è sovrano e non comanda agli uomini; comanda alle leggi, e non fa parte della costituzione dello Stato. Tutti i grandi legislatori hanno fatto parlare gli dei. Redigere buone leggi non basta, bisogna considerare anche se il popolo è in grado di sopportarle. Alla domanda "quale popolo è adatto alla legislazione?" Rousseau risponde: quello della Corsica, che aveva a quel tempo riacquistato l'indipendenza dai Genovesi.

A fianco del sovrano (cioè "colui che vuole", ossia il corpo del popolo che vota le leggi) c'è il governo (un gruppo di uomini che esegue la volontà generale: la forza al servizio della volontà). Il governo è dunque un corpo intermedio tra i sudditi ed il sovrano: i membri di questo corpo si chiamano magistrati o re, cioè governatori, e l'intero corpo porta il nome di Principe. I governatori non hanno altro che un incarico, un impiego. Da qui scaturiscono le forme di governo; infatti il deposito può essere affidato a tutto o alla gran parte del popolo (democrazia), ad un numero limitato (aristocrazia) o ad un magistrato unico (monarchia). La classificazione delle forme di governo sembra quella classica, ma in realtà qui Rousseau si riferisce alla sola composizione del corpo intermedio incaricato di eseguire le leggi.

In democrazia il corpo del popolo vota le leggi e decide anche le misure particolari necessarie alla loro esecuzione; secondo Rousseau è un cattivo governo perché sovrano e governo sono la stessa persona pubblica (il che non va) e perché non si può immaginare che il popolo rimanga costantemente riunito in assemblea per provvedere agli affari pubblici. Secondo Rousseau non sono mai esistite, e non esisteranno mai, vere democrazie: un governo così perfetto è adatto agli dei, non agli uomini.

L'aristocrazia può essere naturale, elettiva o ereditaria; l'ereditaria è la peggiore forma di governo, l'elettiva la migliore. Nella monarchia il principe è un uomo reale: unità morale e fisica coincidono e nessun governo ha maggior vigore. La forma di governo migliore in assoluto comunque non esiste, secondo Rousseau: dipende sempre dai casi concreti e specifici.

Il governo ha la naturale tendenza, a causa dei suoi interessi di corpo intermedio, ad accrescere la propria forza; il vizio essenziale del governo è proprio questo sforzo continuo contro la sovranità. Si tratta di un vizio inerente e inevitabile, secondo Rousseau. L'unica possibilità per mantenere l'autorità sovrana è preservare la volontà generale contro le volontà particolari: per fare questo esistono mezzi normali (ad esempio frequenti assemblee di tutti i cittadini: quando si apre l'assemblea cessa infatti ogni potere del governo) e mezzi eccezionali (ad esempio Roma aveva i tribuni della plebe ed i censori).

Quanto alla religione, Rousseau ne distingue tre tipi:

  • la religione dell'uomo: il cristianesimo, quello del Vangelo, senza riti, culto esclusivamente interiore del Dio supremo. Questo tipo di religione non è di alcuna utilità per il corpo politico, secondo Rousseau;
  • la religione del cittadino: è quella della Città Antica; ha il suo culto esterno prescritto dalle leggi. Secondo Rousseau apporta maggiore forza allo Stato ma è fondata sulla menzogna e l'errore;
  • la religione del prete: è quella più bizzarra, secondo Rousseau, ed include il cattolicesimo; fornendo agli uomini due legislazioni, due capi, ecc., impedisce loro di poter essere contemporaneamente devoti e cittadini.

Alla fine Rousseau ci propone la sua religione civile, religione del cittadino moderno; questa possiede tutti i vantaggi della religione del cittadino antico senza attentare alla libertà interiore dell'uomo. Non impone contenuti dogmatici e rafforza il legame sociale e l'obbedienza al sovrano. Per Rousseau, in fondo, il legame sociale è già di per sé sacro.


CAPITOLO 4

"CHE COSA E' IL TERZO STATO?" DI SIEYES


Nel 1780 c'era tutta una categoria di francesi che era molto in collera contro la forma gerarchizzata (distinzione in tre "Ordini") della monarchia francese. Erano proprio i membri del c.d. "Terzo Stato" che non accettavano più la loro posizione subalterna: in fondo tutti gli uomini non nascono liberi ed uguali? I privilegi sociali e fiscali di clero e nobiltà erano quindi fondati su pregiudizi assurdi.

Il governo aveva finito per promettere la convocazione degli Stati generali per il maggio 1789: per i componenti del Terzo Stato doveva essere un punto di partenza verso una costituzione all'inglese; per fare ciò era necessario che il numero dei deputati del Terzo Stato fosse uguale a quello degli altri due ordini riuniti e che il voto non fosse per ordini separati ma per testa nei tre ordini riuniti.

Partì così una guerra di penne: una marea di opuscoli e libelli inondò la Francia. Uno di questi opuscoli si intitolava "Che cosa è il Terzo Stato?" ed era a firma di Sieyes.

Secondo Sieyes il Terzo Stato è di per sé una nazione completa, perché compie da solo tutte le attività private che sostengono la società e la stragrande maggioranza delle funzioni pubbliche. La nobiltà, da questo punto di vista, è estranea alla nazione ed è soltanto un carico che grava su di essa. Quindi il terzo Stato è tutto, ma fino ad allora non era stato niente perché era composto dalla massa dei non privilegiati, i sottomessi alla legge comune. Il popolo vuole ora cominciare ad essere qualcosa ed avanza tre richieste:

essere rappresentato da deputati tratti veramente dal suo seno;

un numero di deputati pari a quello di clero più nobiltà;

che si voti per testa e non per ordine.

Richieste minime, dice Sieyes, ma ugualmente contestate.

Sieyes analizza ciò che il governo ha tentato vanamente di fare fino a quel momento (i notabili, le assemblee provinciali, ipocrite misure fiscali), ciò che si sarebbe dovuto fare (nominare dei rappresentati straordinari per la risoluzione del reclamo)  e quello che resta da fare. A tale proposito propone due mezzi:

un po' brusco: il terzo Stato si riunisce a parte, visto che i suoi rappresentanti sono da considerarsi qualificati a deliberare in nome dell'intera nazione;

il terzo Stato si appella al Tribunale della Nazione (rappresentante straordinario).


Insomma: Sieyes aveva battezzato la tappa preliminare della rivoluzione francese.




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