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PRINCIPI FONDAMENTALI DEL PROCESSO PENALE

giurisprudenza



PRINCIPI FONDAMENTALI DEL PROCESSO PENALE



La procedura penale è l'insieme di regole utili a disciplinare quel fenomeno sociale e giuridico che è il processo penale.

Il processo penale è un percorso di accertamento che serve a stabilire se una data pretesa punitiva è scontata o meno, ad individuare l'eventuale colpevole e ad applicare la sanzione. Tutto ciò nel rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo e delle garanzie. Il processo penale è per sua natura anche un momento di forza che implica la messa in gioco di diritti fondamentali, primo fra tutti, la libertà, ma anche l'onore, l'immagine, il decoro, il patrimonio.

Carnelutti diceva " Il processo è di per sé una pena." Questo dimostra come il procedimento di legale accertamento di per sé costituisce una tale compressione di diritti fondamentali che può assurgere a sanzione penale e perciò occorre individuare regole precise utili a ridurre al minimo la compressione di beni fondamentali.

Quindi il processo penale è il procedimento legale di accertamento condotto nel rispetto delle garanzie della persona e dei diritti fondamentali dell'individuo, o meglio delle garanzie del giusto processo. Questo è lo scopo politico del processo. Il processo penale è il riflesso di scelte politiche, o meglio è politica perché presuppone delle scelte.



Tutte le volte che bisogna scegliere e la scelta dipende da ideologie, sensibilità culturale sarà una scelta politica. Nello sviluppo della procedura penale si possono attingere momenti di elevata politicità.

Da quando l'uomo si è aggregato con i suoi simili si è posto il problema di stabilire delle regole che venissero rispettate e l'accertamento rende operativo tale rispetto, individuando che ha ragione e chi ha torto, stabilendo le conseguenze della violazione, individuando la modalità di risoluzione dei conflitti. Il processo penale risolve i conflitti sociali. Alla soluzione del conflitto si giunge attraverso un percorso che parte dall'accertamento del fatto, si sviluppa attraverso l'individuazione della responsabilità e sfocia nell'applicazione della sanzione.

I modelli processuali che hanno caratterizzato la storia del processo penale sono il sistema inquisitorio e quello accusatorio. In genere sono stati valutati come efficientista il primo e come garantista il secondo. Sono idealità astratte strutturate sulla base di caratteri generali.

Il sistema inquisitorio è caratterizzato dalla segretezza e dalla scrittura; la prova si forma e si raccoglie nella " stanza "del giudice istruttore che è nello stesso tempo accusa e giudice. Il sistema accusatorio è caratterizzato dall'oralità e dal contraddittorio; è un processo di parti al cospetto di un giudice terzo.

La distinzione efficientista e garantista non può accogliersi perché il processo è efficiente nel momento in cui risponde ad una serie di caratteristiche tutte coessenziali ed una di queste è il rispetto delle garanzie, ma anche la ragionevolezza dei tempi e l'efficienza nell'accertamento, tutti parametri che concorrono nella formazione del giusto processo.

Il processo è efficiente se garantista, se condotto nel rispetto delle garanzie.

Efficienza non equivale a individuare subito un colpevole, perché altrimenti basterebbe reintrodurre la tortura. Quindi inquisitio ed accusatio sono sistemi astratti, idealità, modelli processuali che si contrappongono ma che non si annullano. Si predilige il sistema accusatorio, ma non significa che il sistema inquisitorio sia il diavolo.

Il sistema inquisitorio puro lo troviamo nel medioevo, quello accusatorio puro nei paesi di Common Law. Più che modelli puri sono manifestazioni esasperate.

Il primo codice di procedura penale dell'Italia unita è del 1865 che prevedeva un sistema inquisitorio non particolarmente esasperato. Era caratterizzato dalla figura del giudice istruttore - figura che continua ad essere presente nel sistema italiano fino al 1988. Spiccatamente liberale fu il codice successivo, il codice Zanardelli del 1913 in cui pur se vi era un'ispirazione inquisitoria perché la fase investigativa era fase istruttoria in cui il giudice raccoglieva le prove ed era al tempo stesso giudice ed accusatore. Sul materiale probatorio così preparato decideva il giudice del dibattimento. La difesa era mera critica della prova. Il materiale probatorio era precostituito. L'arringa era il momento di massima espressione del difensore, il cui unico ruolo consisteva nel criticare il materiale probatorio. Il codice Rocco del 1930 adotta un sistema inquisitorio misto anche perché nasce in un regime autoritario, il regime fascista. Il sistema traduce l'ideologia del potere e quindi il processo - proiezione dell'ideologia totalitaria - è diretto a tutelare la collettività, intesa come Stato apparato, manifestazione dell'ideologia del potere in senso stretto. Con l'avvento della costituzione nel 1948, mutano i connotati politici, ma il sistema processuale non è radicalmente cambiato. La struttura democratica tenta un processo di adeguamento del sistema alla costituzione mediante leggi e dichiarazione di illegittimità della corte costituzionale.

Ne venne fuori un ibrido e comincia il cammino di riforme del codice di procedura penale. Prima il progetto Corsero, quindi il progetto Carnelutti fino ad arrivare alla legge delega del 1987 che porta al nuovo codice. All'art.2 enuncia i principi del giusto processo in base ai quali il codice deve attuare i principi costituzionali e convenzionali e i caratteri del sistema accusatorio.

Un processo di parti temperato dall'intervanto della giurisdizione. Una giurisdizione indipendente e imparziale, con l'ufficio del pubblico ministero indipendente e obiettivo - non è imparziale perché è parte - un processo che si basi sul contraddittorio, parità delle armi, diritto di difesa. Concetti strumentalmente connessi, che coesistono soprattutto sul versante probatorio, ma che esprimono concetti differenti.

Il centro del processo è il momento della formazione e della acquisizione della prova. Lì vive uno stile dialogico - la prova si forma in contraddittorio, quindi diritto di difesa non più solo momento di critica della prova, ma presenza fondamentale nella formazione della stessa. La prova non più come fatto segreto del giudice istruttore, ma momento dialettico che appartiene alle parti.

Nei sistemi di Common Law il giudice è colui che conduce il dibattimento e determina il rispetto delle regole. Ma il giudizio colpevole o non colpevole è della giuria, che è giudice del fatto e della responsabilità ma non ha poteri nella regolamentazione del contraddittorio che appartiene al giudice tecnico che è giudice della pena.

In Italia il giudice ha una funzione unica, di controllo e di partecipazione attiva (ad esempio poteri dispositivi artt. 506 - 507). Nel nostro processo vi è il rispetto della libertà dell'individuo, in cui vige la regola della presunzione di non colpevolezza, principio cardine e nella valutazione della prova - regola di giudizio - e nel trattamento dell'imputato - regola di trattamento. L'opzione di fondo è che la restrizione della libertà deve essere l'extrema ratio.

La ragionevolezza dei tempi processuali è principio fondamentale ed è contenuto anche nella Carta Internazionale dei diritti dove è stabilito "La giustizia tardiva non è mai giustizia". Un processo efficiente è ragionevole nei tempi.

La caratteristica fondamentale del nuovo processo delineato dalla legge delega era la scelta dello stile dialogico nella formazione della prova, che avviene in contraddittorio delle parti, davanti al giudice terzo.

Il legislatore dell'88 ha previsto la fase investigativa delle indagini preliminari svolte dal pubblico ministero che esercita l'azione penale e raccoglie il materiale probatorio che però non può essere usato nel dibattimento, per fondare una previsione di responsabilità, se non in casi eccezionali. La prova doveva acquisirsi immediatamente in alcuni casi e allora il legislatore elaborò l'istituto dell'incidente probatorio per evitare che la prova si deteriorasse. Con esso si anticipano i tratti del dibattimento. Al di là di questo limite vi è un unico meccanismo che consente il passaggio degli elementi raccolti nella fase delle indagini al dibattimento: irripetibilità dell'atto (es. Tizio, persona informata dei fatti, rende una dichiarazione e poi muore. L'atto è irripetibile) o del contesto (art. 500 vecchia formulazione, o una perquisizione se non è fatta nell'immediatezza è irripetibile).

Tranne questa eccezione la prova si doveva formare davanti al giudice e tutto ciò che era stato fatto prima non aveva valore. Questo era lo schema delle indagini preliminari completamente deformato dalla legislazione post 1988. Perché? A causa delle lungaggini processuali. Era difficile che la prova raccolta anni prima avesse lo stesso valore. Per evitare la dispersione della prova. In base al meccanismo delle cont 444h79e estazioni - eccezione allo stile dialogico - tutto ciò che fa il pubblico ministero nelle indagini può essere veicolato nel fascicolo del dibattimento.

Con la legge 356 del 1992 si incide sullo stile dialogico e soprattutto sulle dichiarazioni rese dal testimone, art.500.

Infatti questa legge è il risultato dell'adeguamento del legislatore all'orientamento della Corte Costituzionale che era intervenuta con sentenze 254 e 255 a modificare o meglio a dichiarare l'illegittimità rispettivamente dell'art. 513 comma 2° e 500 commi 3° e 4°. Lo scopo della sentenza era di evitare la dispersione dei mezzi di prova.

La legge 356 modifica l'art.500 e attraverso le contestazioni attribuisce valenza probatoria alle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari da persona informata dei fatti, che poi diventa testimone.

La prova è di tre tipi:

dichiarativa - difficile da acquisire; non preesiste al processo ma si forma nel processo. Il rapporto è tra dichiarante e fonte e tra dichiarante e colui che riceve la dichiarazione, che contesta. Occorre prima formare e poi acquisire.

documentale - si forma prima del processo e si acquisisce in esso.

tecnica

Con la legge 267 del 1997 si modificano i commi 1 e 2 dell'art. 513, mentre non viene toccato l'art. 500. Questa legge interviene introducendo precisi limiti alla lettura e all'utilizzo come prova delle dichiarazioni rese in precedenza - occorre il consenso; si consente inoltre la lettura di dichiarazioni precedenti rese da coimputati, ex art. 210, solo in caso di impossibilità sopravvenuta. Interviene quindi a modificare il 513 per una ragione politica, ovvero il conflitto tra Polo ed Ulivo all'interno della giustizia - per contrastare l'uso distorto dei collaboratori di giustizia.

Infine la sentenza 361 del 1998 con cui la Corte ha dichiarato l'irragionevolezza della disparità di disciplina del 513 dal 500.

Si è detto: mi avvalgo della facoltà di non rispondere, non mi presento in dibattimento, non ripeto le accuse, e tutto ciò che ho dichiarato in precedenza vale come prova in dibattimento contro Tizio.

Perciò questo schema è arcaico e aberrante e va abbandonato. La Corte stabilisce che "tutte le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari valgono per le contestazioni".


I principi costituzionali

Il primo grande punto di riferimento del giusto processo è la Costituzione, perché al suo interno prevede una serie di principi che hanno una diretta interferenza con il modello processuale nel senso che indicano dei momenti che devono vivere nel processo penale.

Tra i principi fondamentali il primo è l'art.2 che tutela i diritti inviolabili dell'individuo. Su questa norma ci sono state varie discussioni proprio per il suo contenuto generico ed elastico, al punto che alcuni hanno ritenuto fosse riassuntiva delle libertà e dei diritti poi successivamente specificati nella costituzione. Il costituente del 1948 ha sentito il bisogno di esaltare il concetto di diritti individuabili e di prevedere un meccanismo di tutela generale di tutti i diritti inviolabili. In quel momento storico i diritti fondamentali erano quelli specificati nella nostra costituzione, ma nulla toglie che l'evoluzione della democrazia di un popolo, della cultura, della sensibilità sociale, culturale e politica possa creare, elaborare nuovi diritti e nuove libertà non previsti specificamente - ma non per questo non tutelati, tutelati grazie al meccanismo dell'art. 2 - sono diritti individuabili successivamente e tutelati dall'art. 2. Non norma riassuntiva, ma clausola aperta che si estende a tutti i diritti inviolabili, sia quelli individuati specificamente dal costituente che quelli individuabili successivamente e dipendenti dalle evoluzioni socio - culturali.

L'art.2 fa riferimento alla persona intesa in senso statico - come singolo - ma anche in senso dinamico - nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità. Quindi riferimento dinamico all'evoluzione della personalità dell'individuo.

L'art.2 richiede l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Non solo tutela dei diritti ma anche un impegno verso gli altri, il versante collettivo - ma forse anche individuale perché la solidarietà è una componente essenziale della vita sociale. La libertà personale si confronta con le esigenze di tutela della collettività.

Il processo evoca lo scontro tra tutela della libertà del singolo e tutela della collettività: la composizione di questi due beni apparentemente in contrasto è la disciplina della libertà personale - bene fondamentale della persona.

L'art.2 dà una chiave di lettura del sistema processuale. Prevede la tutela dei diritti inderogabili ed impone l'adempimento di doveri di solidarietà sociale. Per esempio l'obbligo di testimoniare - è un imposizione "devi testimoniare" e devi testimoniare il vero, se non lo fai, vai in galera; si dispone l'accompagnamento coattivo come coercizione alla volontà.

Lo Stato impone, a fronte del rispetto dei diritti, il dovere di solidarietà, l'adempimento di doveri che riguardano tutti. Il rispetto delle regole non riguarda solo l'imputato ma tutti. L'art.2. nella sua genericità, ci fa capire come diritti non considerati fondamentali prima del 1948 ora lo sono.

Tutta l'impalcatura del processo penale nasce da un'esigenza di uguaglianza. Il principio di uguaglianza è il criterio fondamentale che stabilisce la regola centrale di convivenza, è il rapporto tra legge e cittadino. È sancito all'art.3 cost.

In molti casi l'uguaglianza è la vera discriminazione perché non tutti partono da situazioni uguali e non possono essere trattati allo stesso modo. Infatti il 2° comma stabilisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Il principio di uguaglianza ci consente di capire se la legge è legittima costituzionalmente o meno.

La legge deve essere conforme alla Costituzione. Chi controlla la conformità della legge alla Costituzione? La Corte Costituzionale.

" La legge è uguale per tutti " - la legge deve trattare in maniera simile situazioni identiche. Come stabilire se una legge - in casi simili - è legittima o meno? Con il criterio di uguaglianza.

Il criterio per stabilire il rispetto dell'uguaglianza è il principio di ragionevolezza.

La corte ha affermato che il legislatore può disciplinare come può le situazioni a condizione che non si violi il principio di ragionevolezza. La diversità di disciplina di casi simili non deve essere irragionevole ma deve avere una ratio ( e una delle ratio è ad es. la diversità della condizione di partenza).

L'art.3 è quindi regola fondamentale dei rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e la legge.

Altri principi fondamentali che asseriscono a specifici settori in particolare alla giurisdizione: indipendenza ed imparzialità (art.101 comma 2 e art.111)

Il giudice dirime i conflitti sociali che emergono dai reati. Deve avere determinate caratteristiche; innanzitutto esercita il potere di ius dicere (risolve con il "suo dire" le questioni giuridiche di fatto, i conflitti). Indipendenza ed imparzialità sono sue caratteristiche fondamentali.

Indipendenza all'interno dell'organo giudiziario - tra i giudici non c'è gerarchia ma sono soggetti solo alla legge - e all'esterno rispetto agli altri poteri - autonomia dal potere legislativo ed esecutivo; conseguenza della divisione dei poteri.

L'indipendenza è l'espressione del principio di uguaglianza, nasce dal bisogno di uguaglianza.

L'imparzialità - conseguenza dell'indipendenza - significa terzietà, equidistanza, distacco del giudice rispetto alle parti, soprattutto in un processo accusatorio tendenzialmente di parte. Il giudice è super partes. Anche questa è espressione del bisogno di uguaglianza ed è una delle direttrici per l'attuazione delle regole di uguaglianza. Infatti ci sono degli istituti diretti a rimuovere delle condizioni di parzialità del giudice (es. inimicizia, parentela, credito o debito), cioè quando il suo giudizio può essere condizionato e perde il disinteresse - rispetto alla res iudicanda - non può giudicare. Per esempio l' istituto dell'incompatibilità. Da non dimenticare che il problema dell'indipendenza e della imparzialità va ampliato. Dell'organo giudiziario fa parte anche il pubblico ministero che è rappresentante dell'accusa; è parte perché è antagonista della contesa giudiziaria - l'altro sarà l'indagato e pio l'imputato con il suo difensore, le parti eventuali.

Il pubblico ministero è indipendente ma mai imparziale perché è parte. Tuttavia rappresenta la legge e ha il dovere di obiettività, intesa come lealtà, onesta? Ma anche il legislatore dovrebbe essere leale e onesto ma non può essere obiettivo!

Con riferimento all'indipendenza c'è stato e c'è la questione della separazione delle carriere tra il pubblico ministero e il giudice? Si.

Oggi la carriera è unica (si passa facilmente dall'uno all'altro settore senza problemi) ma non va bene - perché il giudice finirà per avere un rapporto privilegiato con il pubblico ministero piuttosto che con l'avvocato, ma nei confronti di questi soggetti il giudice deve essere imparziale e terzo. L'applicazione della regola deve essere uguale per tutti. Secondo alcuni è necessario distinguere le carriere. Coloro che si oppongono a tale distinzione affermano giustamente che vi è il pericolo di attrarre il pubblico ministero nell'ambito dell'esecutivo cioè controllato dal Governo (pensate ad una situazione del genere tra gli anni 1991 - 1992, non avrebbe mai dato vita a Tangentopoli perché non poteva un Craxi essere perseguito per i reati di corruzione e finanziamento illecito dai rappresentanti di un ufficio da lui controllato !).

Il prof. immagina una netta separazione delle carriere, una impossibilità di confusione dei ruoli pubblico ministero - giudice, un pubblico ministero indipendente quanto il giudice (non dipendente dal potere esecutivo; è meglio se eletto dal popolo (es. procuratore distrettuale negli USA) perché almeno risponde ai cittadini.

Nel momento in cui si verifica un determinato reato c'è l'esigenza di sapere chi giudice dovrà giudicarlo. Non si può lasciare al caso o a regole successive al fatto o alle scelte ideologiche e politiche. Ci devono essere delle regole precise che lo stabiliscono: il giudice deve essere naturale e precostituito - art.25 cost. E' questa la misura della giurisdizione o il giudice giudica un determinato ambito ed è questa la porzione che porta alla competenza.

All'inizio con l'entrata in vigore della costituzione si riteneva che questi concetti fossero sinonimi. La Corte Costituzionale ha ritenuto che i due termini significassero lo stesso ambito concettuale: il giudice naturale è il giudice precostituito e viceversa. Secondo il prof. Riccio sono fenomeni differenti, in particolare i punti di riferimento la specialità e la straordinarietà, naturalità e precostituzione si oppongono all'individuazione dei giudici straordinari e speciali. Non sono ammessi come sappiamo i giudici speciali e gli unici sono i tribunali militari (per i reati militari commessi dai militari in servizio) e la corte costituzionale (per attentato alla Costituzione, reati commessi dal presidente della Repubblica) previsti dalla Costituzione.

Non è ammesso il giudice post factum. Il giudice deve preesistere al fatto. Quindi giudice ordinario, non speciale, non straordinario. Regole chiare che consentono di individuare l'ambito dell'attività giurisdizionale prima del fatto.

Il momento dell'esercizio dell'azione penale e quello della perpetuatio jurisdictionis.

Il giudice si distingue dal pubblico ministero perché è imparziale. Il pubblico ministero deve essere indipendente; equidistante dal giudice come lo è il difensore, perché è una parte (rappresenta lo stato, la legge) e perciò ha il dovere di obiettività (lealtà processuale, rispetto delle regole; promuove il rispetto della legge e l'attuazione della legge). E' l'organo dell'azione penale. Esercita l'azione penale che è obbligatoria: ogni qual volta esiste un reato esso va perseguito e il pubblico ministero deve esercitare l'azione penale. L'azione penale è esercitata (art. 405) con la richiesta di rinvio a giudizio o con la formulazione dell'imputazione nei casi in cui giudicano i giudici speciali. Cioè un momento successivo all'iscrizione della notizia di reato nel registro e alle indagini preliminari. L'esercizio dell'azione penale è uno dei possibili epiloghi delle indagini preliminari. In presenza di un ipotesi di reato fondata e basata su elementi seri verrà esercitata.

Esiste un obbligo preliminare del pubblico ministero che erroneamente è considerato esercizio dell'azione penale, quello di iscrivere la notizia di reato nel registro ed effettuare le indagini. Il pubblico ministero non ha discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale. Ogni fatto di reato merita di essere investigato (è ovvio che poi le conclusioni non possono essere stabilite a priori e dipenderanno dai risultati dell'investigazione). Se i risultati connoteranno una notizia di reato in una veste che la rende apparentemente perseguibile il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitarla. Questa è la norma, l'ipotesi astratta, il dato oggettivo e teorico, ma la realtà è diversa. C'è una sproporzione tra numero delle notizie di reato e pubblico ministero (che in molti casi sceglie se e come dare impulso ad una data notizia di reato e sulla base della sua scelta sarà connesso un potere discrezionale, es. su 100 processi investiga su 30).

Teoricamente la discrezionalità non rientra nel modo di essere e di ragionare del pubblico ministero, ma nella realtà è qualcosa che gli appartiene.

Nei sistemi di Common Law esiste la discrezionalità dell'azione penale. Il procuratore distrettuale sceglie se e chi perseguire. Es. Tizio, autore di gravi omicidi, decide di collaborare con la giustizia, negli USA il procuratore gli assicura l'impunità. Vi è il principio di discrezionalità dell'azione. Però il procuratore è eletto dai cittadini. In Italia il pubblico ministero non può esercitare discrezionalità, obbligatorietà, garanzia di rispetto dell'uguaglianza, perché nel momento in cui manca un margine di discrezione nel suo operato egli dovrà perseguire tutti, senza distinzione (che poi lo faccia in concreto è un altro paio di maniche).

L'intasamento della giustizia dipende dalle scelte che ogni legislatore è chiamato a fare.

Il professore è a favore di un'ampia depenalizzazione perché noi non abbiamo la forza di perseguire tutti i reati e soprattutto dobbiamo superare un'ambiguità italiana: c'è un'area penale elevatissima es. materia fiscale fino a qualche anno fa era punita l'omessa vidimazione dei libri contabili.

Meglio poche fattispecie di reato, colpire quelle condotte effettivamente lesive di beni di rilievo costituzionale. Solo quando non si possono tutelare altrimenti quei beni che si deve ricorrere al diritto penale. Pensate che esisteva ancora il reato di duello, e ancora c'è quello di emissione di assegni senza provvista! Pochi reati ma ben puniti dunque.

Il pubblico ministero deve essere obbligato a perseguire tutti i cittadini che violano le regole del codice penale. Non ad una giustizia come strumento di soluzione nei conflitti a favore dei potenti. Giustizia che risolve i conflitti a favore del cittadino, delle regole, dei valori della civiltà democratica.

Il processo può ledere, alle volte in maniera irreparabile la libertà del cittadino. Protagonista del processo è l'indagato che diventa imputato. E' titolare di diritti di libertà tra cui la libertà personale. Il processo è considerato luogo di scontro tra la libertà dell'individuo e le esigenze di tutta la collettività. Sono esigenze contrapposte.

Es. killer non condannato con sentenza definitiva, ma sotto processo in attesa di giudizio, da un lato richiede la tutela della sua libertà e dall'altro sente le "urla" di difesa della collettività che ha leso ripetutamente.

Come risolvere il contrasto? Mediante regole che stabiliscono in maniera precisa un punto di equilibrio tra opposte esigenze.

Secondo il professore queste contrapposte esigenze possono anche coincidere. La prima norma da considerare è l'art.13 comma 1 secondo cui la libertà personale è inviolabile; gli altri commi consentono la privazione della libertà prima della sentenza di condanna.

Se pensiamo all'epoca del fascismo la libertà personale aveva un valore minimo, relativo. Non era un problema che si poneva nella cultura giuridica, mentre si poneva quello dell'imputato accusato di un grave reato che doveva restare in galera fino al momento della sentenza. Tanto che la libertà in corso di giudizio si chiamava libertà provvisoria (cioè la regola era la carcerazione; esisteva il mandato di cattura obbligatorio, in caso di gravità del reato, da parte del giudice).

L'art.13 invoca il rispetto assoluto della libertà personale ma consente delle limitazioni. Ci si chiede "quanto è legittima la compressione della libertà personale durante il processo". In base solo a questa norma non si individuavano queste esigenze, poi chiamate esigenze cautelari. Tanto che si diceva esiste un vuoto dei fini - dall'art.13 non emergono le legittime finalità della carcerazione preventiva. Non esistevano fini costituzionalmente significativi, Ma non era una lettura organica della costituzione perché si poneva l'attenzione solo sull'art. 13.

Dopo alcuni anni ('70) l'attenzione si sposta su un'altra norma: art. 27 2° comma che prevede la presunzione di non colpevolezza. Autorevole dottrina evidenzia come questa presunzione ha doppia valenza:

1 - regola di giudizio per valutare la prova;

2 - regola di trattamento dell'imputato (mai equipararlo al colpevole) nel processo.

La violazione della libertà personale durante il processo non è legittima se non è finalizzata a esigenze oggettive. Comincia a trasparire la logica cautelare. Se l'imputato non = condannato; se la libertà personale non può essere violata ma occorrono regole precise che la legittimino , delle finalità precise che poi l'evoluzione sociale, storica e giuridica ha individuato nei tre pericoli (art.274)

1 - fuga

2 - tutela collettività (reati gravi o della stessa specie)

3 - inquinamento delle prove.

Il professore non condivide questa impostazione. Ma come si è arrivati alla logica cautelare?

Il primo intervento legislativo che l' ha introdotta è la legge 532 del 1982 che ha introdotto tra l'altro il tribunale della libertà (che controlla la legittimità dei provvedimenti restrittivi della libertà); poi ci sono le novelle del 1984, del 1987, dell'88 legge 330 che ha anticipato il nuovo codice che ha sostenuto il necessario collegamento delle tre esigenze alla custodia cautelare. (limitazione della libertà prima della sentenza definitiva) perché questa custodia sia legittima.

Questo finalismo cautelare diventa espressione della presunzione di non colpevolezza.

C'è un dubbio da sciogliere con riferimento alle carte internazionali dei diritti dove si parla di presunzione di innocenza. Sono la stessa cosa? Per alcuni si per altri no perché con la presunzione di innocenza si prende posizione precisa con quella di non colpevolezza si nega a priori una presunzione e nessuno può essere presunto colpevole, ma non significa che lo status di imputato possa essere uno status particolare. Il professore preferisce la tesi della non colpevolezza in quanto l'innocenza non è una terza categoria.. Non esiste l'innocenza ma esiste colpevole - non colpevole; (la categoria di riferimento è la colpevolezza rispetto ad un fatto); es. sistemi Common Law.

Non c'è l'innocenza come ulteriore categoria ontologica.

L'affermazione è la colpevolezza e se non la riesco ad affermare esiste la non colpevolezza (come negazione).

Il professore non condivide la custodia cautelare o meglio la ritiene illegittima costituzionalmente per come è costruita oggi. Durante il processo possono esserci delle esigenze da salvaguardare perché il bene "processo" è inderogabile in una società democratica e va condotto nel rispetto delle garanzie dell'imputato, del cittadino, di tutti. E' inviolabile un diritto di tutti avere un processo democratico che funzioni, un diritto tutelato dall'art.2 così nella globalità. Bisogna evitare che il percorso di legale accertamento sia intralciato, colpito da comportamenti che attentano questo bene fondamentale. In questo ambito le limitazioni sono accettate. Il professore capisce le esigenze di tutela della genuinità della prova a condizione di non ripetere le sanzioni. La tutela della prova è esigenza primaria. E' fondamentale evitare l'inquinamento della prova. Si giustifica in pieno. Il giudizio di pericolosità criminale va dato dopo un accertamento, il giudizio di un giudice condotto secondo lo stile della giurisdizione (cioè contraddittorio). Il professore capisce che ci siano esigenze endoprocessuali, interne al processo. Capisce meno il pericolo di fuga e non lo capisce proprio agli inizi della vicenda processuale. Questo serve ad assicurare che il cittadino, poi condannato, sconti la pena. Lo capirebbe dopo il passato ingiudicato ma non nel corso delle indagini preliminari. E' schizofrenia applicativa es. fuga di Lucio Gelli ( per pericolo di fuga fu applicata la custodia cautelare, dopo un po' di tempo fu scarcerato e fino alla condanna definitiva è stato libero e poi.. È fuggito e ci sono voluti 12 anni per capire che vi era questo pericolo!?!). Cultura deformata.

La custodia cautelare è nella mente dei giudici un affare delle indagini. E' un meccanismo deterrente nei confronti dell'indagato, che serve ad impressionarlo. Non è un metodo per reagire, altrimenti il professore lo capirebbe ma verso la fine del processo. Secondo il professore basta applicare la custodia tutte le volte in cui vi è un pericolo concreto di fuga prima della sentenza definitiva. Non condivide affatto la terza esigenza della pericolosità sociale della reiterazione del comportamento: se uno è pericoloso può commettere reati della stessa specie prescindendo da un accertamento. Lo strumento legislativo che il sistema appresta per tutelare il cittadino e la collettività dal pericolo di tale reiterazione è la misura di sicurezza. La custodia cautelare è una applicazione provvisoria delle misure di sicurezza? Se così fosse appare giusto che una persona arrestata perché pericolosa e dopo 15 giorni cessa la pericolosità perché magari ha confessato? E' giudizio che statisticamente espresso in fase cautelare sono infondati, è approssimativo, strumentale. La volontà strumentale è però retaggio culturale (sei delinquente e devi restare in galera): nel codice Rocco, nel codice Zanardelli, in quello del1865 la libertà era l'eccezione, la regola la custodia. Il professore dà un giudizio negativo di questa esigenza: è illegittima; meglio scindere all'interno di questa esigenza alcuni aspetti che immagina legittimi: usare la custodia cautelare per impedire che il reato sia portato ad ulteriori conseguenze - fine processuale - es. intervenire contro un'associazione criminosa. Perciò la tutela da reiterare di reati non legittimi ma è l'esigenza cautelare: Occorre in tal caso usare lo strumento della misura di sicurezza e quindi attendere la sentenza definitiva di condanna.

I diritti riguardano tutti i cittadini e il vero problema del processo penale è la durata. Il più delle volte il soggetto arrestato è scarcerato per decorrenza termini perché il processo non finisce in 2 o 3 anni di custodia cautelare e si tiene in galera una persona presunta innocente senza essere capaci di giudicarlo.

Effettività della pena - certezza della sanzione legale che interviene dopo un giudizio condotto nel rispetto delle garanzie.

Allora gli artt.13 e 27 comma 2 evidenziano la logica cautelare - limitazione della libertà per esigenze cautelari, di tutela della collettività dell'inquinamento delle prove. Effettive esigenze di garanzie degli interessi connessi al processo. Gravi indizi di colpevolezza.

Tutti hanno diritto alla difesa in ogni stadio e grado del procedimento - art. 24 comma 2. la difesa è diritto inviolabile. Spesso questo diritto viene confuso con altri due principi, quello della parità delle armi e il contraddittorio.

Il diritto di difesa è un'esigenza che si pone già con la religione e comunque è un'esigenza storica. E' un concetto condiviso da tutti, sociale. Ci sono due significati che in genere se ne danno: 1) difesa materiale o autodifesa - riguarda il soggetto interessato; 2) difesa tecnica - di un professionista qualificato.

Sono due i versanti che compongono il diritto di difesa perché due sono le esigenze connaturate all'idea di difesa:

partecipazione personale in chiave difensiva

ausilio tecnico

Nel vecchio sistema processuale - codice Rocco - prevaleva la difesa tecnica in assoluto perché si riteneva che fosse fondamentale la parità delle armi. Si doveva contrapporre al pubblico ministero un soggetto con pari armi, il difensore; l'unico modo per evitare sperequazioni. Il contesto era inquisitorio nel quale viveva la figura del giudice istruttore che raccoglie la prova nel segreto; la funzione della difesa si limitava a criticare la prova.

La dottrina (anni 60 ) invocò la necessità di difendersi provando. Il nucleo del diritto di difesa, il significato dell'art. 24 coincideva con l'esigenza di difendersi provando. Pretendere la partecipazione personale e tecnica alla formazione della prova era un'utopia - il sistema non lo consentiva nella maniera più assoluta perché solo al giudice istruttore spettava tale potere di raccolta delle prova.

La corte costituzionale chiamata ad esprimersi sulla legittimità di una serie di norme che limitavano il diritto di difesa si trovò nella necessità di ampliare gli spazi di intervento del difensore tecnico dando prevalenza a quella tecnica. Questo perché l'unico modo per dare maggiore spazio alla difesa era quella di ampliare gli spazi di intervento del difensore tecnico. Vi fu un momento storico particolare che coincise con i primi processi di terrorismo (anni 80). Non si accettava la difesa d'ufficio - addirittura si riteneva il difensore d'ufficio un servo del potere - e si chiedeva la difesa personale, l'autodifesa. Si pose il problema del rapporto tra diritto di difesa tecnica e diritto all'autodifesa. La corte costituzionale sostenne che erano due aspetti coessenziali, ma mentre quella materiale ha un ruolo, quella tecnica ne ha un altro sicuramente prevalente. Da soli non esauriscono il percorso della difesa perché la difesa tecnica è un ausilio a quella materiale che per converso da sola non può esaurire il complesso significato di un diritto che li pone come aspetti coessenziali:

difesa materiale - consiste in una seria partecipazione dell'imputato al processo

difesa tecnica - richiede la presenza di un difensore qualificato.

Entrambi devono avere una dimensione probatoria. Devono poter influire sulla prova altrimenti è mera critica. La seconda è irrinunciabile, la prima è rinunciabile. Es. imputato contumace, che decide di non difendersi: nessuno può toglierli la garanzia del difensore tecnico che ne assumerà la difesa a prescindere dalla sua volontà. Tutto ciò sotto la vigenza del codice Rocco.

Con il sistema accusatorio le parti hanno un ruolo fondamentale nella formazione della prova (stile dialogico: la prova si forma in contraddittorio delle parti dinanzi al giudice terzo). Uno dei modi per garantire il diritto di difesa è il contraddittorio che è lo stile della giurisdizione (lo stile del processo penale - di formazione della prova). Se le regole del sistema sono regole di acquisizione della prova, sono regole di rispetto delle garanzie. La giurisdizione per essere politicamente significativa deve vivere lo stile del contraddittorio.

Struttura originaria (1988) prima di interventi legislativi e della corte così: durante le indagini preliminari il pubblico ministero è "libero" di fare ciò che vuole ma tutto ciò che trova non ha valore probatorio. Se durante le indagini è necessario acquisire prima la prova o si verifica un incidente sulla libertà "scatta" il contraddittorio (meccanismo garantista) e la nomina di un difensore; in mancanza di incidenti, sulla prova e sulla libertà, non c'è contraddittorio nella fase preliminare. Fase successiva lo richiedeva necessariamente; contraddittorio non corrisponde a contrapposizione (perché gli interessi delle parti possono anche coincidere). E' un processo di parti che nella fase delle indagini è bifasico (imputato - pubblico ministero); diventa trifasico (imputato - pubblico ministero - giudice) negli incidenti. Perciò il contraddittorio non coincide con il diritto di difesa ma lo travalica. Uno dei modi per assicurare il contraddittorio è garantire il diritto di difesa e quindi la partecipazione dell'imputato al processo, la parità delle armi, la presenza dell'avvocato, pari opportunità probatoria. ( terzo elemento). Si pensi alle indagini difensive introdotte con il codice Vassalli (trovare elementi a discarico art.38 disp. att.).

Art.358 - impone al pubblico ministero di fare le investigazioni per l'imputato, come solidarietà difensiva ma non come difesa che appartiene all'imputato o al suo difensore. Se il pubblico ministero incontra elementi favorevoli non deve ignorarli ma acquisirli.

E' quindi sufficiente che ci sia la regola (del diritto di difesa) per essere utilizzata utilmente; c'è la possibilità che il cittadino non la utilizzi.

Diritto di partecipare al processo dell'imputato - garanzia

Diritto di non volersi difendere dell'imputato - scelta personale

Non aziona un diritto disponibile, si rinuncia ad una garanzia (tale è la difesa materiale).

La difesa tecnica è un diritto indisponibile - l'imputato può scegliere il difensore ma non può scegliere se farsi o meno difendere. Anche la libertà è diritto indisponibile perché l'imputato non può scegliere di essere arrestato!

Una cosa è la previsione della garanzia, un'altra è l'azionabilità della stessa (che può essere nella disponibilità delle parti). Perciò le garanzie possono essere disponibili (difesa materiale perché ciascuno vi può rinunziare) o indisponibili (difesa tecnica, irrinunciabile, prescinde dalla volontà del soggetto).

Riassumendo contraddittorio, diritto di difesa, parità delle armi, sono ambiti non necessariamente coincidenti.(anche se reciprocamente strumentali, collegati es. è difficile pensare al contraddittorio senza la presenza del difensore tecnico o non permettendogli di ricercare e produrre elementi di prova a favore del suo assistito, senza rimuovere gli ostacoli all'operato dello stesso).

Il sistema deve rimuovere gli ostacoli alla piena estrinsecazione dei diritti, altrimenti il concetto di pari opportunità probatoria rimarrà lettera morta. (si pensi ad imputati che non hanno soldi a sufficienza per far svolgere dai propri difensori le indagini difensive, certamente non potrà difendersi bene!) Ci sono troppe sperequazioni e vanno rimosse. Ci sono state varie proposte in tal senso tra cui quelle che vorrebbero consentire al difensore di utilizzare la polizia giudiziaria. E quello che è scritto in costituzione?

Il pubblico ministero ha il dovere di investigare, il difensore no. È meglio un sistema che prediliga l'attività investigativa del pubblico ministero. Il legislatore dell'88 ha dato al pubblico ministero questi poteri tanto tutto ciò che fa nelle indagini non può essere usato nella fase del processo e certamente un potere investigativo del difensore non serve in quella fase, ma servirà in dibattimento, dove le parti hanno pari posizioni e possono produrre le prove che vogliono.

Il sistema oggi è radicalmente mutato, è stato stravolto dalle sentenze della corte nel 1992 e successivamente. Perciò tutta l'attività investigativa del pubblico ministero può essere usata come prova attraverso il meccanismo delle cont 444h79e estazioni.

Oggi la sperequazione esiste, perché si pone la necessità sin dall'inizio che l'imputato cerchi gli elementi a suo favore per porsi in una posizione di parità con l'accusa.

Qual è la soluzione? Ritornare al sistema inquisitorio, all'istruzione garantita - e ci si sta tornando attraverso un irrazionale tentativo.

Quindi riprendendo l'art. 24 cost. al comma 1 è previsto un diritto di azione per tutti i cittadini, al comma 2 viene sancita l'inviolabilità della difesa in ogni stadio e grado del procedimento, al comma 3 vengono previsti - ma solo nel processo penale - mezzi di difesa per i non abbienti, al comma 4 prevede la riparazione di errori giudiziari - che non deve essere intesa come risarcimento da ingiusta detenzione.

La libertà è un diritto fondamentale, ma esiste anche un diritto alla sicurezza sociale.

Non è giusto contrapporre l'esigenza di libertà a quella di sicurezza, perché la tutela di quest'ultima rende gli uomini liberi - sono termini che in parte coincidono in quanto il secondo rende concretamente operativo il primo.

Alle volte, in nome della sicurezza sociale si comprime la libertà del cittadino e non può essere consentito, né può esserlo in nome della libertà, aprire delle falde alla sicurezza. Attualmente si discute soprattutto del tema della sicurezza, sulla necessità di aumentare l'organico delle Forze dell'ordine - anche se forse sarebbe più opportuno aumentarne la qualità - e di aumentare la quantità della pena - ma questa idea è parte di una logica deterrente perché non è la quantità della pena ma la consapevolezza della non impunità.

Il vero problema della sicurezza sociale è l'eccessivo permissivismo e impunità in Italia, per non dimenticare poi i tempi del processo. Questi sono sintomi di inefficienza ed alimentano l'insicurezza sociale. Bisogna agire sui tempi del processo, sulle capacità investigative delle forze dell'ordine che devono essere messe nelle concrete capacità di operare e non servire solo nel controllo del territorio. Questi sono elementi essenziali della sicurezza sociale che resta uno dei versanti di tutela della libertà del cittadino.

Tutto ciò per affermare il ruolo del processo penale non deve essere deputato a combattere fenomeni criminali - perché a ciò provvede il codice penale, la magistratura inquirente - ma considerato strumento di legale accertamento condotto nel rispetto delle garanzie della persona.

Un processo efficiente è sicuramente ragionevole nei tempi.

Tornando alla libertà personale ci sono due regole fondamentali da tenere presente e sono gli artt. 13 e 27.

Esiste il principio della giurisdizionalizzazione della misura cautelare, che non è contenuta in questi due articoli ma nell'art.111 cost. che prevede l'obbligo di motivazione dei provvedimenti e il ricorso per Cassazione.

Da questa norma emerge l'esclusivo potere del giudice di emettere provvedimenti restrittivi della libertà. Si è pensato che questo potere fosse ricavabile dall'art. 13 dove troviamo due riserve, di legge e di giurisdizione. Dall'art. 111 emerge una riserva di competenza dell'autorità giudiziaria che è cosa diversa dalla giurisdizione. Nell'ambito dell'autorità giudiziaria rientra anche il pubblico ministero. Anche il pubblico ministero può emettere il provvedimento limitativo della libertà personale? Il pubblico ministero non è organo giurisdizionale - ma con questo sottile errore si è legittimato il potere di cattura dello stesso per 40 anni!

Soltanto con il nuovo codice ha preso corpo il principio della giurisdizionalizzazione dei provvedimenti cautelari. Il provvedimento suddetto è di competenza del giudice - ed è previsto al riguardo un controllo di legittimità, ovvero il ricorso per cassazione. Cosa succede se il provvedimento è emesso dal pubblico ministero? Non è ricorribile per cassazione? Il pubblico ministero può emettere una certa tipologia di provvedimenti restrittivi ma sono provvisori - fermo, sequestro, perquisizione - mentre il giudice ne emette altri - che sono ricorribili per cassazione perché particolarmente incidenti sulla libertà personale.

Principio del controllo della decisione

Secondo molti questo articolo enuncia al 2° comma solo il principio dell'obbligo del ricorso per Cassazione. Bisognerebbe invece analizzare la norma per sostenere che il principio del doppio grado di giurisdizione è principio costituzionale.

Coloro che ritengono il contrario (che vogliono eliminare un grado di giurisdizione) affermano che l'art.111 cost. prevede solo il principio dell'obbligo del ricorso per cassazione - art.111 comma 2.

L'unica forma di impugnazione legittimata in costituzione è il ricorso per cassazione, ma non l'appello di merito.

Il ricorso è determinato da violazione di legge, per ragione di legittimità che implica un controllo sulla corretta applicazione della legge (a questo porta l'impugnazione). Controllare il merito significa controllare la corretta ricostruzione del fatto, la corretta valutazione delle fonti di prova. Sono momenti completamenti diversi.

La valutazioni delle fonti può dipendere da regole giuridiche, ma la ricostruzione del fatto dipende da un accertamento del fatto che è un percorso valutativo, ricostruttivo del giudice - che non ha nulla a che vedere con l'applicazione della legge.

Il controllo di legittimità esprime la funzione essenziale della corte di cassazione, la nomofilachia. La cassazione è giudice di ultima istanza, unico giudice della legittimità - perché non solo controlla la corrette applicazione della legge, ma deve rendere uniforme l'interpretazione su tutto il territorio nazionale.

Questa è la funzione del controllo di legittimità che costituisce di per sé una garanzia.

Quindi l'art.111 comma 2 non c'entra nulla con il controllo di merito. Esso stabilisce l'obbligo di motivazione per fini di uniforme interpretazione del diritto e di corretta applicazione della legge.

Invece il professore ritiene che il controllo di merito sia costituzionalizzato sia per quanto riguarda i provvedimenti restrittivi sia per le sentenze.

L'epilogo del giusto processo è la giusta sentenza ed è tale se è controllabile. Il nostro sistema è aperto alla libera valutazione del giudice e perciò deve essere controllabile. Il diritto alla sentenza giusta è un diritto inviolabile dei cittadini sancito all'art. 2 cost., perché l'evoluzione democratica, culturale, della sensibilità internazionale ha portato a ritenere che la sentenza giusta sia un diritto inviolabile del cittadini, che questo diritto rientrasse nella sfera dell'art. 2 - norma aperta a tutti i diritti inviolabili non espressamente specificati.

La possibilità di rinnovare è esplicazione del diritto di difesa - art. 24 comma 1 cost.

Che cos'è l'obbligo di motivazione? Una delle garanzie della costituzione è l'art. 111 comma 1, dove è sancito l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. Significa che il giudice deve dare contezza del processo logico e giuridico che lo ha condotto alla sua decisione. Non basta dire " Tizio è colpevole" oppure "Tizio è innocente", deve spiegare il perché, come ha ricostruito i fatti, quali norme ha applicato e perché. Deve dare ragione di sé.

Perché c'è questo obbligo di motivazione se non per far controllare la decisione del giudice? Si è detto: l'obbligo di motivazione serve a consentire il controllo popolare dell'amministrazione della giustizia.

La giustizia non è affare privato, ma pubblico e come tale è soggetta al controllo pubblico. Dubitate che nel sistema americano per esempio esista un controllo pubblico sull'amministrazione della giustizia? Lì manca l'obbligo della motivazione: la giustizia emette solo un verdetto di colpevolezza o non colpevolezza (verdetto immotivato).

Il controllo si basa su altri presupposti, è dato da altre cose. La pubblicità consente il controllo pubblico della giustizia. Magari anche la motivazione ha questa funzione, ma non può non avere la funzione di rendere riconoscibile il ragionamento giuridico del giudice sotto il profilo logico, storico, dell'applicazione della norma e del diritto in generale, onde consentirne il controllo.

Esiste nella nostra costituzione un principio fondamentale che è quello di controllo di merito della sentenza e dei provvedimenti sulla libertà personale, che sono i provvedimenti giurisdizionali per eccellenza.

Questo principio di controllo in materia di sentenza si chiama appunto doppio grado di giurisdizione, che per la maggior parte della dottrina non ha rilevanza costituzionale. I materia di provvedimenti de libertate va sotto il nome di principio di controllo dopo l'esame.

Perché dall'82 in poi il legislatore ha deciso di inserire un meccanismo di controllo del merito per i provvedimenti restrittivi della libertà personale? Prima dell'82 erano solo ricorribili per cassazione.

Perché in relazione ai provvedimenti interlocutori, cioè momentanei - il provvedimento de liberate non è mai definitivo, é un provvedimento che incide sulla libertà in maniera temporanea - il legislatore ha sentito il bisogno di inserire questo meccanismo di controllo? Perché ha ritenuto che fosse necessario il controllo di questa particolare tipologia di provvedimenti giurisdizionali che incidono sulla libertà personale in maniera forte, su un bene importante che è la libertà che insieme al diritto alla vita è un bene fondamentale di ognuno. Ecco perché si ritiene di dover controllare il merito di siffatti provvedimenti, ma non solo perché lo richiedono le carte internazionali dei diritti e in qualche modo ad essi bisogna adeguarsi, ma anche perché è stato riconosciuto un principio di controllo del merito che riguarda tutti i provvedimenti giurisdizionali.

Questo è il doppio grado di giurisdizione.  

Tutti coloro che ritengono che per accelerare i tempi del processo si possa eliminare un grado di giurisdizione, infrangono un principio costituzionale.

Altro principio è quello della ragionevolezza dei tempi. È un pilastro del sistema e la sua violazione rappresenta il vero problema del processo penale.

Un giusto processo è quello che si sviluppa in tempi ragionevoli. Spesso non è così. Una giustizia tardiva, non è mai giustizia, perché espressione di ingiustizia.

Come restituire la dignità compressa dal processo? Il processo è di per sé una pena e quando la sentenza interviene dopo 10 anni dal fatto - e per ipotesi l'imputato è innocente? Dopo 10 anni le persone, la società cambia totalmente. Dopo 10 anni dal fatto chi sarà ritenuto responsabile sarà inevitabilmente diverso da quello che l'aveva commesso. Non ci si potrà basare sul giudizio iniziale che è poi il metro di giudizio che bisogna avere per stabilire chi sia responsabile, cioè rapportandolo al fatto. La giusta giustizia è una giustizia ragionevole nei tempi. Ma esiste un diritto ad un processo rapido? Si, ed è inviolabile ed è tutelato attraverso il meccanismo dell'art.2 cost. Esiste quindi un principio costituzionale inalienabile e fondamentale che è il diritto ad un processo ragionevole nei tempi. La stessa sensibilità internazionale ha posto in primo piano questo principio: l'Italia è un paese che occupa l'80% del lavoro della corte di giustizia europea, proprio in materia di irragionevole durata dei tempi. Allora esiste questo principio di rilievo costituzionale, diritto inalienabile, fondamentale per i cittadini che è il diritto ad un processo rapido e giusto.

Ma cosa significa ragionevole nei tempi? Questa formula è solo una formula di stile, ha un significato vago e bisogna riempirne il contenuto

Noi abbiamo un punto di riferimento che è il tempo di prescrizione. È ragionevole una durata che non superi quel tempo altrimenti diventa impossibile procedere. Si tratta comunque di tempi lunghissimi, faraonici e secondo il prof bisogna costruire con molta pazienza una nuova idea che è quella della prescrizione dell'azione. L'azione penale deve essere sottoposta a brevissimi termini di durata, per imporre una durata ragionevole del processo. Ma da dove deriva la perdita di tempo nel processo italiano? Le indagini preliminari sono sottoposte a durata precisa. Esse durano 6 mesi, termine prorogabile fino a 24 mesi. Il pubblico ministero, entro il termine di durata delle indagini richiede la fissazione di un'udienza preliminare e formula una richiesta di rinvio a giudizio, entro 30 giorni viene fissata la udienza pubblica ed eventualmente il dibattimento. C'è una scansione di tempo precisa nella trattazione del processo non sono ammesse sospensioni che superino 15 giorni da un'udienza all'altra.

Il problema quindi riguarda la prassi che deforma completamente le regole, e c'è la necessità di tonificare la regola tramite le sanzioni. Bisogna individuare dei meccanismi sanzionatori che, al pari di quelli previsti per le indagini preliminari - in cui come conseguenza dello sforamento dei termini di durata è prevista la inutilizzabilità del materiale raccolto -, impediscono al processo di durare oltre certi limiti - magari prevedendo anche qui l'inutilizzabilità del materiale raccolto.

Il vero grande nemico della giustizia italiana è la durata del processo, ma non bisogna farsi prendere in giro dai mass-media. L'unica cosa che fa perdere tempo al processo sono i gradi di giurisdizione ulteriori al primo. La vera perdita di tempo sta tra la fine delle indagini preliminari e la fine del giudizio di primo grado. È nell'udienza preliminare che bisogna intervenire, sui tempi di accertamento. Un processo va trattato in un determinato momento storico, senza delazioni: bisogna incidere sull'organico dei giudici, depenalizzare fortemente, eliminare il sistema dei maxiprocessi, intervenire su tutti i criteri di efficienza del processo che non sono antagonisti alla garanzia. Efficienza e garanzia non sono opposte: il punto di riferimento in materia processuale è il processo giusto, il legale procedimento di accertamento condotto nel rispetto delle garanzie della persona il processo efficiente perché in tempi rapidi riesce ad arrivare alla soluzione della vicenda.

Per misurare l'efficienza di un processo bisogna pensare alla tutela della libertà, al contraddittorio, alla ragionevolezza dei tempi e bisogna che tra questi diritti non ci siano prevalenza, ma essi devono camminare di pari passo, così il processo è efficiente e garantista. Efficienza e garantismo non sono né contrari né sinonimi, ma sono complementari: il processo giusto è il processo efficiente e il processo che rispetta le garanzie, il processo che non esaspera l'efficienza e non esaspera le garanzie.

Il percorso che viene fatto nei meandri della costituzione italiana è importante; quando si parlerà dei soggetti e in particolare del giudice, se ne parlerà in chiave costituzionale per capire come ci sia tutta una serie di norme che, in tanto esistono, in quanto sono finalizzate a rendere operanti i principi costituzionali.

Tutta la disciplina della competenza o tutta la disciplina della giurisdizione serve a rendere operanti il principio di naturalità e precostituzione del giudice; tutta la disciplina sull'astensione e ricusazione del giudice serve a rendere operante il principio di imparzialità e indipendenza del giudice: se non esistesse l'esigenza di avere un giudice terzo, indipendente, imparziale, estraneo alla res iudicanda non ci sarebbe la necessità di parlare di astensione e ricusazione, di incompatibilità.

Polemica sul valore della fonte costituzionale sono norme programmatiche o precettive, sono principi o norme direttamente applicabili? Non c'è dubbio che la legislazione costituzionale si esprime per principi che hanno però una diretta applicazione in concreto; tanto che il giudice, quando applica la legge non è solo sottoposto alla legge, ma è sottoposto alla legge "costituzionalmente valida" cioè coerente o conforme al dettato costituzionale.

Il che non vuole dire che la costituzione è solo parametro di giudizio di legittimità di una data norma; essa è anche criterio direttamente incidente. Il giudice, quando si trova di fronte all'applicazione di una norma, deve innanzitutto sperimentare l'interpretazione costituzionalmente valida, utilizzando anche i precetti della costituzione. Se non ritiene di rintracciare un'interpretazione coerente con il dettato costituzionale deve rimettere gli atti alla corte per verificare la legittimità costituzionale della norma stessa, perché vuol dire che non ha trovato un'interpretazione coerente con la costituzione.

La ricorribilità per cassazione di tutte le sentenze non è solo scritta nel codice; essa deriva direttamente dall'applicazione dell'art. 111 cost. che è norma cogente, non è norma programmatica, cioè è norma di diretta applicazione non è norma che evoca una linea di pensiero o un ipotesi di lavoro, bensì evoca un'applicazione diretta.

Non hanno il medesimo valore le fonti internazionali.

Mentre la legislazione ordinaria è sottoposta alla costituzione nella garanzia delle fonti, la legge internazionale, (dichiarazione universale, convenzione europea e patto internazionale) è stata ratificata dallo stato italiano ma non ha una diretta incidenza nell'ambito applicativo; ci stiamo avviando verso l'unificazione dei popoli dell'Europa, che diventerà un'unificazione giuridicamente significativa, ma allo stato hanno solo una forte carica morale, cioè una forte carica di indicazioni in termini di principi, abbiamo un obbligo, nel momento in cui abbiamo ratificato le fonti internazionali, di uniformarci ad esse, ma esse non hanno diretta incidenza giuridica, hanno grande incidenza morale, grande incidenza politica, e avranno sempre di più una vincolatività interpretativa.

Sappiamo che le fonti internazionali nella procedura penale sono 3:

1 - Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo

2 - Patto internazionale dei diritti civili e politici

3 - Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Queste tre fonti non hanno una valenza simile nei senso che tra la dichiarazione universale e le altre due fonti c'è un rapporto di genus a species, nel senso che la dichiarazione universale ha una sua vastità maggiore, ma è più legata a stabilire delle linee di principio che valgono per tutti, è intervenuta in un momento storico particolare quasi coevo alla costituzione, immediatamente dopo il secondo conflitto mondiale, evoca una necessità politica che è lo stato di diritto che si cercava di imporre in sostituzione degli stati totalitari. In Europa le democrazie rappresentavano ancora dei baluardi rispetto alla regola che era quella degli stati totalitari che erano riusciti sconfitti dall'ultimo conflitto mondiale; è in questa chiave che deve essere letta una norma che pone all'art. 7 il principio di uguaglianza; stabilisce il diritto alla tutela giurisdizionale - art 8 - e soprattutto l'art. 10 sull'indipendenza e imparzialità del giudice e di diritto ad un'equa e pubblica udienza: il concetto di equità è un concetto vago ma si collega al concetto di giustizia e deve essere inteso in termini di rispetto delle regole; pubblica udienza indica la necessità del controllo pubblico sull'amministrazione della giustizia ,essa non è un fatto privato che riguarda il potere ma deve essere per tutti un dato pubblico. Quindi il criterio di indipendenza e imparzialità del giudice non è un criterio solo della nostra costituzione ma ha una validità esterna; l'art. 10 in particolare: "ogni individuo ha diritto in posizione di piena uguaglianza, ad un'equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. E' molto più pregnante della costituzione, nel senso che è molto più precisa l'indicazione che proviene dalla assemblea generale delle nazioni unite tenuta a New York il 10 dicembre 1948 ( stesso momento storico della promulgazione della carta costituzionale). La sensibilità mondiale andava oltre la mediazione della nostra costituzione che è frutto di una mediazione tra diverse parti ideologiche, quella marxista, quella socialista e quella liberal - popolare che erano le tre anime della resistenza al fascismo e sono state le tre anime della costituente. Vi era una quarta anima che non fu presente nella costituente, che era l'anima di quelli che all'epoca venivano definiti post-fascisti e poi sono diventati il movimento sociale italiano.

La nostra costituzione è frutto di una mediazione, con forte prevalenza del popolarismo del socialismo e del marxismo, condizionata dalla matrice precedente, a prescindere dalla portata fascista, che era di stampo liberale. Questa materia, in campo processualpenalistico ha dato vita al codice del 1913; quindi la matrice culturale dei costituenti italiani era liberale, il precedente storico più immediato è lo statuto albertino, che era una conquista liberale per quei tempi di monarchia costituzionale in Italia.

Tra le carte internazionali, invece, soprattutto la dichiarazione universale risente di una prevalenza dei paesi di Common Law - Stati Uniti, Inghilterra. Ci fu una chiara incidenza della dichiarazione, del pragmatismo dei sistemi di Common Law.

L'art. 11

Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un processo pubblico nel quale egli abbia avuto le garanzie necessarie alla sua difesa.

Nessun individuo sarà condannato per un comportamento, commissivo o omissivo che al momento in cui è stato perpetuato non costituisce reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale.

Questo 2° comma enuncia il principio di legalità, mentre il 1° comma enuncia il principio della presunzione di innocenza e del diritto di difesa.

Le carte internazionali parlano di presunzione di innocenza, di presunto innocente; sembra esserci nella dichiarazione universale una presunzione. La nostra costituzione afferma che nessuno può essere presunto colpevole, quindi c'è un rigetto per ogni presunzione, o meglio per la presunzione di colpevolezza.

Si tratta dello stesso principio o sono due cose diverse? Ci sono fautori della tesi secondo cui i termini sono equipollenti e fautori della tesi secondo cui i termini sono contrastanti.

Parlare di " presunzione di." o di " non presunzione di ." è un non senso perché le categorie ontologiche sono due: colpevole e non colpevole, non esiste la categoria ontologica dell'innocenza. Non si riesce ad individuare una categoria ontologica dell'innocente. Esiste la categoria di cittadino che come tale immune da sanzione penale; l'alternativa a questa figura di uomo perbene è il cittadino colpito dalla sentenza passata ingiudicato, il colpevole, per cui la contrapposizione è tra colpevole e non colpevole, non tra colpevole e innocente.

Nel periodo post fascista il problema si poneva anche perché esisteva allora un dramma che era l'insufficienza di prove per cui esisteva il colpevole, il non colpevole, il mezzo - mezzo, cioè quello nei cui confronti l'accusa non era riuscita a dimostrare, ma aveva dimostrato qualcosa.

Si pensi che addirittura l'insufficienza di prove veniva iscritta nel casellario giudiziario. Questa categoria fortunatamente è stata espunta dal sistema ed ha definitivamente abbandonato l'idea di questa possibile tripartizione: c'è solo il colpevole e il non colpevole, tertium non datur.

Quindi presunzione di non colpevolezza e presunzione di innocenza sono equipollenti, il che significa che giammai l'imputato può essere trattato come il colpevole, giammai all'imputato possono essere applicati istituti che riguardano il colpevole.

Il prof. prende posizione nettissima nei confronti della custodia cautelare perché la custodia cautelare in carcere non ha nessuna differenza con la detenzione post sentenza passata ingiudicato: l'istituto di pena è lo stesso, le stanze sono le stesse, il regime penitenziario è lo stesso, i vincoli alla persona gli stessi.

Non è giusto che un imputato in attesa di giudizio sia messo insieme al condannato, che il giovane tossicodipendente colpito da un'ordinanza di custodia cautelare perché ha commesso un reato, magari un furto, sia messo insieme ad un ergastolano reo di aver ucciso, violentato una donna o un bambino o comunque commesso vari reati contro la persona, la libertà.

Il professore non comprende queste commistioni ontologiche perché giuridicamente vede delle differenze.

La dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ha quindi una portata di carattere generale, eppure vi esprime dei principi che iniziano a dare un'indicazione pragmatica. In tutte le fonti internazionali troveremo una prevalenza del pragmatismo perché tutte queste fonti sono e prevalente cultura anglosassone, cioè prevalgono i sistemi di cammon law inglesi e americane che sono quelli prevalenti in quel momento storico.

I sistemi latini o i sistemi a ispirazione ladina, cioè del primo gruppo quello italiano, spagnolo, portoghese e del secondo quelli di origine austro-ungarico, tedesco che in diritto penale hanno, dal punto di vista scientifico, raggiunto livelli di massima espansione negli anni '80, all'epoca delle carte internazionali del diritto dal punto di vista processuale penalistico e dal punto di vista delle regole della democrazia erano sistemi sconfessati dal fatto di aver perso la guerra - la Germania, e i paesi di matrice culturale ladina, che è grande dal punto di vista culturale ed è il paese che oggi in diritto penale è sicuramente uno dei paesi più all'avanguardia, erano in quel momento storico paesi che non avevano nessuna influenza perché erano stati sconfitti nell'Europa e nel mondo, e non hanno avuto voce in capitolo. E allora la prevalenza culturale dei paesi di common law e del pragmatismo piuttosto che delle codificazioni per principi, cioè codificazione di regole direttamente incidenti.

Convenzione europea

Art. 5   paragrafo 1

Due ambiti sono fondamentali ed essenziali allo sviluppo della personalità umana: il diritto alla libertà e il diritto alla sicurezza.

Nella costituzione non c'è una norma di analoga portata, mentre è una norma fondamentale perché indica immediatamente la strada da seguire: diritto alla libertà e diritto alla sicurezza come coessenziali. Immediatamente dopo questa enunciazione è prevista una serie di capi in cui è legittima la limitazione della libertà: questo articolo affronta subito il problema del rapporto tra principi e regole, dirà quali sono i principi,che coesistono, possono creare momenti di conflitto, e hanno bisogno di regole che li contemperino; immediatamente dopo sono indicati i casi di legittima violazione della libertà personale, e poi si addentra nella enucleazione di una serie di principi fondamentali che hanno una valenza in termini processuali penalistici, primo dei quali è il diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole: viene ratificato il principio della ragionevolezza dei tempi del processo (art. 5 paragrafo 3) "Ogni persona arrestata o detenuta ha diritto ad essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere posta in libertà durante l'istruttoria" - si collega la ragionevolezza alla libertà.

La convenzione è del 1950 ed è stata ratificata nel 1955, ma per la prima volta l'opzione per giudizi entro un termine ragionevole.

Il paragrafo 4, direttamente incidente in materia di libertà personale, indica il principio del controllo dei provvedimenti restrittivi della libertà personale: ogni persona ha diritto al riesame dei provvedimenti restrittivi davanti ad un tribunale imparziale e indipendente (diritto al riesame di ogni provvedimento restrittivo della sua libertà).

Art. 6 indica il diritto di un'equa e pubblica udienza al giudizio in termini ragionevoli avanti a un giudice imparziale costituito per legge. Viene disancorato il riferimento della ragionevolezza dei tempi alla libertà perché non riguarda più la libertà ma il giudizio in senso lato (tempo ragionevole del giudice imparziale precostituito per legge).

Iniziano a delinearsi categorie giuridiche note alla costituzione: precostituzione, naturalità, imparzialità, indipendenza, ragionevolezza dei tempi, quest'ultima funge da indicazione di prospettiva nel senso che il legislatore europeo rimette al legislatore dello specifico paese, di stabilire quale sia il tempo ragionevole del processo.

L'Italia ha costruito un processo profondamente irragionevole nei tempi e si scontra con questo diritto.

Il paragrafo 2 dell'art.6 ricostruisce la presunzione di innocenza.

Molto importante è il paragrafo 3 dell'art. 6 perché indica una serie di diritti della persona che giocano un ruolo fondamentale nel processo penale: questi diritti sono garanzie fondamentali del processo penale.

1 - diritto ad essere informato dell'accusa. È un diritto ben individuabile in concreto. L'imputazione diventa un punto di riferimento della correlazione che deve necessariamente coniugare la contestazione dell'accusa con la sentenza; il giudice può conoscere e decidere solo dell'imputazione; l'imputato ha il diritto che la sentenza coincida con l'imputazione. Questi diritti sono diretta impressione delle fonti internazionali dei diritti; questo diritto è ricavabile anche dalla costituzione.

2 - avere il tempo utile per poter predisporre la difesa;

3 - riferimento tipicamente anglosassone è il difendersi da sé o a mezzo di un difensore tecnicamente qualificato. Nei sistemi europei è conosciuta l'autodifesa che invece il sistema italiano non riconosce. Il problema fu posto soprattutto dai terroristi nei processi che si svolgevano a Torino e a Napoli: essi non avevano un difensore di fiducia e non volevano il difensore d'ufficio perché secondo loro in qualche modo rappresentavano lo stato (si pensi che fu ucciso l'avvocato Croce, presidente dell'ordine degli avvocati di Torino, che fu chiamato ad assumere la difesa d'ufficio, perché lo consideravano un baluardo della statualità che loro combattevano)

L corte costituzionale investita del problema si limitò a confermare il diritto alla difesa tecnica, era un diritto irrinunciabile.

Il significato dell'art.24 comma 2 cost. è un significato ampio: difesa tecnica e autodifesa o difesa materiale coincidono nel senso che costituiscono insieme il significato profondo del diritto di difesa, ma mentre il diritto all'autodifesa è rinunziabile, il diritto alla difesa tecnica è irrinunciabile, tant'è che se l'imputato non ha o non sceglie un difensore di fiducia gli viene nominato sin dal primo atto un difensore d'ufficio che ha gli stessi diritti e gli stessi doveri del difensore di fiducia, anche se il sistema privilegia il mandato fiduciario. La nomina successiva del difensore equivale a perdita di efficacia della nomina del difensore di ufficio, ma comunque un difensore è necessario in rapporto al pubblico ministero - occorre una persona altrettanto qualificata. Questa è la matrice del diritto di difesa: parità delle armi con il sistema accusatorio diventa sempre più contraddittorio, pari opportunità probatoria.

4. Ogni imputato ha il diritto di interrogare o di far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la convocazione dei testimoni a discarico. Questa disposizione indica la valenza in termini di principio dell'esame diretto e del controesame - cross examination. È un diritto fondamentale quello dell'esame e diretto del testimone, ed è fondamentale il diritto alla prova. Questa norma ha una portata di significato enorme perché tipica del sistema accusatorio. La grande contrapposizione è tra sistema inquisitorio - la prova si forma nel segreto - ed accusatorio - la prova si forma nel contraddittorio delle parti davanti il giudice terzo.

Il modello originario del codice del 1988 prevedeva che la fase delle indagini serve alle determinazioni inerenti l'esercizio dell'azione penale, tutto ciò che è raccolto nelle indagini non ha valore di prova. La prova si forma in dibattimento, ad eccezione degli atti irripetibili oppure del contraddittorio anticipato, cioè dell'incidente probatorio. Questa regola è stata poi deformata dagli interventi della Corte nel 1992 - ha previsto che tutti gli atti di indagine possono essere utilizzati nel dibattimento attraverso il meccanismo delle cont 444h79e estazioni ( esempio Tizio viene accusato da Caio, imputato di reato connesso, nelle indagini. Caio in dibattimento si avvale della facoltà di non rispondere. Il pubblico ministero contesta a Caio le dichiarazioni che ha reso nelle indagini. Queste vengono acquisite come prova, con "buona pace" ad interrogare i tests di Caio e quindi alla formazione della prova in contraddittorio. Il diritto a partecipare alla formazione delle prove è importante perché, mentre la prova documentale preesiste al processo, quella dichiarativa ed orale - testimonianze, dichiarazioni dell'imputato, chiamata in correo, chiamata di coimputato - si forma nel processo nel rapporto tra interrogato ed interrogatore. Il contenuto di un atto di interrogatorio di un test o di esame del test al dibattimento dipenderà dal modo in cui si pongono le domande, dal modo in cui ci si rapporta nei confronti del test - c'è un sottile gioco psicologico che è decisivo quando si parla con soggetti detenuti privati della libertà personale. Prima della riforma del 1995 non vi era l'obbligo di videoregistrare o fonoregistrare gli interrogatori dei detenuti, ma vi era il verbalizzante che traduceva le sue dichiarazioni. Si immagini che quest'opera di traduzione verta su termini dialettali, e il soggetto addetto alla traduzione non capisca il dialetto per cui potrebbe interpretare un termine o una frase in maniera differente. La prova orale è frutto di mediazione e perciò va valutata con attenzione. Il problema oggi si pone con riferimento alla fonoregistrazione, obbligatoria per il soggetto detenuto, ma non per il testimone o il coimputato libero - ecco perché la contestazione anche in tal caso diventa difficile da comprendere. Questo principio viene costantemente disatteso, pur essendo fondamentale perché è il nucleo del diritto alla prova.

Il protocollo aggiuntivo 7 all'art. 2 stabilisce il diritto al controllo della sentenza sfavorevole.

5. Il diritto di farsi assistere da un interprete.

Se uno dei diritti è quello di essere informato dall'accusa e la persona imputata non parla la lingua dello Stato in cui è processata diventa arduo per questa comprendere l'accusa formulata e l'evoluzione del processo. La Convenzione europea ha stabilito regole uguali per tutti in modo che il cittadino italiano sia salvaguardato ad esempio in Olanda, Germania, Francia e viceversa. Quindi questo significa diritto di vedersi tradotte nella lingua madre accusa ed evoluzione - svolgimento -del processo.

Patto internazionale dei diritti civili e politici

Innanzitutto viene stabilito all'art. 10 il diritto a trattamenti conformi al senso di umanità, nonché il rispetto della dignità umana nel caso di privazione della libertà personale.

Il comma 2 dell'art. 14 prevede una serie di regole processuali:

a)  uguaglianza davanti ala giurisdizione;

b)  diritto ad un'equa e pubblica udienza;

c)  diritto ad un giudizio indipendente ed imparziale davanti ad un giudice competente per legge, quindi naturale e precostituito.

Il paragrafo 2 prevede la presunzione di innocenza.

Il paragrafo 3 stabilisce delle garanzie minime al di sotto delle quali il processo non è considerato giusto:

a)  diritto ad essere informato sollecitamente e precisamente dell'accusa;

b)  avere un tempo minimo per preparare la difesa;

c)  diritto ad essere giudicato senza ritardo;

d)  diritto ad essere presente al processo e a difendersi personalmente - autodifesa - o a mezzo di un difensore - difesa tecnica;

e)  diritto di interrogare i test a carico e a discarico.

L'art.5 prevede il diritto al controllo della sentenza sfavorevole.

Questi quattro atti - costituzione e carte internazionali - camminano di pari passo pur nel rispetto massimo dovuto alla costituzione che è la fonte primaria nel nostro ordinamento. Le altre hanno forza morale e politica di indirizzo e di interpretazione.

Tutte e quattro contribuiscono, per l'art.2 legge delega e per la voluntas legis, alla realizzazione del giusto processo.





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