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Il diritto si occupa dell'agire umano con la pretesa di fornirgli delle regole, disciplinare i comportamenti degli individui ed i loro rapporti intersoggettivi (privati o tra enti, associazioni, .) come pure si occupa di regolare i rapporti a livello internazionale.
Il problema sorge quando ci si chiede come il diritto può regolamentare l'agire; una risposta sul come la si può dare solo se sono chiari il perché ed il che cosa.
Queste due domande precedono tutti gli interrogativi sul come perché danno significato al quesito stesso; se una regola indica un come, questa avrà una proposizione fondante che indica il perché.
Bisogna quindi osservare che quando si ha a che fare con l'agire non bisogna rinchiudersi nella sola dimensione del come ma è necessario rimandarsi anche al perché.
Nascono tre ordini di problemi:
1) sul piano ontologico: cos'è una regola? cos'è un principio?
2) sul piano logico: qual è la loro forma e quale rapporto intercorre tra loro?
3) sul piano gnoseologico: come si possono conoscere principi e regole?
PIANO ONTOLOGICO:
-principi etici: sono quei criteri che permettono di riconoscere ed assegnare all'esperienza morale un significato unitario che raccoglie in se tutte le situazioni contingenti. E' un criterio che da significato unitario alla mia esperienza; esprime quel perché, quel valore che orienta l'esperienza e gli da significato;
-regole: sono prescrizioni che indicano una particolare condotta da tenere, in quanto questa condotta è adatta a conseguire un cero scopo. Sono indicazioni tecniche, o meglio preposizioni ipotetiche.
Mentre il principio dice cosa orienta i miei comportamenti, la regola indica l'azione da fare per un certo scopo.
PIANO LOGICO:
-principio: dentro di sé ha la struttura dell'intero. Se il principio mi sa dare il significato unitario di un'esperienza, mi dà l'intero di quell'esperienza (come è fatta, perché è così, perché ho quel rapporto con essa, fino a che punto ha bisogno del mio rapporto regolativi); il principio non si esaurisce in nessuno dei singoli elementi;
-regola: è una determinazione particolare, è una specificazione del principio, tant'è che non ha senso senza il principio. Il principio non è né una regola né la loro somma; questo perché se qualcosa è "principio" deve venire prima delle sue parti e non può esserne il risultato ("la causa non può essere effetto del suo effetto").
PIANO GNOSEOLOGICO:
come si conosce un principio? come una regola?
Se il principio ha la struttura dell'intero è impossibile che diventi oggetto del pensiero, ed infatti l'oggettivazione dell'intero è auto-contraddittoria.
Questo non vuol dire che i principi etici non hanno nulla a che vedere con l'esperienza; i principi non sono né totalmente estranei ad essa, né totalmente inseriti in essa; tra principi ed esperienza vi è quindi un rapporto problematico, che si esprime in una continua ricerca dei principi.
Posto un principio è impossibile dedurre analiticamente una regola che valga sempre ed universalmente; la regola non è deducibile dal principio.
Perché hanno questi caratteri
livello logico: un principio non può mai essere posseduto proprio perché vale incondizionatamente, ma non può nemmeno venire negato; è quindi innegabile e indeterminabile; la regola è invece parziale, quindi non potrà mai valere universalmente e incondizionatamente, per cui potrà essere confutata e negata;
livello gnoseologico: tra i due non c'è nessun rapporto di deduzione o induzione; quest'impossibilità è data dal fatto che tanto la deduzione quanto l'induzione pretendono coerenza e quindi l'omogeneità tra il punto di partenza e quello d'arrivo; questo però non è possibile perché se ad esempio si operasse un processo induttivo partendo da una regola falsificata si arriverebbe ad un principio falsificato, il che non sarebbe quindi un principio.
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