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Lineamenti di diritto pubblico - Il diritto, i soggetti, gli atti: nozioni di base.

giurisprudenza



Lineamenti di diritto pubblico


I. Il diritto, i soggetti, gli atti: nozioni di base.


1 (Diritto)

Ciascuno sa per esperienza, che cosa significhi comportarsi secondo regole. I comportamenti umani, possono oltre che permessi, prescritti oppure vietati. I nostri possibili comportamenti formano l'oggetto di una regola (o norma) che stabilisce se essi possano, non possano oppure debbono essere tenuti.

Regole di questo tipo non si riferiscono a singole persone o a singoli casi, ma valgono per chiunque (sono generali) e tutte le volte che una persona si trovi in quella condizione (sono astratte).

Esistono poi altre regole che corrispondono a leggi "naturali", o economiche, che non impongono comportamenti, ma costatano che essi si verificano (sono descrittive).

Un comportamento diverso e difforme, costituisce una trasgressione della regola. Le conseguenze negative che colpiscono il trasgressore si chiamano (nel linguaggio giuridico) sanzioni.



Le regole del diritto, o norme giuridiche sono regole prescrittive, cioè regole che disciplinano comportamenti umani, prescrivendo quali siano da tenere e quali da evitare.

La differenziazione delle regole giuridiche da altre regole prescrittive (morali o religiose) è propria delle società evolute. Poi dovranno essere individuate le persone (autorità o giudici) abilitate dalle regole del gruppo sociale ad infliggere sanzioni.

Le regole mediante le quali la comunità organizzata:

a.   Individua i comportamenti da tenere o da evitare;

b.  Prevede le sanzioni per coloro che non rispettino le regole di comportamento;

c.   Istituisce le autorità cui spetta il compito di infliggere sanzioni.

Possiamo allora dire che tali regole sono le regole del diritto (norme giuridiche) che costituiscono il diritto obiettivo.

Le regole giuridiche vengono prodotte dal gruppo sociale medesimo in modo volontario e consapevole, attraverso atti giuridici normativi, o atti-fonte. Per fonte del diritto, intendiamo ogni atto o fatto idoneo a produrre norme giuridiche. Il compito di elaborare e introdurre norme da seguire è affidato a determinate persone, che rivestono nel gruppo una posizione di autorità o di potere.

Si possono distinguere vari tipi di categorie o norme giuridiche. Oltre alle norme destinate a disciplinare il comportamento delle persone (norme-precetto) vi sono norme che prevedono le sanzioni da infliggere ai trasgressori (norme-sanzione), e norme volte a stabilire quali autorità (o persone) abbiano il compito di giudicare delle trasgressioni o sanzioni (norme di organizzazione di pubblici poteri) e norme che stabiliscono quali autorità (o persone) possono decidere la creazione di nuove norme o la modificazione o eliminazione di altre (norme sulla produzione di norme giuridiche).

L'insieme delle norme giuridiche di un gruppo sociale costituisce un ordinamento giuridico. Un ordinamento contiene norme-precetto, norme-sanzione, norme organizzative, norme sulla produzione giuridica e norme sulla produzione di altri atti giuridici come contratti, leggi provvedimento, sentenze, ecc..

Dato che l'ordinamento si collega all'esistenza del gruppo sociale, è evidente che esistono diversi ordinamenti. Però si considerano ordinamenti giuridici solo quelli dei gruppi sociali indipendenti, che sono i gruppi organizzati nella forma dello Stato (gruppi costituiti da un popolo, che sono sovrano in un determinato territorio), perciò i fondamentali ordinamenti giuridici sono gli ordinamenti statali (esistono altri ordinamenti, come quelli internazionali o canonici).

Una caratteristica importante dell'ordinamento è il carattere pubblico dell'ordinamento.

Poiché esistono più ordinamenti giuridici, può accadere che l'uno prescriva ciò che l'altro vieti, perciò nel diritto il valore non è mai assoluto ma relativo (principio della relatività dei valori).

Possiamo anche ammettere la possibilità che una norma posta in essere possa essere ingiusta; bisogna allora precisare che il diritto è diritto positivo (posto) e non diritto naturale. Risulta più agevole intendersi non sui contenuti delle norme ma sui modi della loro formazione, in questo modo le norme giuridiche esistono e valgono non perché "giuste" ma perché sono venute in essere (sono state "poste"), si dice perciò che il diritto è diritto positivo.

Esistono però dei testimoni che vengono accettati come "giusti" e posti a fondamento dell'intera normazione ed organizzazione della collettività, come la Costituzione.

I criteri fondamentali di legittimazione di certe autorità come autorità massime (come "legislatore supremo") esistono, semplicemente e di fatto, in quanto essi sono riconosciuti nell'ambito di quel gruppo sociale.

I criteri supremi secondo i quali un gruppo sociale riconosce ed accetta i principi supremi sulla produzione di norme giuridiche non sono criteri giuridici ma criteri politici.

Deve essere poi chiaro che parlando di diritto fondato sul consenso e diritto fondato sulla forza, si indicano le ipotesi estreme. In realtà nessun sistema giuridico può rinunciare ad imporsi con la forza a coloro i quali non la accettino.


2 (Le norme e la loro applicazione)

La maggior parte delle norme sono norme scritte, come le leggi e i regolamenti. Ci sono però anche norme non scritte, come quelle consuetudinarie, le quali si formano, quando attraverso successive ripetizioni di un comportamento, finisca per essere avvertito come giuridicamente doveroso.

Caratteristico delle norme scritte è di presentarsi come un messaggio linguistico, composto di parole e di frasi, che costituiscono il testo normativo. Nella norma scritta il testo normativo è l'essenziale, perché in primo luogo da quelle determinate parole e frasi che si può e si deve ricavare il significato della norma.

La prescrizione, considerata nel suo testo normativo si chiama disposizione, mentre la norma è la prescrizione considerata nel suo significato, in ciò che ha voluto dire il legislatore attraverso la disposizione.

Le disposizioni di ogni legge, regolamenti o atti, sono scritte in articoli. Ma se la legge è ampia può essere raggruppata in unità maggiori. Il codice civile è diviso in Libri, a loro volta in Titoli, che sono divisi in Capi, poi in Sezioni e finalmente in articoli. A volte gli articoli sono individuati oltre che da un numero, anche da un titoletto chiamato rubrica. Il contenuto di ogni articolo è distribuito in commi.

Quando si applica una norma è necessario accertarsi che si tratti di norme in vigore ed esistenti, cioè che siano state pubblicate o sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, o nel Bollettino Ufficiale della Regione, o affisse all'albo pretorio se norme comunali.

La pubblicazione ha lo scopo di consentire la conoscenza delle norme a tutti coloro che dovranno rispettarle o applicarle. Il periodo di tempo durante il quale le norme pubblicate non sono ancora in vigore si dice vacatio legis (normalmente 15 giorni). Nel momento dell'entrata in vigore le norme diventano efficaci e vincolanti per tutti. Nell'ordinamento giuridico italiano l'art. 5 del codice penale dice: "nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale".

Può darsi che una legge disponga la propria retroattività, ma può solo portare un vantaggio per i destinatari, e la Costituzione all'art. 25 comma 2 dispone che "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".

Si è detto che le norme prescrivono comportamenti, nel senso che stabiliscono quali conseguenze debbano derivare dai comportamenti in concreto posti in essere. In sostanza, la norma giuridica "disegna" o "schizza" con le parole i tratti essenziali dell'accadimento, ovvero la fattispecie. L'accadimento compiuto dalla norma si dice fattispecie astratta, mentre il fatto nella sua reale esistenza si dice fattispecie concreta.

Applicare una norma significa sempre verificare il suo significato in relazione al caso concreto, cioè significa interpretarla. Per interpretazione, intendiamo quell'operazione intellettuale mediante la quale si perviene a chiarire quale significato debba attribuire alle frasi e parole con le quali la norma è espressa.

Perché si tratta di chiarire il significato di norme scritte è chiaro che l'elemento letterale, le parole e le frasi, hanno una grande importanza. Bisogna presupporre che la norma persegue un intento razionale, e un risultato logico e quindi nell'applicare la legge non si può attribuire altro senso che quello palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore.

Per indicare la necessità di intendere il significato di ogni norma nel collegamento con il significato delle altre norme si parla di interpretazione sistematica.

È evidente che l'interpretazione data da "chiunque"non può avere la stessa importanza di quella degli specialisti (studiosi del diritto), la cui opera forma la dottrina. Però, anche l'interpretazione dottrinale non ha nessun valore legale.

La parola definitiva sulle applicazioni delle disposizioni spetta ai giudici attraverso le loro sentenze, spetta cioè alla giurisprudenza l'interpretazione giurisprudenziale o giudiziale che ha la maggiore importanza

A seconda del risultato a cui giunge l'interpretazione può essere estensiva o restrittiva, la prima (interpretazione estensiva) la parola usata nella legge ha un significato troppo ristretto alle intenzioni del legislatore, la seconda (interpretazione restrittiva) il contrario.

Infine se è lo stesso legislatore ad interpretare la norma con un'altra norma si dice interpretazione autentica.

Il risultato di tutto questo è un sillogismo (giudiziale): enunciazione della regola (premessa maggiore), asserzione del caso in esame come caso corrispondente alla regola (premessa minore), applicazione della regola enunciata al caso concreto (conclusione).

Le norme giuridiche sono molte: ma ciononostante non è certo possibile che esse disciplinino ogni possibile caso o eventualità (problema delle lacune). Il problema si risolve attraverso l'analogia (analogia legis) se il caso non è esplicitamente previsto, può darsi che ci siano norme che riguardano casi che sono simili a quello che deve essere risolto.

Si parla allora di analogia di legge (che non corre tra norma e norma, e neanche tra norma e caso, ma solo fra 2 casi). Non è perù ammesso il ricorso all'analogia quando si tratti di norme penali.

Può accadere però che anche per analogia non vada bene, allora il giudice può decidere secondo diritto, e dovrà ricercare i criteri orientativi delle norme giuridiche vigenti che possono essere utili a risolvere il caso: principi generali dell'ordinamento giuridico (analogia iuris).


3 (I rapporti tra norme giuridiche)

Si può immaginare un ordinamento giuridico, in cui le norme siano poste in una volta sola e tutte insieme, senza che si possa fare luogo alla produzione di altre norme giuridiche (comandamenti di Mosè); questo ordinamento è un ordinamento statico. Ci sono però anche ordinamenti dinamici in cui le fonti sono in grado di produrre stabilmente e continuamente nuove norme giuridiche.

Ogni norma prodotta sviluppa l'ordinamento, ma può accadere che una nuova norma disciplini in modo diverso una materia già prima disciplinata, quindi una nuova norma esclude una vecchia (criterio cronologico). Il risultato è l'abrogazione della norma precedente. Quando una norma viene abrogata perde la sua efficacia solo per il futuro.

Ci sono 3 modi di abrogazione: espressa si ha quando la nuova norma individua quali delle norme precedenti vengono abrogate; tacita si ha quando il venir meno della norma precedente si ricava dal contrasto con la norma seguente; per nuova disciplina quando occorra conveniente riordinare e raccogliere una nuova materia in un unico atto normativo ("testi unici").

Se la nuova norma si trova in contrasto solo in certi casi si parla di deroga e non di abrogazione.

Le norme giuridiche non sono mai poste da una sola ed unica fonte. Alle norme poste dalla legge si affiancano norme frutto di decreti legislativi, decreti legge, leggi regionali, o regolamenti. Con tali nomi, infatti, si indicano diverse fonti, cioè diversi modi di produzione del diritto.

È possibile che 2 o più fonti possano porre norme della stessa materia, se esse non sono in contrasto tra loro, non fanno altro che affiancarsi ed assommarsi l'una con l'altra.

Quando 2 fonti possono dettare norme nella stessa materia, può accadere che sono poste su un piano di equivalenza o di parità. In questo caso le 2 fonti hanno la stessa forza. La forza di un atto normativo misura la capacità di innovare rispetto alle norme preesistenti, modificandole o abrogandole o di resistere alle innovazioni che venissero introdotte da norme non dotate della stessa forza.

Nel diritto italiano sono poste su un piano di parità la legge, il decreto legislativo, e il decreto legge.

In altri casi accade che una fonte sia subordinata all'altra, si parla allora di gerarchia tra le fonti. Nel diritto italiano la Costituzione e le leggi costituzionali sono superiori alla legge ordinaria.

Non è detto però che a tutte le fonti sia assegnato lo stesso ambito di materia. Potremo dire ad esempio che fonte statale e fonte regionale hanno diversa competenza escludendo così ogni legittima concorrenza.

Nel nostro ordinamento le norme possono essere giudicate illegittime sola dalla Corte costituzionale.


4 (I soggetti)

I destinatari delle norme giuridiche si dicono soggetti di diritto e sono le persone cui le norme si applicano, in modo tale che le loro posizioni risultino disciplinate come diritti, o come obblighi, o come doveri o poteri, in sintesi come una delle situazioni giuridiche soggettive. Essere soggetti significa essere capaci di 929b17j essere titolari di diritti, obblighi e altre situazioni giuridiche. Questa capacità si chiama capacità giuridica ed è propria per coloro che siano considerate persone. I soggetti di diritto sono i singoli individui, che nel linguaggio giuridico si chiamano persone fisiche.

La capacità giuridica si acquista nel momento della nascita e nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica (art. 22, Cost.).

Per ogni persona fisica alcuni luoghi hanno un rilievo giuridico speciale: la residenza e il domicilio.

Il codice civile definisce la residenza il luogo in cui la persona ha dimora abituale (art. 43, co. 2, Cost.) mentre il domicilio il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.

Se una persona è dichiarata scomparsa viene nominato un curatore, che provvede ad amministrare i suoi beni (art. 48 c.c.).

Trascorsi 2 anni dalla sua ultima notizia si apre il testamento (se c'è) e gli eredi possono ottenere l'immissione nel possesso temporaneo dei beni (art. 49 c.c.) e godere i frutti. Dopo 10 anni dalla sua ultima notizia si chiede la dichiarazione di morte presunta e gli eredi possono disporre liberamente dei beni.

Tutte le persone fisiche hanno una capacità giuridica, ma un neonato la possiede ma non è in grado di agire. La capacità di agire è ciò che consente ad un soggetto di compiere azioni (atti giuridici) alle quali si collegano effetti giuridici. La mancanza di capacità d'agire è perciò per il neonato una pura conseguenza della mancanza di una capacità naturale.

Per il diritto i minori (d'età) sono mediamente capaci di intendere e di volere, ma solo con la maggiore età si diventa capaci di compiere qualunque atto giuridicamente rilevante.

La capacità d'agire può anche essere perduta totalmente con l'interdizione, per i soggetti che sono incapaci di provvedere ai propri interessi (art. 414 c.c.) e si nomina un tutore; si perde solo parzialmente con l'inabilitazione per soggetti che ad esempio mettono a repentaglio la sicurezza economica della famiglia (art. 415 c.c.) e in questo caso si nomina un curatore.

Può succedere che qualcuno si trovi ad essere incapace di intendere e di volere transitoriamente (ubriachezza, malattia,.) (art. 428 c.c.) in questo caso si parla di incapacità naturale.

È possibile agire per atti, attraverso la rappresentanza ovvero il potere di agire producendo effetti giuridici per un'altra persona. Il potere può derivare dalla legge (rappresentanza legale) o della volontà di colui per il quale l'atto viene compiuto (rappresentanza volontaria).

L'atto con il quale una persona volontariamente conferisce ad altra persona la rappresentanza si chiama procura. Può riguardare singoli affari (procura speciale) o tutti gli affari di una persona (procura generale). Una forma di rappresentanza con caratteri particolari si realizza nel caso delle persone giuridiche, cioè soggetti che sono organizzazioni, come una società o un ente pubblico. Si parla in questo caso di rappresentanza organica che non è però un vero rapporto di rappresentanza tra 2 soggetti, dato che il "rappresentante" opera come parte dell'organizzazione persona giuridica.

Nell'ambito della vita associata operano ed agiscono non solo singoli individui ma anche organizzazioni, che sono formate da componenti (singoli individui).

Possiamo definire un'organizzazione come un insieme di persone fisiche unificato da:

regole che determinano gli scopi comuni;

regole sull'appartenenza dei soggetti all'organizzazione;

regole sulle risorse da acquisire ed utilizzare per il conseguimento degli scopi;

regole per determinare quali dei soggetti appartenenti all'organizzazione possono e debbono agire per essa.

Nella vita sociale ogni organizzazione costituisce una unità separata e diversa dai soggetti fisici che la compongono. All'unità sociale viene fatta corrispondere un'unità giuridica, con la creazione di una "persona" che è soggetto di diritto nello stesso senso in cui lo sono le persone fisiche (essere titolari di diritti, obblighi,.).

Lo strumento della persona giuridica offre molti vantaggi: uno dei più importanti consiste nella separazione della responsabilità patrimoniale dell'organizzazione da quella delle persone che la compongono. Le persone giuridiche hanno la sede in un determinato luogo.

NB. I partiti e i sindacati non sono persone giuridiche.

Le organizzazioni possono essere distinte in organizzazioni del tipo della associazione e della fondazione. Nelle organizzazioni di tipo associativo abbiamo più persone che stringono tra loro un accordo di collaborazione per perseguire insieme un determinato scopo. In queste l'elemento patrimoniale ha il suo peso. A questo tipo appartengono non solo le associazioni ma anche le società commerciali. Nelle organizzazioni del tipo della fondazione, l'istituzione è creata (a fini di generale utilità) da un atto iniziale di un solo soggetto.

Nel diritto privato sia le associazioni che le fondazioni diventano persone giuridiche con un apposito atto di riconoscimento da parte della pubblica amministrazione, che valuterà la liceità e la serietà degli scopi del nuovo ente.

L'associazione deve necessariamente avere un'assemblea di soci, che deve essere convocata almeno una volta all'anno per l'approvazione del bilancio. La disciplina dell'organizzazione è contenuta in un atto chiamato statuto. La vita e gli atti delle fondazioni sono sottoposti a controlli dell'autorità pubblica, che può annullare deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico e al buon costume. Le associazioni possono esistere anche senza riconoscimento, soltanto che non diventano persone giuridiche, ma rimangono allo stato di associazioni non riconosciute.

Più persone fisiche possono decidere di agire insieme per scopi di pubblica utilità, questa organizzazione ha un carattere provvisorio, e prende il nome di comitato, ed esaurito lo scopo si scioglie.

In una comunità indipendente ci sono altre organizzazioni costituite affinché la convivenza di tutti, e la vita sociale in generale possa svolgersi in modo sufficientemente ordinato e sicuro.

A questo fine provvede lo Stato (che è un organizzazione) ma anche Regioni, Province e Comuni.

Così come le norme del diritto considerano alcune organizzazioni private come autonomi soggetti (persone giuridiche) allo stesso modo considerano come persone giuridiche anche organizzazioni di diverso tipo, che mirano al soddisfacimento degli interessi della comunità, o interessi pubblici, e si dicono persone giuridiche pubbliche o enti pubblici. Gli enti pubblici hanno capacità giuridica e hanno speciali poteri chiamati potestà, come imporre determinati comportamenti con propri atti normativi o con propri provvedimenti.


5 (Le situazioni giuridiche soggettive. I beni)

Diritto e obbligo sono 2 posizioni, nelle quali i soggetti si possono trovare nei confronti di certe persone, in relazione a certi beni e si chiamano situazioni giuridiche soggettive, che possono essere vantaggiose (diritto) o svantaggiose (obbligo).

Si ha un diritto soggettivo quando ci è garantito il godimento di un determinato bene della vita, che può essere una cosa o un servizio o una somma di denaro.

La garanzia del diritto soggettivo è fornita dal "diritto". La garanzia del godimento è offerta dalla possibilità di ottenere il riconoscimento e la riparazione ad opera di un giudice con una sentenza.

Si distingue poi tra diritti assoluti e diritti relativi.

I diritti assoluti si hanno in relazione ad ogni altro soggetto. NB. Nessuno è obbligato ad un comportamento, tutti sono tenuti a non ledere il nostro diritto.

I diritti relativi si hanno in relazione a soggetti determinati (che si trovano in situazione di obbligo). Diritto o obbligo formano il rapporto giuridico.

I diritti relativi sono soggetti a venir meno se non vengono esercitati per molto tempo (prescrizione).

Nell'ambito dei diritti assoluti ci sono i diritti reali che si definiscono come diritti assoluti aventi ad oggetto le cose.

Si parla di facoltà per indicare ciò che il titolare del diritto può fare rispetto al bene il cui godimento gli è garantito, in pratica non muta la situazione giuridica del bene o dei soggetti.

Per potere giuridico si intende la possibilità data ad un soggetto di produrre effetti giuridici con propri atti. La capacità d'agire non è altro che la capacità di esercitare i poteri giuridici, di cui un soggetto si trovi ad essere titolare. Possiamo anche dire che i poteri giuridici si realizzano mediante atti volontari, ma non derivano dalla volontà, bensì dalle norme del diritto.

Il potere giuridico ha ad oggetto beni della vita, ma non consiste in una garanzia di godimento (diritto soggettivo), bensì dalla possibilità di mutarne la condizione giuridica.

Si distinguono poteri ad esercizio unilaterale e poteri ad esercizio bilaterale. I primi sono quelli che possono essere esercitati da un solo soggetto, i secondi sono quelli che richiedono la partecipazione di almeno due soggetti.

Caratteristici poteri unilaterali sono quelli delle autorità come fare leggi, sentenza, provvedimenti amministrativi, in quanto si trovano in una posizione di "superiorità", e questi poteri si chiamano potestà, che può essere normativa, giurisdizionale o amministrativa.

L'autorità amministrativa ha anche la possibilità di sopprimere un diritto del proprietario di un bene ed espropriarlo mediante un atto per ragioni di pubblica autorità; si trova in una situazione di svantaggio che chiameremo di soggezione.

NB. Se l'atto di espropriazione non è conforme alla legge l'espropriato può attenere dal giudice l'annullamento dell'atto di esproprio.

Interesse legittimo è una situazione di svantaggio che si possiede di fronte al potere dell'amministrazione. L'interesse leso dall'atto dell'autorità amministrativa è protetto con la garanzia della legittimità dell'atto stesso; ma se l'atto è invece conforme a legge, allora l'interesse di colui che è sottoposto al potere dell'amministrazione deve cedere.

Si trova nella situazione di obbligo colui verso il quale si rivolge la pretesa di adempimento di un diritto soggettivo. Chi ha il diritto può pretendere il comportamento che forma oggetto del diritto, l'obbligato deve prestare tale comportamento. Nel diritto privato si chiama obbligazione l'obbligo di tenere un determinato comportamento, economicamente valutabile, che forma il contenuto del diritto soggettivo corrispondente all'obbligo. Il comportamento che deve essere tenuto dall'obbligato per il soddisfacimento del diritto altrui si chiama prestazione ed è ciò che deve essere "prestato" dall'obbligato al titolare del diritto. Nel codice civile si chiama onere (art. 647 e 793) un obbligo che accompagna un beneficio (atto di liberalità). Si parla anche do onere quando chi chiede qualcosa al giudice deve provare (dimostrare) di avere ragione e si parla di onere della prova.

Si parla di obbligo o di obbligazione quando ci sia un diritto relativo, cioè quando ci sia un rapporto tra un determinato creditore (titolare del diritto) e un determinato debitore (titolare dell'obbligo, cioè il soggetto obbligato).

Quando non è prescritto uno specifico comportamento da tenere nell'interesse di qualcuno, ma per regola generale ci si deve astenere da ogni lesione dei diritti degli altri, non si parla di obbligo ma di dovere. Per dovere giuridico si intende ogni comportamento che è prescritto, e perciò deve essere tenuto, e che tuttavia non forma oggetto di una specifica pretesa di un altro soggetto in particolare.

Si parla di soggezione per indicare la situazione di colui che si trova esposto alle conseguenze dell'esercizio di un potere altrui.

Quando qualcuno pretende di avere un diritto verso un altro, e l'altro lo nega inevitabilmente sorge una controversia. Il mezzo legale per far valere le proprie ragioni è l'azione, cioè il potere, dato ai soggetti di chiamare un giudice a decidere con sentenza sulla controversia che li interessa (art. 24,co. 1, Cost.). In altre parole, attraverso l'azione si instaura il processo. Ma nel processo deve essere garantito il contraddittorio: chi esercita l'azione per vedere riconosciuta una sua pretesa si sforzerà di convincere il giudice, allegando i fatti che sostengono le sue ragioni. Infatti l'onere della prova (il compito di mostrare il buon andamento della pretesa) pesa su colui che agisce. Toccherà poi al giudice giudicare la controversia imparzialmente secondo le regole del diritto, e secondo i fatti che sono stati provati in giudizio.

Affinché il giudizio si svolga davvero fino alla fine, arrivando ad una sentenza che decide la controversia (sentenza di merito) non basta affermare la titolarità di un diritto, o trovarsi nella situazione di interesse legittimo, non è necessario avere (art. 100 c.p.c.) uno specifico interesse all'esercizio dell'azione, che prende il nome di interesse ad agire.

NB. In alcuni casi eccezionali è consentito l'esercizio del potere d'azione a chiunque, si parla allora di azione popolare.

Secondo il c.c. i beni sono le cose che possono formare oggetto di diritti (art. 810 c.c.). Si deve fare distinzione tra beni materiali e beni immateriali.

NB. Non sempre ciò che forma oggetto di un diritto è una specifica cosa. A volte si ha diritto alla prestazione di un servizio (es. prestazione sanitaria).

Bene immobile è il suolo e tutto ciò che vi è incorporato naturalmente o artificialmente (art. 812 c.c.). I beni mobili sono tutti gli altri beni. I contratti relativi su beni immobili richiedono la forma scritta (art. 1350 c.c.).

Si possono distinguere tra beni provati e beni pubblici. I beni pubblici sono di proprietà degli enti pubblici. Talvolta gli enti pubblici possiedono beni a puro titolo di proprietà privata, cioè possiedo beni che possono essere acquistati e venduti, che possono formare oggetto di diritti nei modi previsti dal codice civile, che possono essere usucapiti.


6 (Fatti e atti giuridici)

I fatti umani sono i fatti che consistono in azioni consapevolmente poste in essere da uomini. Ma, allo stesso modo: fatti naturali non producono conseguenze giuridiche. Ci sono però fatti, che vengono presi in considerazione dalle norme giuridiche per ricavarne conseguenze sul piano del diritto (nascita, morte, ecc.). Fatto giuridico è ogni fatto dal quale una norma del diritto faccia derivare qualche conseguenza.

A volte vi sono effetti che si producono in un certo momento, per durare poi nel tempo, si parla allora di termine iniziale, quando essi cominciano e termine finale quando cessano.

Poiché dopo il decorso del tempo stabilito si decade dalla possibilità di esercitare il potere, si parla in questi casi di termine di decadenza. Simile alla decadenza è la prescrizione, che consiste nel venir meno di un diritto, quando esso non viene esercitato per un tempo prestabilito (art 2941 c.c.).

Una importante categoria di fatti è costituita dai fatti illeciti, che possiamo definire come quei comportamenti umani che sono contrari al diritto, e dai quali le norme fanno derivare conseguenze negative per chi li ha posti in essere (sanzioni). Gli illeciti si distinguono in illeciti civili e illeciti penali.

L'illecito civile consiste in un comportamento che provoca un danno ingiusto verso una o più persone, violandone i diritti soggettivi. La sanzione è di solito il risarcimento del danno provocato. Il codice civile stabilisce (art. 2043 c.c.) che qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno (illecito extracontrattuale).

Negli illeciti penali si ha la trasgressione di una norma, con un comportamento che costituisce reato; la norma è posta non a tutela dei singoli, ma della comunità in generale, contro i comportamenti dannosi per l'intera collettività, e perciò puniti con sanzioni chiamate pena.

Le pene, incidono sulla libertà personale (reclusione) e sul patrimonio (ammenda).

Esiste anche l'illecito amministrativo che sta ad indicare un comportamento che è colpito con una sanzione che non consiste né in una vera pena, né con l'obbligo di risarcire il danno causato, ma che di solito consiste nell'obbligo di pagare una somma di denaro a favore della pubblica amministrazione a titolo di contravvenzione.

Le norme prevedono che i soggetti possano con la loro volontà determinare gli effetti giuridici voluti: possiamo dire, che le norme danno ai soggetti il potere di determinare il sorgere di quegli effetti. Gli atti con i quali, manifestando la propria volontà, i soggetti esercitano i poteri loro attribuiti dalle norme, si dicono atti giuridici, distinguendoli dai fatti giuridici in genere.

Gli atti giuridici sono esercizio di poteri attraverso manifestazioni di volontà e può accadere che essi esistano ma in modo non conforme a quello previsto dalla legge. Poiché esso, per esistendo, è per qualche aspetto contrario alle norme, diciamo che è invalido. Gli atti invalidi possono essere dichiarati nulli o essere annullati a seconda dei casi, ma producono i loro effetti fino a che non siano annullati.

Il modo di manifestare un atto prende il nome di forma. Capita spesso che il codice civile richieda la forma scritta. Attraverso questa la legge mira da una parte a rendere più consapevoli i soggetti degli impegni che assumono, dall'altra a ridurre il numero delle controversie.

In altri casi, la legge non si accontenta della semplice forma scritta, ma richiede la forma solenne dell'atto pubblico (redatto da un notaio o da un pubblico ufficiale).

Gli atti di autonomia privata hanno la caratteristica di essere atti con i quali i soggetti provvedono da sé e liberamente a disciplinare i propri rapporti. La posizione dei privati si differenzia però da quella della pubblica amministrazione, la quale quando ha la possibilità di compiere delle scelte deve perseguire il fine, cioè ottenere il migliore soddisfacimento possibile degli interessi pubblici (quando gli atti della pubblica amministrazione devono essere sempre motivati)

NB. Ci sono limiti, però, al libero svolgimento dell'autonomia privata che sono posti a tutela di interessi preminenti della società, o di categorie che appaiono più deboli di altre.

È necessario che l'esistenza di atti o di fatti giuridicamente rilevanti sia conoscibile da parte di persone e soggetti, a ciò sono rivolte le comunicazioni e le notificazioni. Non si fanno però comunicazioni a singoli, ma si predispone il modo in cui le persone che lo desiderano possono conoscere ciò che loro interessa. In altre parole, si dà a quegli atti pubblicità, garantendo al "pubblico" la possibilità di accedervi.

Di fondamentale importanza, tra le forme di pubblicità, sono i registri ufficiali, che sono archivi di atti e notizie relative a specifici oggetti, tenuti a cura delle pubbliche autorità.

Le forme di pubblicità sono disciplinate da specifiche disposizioni di legge. Il loro valore giuridico si dice dichiarativo quando la pubblicità non fa che portare a conoscenza di una certa situazione giuridica, senza contribuire a produrla; si dice invece costitutivo quando la situazione giuridica non può esistere senza la forma di pubblicità, che ne determina il venire in essere.

Si dicono prove i possibili modi di dimostrazione dell'esistenza o dell'inesistenza dei fatti giuridici. Esistono però dei fatti che non occorre provare, per previsione di legge, si presumono al verificarsi di altri fatti: si parla di presunzioni legali. Non hanno poi bisogno di essere provati i fatti notori (esistenza di una guerra, crisi economica,ecc.).

Fondamentali mezzi di prova sono le prove documentali, che consistono in documenti di qualsiasi natura (scritti, foto, registrazioni, ecc.). Ci sono altre prove che sono invece formate nel corso del processo, come la prova per testimoni.

NB. Certi atti, come gli atti pubblici, fanno pubblica fede, e vincolano il giudice, si parla allora di prova legale.


7 (Il negozio giuridico)

Gli atti giuridici di autonomia privata, con i quali i soggetti provvedono con proprie manifestazioni di volontà, ed esercitando i poteri ad essi attribuiti, a regolare da sé i propri interessi, come la nascita, la modificazione, o l'estinzione di un rapporto giuridico, vengono chiamati negozi giuridici (contratti, testamento, accettazione di eredità, matrimonio, procura, ecc.).

Un negozio giuridico non può in alcun modo esistere senza che vi siano un soggetto che lo pone in essere, una volontà manifestata in una qualche forma di disporre in relazione ad un oggetto, ed infine una causa.

Quanto al soggetto, vi sono negozi che richiedono la volontà di un unico soggetto, come il testamento e negozi che richiedono almeno 2 soggetti.

La volontà deve essere effettiva. La forma si intende che la volontà. Oltre che effettiva, deve essere manifestata in qualche modo (forma scritta). Per oggetto si intende la cosa, il diritto o il comportamento di cui si dispone mediante l'atto.

L'oggetto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Infine il negozio deve avere una sua causa, cioè una funzione economico - sociale, cioè che stia a giustificazione degli effetti giuridici che l'atto è destinato a produrre.

Dalla funzione economica, che il contratto svolge, occorre distinguere le ragioni concrete, individuali e particolari, in altre parole la causa (scopo obbiettivo del contratto), che è diversa dai motivi, che sono le finalità soggettive dei contraenti.

Esistono particolari clausole, che le parti possono inserire in un negozio che si dicono elementi accidentali, e che sono la condizione, il termine e il modo. La condizione (art. 1353 c.c.) è la clausola con cui le parti subordinano "l'efficacia o la risoluzione" del contratto ad un avvenimento futuro ed incerto. Si distingue perciò la condizione sospensiva, che sospende la produzione degli effetti fino all'avverarsi della condizione, dalla condizione risolutiva, per la quale l'avverarsi della condizione dipende dal comportamento di una delle 2 parti si dice condizione potestativa, dato che con essa si attribuisce alla parte il potere di influire sugli effetti del contratto. Così come possono condizionarla, allo stesso modo le parti possono collegare l'efficacia del negozio ad un preciso momento, chiamato termine (può essere iniziale o finale). Il terzo elemento il modo (onere) si riferisce agli atti di liberalità (donazioni e testamenti) e si può definire come un obbligo che accompagna un beneficio.

Il negozio si definisce invalido quando non ha o non ha pienamente i requisiti che secondo la legge dovrebbe avere. Si distinguono però 2 forme di invalidità: nullità e annullabilità.

La nullità si ha quando il negozio manchi di uno degli elementi essenziali, o quando sia contrario a norme imperative o che sia illecito. Il negozio nullo non produce nessuno degli effetti cui è in astratto rivolto.

NB1.Una sentenza che accerta la nullità di un negozio si dice sentenza dichiarativa.

NB2. Il negozio nullo non è inesistente, perché può avere qualche indiretta conseguenza.

È annullabile l'atto che presenta vizi che la legge non considera così gravi da determinare la nullità. Il negozio annullabile esiste e produce intanto i suoi effetti. La sentenza che pronuncia l'annullamento si dice sentenza costitutiva.

L'annullamento può essere richiesto soltanto dalla parte nel cui interesse è prevista la possibilità di annullare l'atto e non da chiunque vi abbia interesse (ma entro 5 anni).

Si ha annullabilità quando il negozio è stato posto in essere da un soggetto incapace d'agire, cioè da un minore, o da chi sia stato privato della capacità.

Si ha anche annullabilità del negozio quando la volontà di chi la posto in essere sia viziata da errore, dolo o violenza morale. Si ha errore quando il soggetto ha concluso il negozio con quel certo contenuto, solo a causa di una falsa rappresentazione della realtà. Si può parlare di errore - motivo quando l'errore incide sulla formazione della volontà, viziandola, si parla invece di errore ostativo per indicare i casi in cui l'errore si riferisce solo alla manifestazione della volontà. Il dolo non è altro che un errore provocato dall'altrui inganno. Nel caso della violenza morale la conoscenza della realtà è perfetta, e ad essere viziato è direttamente il processo di formazione della volontà.


8 (Gli strumenti del lavoro giuridico)

Esistono diversi rami del diritto. La distinzione fondamentale è la ripartizione tra diritto privato e diritto pubblico. Lo studio del diritto privato si distingue in diritto civile e diritto commerciale. Poi oggetto di studio autonomo sono il diritto del lavoro e il diritto della navigazione

Il diritto pubblico si scompone in diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto penale, diritto processuale civile e diritto processuale penale.

II. Il diritto pubblico.


9 (Lo stato)

L'idea di Stato implica l'esistenza di una comunità organizzata, e perciò di una organizzazione, che esercita le massime funzioni di governo, in modo indipendente ed efficace, rispetto ad un determinato territorio.

Lo stato è un "ente" composto di sovranità, territorio e popolo. Infatti il popolo corrisponde all'idea della comunità, la sovranità richiama l'indipendenza della comunità statale e l'efficace esercizio dei massimi poteri di governo entro un territorio determinato.

Ciò che lega i diversi elementi costitutivi si manifesta in norme giuridiche, e diciamo che lo Stato forma un ordinamento giuridico.

Lo Stato è l'insieme delle istituzioni proprie del popolo italiano e lo stesso popolo italiano organizzato nelle sue istituzioni. Ma anche lo Stato è soltanto una di tali istituzioni, benché si tratti di quella dotata rispetto alle altre di una supremazia, che si esercita nell'ambito della Costituzione e delle leggi.

Il territorio si tratta di qualcosa entro la quale, ed in relazione alla quale, lo Stato opera come Stato. Il territorio rappresenta il luogo di stabile radicamento del gruppo sociale indipendente organizzato in forma statale, e perciò il luogo di radicamento del popoli. Il territorio statale è delimitato dai confini o dal mare. I confini possono essere naturali (fiumi o catene montuose) oppure artificiali (fissati dagli Stati).

Il popolo, quale elemento personale dello Stato, è formato da  tutti coloro che, secondo le regole poste dallo Stato stesso, godono della cittadinanza. La cittadinanza definisce una persona fisica come membro di una determinata comunità statale. Indichiamo invece con popolazione l'insieme di coloro che risiedono entro il territorio di uno Stato. Il popolo è formato da tutti i cittadini, ovunque residenti, la popolazione da tutti i soggetti residenti, anche se stranieri o apolidi. L'idea di popolo non va confusa con l'idea di nazione. Ad una stessa nazionalità appartengono coloro che sono legati da comuni caratteristiche di lingua, costumi, religione o simili.

Un potere è sovrano quando non esiste un altro potere ad esso superiore, che sia in grado di porgli dei vincoli (limitatamente al proprio territorio). La sovranità è una supremazia nei confronti di ogni altro soggetto o organizzazione operante sul territorio. Nei confronti degli altri Stati la sovranità non si manifesta come superiorità ma come indipendenza. Uno Stato è sovrano quando non è giuridicamente subordinato ad un altro, con un vincolo del quale non possa liberarsi da sé.

Dato che l'intera popolazione mondiale è organizzata in Stati, non è possibile che un nuovo stato sorga senza che nessuno altro Stato si trovi ad essere modificato nei suoi elementi costituitivi. Quindi la nascita di un nuovo Stato comporta la modificazione o l'estinzione di Stati che già esistevano. Si parla allora di smembramento quando l'unità statale viene meno, di fusione quando un nuovo Stato nasce dall'unione di Stati già indipendenti, e di incorporazione quando uno Stato entra a far parte di un diverso Stato preesistente.

Gli Stati, complessivamente considerati, formano la comunità degli Stati, che è disciplinata da regole, che non si rivolgono ai singoli ma agli Stati stessi. La comunità degli Stati forma un insieme ordinato da regole concernenti gli Stati: l'ordinamento internazionale. L'ordinamento internazionale si presenta, come un ordinamento paritario, nel quale manca una distinzione tra autorità governativa e soggetti governati. Così la produzione di regole giuridiche è affidata principalmente alla formazione di consuetudini o agli accordi che gli Stati stipulano fra di loro. Ancor più complesso è il problema delle sanzioni da infliggere agli Stati che violano le norme di diritto internazionale. L'estremo rimedio alle controversie, è la guerra, la quale non rappresenta una violazione del punto di vista dei contendenti, ma un modo di affermazione e restaurazione dei diritti violati.

Lo Stato fissa le regole di comportamento, riscuote le tasse, risolve le controversie tra i soggetti fisici e giuridici, punisce i colpevoli di azioni criminose, costruisce strade, ponti, dighe, ecc..

La scienza del diritto pubblico ha cercato di trovare i criteri di analisi che consentano di ordinare le attività statali in modo significativo:

Funzione normativa: una parte molto importante dell'attività statale consiste nel creare e modificare le norme giuridiche destinate a guidare i comportamenti dei soggetti. Lo Stato produce norme giuridiche attraverso le leggi del Parlamento e gli atti del Governo con forza di legge.

Funzione giurisdizionale: lo Stato deve assicurare che la vita sociale si svolga secondo giustizia, grazie agli ordinamenti giurisdizionali o giuridici. Qualunque sia il processo, esso si chiude con la decisione del giudice espressa in un atto che prende il nome di sentenza, che può essere dichiarativa (quando si limita ad accertare la situazione giuridica della parti), costitutiva (quando determina una situazione giuridica nuova), o di condanna (quando ordina ad una delle parti di tenere un determinato comportamento). In generale la prima sentenza pronunciata dal giudice non è definitiva, ma ci può essere un nuovo giudizio (appello) di fronte ad un giudice di grado più elevato. Tuttavia, se sono stati percorsi tutti i gradi di giudizio disponibili, la sentenza non può più essere contestata e passa in giudicato.

Funzione esecutiva o di governo: la funzione esecutiva, propria del potere esecutivo, fa capo agli apparati del governo. Ma l'attività del governo non è solo esecutiva: si pensi alla deliberazione di disegni di legge, al bilancio, alla politica estera, quindi l'azione del governo è piuttosto che "esecutiva" di scelte parlamentari, propulsiva e quasi direttiva di esse.

Funzione amministrativa: la funzione esecutiva comprende anche attività, che hanno in comune l'essere rivolte a perseguire gli interessi della collettività: gli interessi pubblici. La legge interviene per individuare i fini pubblici che devono essere perseguiti dagli apparati amministrativi, grazie al principio di legalità della pubblica amministrazione, che significa che l'amministrazione è sottoposta come tutti i soggetti alla legge, e che nella legge che l'amministrazione trova i fini della propria azione e i poteri giuridici che può esercitare. Lo stretto legame tra funzione normativa e amministrativa ha fatto si che l'attività amministrativa sia spesso apparsa come attività di "attuazione della legge".

Funzione di indirizzo politico: l'indirizzo politico si manifesta nel programma del governo e in atti del Parlamento (mozioni di fiducia), ma si manifesta anche nell'insieme dell'attività normativa e amministrativa.






12 (Le istituzioni europee)

Lo Stato italiano fa parte della Comunità europea, insieme ad altri 14 Stati. Nel proprio ambito la Comunità europea ha personalità giuridica, sia nei rapporti internazionali che all'interno degli Stati membri. Essa dispone, di risorse proprie, cioè di entrate fiscali che affluiscono ad essa, senza passare per il bilancio dei singoli Stati.

Storicamente le istituzioni comunitarie con il trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) firmato a Parigi 18/4/1951, una sorta di ente sopranazionale governato da una Alta autorità, attorno alla quale furono posti una Corte di Giustizia ed una Assemblea Comune, e un Consiglio dei Ministri. Il 25/3/1957 fu stipulato a Roma da 6 Stati un trattato che costituiva la Comunità economica europea (CEE). Nel 1986 un rilevante ampliamento delle competenze comunitarie si ebbe con un nuovo trattato denominato Atto unico europeo. Infine il 7/2/1992 fu stipulato il Trattato di Maastricht, con il quale è stato completato l'iter della ratifiche degli Stati membri.

I poteri attribuiti alle Comunità sono solo quelli individuati dai trattati istitutivi. Il Consiglio può prendere le disposizioni necessarie per raggiungere uno degli scopi della Comunità, anche se i relativi poteri d'azione non sono espressamente previsti.

In ogni modo ogni azione del governo deve essere realizzata al livello più vicino ai cittadini, purché ciò non ne comprometta l'efficienza o l'efficacia (principio di sussidiarietà).

La comunità può concludere atti internazionali all'estero. All'interno, hanno grande importanza i poteri normativi, come i regolamenti e le direttive.

Gli organi della Comunità europea sono fondamentalmente il Consiglio, la Commissione, il Parlamento europeo, la Corte di Giustizia e il Tribunale di primo grado.

Il Consiglio è un organo collegiale formato da un ministro per ogni Stato componente. Il rappresentante di ciascun Governo può mutare in relazione all'oggetto della decisione da prendere. La presidenza del Consiglio è assunta per una durata di 6 mesi a turno dai rappresentanti dei diversi Stati. Al Consiglio spettano i massimi poteri sia normativi, sia di decisione.

Il Consiglio formato dai Capi di Stato e di Governo si chiama Consiglio europeo ed ha il compito di dare l'impulso necessario e di definire gli orientamenti politici generali.

La Commissione è composta 20 commissari (almeno 1 per ogni Stato, ma al massimo 2). Alla Commissione fa capo la struttura amministrativa burocratica della Comunità: le direzioni generali, i servizi, istituti e centri. Essa rappresenta una sorta di "governo". I compiti affidatigli sono di proposta al Consiglio, ha delega di poteri normativi, e ha poteri di vigilanza e può contestare allo Stato membro un comportamento non conforme ai trattati.

Il Parlamento europeo è composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità (votati a suffragio universale). I parlamentari restano in carica 5 anni. I poteri di cui dispone sono quelli di costringere la Commissione a dimettersi (censura) e respingere il bilancio. Per il resto i poteri sono di elaborazione politica e di partecipazione alle decisioni di altri organi, mediante atti consultivi.

La Corte di giustizia svolge il fondamentale compito di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei suoi trattati. La corte di giustizia è il giudice del rispetto da parte degli Stati membri dei vincoli ed obblighi derivanti dai trattati comunitari. La Corte è il giudice esclusivo della legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie. Infine, la Corte è il giudice delle controversie tra la Comunità europea e la sua gente.

Dal 1986 esiste anche il Tribunale di primo grado, che ha liberato la Corte di una grande mole di lavoro, e contemporaneamente assicura (per alcune controversie) il doppio grado di giudizio.

Esiste anche il Consiglio d'Europa, al quale partecipano 20 Stati europei, che ha lo scopo di conseguire una più stretta unione fra i suoi membri per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono i loro comune patrimonio e di favorire il progresso economico e sociale.


13 (Principi fondamentali della organizzazione pubblica)

Le persone giuridiche sia pubbliche che private, hanno capacità giuridica e capacità d'agire.

La persona giuridica è un'organizzazione che opera non attraverso estranei, ma attraverso l'organizzazione stessa. Per sottolineare questo si dice che colui che opera per la persona giuridica non è rappresentante ma il titolare di un organo, che è parte della stessa persona giuridica, un suo "ufficio", che ha come proprio compito il compito di esercitare i poteri giuridici ad essa attribuiti. Si usa fiore che l'organo si immedesima nella persona giuridica.

Gli organi sono parti dell'organizzazione di un ente, cui è affidato il compito di esercitare i poteri giuridici dell'ente. Esistono però anche altre parte dell'organizzazione che non esercitano i poteri giuridici, ma producono il lavoro necessario affinché l'ente possa raggiungere i suoi fini. Questi apparati si dicono uffici. Si parla però di meri uffici per distinguerli da quelli cui è invece affidato l'esercizio dei poteri giuridici,  che si dicono uffici - organi.

L'ufficio è un insieme di compiti, persone e mezzi. Ogni persona giuridica ha sempre i suoi organi e i suoi uffici.

L'insieme dei compiti e dei poteri giuridici assegnati ad un ente (attribuzione all'ente) viene ripartito dalle norme che lo riguardano tra i diversi organi, di modo che ciascun organo si caratterizza per la sua competenza. Quando ciascuno abbia una competenza delimitata da quella di un altro, gli organi svolgono i compiti ed esercitano i poteri loro affidati in reciproca indipendenza. Altre volte però si realizza una diversa relazione tra organi, nell'ambito del quale un organo risulta subordinato ad altri organi. Si dice allora che tali organi hanno tra di loro un rapporto gerarchico. In questa situazione il superiore può impartire ordini o direttive all'inferiore.

NB. Non esiste mai gerarchia tra giudici.

All'interno di uno Stato si chiamano organi costituzionali gli organi fondamentali senza i quali lo Stato sarebbe sostanzialmente diverso nella sua forma di governo. Sono organi costituzionali il Parlamento, il Governo, il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale e anche il CSM.

Quando una persona giuridica dispone di una organizzazione ramificata nel territorio, si possono distinguere gli organi centrali dagli organi periferici. I primi sono gli organi che hanno competenza estesa nell'intero territorio. I secondi hanno una competenza più limitata e parziale, relativa a specifici ambiti territoriali (prefetti, questori, provveditori agli studi, ecc.).

Nello Stato sono organi centrali gli organi costituzionali.

Gli organi hanno il compito di decidere per l'ente del quale sono parte. Sono questi gli organi deliberativi o attivi. Ci sono anche però organi diversi. Precisamente, si tratta di organi consultivi e organi di controllo. Organi consultivi si dicono gli organi che sono chiamati a dare consigli o pareri agli organi che devono decidere (come il Consiglio di Stato). Organi di controllo sono quelli che hanno il compito di verificare la conformità alle norme, cioè la legittimità o in certi casi anche l'opportunità (il merito) di atti compiuti da altri organi (come la Corte dei Conti).

Una distinzione importante nello studio del funzionamento degli organi delle persone giuridiche si fa tra organi monocratici e organi collegiali. Talvolta il titolare dell'organo è una singola persona fisica, come il Presidente della Repubblica, i Ministri o il Sindaco. Altri, invece hanno una pluralità di persone fisiche, si dice allora che l'organo è collegiale, e i suoi componenti costituiscono una collegio (Parlamento, Consiglio dei Ministri).

Esiste la necessità di far si che i componenti del collegio effettivamente si riuniscano per prendere le decisioni, perciò è necessaria la convocazione, nella quale è indicato il luogo, la data e l'ora della riunione, ed è fissato l'ordine del giorno.

Vi sono collegi che non possono deliberare se non è presenta la totalità dei componenti previsti dalla legge (giudici, commissioni per pubblici concorsi, ecc.). In altri casi, basta che i componenti raggiungano un certo numero, detto numero legale. Il numero legale è il numero dei componenti la cui presenza è necessaria affinché il collegio possa funzionare, che può essere il più vario (di solito metà più 1 dei componenti).

La deliberazione posta in votazione si considera approvata se ha raggiunto la maggioranza, che può essere maggioranza semplice (numero superiore alla metà dei presenti), maggioranza assoluta (numero superiore alla metà dei componenti), maggioranza qualificata (di solito 2/3 dei componenti).

Quando si tratta di elezioni, si parla di maggioranza relativa, per indicare che una persona o una lista ha ottenuto più voti degli altri.

Le deliberazioni vengono documentate attraverso un resoconto scritto, che prende il nome di verbale, e la loro esistenza può essere dimostrata solo attraverso di esso.

Si chiamano organi elettivi gli organi dei quali il titolare o i titolari sono scelti mediante votazione da parte di una pluralità di persone che formano il corpo elettorale.

Gli organi elettivi possono essere monocratici o collegiali. Quando si tratta di eleggere un organo, il problema maggiore sta nello stabilire quale percentuale dei voti un candidato debba ottenere per risultare eletto. Per l'elezione a Presidente della Repubblica è richiesta (art. 83 Cost.) la maggioranza dei 2 terzi dell'assemblea, se però non si raggiunge dopo la terza votazione, è sufficiente la maggioranza assoluta.

Quando invece si tratta di eleggere i componenti di un organo collegiale, il problema dell'organizzazione delle elezioni e dei connessi sistemi elettorali diviene complesso.

Si distinguono sistemi proporzionali e sistemi maggioritari, anche se prima è meglio distinguere tra sistemi a collegi uninominali a sistemi a collegi plurinominali.

Con la tecnica del collegio uninominale il corpo elettorale viene scomposto in tanti seggi quanti sono i candidati da eleggere: per ciascun collegio deve essere eletto un solo candidato, questo sistema è maggioritario. Nei sistemi plurinominali ognuno dei collegi dispone di più seggi. Alle elezioni partecipano non singoli candidati, ma liste di candidati. Essendovi più posti da assegnare il sistema dei collegi plurinominali consente di assegnare i posti disponibili in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna lista. Il sistema a collegi uninominali opera come sistema proporzionale.

NB. Nel 1993, a seguito di un Referendum concernente il sistema elettorale del Senato, il Parlamento ha approvato 2 leggi (Camera e Senato) che prevede l'assegnazione dei ¾ dei seggi con sistema maggioritario a collegio uninominale e turno unico, del rimanente ¼ a sistema proporzionale.

Le persone che diventano titolari dell'organo e l'ente per il quale esse prestano la propria opera si instaura un rapporto gerarchico vero e proprio, fatto di reciproci diritti e obblighi tra 2 distinti soggetti, e poiché questo supporto ha per oggetto la prestazione all'ente di un servizio da parte di una persona fisica esso viene chiamato rapporto di servizio. Vi sono dei casi in cui la prestazione è obbligatoria o volontaria, si distingue così tra servizio volontario e servizio coattivo. Il più noto servizio coattivo è il servizio militare di leva. Quando il servizio è volontario bisogna distinguere se lo fa per lavoro e viene detto professionale appare come compito a lui assegnato, e viene detto onorario. Il principale rapporto professionale è il rapporto di pubblico impiego. Il servizio onorario può essere quello del Presidente della Repubblica, il Parlamentare, il Sindaco, ecc. . I rapporti professionali sono stabili, gli onorari temporanei.

Di qualunque tipo sia, il rapporto si instaura attraverso un atto di nomina, mentre l'effettivo inserimento nell'organizzazione di cui si trova avviene con il rapporto di servizio.

In generale coloro che prestano a titolo professionale la loro attività a favore dello Stato si trovano con l'ente in un rapporto di pubblico impiego.

Il decreto legislativo n. 29 del 1993 ha accelerato il processo di avvicinamento del pubblico impiego al lavoro privato, a seguito del quale il pubblico impiego non ha più carattere unitario, ma si distingue in diversi ambiti. Da una parte, per la generalità dei pubblici impiegati vale la regola secondo cui i relativi rapporti di lavoro sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato all'impresa.

Dall'altra vi sono invece alcune categorie, escluse dalla privatizzazione (magistrati ordinari, amm. e contabili, avvocati e proc. dello Stato, personale militare e di polizia, diplomatici e prefettizi, alti dirigenti dello Stato) per cui rimangono in vigore le tradizionali regole del pubblico impiego.

Pubblici impiegati si diventa attraverso un concorso pubblico.

III. Il Parlamento, il Governo, il Presidente della Repubblica.


14 (Il Parlamento)

Il Parlamento italiano è composto da 2 distinte Camere: la Camera dei deputati e il Senato. Considerate nei loro compiti e nei loro poteri, sono del tutto uguali (bicameralismo perfetto). Il compito di legiferare, è assegnato collettivamente ad entrambe le camere (art. 70 Cost.).

La Camera consta di 630 deputati (art. 56, co. 2, Cost.) tutti eletti dai cittadini. Il numero dei senatori elettivi è di 315 (art. 57, co. 2, Cost.), ma al Senato fanno parte anche componenti non elettive, infatti la Costituzione prevede che facciano parte del Senato gli ex Presidenti della Repubblica, ed inoltre il Presidente della Repubblica può nominare 5 cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Una ulteriore differenziazione tra Camera e Senato sta nella diversa età per votare (elettorato attivo) che per essere votati (elettorato passivo). Il diritto di voto si acquista con la maggiore età (18 anni) per la Camera, ma solo a 25 anni per il Senato (art. 48, co. 1 e art. 58, co. 2, Cost.); mentre l'elettorato passivo diviene a 25 per la Camera e 40 per il Senato (art. 56, co.3 e art. 58, co. 2, Cost.).

Sono i partiti politici che già al momento delle elezioni organizzano le candidature, sicché gli eletti saranno per lo più membri di un partito. Inoltre i partiti influenzano i lavori del Parlamento, dato che deputati e senatori si raggruppano per tendenza politica in gruppo parlamentari che corrispondono ai partiti stessi.

La disciplina dei sistemi elettorali, sono i modi mediante i quali attraverso la procedura elettorale si determinano in concreto i componenti delle 2 Camere. Fino al 1993, le elezioni per la Camera dei deputati si svolgevano con un metodo rigorosamente proporzionale. I 630 seggi venivano ripartiti in 32 circoscrizioni elettorali, a ciascuna delle quali veniva assegnato in certo numero di seggi, sulla base della popolazione. Al Senato invece il territorio veniva diviso in collegi elettorali a ciascuno dei quali veniva assegnato un certo numero di seggi, sulla base della popolazione. Al Senato invece il territorio nazionale veniva diviso in collegi elettorali a ciascuno dei quali era assegnato un solo seggio. Era perciò un collegio uninominale, tipico delle elezioni con il metodo maggioritario, ma affinché il seggio venisse assegnato il candidato doveva ottenere il 65 % dei voti del collegio. Nella realtà pochi raggiungevano questo obbiettivo e allora subentrava un meccanismo tra i candidati dello stesso partito nell'ambito della regione, che conduceva alla formazione di liste, quindi i seggi di ogni regione venivano attribuiti alle liste in proporzione ai voti riportati da ciascuna lista.

Nel 1993 un referendum popolare determinò l'abrogazione dei meccanismi che impedivano il funzionamento in senso maggioritario della legge elettorale del Senato. Prendendo atto della volontà popolare il Parlamento ha disciplinato per Camera e Senato un sistema misto a prevalenza maggioritaria. In entrambi i casi, ¾ dei seggi sono assegnati con il sistema uninominale (maggioritario) e il restante ¼ con un criterio proporzionale.

Entrambe le Camere, restano in carica 5 anni, che costituiscono perciò la durata della legislatura. La loro vita e la loro attività si svolgono secondo 3 principi: principio bicamerale, principio di continuità, principio di autonomia. Il principio di continuità dell'attività parlamentare significa che le Camere possono riunirsi in qualunque momento, senza limitazioni. L'autonomia di ciascuna Camera è garantita in varie direzioni: dal Governo, dal potere giudiziario, dalla stessa altra Camera. Essa è garantita dalle immunità parlamentari volte ad assicurare la piena libertà del membro del Parlamento nell'esercizio del suo mandato.

Secondo le norme costituzionali ogni Camera ha un Presidente ed un Ufficio di Presidenza, eletta fra i suoi componenti. Il Presidente rappresenta la Camera, deve agire in modo imparziale, garantendo nello svolgimento dei lavori sia i diritti della maggioranza che delle minoranze.

Le Camere sono il potere legislativo per eccellenza. Accanto a questo ne esiste un altro, che è quello di concedere o negare la fiducia al Governo, costringendolo alle dimissioni. Il Parlamento esercita un "controllo" sul Governo grazie alle interrogazioni, interpellanze, inchieste e indagini conoscitive.

L'interrogazione consiste in una domanda (scritta) rivolta al Governo per sapere se una fatto sia vero, se una informazione sia esatta, se vi siano documenti o notizie da comunicare, se siano imminenti provvedimenti. L'interpellanza consiste in una domanda (scritta) rivolta al Governo per conoscere i motivi e gli intendimenti della sua condotta su questioni che coinvolgono la sua politica. Le inchieste e le indagini conoscitive vengono decise dalle Camere stesse o dalle Commissioni permanenti.

Le Camere esercitano anche una funzione di indirizzo nei confronti del Governo, che si esercita attraverso atti chiamati mozioni, ordini del giorno, risoluzioni, con i quali il Parlamento vincola il governo ad un determinato comportamento.

In alcuni casi il Parlamento si riunisce in seduta comune (art. 55 Cost.). Quando accade deputati e senatori formano un unico organo collegiale, di cui il Presidente è il Presidente della Camera dei deputati (art. 63 Cost.).

In seduta comune il Parlamento elegge il Presidente della Repubblica (in questo caso votano anche i rappresentanti delle Regioni). Viene poi l'elezione di un terzo dei componenti della Corte Costituzionale (5 giudici). Inoltre elegge un terzo dei componenti del CSM. (10).

È anche assegnato il compito di mettere in stato di accusa davanti alla Corte Costituzionale il Presidente della Repubblica che sia reso colpevole di alto tradimento o di attentato alla costituzione (art. 90 Cost.). Infine "riceve" il giuramento di fedeltà alla Repubblica che il Presidente della Repubblica presta prima di assumere le sue funzioni (art. 91 Cost.).


15 (Il Governo)

Secondo la Costituzione il governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Dunque il Governo è fondamentalmente il Consiglio dei Ministri. Il Governo viene nominato dal Presidente della Repubblica.

NB. Però entro 10 giorni dalla sua formazione il Governo deve presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia e se non la ottiene deve dimettersi.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile, e inoltre mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. In pratica la preminenza del Presidente del Consiglio si manifesta nel potere di rappresentanza del Governo, e più concretamente in quello di convocare il Consiglio e fissarne l'ordine del giorno, individuando gli argomenti da affrontare, inoltre può sospendere l'adozione di atti da parte dei Ministri competenti in ordine a questioni politiche e amministrative. Poi chiama alcuni Ministri per partecipare ad un comitato detto Consiglio di Gabinetto, che svolge un'attività preparatoria delle riunioni del consiglio.

Tra la funzioni attribuite al "Governo" ci sono: le deliberazioni dei decreti - legge, con i quali viene esercitato un potere normativo straordinario per fronteggiare situazioni di necessità e di emergenza (art. 77 Cost.); la deliberazione dei decreti legislativi, con i quali si esercita un potere normativo su delega del Parlamento (art. 76 Cost.); la deliberazione dei disegni di legge (art. 71, co. 1, Cost.), e il controllo sulle leggi regionali (art.127 Cost.). Il consiglio dei Ministri è l'organo di livello più elevato del potere esecutivo dell'intera pubblica amministrazione. Tuttavia, le singole amministrazioni statali, organizzate per Ministeri, trovano il loro vertice nei singoli Ministri.

Accanto a coloro che fanno parte del Governo ci sono i cosiddetti Ministri senza portafoglio che fanno parte a pieno titolo, con diritto di voto, del Consiglio dei Ministri. Però non sono a capo di un Ministero ma sono nominati presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Esistono anche i sottosegretari di Stato che non fanno parte del Consiglio dei Ministri, ma possono intervenire alle sedute delle Camere, e ricevono deleghe per lo svolgimento di alcuni dei compiti amministrativi che spettano al ministro.

Specifiche funzioni amministrative sono distribuite ad Alti Commissari, che sono a capo di apparati amministrativi ma non sono Ministri (Alto commissariato per il turismo, ecc.).

La legge precede anche i Commissari straordinari del Governo che vengono nominati in relazione a specifici obbiettivi o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni.

Accanto al Consiglio dei Ministri operano dei Comitati interministeriali, che sono organi collegiali composti dai Ministri interessati ai settori di attività del Comitato.

La Costituzione prevede che il Governo perda la fiducia quando una camera approvi una mozione di sfiducia a ciò rivolta: mozione che viene messa ai voti per appello nominale, non prima di 3 giorni dalla sua presentazione.

La formazione di un nuovo Governo si articola in 3 fasi: consultazione, incarico, nomina. La consultazione serve al Capo dello Stato per formarsi una migliore conoscenza sul modo nel quale potrà essere risolta la crisi, con la formazione di un governo capace di ottenere la fiducia delle camere. Sulla base delle consultazioni il Capo dello Stato conferisce l'incarico di formare un nuovo governo. Poi il Presidente della Repubblica può provvedere alla nomina del Governo. Dopo il giuramento il Governo deve presentarsi entro 10 giorni alle Camere per ottenere la fiducia.


16 (Il Presidente della Repubblica)

Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale. È eletto per 7 anni dal Parlamento. Può essere eletto qualunque cittadino italiano, purché abbia 50 anni e sia in possesso dei diritti civili e politici. Per l'elezione occorre la maggioranza dei due terzi dell'assemblea nelle prime 3 votazioni, ma è sufficiente la maggioranza assoluta nelle successive.

Il Presidente è il Capo dello Stato e in esso si concentra lo stato stesso, e lo rappresenta ovunque, e in tutte le circostanze in cui ciò sia necessario.

In caso di impedimento temporaneo le funzioni del Presidente sono assunte in supplenza dal Presidente del Senato (art. 86 Cost.). Se si trattasse di impedimento permanente la Costituzione prevede la indizione di nuove elezioni.

Il Presidente è rieleggibile senza limiti. Una volta cessata la carica, l'ex Presidente assume la qualifica di senatore a vita (art. 59, co. 1, Cost.).

Per quanto riguarda gli atti normativi il Presidente da una parte promulga le leggi e può chiedere con messaggio motivato alle Camere una nuova deliberazione, dall'altra emana i decreti aventi valore di legge, nonché i regolamenti, e indice i referendum richiesti dal popolo. Per quanto riguarda la funzione di governo e di pubblica amministrazione, il Presidente nomina il Presidente del Consiglio e i Ministri, ne riceve il giuramento e ne accetta le dimissioni, ratifica i trattati internazionali, accredita i rappresentanti diplomatici dell'Italia all'estero, riceve i rappresentanti degli stati esteri in Italia. Ha il comando delle forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il CSM e nomina un terzo della Corte Costituzionale. Può concedere la grazia, o commutare pene. Spettano però (in concreto) al governo, ogni decisione su: presentazione dei disegni di legge alla camera, emanazione dei decreti legge e dei decreti legislativi e dei regolamenti, politica internazionale, comando effettivo delle forze armate, nomine di funzionari.

Secondo l'art. 88 della Costituzione il Presidente della Repubblica può sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse (non negli ultimi 6 mesi del mandato). Al Presidente della Repubblica compete la nomina a senatore a vita di 5 cittadini (art. 59, co. 2) che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

IV. Le fonti del diritto.


17 (Le fonti costituzionali)

La Costituzione è un vero atto normativo e le sue disposizioni hanno pienezza di effetto, e sono suscettibili di produrre e modificare altre regole, vincoli, situazioni giuridiche soggettive, qualificazioni giuridiche.

Rileviamo che la Costituzione italiana ha un carattere rigido nel senso che essa non può essere modificata attraverso il procedimento legislativo ordinario, ma soltanto da un apposito procedimento legislativo "costituzionale" (art. 138 Cost.). Dunque la Costituzione è fonte del diritto, ed è anzi la massima delle fonti.

La legge ordinaria non può contenere norme che modifichino la Costituzione. Tuttavia, la stessa Costituzione prevede che le proprie disposizioni possano venire modificate. Questo può avvenire con l'art. 138 con un atto (che è sempre legge del Parlamento), per la cui approvazione sono però stabilite regole procedurali speciali. Si individua così una specifica fonte chiamata legge di revisione costituzionale.

Rispetto al procedimento legislativo ordinario, il procedimento di revisione costituzionale presenta le seguenti diversità, che lo rendono più gravoso e difficoltoso:

la legge di revisione deve essere approvata due volte da ciascuna camera;

tra le due approvazioni di ogni camera devono trascorrere almeno 3 mesi;

nella seconda approvazione da parte di ogni camera si deve raggiungere la maggioranza assoluta;

sulla modifica può essere richiesto un referendum (a meno che nella seconda votazione non si raggiunga la maggioranza dei due terzi).

Il referendum può essere richiesto da 500.000 elettori, 5 consigli regionali, o un quinto dei membri di ogni camera. Se nei 3 mesi il referendum non viene richiesto, la legge viene promulgata e pubblicata per entrare in vigore.

NB. Non si può chiedere il referendum se nella seconda votazione sia stata raggiunta in ciascuna camera la maggioranza dei due terzi dei componenti.

Secondo l'art. 139 della Costituzione la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. In altre parole, la scelta per la Repubblica compiuta dal popolo con il referendum del 2/6/1946 non può essere mutata nemmeno attraverso lo speciale procedimento per la modifica della Carta fondamentale.

Altri limiti sono i principi cardinali ispiratori della Costituzione, il cui mutamento si interebbe come un rovesciamento della Costituzione: tra cui la sovranità popolare, o il carattere democratico dello Stato, o il principio di eguaglianza e simili.


18 (Le fonti comunitarie e le fonti internazionali operanti direttamente)

Le fonti che hanno il rango della legge ordinaria sono la legge formale del Parlamento, il decreto legislativo. Il decreto legge ed eventualmente il referendum abrogativo delle leggi.

Tuttavia, la stessa regola non vuole per i regolamenti emanati dai competenti organi della Comunità europea, nelle materie previste dai trattati istitutivi. Tali regolamenti, acquistano direttamente vigore in Italia, senza alcun bisogno di una specifica legge che li richiami (non sono subordinati alla legge italiana). Essi possono abrogare o modificare le leggi, e una volta entrati in vigore non sono suscettibili di essere né abrogati né modificati dalla legge italiana.

I regolamenti comunitari sono deliberati dal Consiglio dei Ministri o dalla Commissione. Altri atti normativi europei sono le direttive che però non contengono una normativa applicabile all'interno degli Stati, ma prescrizioni che si dovranno poi tradurre in norme statali.

L'ordinamento giuridico italiano si conferma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10, co. 1, Cost.).



19 (La legge ordinaria del Parlamento)

Per legge si intende ogni atto normativo posto in essere dal Parlamento, seguendo uno speciale procedimento, detto procedimento legislativo. La legge del Parlamento viene chiamata legge formale, per indicare che essa viene ad esistenza nella forma del procedimento legislativo. Le leggi formali si distinguono in leggi costituzionali o di revisione costituzionale e leggi ordinarie. Legge ordinaria è la legge creata attraverso il procedimento legislativo ordinario. Essa non è più la fonte più elevata del nostro sistema giuridico, dato che è subordinata alla Costituzione. La legge ordinaria è però la fonte più importante, poiché attraverso di essa che il Parlamento esercita il proprio potere normativo.

In certi casi il Parlamento deve utilizzare la forma legislativa anche se non si tratta di creare regole generali e astratte ma di prendere decisioni concrete: autorizza la ratifica di un trattato internazionale, approvare il conto consuntivo dello Stato, ecc..

In questi casi si parla di leggi in senso meramente formale. Si parla infine di leggi - provvedimento per indicare le ipotesi nelle quali con la legge (formale) si prendono decisioni specifiche e concrete del tipo di quelle che di solito vengono adottate con atto amministrativo.

La legge viene ad esistenza attraverso il procedimento legislativo, che definiamo come la serie ordinata di atti ed attività occorrenti per dare vita ad una legge. Il procedimento legislativo si svolge in diverse fasi: la fase nella quale il procedimento si apre (iniziativa), fase di approvazione della legge da parte delle Camere (costitutiva), ed infine la fase dell'entrata in vigore (efficacia).

L'atto di iniziativa consiste nella presentazione alle Camere di un progetto o disegno di legge, che contiene la precisa formulazione (in "articolato") delle disposizioni delle quali si propone l'approvazione. L'iniziativa del Governo è per diverse ragioni la più importante di tutte, perché il Governo è per diverse ragioni la più importante di tutte, perché il Governo si appoggia su una maggioranza parlamentare, e perché dispone di Ministeri ai quali può chiedere conoscenze.

Poi ciascun membro della Camera può presentare progetti di legge. Il popolo esercita l'iniziativa legislativa con una proposta redatta in articoli, firmata da almeno 50.000 elettori. Altri poteri di iniziativa legislativa sono quello dei Consigli regionali e il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL).

Una volta presentato un progetto (o disegno) di legge, l'approvazione consiste, nella votazione nel medesimo testo da parte di entrambe le Camere. Secondo la procedura normale, il progetto di legge viene assegnato dal Presidente ed una delle commissioni permanenti, che formula eventualmente un nuovo testo modificato, da presentare in assemblea, accompagnato da una relazione di maggioranza. In aula si apre la discussione generale; terminata questa l'assemblea può decidere di arrestarsi e di passare alla discussione e alla votazione dei singoli articoli. In ogni articolo possono essere presentate proposte di modifica (emendamenti) o la soppressione di un articolo intero. Dopo che sono stati votati tutti gli articoli, si richiede una votazione finale. Poi il testo passa nell'altra Camera con il procedimento analogo approva, o respinge, se approva la legge viene promulgata dal Presidente della Repubblica.

Esiste però un procedimento chiamato per commissione deliberante, nel quale la commissione si sostituisce all'assemblea (però solo per alcune materie).

Oppure la discussione viene effettuata in commissione deliberante e la votazione finale in assemblea, questo metodo si chiama per commissione redigente.

La promulgazione (art. 73, co. 1, Cost.) è un atto attraverso il quale il Presidente della Repubblica documenta e proclama l'avvenuta formazione della volontà legislativa. Dopo la promulgazione hanno luogo gli adempimenti necessari affinché la legge possa entrare in vigore, acquistando la sua efficacia. Tale è la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Inoltre, per l'entrata in vigore è necessario un tempo che stabilisce che le leggi entrano in vigore dal XV° giorno successivo alla loro pubblicazione (vacatio legis).


20 (Gli atti legislativi statali)

Ci sono delle occasioni in cui le Camere affidano al Governo il compito di porre in essere atti normativi capaci anche di abrogare o modificare la precedente legislazione: atti cioè che abbiano la forza della legge ordinaria. Per abilitare il Governo a deliberare atti aventi forza di legge è necessaria una legge di delega del Parlamento. La delega deve però essere concessa solo per un tempo limitato, e deve riguardare oggetti definiti, cioè deve essere indicato con chiarezza l'ambito della disciplina da emanare. Vi sono particolari materie per le quali la delega non è ammessa, e si parla allora di riserva di legge formale. Quando il Governo delibera, l'atto viene emanato con decreto del Presidente della Repubblica, con la denominazione ufficiale di decreto legislativo (art. 14, co. 1, legge n. 400 del 1988).

NB. Un particolare decreto legislativo è costituito dai testi unici, che sono raccolte sistematiche delle norme esistenti in una certa materia.

Esistono anche atti del Governo chiamati decreti - legge che provocano direttamente l'emanazione da parte del Capo dello Stato di decreti aventi forza di legge ed efficacia immediata. Il Parlamento interviene solo dopo convertendo il decreto - legge in legge. I decreti legge si emanano solo in casi di straordinaria necessità ed urgenza, e nel periodo di 60 giorni devono essere convertiti in legge altrimenti perdono la sua efficacia dall'inizio.

La conversione del decreto - legge avviene mediante una apposita legge di conversione, il cui disegno di legge deve essere presentato dal Governo nello stesso giorno dell'emanazione del decreto.

Nella Costituzione italiana è consentito al popolo di "disfare" le leggi attraverso il referendum abrogativo (art. 75, co. 1, Cost.). È indetto un referendum popolare per deliberare  la abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono 500.000 elettori o 5 consigli regionali. Sono perciò esclusi gli atti normativi, quali le leggi costituzionali e i regolamenti, oltre alle leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali.

La regolarità della raccolta delle firme è verificata dalla Corte di Cassazione, mentre il giudizio sull'ammissibilità dei quesiti è compiuto dalla Corte Costituzionale.


21 (I Regolamenti dell'esecutivo)

I regolamenti hanno forza normativa inferiore a quella della legge, perciò le norme contenute nei regolamenti non possono ne abrogare ne modificare norme di legge. Appartengono a questi, regolamenti del Governo e dei Ministri (statali), i regolamenti regionali, comunali, degli statuti degli enti pubblici (non - statali). Il vincolo del potere regolamentare riguarda l'azione del potere esecutivo. Non tutte le materie possono essere affidate alla disciplina dei regolamenti, infatti certe materie sono disciplinate solo dalle legge (riserve di legge).

I regolamenti sono deliberati dal Consiglio dei Ministri, dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato. Dopodiché il regolamento viene emanato, e poi sottoposto al controllo della Corte dei Conti. Poi viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. La legge precede 4 categorie di regolamenti governativi:

Nel I° gruppo sono compresi i regolamenti per l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi e i regolamenti per l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale (regolamenti di attuazione di leggi).

Al II° gruppo appartengono i regolamenti che disciplinano le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie riservate alla legge (regolamenti indipendenti).

Il regolamento governativo può disciplinare l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, ma deve poi precisare che ciò può accadere soltanto secondo le disposizioni dettate dalla legge (regolamenti di organizzazione).

Inoltre quando una materia sia disciplinata dalla legge (delegificazione) il legislatore può limitarsi a determinare le norme generali regolatrici della materia, abrogando la legislazione precedente e rinviando per il resto ad un successivo regolamento.

Al contrario del Governo nel suo insieme, i singoli Ministri dispongono di poteri normativi regolamentari solo quando "leggi particolari" li prevedono. Si emanano quando si tratta di norme di contenuto tecnico: ad esempio, limiti di ammissibilità di sostanze nell' ambiente o negli alimenti, requisiti di materiali da costruzione, ecc..

NB. Non sono veri atti normativi le circolari ma sono istruzioni del Ministro che dà agli uffici amministrativi del Ministero sul modo in cui una legge o un regolamento devono essere interpretati ed applicati.


22 (Le fonti regionali e locali)

Le regioni devono essere distinte in 2 diverse categorie. Da una parte, infatti tutte le Regioni (art. 115 Cost.) sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione; dall'altra secondo l'art. 116 Cost. alla Sicilia, Sardegna, Trentino Alto - Adige, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti adottati con legge costituzionale. Queste regioni si dicono a statuto speciale, in contrapposizione alle altre a statuto ordinario. Lo statuto delle Regioni ordinarie è previsto dall'art. 123 della Costituzione, secondo il quale esso stabilisce le norme relative all'organizzazione interna della Regione, e regola l'esercizio del diritto di iniziativa del "referendum" su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione, e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Lo statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con legge della Repubblica.

Le Regioni hanno il potere di fare leggi regionali, che sono vere leggi e sono approvate da un assemblea elettiva e promulgate. Esse possono entro certi limiti contenere norme difformi dalla legislazione statale ed anche le norme illegittime possono essere eliminate solo dalla Corte costituzionale. Il potere legislativo regionale è però un potere fortemente limitato. Alle Regioni a statuto speciale (e alle PAB e PAT) i rispettivi statuti assegnano 3 tipi di potestà legislativa, distinti per la diversa ampiezza del potere conferito e sono: potestà primaria, potestà concorrente o ripartita, potestà di integrazione ed attuazione. Alle regioni a statuto ordinario invece la Costituzione garantisce un solo tipo di potestà legislativa (concorrente). I vincoli previsti per la potestà primaria si possono dire a tutte le potestà regionali: limite della Costituzione, territorio, materie, principi generali dell'ordinamento giuridico, obblighi internazionali, riforme economiche e sociali, interessi nazionali e delle altre Regioni.

La potestà legislativa concorrente deve sottostare ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Si dice spesso che nelle materie assegnate alla potestà concorrente delle Regioni lo Stato deve limitarsi a fare la cosiddetta legge cornice, al cui interno si svolge la legislazione regionale, cui tocca di disegnare il "dettaglio".

Una vera e propria potestà legislativa integrativa ed attuativa è prevista soltanto per alcune Regioni e Province autonome speciali (Friuli, Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta) in relazione ad un numero limitatissimo di materie.

Per la legge regionale è sufficiente una sola approvazione: l'organo legislativo, il Consiglio regionale, è un unico organo collegiale. Poi la legge regionale è soggetta, prima della promulgazione, ad un controllo statale, effettuato dal Governo. Più precisamente (art. 127 Cost.) la legge approvata dal Consiglio regionale viene comunicata al Commissario del Governo. Dal giorno successivo dell'arrivo decorrono 30 giorni entro i quali il Governo (che ha intanto ricevuto la legge dal Commissario) può rinviarla al Consiglio regionale perché la ritiene illegittima o per violazione del limite di merito. Se il consiglio regionale approva la legge (a maggioranza assoluta), il Governo ha 15 giorni di tempo per impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale per ragioni di illegittimità o sottoporla al Parlamento per ragioni di merito.

I regolamenti regionali sono regolamenti di esecuzione delle leggi regionali (ma non sono frequentissimi). I regolamenti comunali hanno una notevole importanza perché costituiscono uno dei principali strumenti di espressione dell'autonomia dei Comuni.

NB. Anche il potere regolamentare dei Comuni esiste solo nei confini stabiliti dalla legge.


23 (Altre fonti)

Esistono anche fonti non statali, che operano all'interno dello Stato solo con il consenso dello Stato, e quindi si parla di statuti per gli enti pubblici o consuetudini. In generale si chiamano statuti gli atti in cui sono previste le principali regole sull'organizzazione e funzionamento di società o enti.

Mediante la consuetudine norme giuridiche vengono ad esistenza attraverso il comportamento dei membri della comunità, e non attraverso deliberazioni di appositi organi, intenzionalmente rivolte a produrle. Per dare vita ad una norma consuetudinaria bisogna avere 2 caratteristiche. Un elemento materiale, cioè il comportamento venga tenuto costantemente ed uniformemente dal gruppo sociale. E secondo un elemento psicologico, cioè il comportamento venga tenuto con la convinzione che esso sia obbligatorio.

I contratti collettivi del pubblico impiego sono stipulati attraverso una complessa procedura. Essi operano direttamente, senza bisogno di recepimento in alcun diverso atto giuridico, e la loro disciplina sembra valere per tutti.

Vi sono casi in cui il giudice italiano deve applicare norme di altri ordinamenti giuridici, ai quali il nostro ordinamento opera un rinvio. Il rinvio non è fatto a certe e precise e determinate disposizioni, ma alla loro fonte: perciò se muta la norma nell'ordinamento straniero, muta anche la norma da applicare in Italia.

V. La pubblica amministrazione.


24 (L'attività amministrativa e il diritto dell'amministrazione)

Lo Stato, come espressione organizzata della comunità, stabilisce le regole di comportamento, esercitando la funzione normativa, e le applica risolvendo le controversie, nell'esercizio della funzione giurisdizionale. Ma nessuno Stato potrebbe limitarsi a questo, senza mancare a compiti essenziali e mettere in pericolo la sua esistenza, e accanto a bisogni primordiali di sicurezza della vita associata, lo Stato ne svolge altri a vantaggio e beneficio della collettività (compiti di benessere).

Oggi lo Stato provvede alla pubblica istruzione, alla sicurezza sociale, all'assistenza sanitaria, ai servizi della posta e della comunicazione, alla produzione e distribuzione dell'energia elettrica e molte altre attività. In questo senso, esse sono tutte attività amministrativa, e quindi esiste una funzione amministrativa, che ha per scopo ed oggetto il soddisfacimento in concreto dei pubblici interessi della comunità.

La funzione amministrativa è affidata alla pubblica amministrazione. D'altra parte, con l'espressione pubblica amministrazione ci si riferisce a quell'insieme di organi ed apparati ai quali è affidato lo svolgimento della funzione amministrativa. Una quantità molto importante di funzioni amministrative è affidata a enti territoriali, come Regioni, Province e Comuni, che rappresentano la comunità stanziata in una determinata porzione del territorio statale. Altre funzioni sono svolte da altre organizzazioni con personalità giuridica detti enti pubblici.

A prima vista, l'attività amministrativa sembra dividersi in 2 grandi categorie l'amministrazione per atti e per servizi. Infatti in alcuni casi l'amministrazione deve compiere atti giuridici, cioè assumere una decisione avvalendosi dei poteri giuridici ad essa attribuiti. Altre volte i risultati richiedono più che atti la predisposizione e la gestione o il compimento di opere.

L'amministrazione è vincolata al rispetto delle norme giuridiche. Ma se l'amministrazione agisce a scopo di pubblico interesse e non come autorità (opera sullo stesso piano degli altri soggetti) vale il diritto privato. Se invece si presenta come autorità amministrativa, esiste un particolare insieme di regole e principi giuridici chiamato diritto amministrativo.

L'appartenenza alla Unione Europea comporta particolari fenomeni perché vi sono compiti ed ambiti nei quali situazioni operanti in Italia sono oggetto di attività amministrativa assunti dagli organi comunitari (es. la concorrenza,.).


25 (L'amministrazione statale)

Le strutture fondamentali dell'amministrazione statale sono costituite più che dal Consiglio dei Ministri, dai singoli Ministeri, i cui atti non possono essere messi in discussione nemmeno dal Consiglio dei Ministri.

Secondo l'art. 124 della Costituzione il Governo ha, in ogni Regione,un proprio Commissario, il quale soprintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato, e le coordina con quelle esercitate dalla Regione.

La pubblica amministrazione si articola per Ministeri che sono organizzazioni complesse di uffici, personale e mezzi unificate da una relativa omogeneità dei settori d'intervento e dei compiti affidati a ciascuno di essi. Il Ministero è il complesso di apparati di cui il Ministro si avvale nell'esercizio delle sue funzioni. I Ministeri sono 19. L'organo fondamentale è il Ministro, ma tuttavia sono assegnati dei compiti a dirigenti.

All'interno di alcuni Ministeri operano strutture "separate" da esso, chiamate aziende o amministrazioni autonome, che hanno autonomia nella gestione dei fondi e dei beni assegnati, ma i loro bilanci sono collegati a quello del Ministero e non hanno personalità giuridica. Essi sono l'ANAS, FF.SS., Poste, ecc..

I Ministeri possono essere raggruppati per ambito di attività. Ci sono quelli d'ordine: Interno, Difesa, Grazia e Giustizia, Affari Esteri. Ci sono poi quelli finanziari o economici: Finanze, Tesoro e Bilancio, altri per lo sviluppo economico della collettività: Risorse agricole, alimentari e forestali, Industria commercio e artigianato, Commercio estero, Lavoro e previdenza sociale. Poi ci sono i ministeri preposti alla creazione e gestione dei beni e attrezzature collettive: Lavori pubblici, Poste e Telecomunicazioni, Trasporti e navigazione, Pubblica istruzione, Sanità, Beni culturali, Ambiente, Università e ricerca scientifica.

Esistono anche organi, sia consultivi che di controllo, che agiscono all'esterno dei Ministeri e sono il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. Il Consiglio di Stato è definito come organo di consulenza giuridico - amministrativa e di tutela della giustizia dell'amministrazione (art. 100, co. 1, Cost.). Esso svolge 2 funzioni, amministrativa e giurisdizionale ed ha 6 Sezioni (3 per parte). L'attività consultiva si traduce nella formulazione di pareri, che vengono chiesti dal Governo, dai Ministri o dalle Regioni. La Corte dei Conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo e sulla gestione del bilancio dello Stato. La Corte dei Conti ha un controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, sul controllo successivo sul rendiconto annuale dello Stato, e il controllo sulla gestione.


26 (Le autonomie territoriali e gli altri enti pubblici)

L'autonomia e il decentramento non sono la stessa cosa. Per autonomia si intende una condizione di libertà attribuita ad un soggetto. Mentre l'autonomia si riferisce agli enti locali, il decentramento amministrativo si attua nei servizi che dipendono dallo Stato. Esso consiste nell'attribuire i compiti amministrativi ad organi periferici.

Solo dal 1970 i Consigli Regionali adottarono gli statuti. Nel 1972 furono emanati i decreti legislativi di trasferimento dalle funzioni amministrative. Le Regioni sono oggi i maggiori enti autonomi. Esse non hanno solo poteri amministrativi, ma anche il potere di disciplinare con leggi la loro azione.

Ogni Regione ha 3 organi fondamentali: il Consiglio, la Giunta e il Presidente della Giunta, che è anche Presidente della Regione. Il Consiglio regionale è il fondamentale organo rappresentativo, esso (art. 121, co. 2, Cost.) esercita le potestà legislative e regolamentarie attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Il consiglio è titolare delle funzioni legislative (e statuarie) ma anche di quelle regolamentari e amministrative. Nelle Regioni a statuto speciale è titolare della sola funzione legislativa, mentre le altre spettano alla Giunta. I consigli sono composti da consiglieri, il quale numero è variabile da 30 a 80 ed è eletto a suffragio universale diretto. Il sistema elettorale è che 4/5 dei consiglieri sono eletti con criterio proporzionale (su base provinciale), mentre il rimanente 1/5 con criterio maggioritario (su base regionale). Il consiglio provvede ad eleggere un suo Presidente. I consigli durano in carica 5 anni, ma può essere sciolto (art. 126 Cost.): quando il Consiglio compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge; quando non corrisponda all'invito di sostituire la Giunta o il Presidente, che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni; quando non sia in grado di funzionare, per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza quando lo giustifichino ragioni di sicurezza nazionale.

La Giunta è l'organo esecutivo delle Regioni. È eletta tra i consiglieri (art. 122, u. c.), e il suo numero è previsto dagli statuti regionali. I membri della Giunta (assessori) non sono organi esterni della Regione.

La Costituzione affida alla potestà legislativa  regionale alcune materie (art. 117, co. 1, Cost.): ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni regionali, polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati, beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; istruzione artigiana e professionale; musei e biblioteche; urbanistica; turismo; tranvie e linee automobilistiche regionali; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nella acque interne; agricoltura e foreste; artigianato.

La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province, Comuni o altri enti locali. La delega delle funzioni e l'avvallamento degli uffici sono le 2 possibili forme di collaborazione degli enti locali all'esercizio dell'autonomia amministrativa regionale. Le Regioni hanno autonomia finanziaria, ad esse sono attribuite tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali.

L'esercizio delle funzioni regionali è soggetto a controlli da parte dello Stato, ed è esercitato da un organo che opera in forma decentrata chiamato Commissione di controllo. Nelle Regioni a statuto speciale il controllo è svolto da una Sezione decentrata della Corte dei Conti ed è un controllo di sola legittimità.

L'art. 128 della Costituzione stabilisce che i Comuni e le Province sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi  generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni, quindi le leggi destinate a porre i principi entro i quali si esplica l'autonomia comunale sono leggi della Repubblica: cioè leggi statali.

Il Comune è l'ente più antico e più radicato nella tradizione, perché è il punto di riferimento più elementare e sicuro nella percezione e spesso nel soddisfacimento dei bisogni della collettività. Fondamentali organi del Comune sono da una parte il Sindaco e la sua Giunta, dall'altra il Consiglio, composto dal Sindaco e da un numero di consiglieri variabile da 12 a 60. Nei comuni fino a 15.000 abitanti i candidati alla carica di Sindaco si presentano agli elettori collegati ad una lista di candidati alla carica di consiglieri. Gli elettori votano per il Sindaco e indirettamente per i consiglieri (anche se si può esprimere anche un voto di preferenza per un consigliere), alla liste collegata al Sindaco eletto sono attribuiti due terzi dei seggi. Nei comuni con più di 15.000 abitanti, l'elezione del Sindaco e del Consiglio sono separate. I candidati Sindaci sono pur sempre collegati alle liste dei candidati consiglieri ma il voto del Sindaco non viene computato come voto di lista.

Il Sindaco e il Consiglio sono eletti contestualmente, ed insieme devono vivere: ogni causa di cessazione dell'uno si traduce automaticamente in causa di cessazione nell'altro.

Il Sindaco è l'organo responsabile dell'amministrazione del Comune. Esso rappresenta l'ente sia in termini politici, sia giuridicamente ogni volta che esso debba figurare all'esterno in una sola persona: per la firma dei contratti, per la rappresentanza in giudizio, ecc..

La Giunta mantiene importanti compiti, ed a suo favore rimane posta la cosiddetta "clausola residuale": in altre parole, essa ha il potere di compiere tutti gli atti per i quali le leggi o lo Statuto non indichino la competenza di altri organi.

Il Consiglio è l'organo che più compiutamente rappresenta la comunità locale, dato che esso rispecchia una necessaria dialettica politica, nel senso che in ogni caso vi è rappresentata almeno una lista di maggioranza ed una di minoranza.

Il Consiglio dura in carica 4 anni e le sue sedute sono pubbliche. Alla carica di Sindaco si collega anche quella di Ufficiale del Governo e in questa veste opera come organo statale.

Le circoscrizioni vengono definite come organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal Comune.

Il Sindaco e i consiglieri sono funzionari onorari e percepiscono un'indennità. I Comuni godono di una notevole libertà nel disciplinare gli uffici, il cui capo è il Segretario comunale.

Il Comune è un ente a fini generali, cioè esso può operare per il soddisfacimento di qualunque interesse della collettività comunale. Esso si occupa di polizia locale urbana e rurale, urbanistica ed edilizia, lavori pubblici, assistenza sociale, sanità ed igiene, commercio.

Il Comune può anche concedere a privati l'organizzazione e lo svolgimento del servizio pubblico: si parla di servizi in concessione.

Le Province sono anch'esse enti autonomi territoriali rappresentativi delle comunità locali. Anch'essa ha un Presidente, una Giunta ed un Consiglio. L'elezione del Presidente avviene come nel Sindaco nei comuni maggiori.

Il ruolo che la Provincia è chiamata a svolgere comprende due fondamentali gruppi di funzioni: la programmazione, cioè nell'adozione di programmi pluriennali, dall'altra funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardano vaste zone intercomunali.

I Comuni possono collaborare tra di loro in differenti modi. Lo strumento più semplice consiste nella stipulazione di una convenzione destinata a coordinare determinati servizi. Ma si può anche formare un consorzio che è un ente pubblico, governato da una assemblea e da un consiglio di amministrazione.

Esiste anche l'Unione di Comuni (non superiori a 5000 abitanti) che non possono far fronte ai loro compiti come singoli comuni, ma si uniscono anche in previsione di una fusione.

Le Comunità montane sono enti locali costituiti allo scopo di promuovere la valorizzazione delle zone montane.

Particolari compiti hanno le Città metropolitane (particolare Provincia) una serie di compiti, in quei settori è più evidente l'esigenza di un governo unitario dell'intera zona.

La gestione finanziaria si basa sul bilancio annuale di previsione redatto in termini di competenza da deliberarsi necessariamente in pareggio. Il bilancio annuale costituisce la base che consente la riscossione delle entrate e l'assunzione degli impegni di spesa.

L'art. 128 della Costituzione prevede che siano leggi della Repubblica a determinare l'ambito di autonomia degli enti locali. Ma anche l'art. 118 precisa che la Regione esercita le sue funzioni amministrative delegandole a Province, Comuni o altri enti locali, valendosi dei loro uffici.

Il controllo sugli atti è effettuato dall'art. 130 della Costituzione chiamato Comitato regionale composto da 5 componenti (4 eletti dal Consiglio regionale, ed 1 dal Commissario del Governo).

Gli enti pubblici sono enti (con personalità giuridica) chiamati a collaborare con lo Stato per il raggiungimento dei fini di pubblico interesse della collettività.

Esistono anche enti pubblici economici creati per salvare attività economiche in crisi come IRI, ENI, INA, ENEL.

NB. Gli enti pubblici non sono soggetti al fallimento.


27 (Gli atti amministrativi)

La pubblica amministrazione dispone di poteri dei quali i normali soggetti dell'ordinamento non dispongono affatto (come espropriare un bene, arruolare una persona per il servizio di leva, ecc.). Ma gli speciali poteri di cui dispone l'amministrazione non sono quelli mediante i quali l'amministrazione toglie o impone qualcosa, ma anche altri con i quali consente a qualcuno di tenere un determinato comportamento.

L'autorità ha però tutti e soltanto i poteri, che ad essa sono assegnati dalle regole del diritto, e dalle legge in particolare. Il principio di legalità vale per tutti gli speciali poteri attribuiti alla pubblica amministrazione, sia per quelli limitativi che per quelli permissivi.

Le regole che disciplinano gli atti dei privati sono ispirate al principio dell'autonomia privata, che permette ai soggetti privati di produrre con i loro atti effetti giuridici che vogliono, nella misura che vogliono, per le ragioni che vogliono, purché veramente lo vogliono. In questo ambito è evidente il valore è la libertà del volere.

Per l'amministrazione invece la legge opera anche come sua direzione e guida: individuando il potere da esercitare, le ipotesi nelle quali il potere può o deve essere esercitato, ecc.. Così il metro di valutazione degli atti amministrativi è la loro conformità alle previsioni di legge. La ragione della differenza sta nel fatto che i privati gestiscono in genere interessi propri, mentre la pubblica amministrazione gestisce e cura gli interessi della collettività e quindi i motivi delle scelte, per gli atti della pubblica amministrazione potrebbero essere giuridicamente incongruenti.

Per gli atti della pubblica amministrazione non si parla quindi di autonomia privata ma di discrezionalità amministrativa, che è quindi una facoltà di scelta del migliore conseguimento dell'interesse pubblico.

Le scelte discrezionali costituiscono il merito del provvedimento amministrativo. Esse possono essere giuste o sbagliate, opportune o inopportune.

Gli atti discrezionali devono contenere una motivazione sulle ragioni delle scelte compiute.

Molto spesso la pubblica amministrazione si trova a dover compiere delle scelte che si basano non su valutazioni di ordine conoscitivo dette "tecniche" a volte vincolanti. Per indicare questo si dice discrezionalità tecnica.

Gli atti della pubblica amministrazione formano uno speciale regime giuridico (diritto amministrativo), nel quella gli atti si dicono atti amministrativi. Bisogna però distinguerli in 2: atti che producono effetti giuridici all'esterno della pubblica amministrazione verso gli amministrati modificando le situazioni giuridiche soggettive (diritto, obblighi, ecc.) che si dicono provvedimenti, mentre i secondi che non hanno capacità di produrre effetti giuridici all'esterno di dicono atti (o meri) amministrativi.

Provvedimenti amministrativi sono dunque gli atti con i quali le autorità amministrative prendono le decisioni necessarie per il conseguimento dei fini pubblici. I provvedimenti amministrativi sono sempre atti unilaterali ed  autoritativi. I provvedimenti amministrativi devono essere individuati singolarmente dalla legge (nominatività) e la legge deve specificare che tipo di provvedimento di tratti (tipicità).

Si parla di esecutorietà del provvedimento per indicare la facoltà di portare direttamente ad esecuzione coattiva i provvedimenti che non vengono spontaneamente eseguiti da coloro ai quali si rivolgono. L'efficacia del provvedimento è l'effettiva produzione degli effetti giuridici del provvedimento stesso. L'esecutività indica che il provvedimento, già efficace, può essere portato ad esecuzione.

Esistono (dal punto di vista del privato) 2 tipi di provvedimenti: favorevoli e sfavorevoli: tra i favorevoli ricordiamo le autorizzazioni, con i quali viene consentita una attività ammessa, ma che la legge vieta senza un apposito permesso; le concessioni con le quali l'amministrazione attribuisce ai privati speciali diritto di usare o gestire beni pubblici; le ammissioni un privato viene ammesso a far parte di una pubblica istituzione; gli esoneri e le dispense con i quali vengono erogate somme di denaro per fini di interesse pubblico. I provvedimenti sfavorevoli sono l'ordine che fa nascere nel destinatario un obbligo, che prima non esisteva; l'espropriazione con il quale l'autorità amministrativa trasferisce il diritto di proprietà di un immobile; le occupazioni, con i quali beni immobili vengono sottratti per un certo periodo al proprietario ed occupati per diverso uso; le sanzioni amministrative che si distinguono in revoche di provvedimenti o sanzioni disciplinari che colpiscono il comportamento scorretto di coloro che appartengono alla pubblica istituzione; le sanzioni pecuniarie, ovvero le contravvenzioni, ma anche la confisca di un bene collegato al comportamento illecito.

Ci sono altri provvedimenti detti di secondo grado, come l'annullamento d'ufficio di un precedente provvedimento viziato, la revoca di un provvedimento e la sanatoria di un precedente provvedimento viziato.

Gli accordi tra amministrazione e amministrati hanno lo scopo di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale. Gli accordi tra amministrazioni sono invece rivolti a disciplinare lo svolgimento di attività di interesse comune.

In questi accordi si richiede la forma scritta, i principi stabiliti dal codice civile in materia di obbligazioni e di contratti, e la decisione sulle controversie spetta al giudice amministrativo.

Tipici atti che vengono compiuti in vista dell'assunzione di un provvedimento sono i pareri mediante i quali si forniscono valutazioni tecniche o consigli alle autorità. Tutta la serie di atti e di attività che si susseguono in ordine prestabilito in vista della eventuale assunzione di un provvedimento si dice procedimento amministrativo che si distingue in 4 fasi:

L'iniziativa è la fase nella quale il procedimento inizia, che può essere provocato da un'apposita domanda (istanza) di colui che è interessato al provvedimento, o su iniziativa dell'amministrazione (d'ufficio).

L'istruttoria è la fase nella quale vengono acquisiti di diritto e di fatto gli elementi necessari per decidere se si deve realmente procedere. In questa fase hanno importanza i pareri che si chiedono ad appositi organi consultivi.

Nella fase costitutiva viene emanato il provvedimento vero e proprio.

Ultima fase è quella del controllo per verificarne la conformità alle norme giuridiche, e questa fase si chiama dell'efficacia.

Ogni provvedimento (art. 3 legge 7/8/1990 n. 241) amministrativo deve essere motivato, ad eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione in relazione alle risultanze dell'istruttoria.

Quando il provvedimento inizi a seguito di una istanza o quando inizi d'ufficio, questo deve concludersi mediante l'adozione di un provvedimento espresso.

L'avvio del procedimento deve essere comunicato ai destinatari ed ad altri soggetti cui possa derivare un pregiudizio.

In molti casi le leggi che disciplinano i singoli procedimenti prevedono che i provvedimenti possano essere assunti solo dopo che è stato ascoltato il parere di un organo consultivo o valutazioni tecniche di appositi organi.

La legge n. 241 del 1990 prevede inoltre che tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla - osta, permesso, o altro atto di consenso, l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato.

A volte il provvedimento stesso si considera concesso in caso di inerzia dell'autorità amministrativa (silenzio - assenso). Esiste anche la possibilità di conoscere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di ottenerne copia; il "diritto di accesso" è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.

Per vizi del provvedimento intendiamo quegli stati di irregolarità che impediscono la perfezione e la validità del provvedimento. Quando si tratti di irregolarità così gravi da impedire la perfezione, si parla di inesistenza o nullità, di uno o più elementi costitutivi del provvedimento, considerato come atto giuridico: il soggetto, il potere, la forma, l'oggetto. Ogni altra difformità del provvedimento rispetto ai requisiti posti da norme giuridiche è causa di annullabilità dell'atto.

I vizi si classificano in: incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere.

Si ha il vizio di incompetenza quando un provvedimento amministrativo è posto in essere da un'amministrazione provvista di potestà nella materia, ma attraverso un organo diverso da quello che avrebbe dovuto prendere. La violazione di legge comprende tutti gli altri casi nei quali risulta violata una norma giuridica, a contenuto specifico e determinato. Quando la formazione della volontà dell'amministrazione era avvenuta in modo scorretto, in relazione ai principi giuridici che regolano l'azione amministrativa e l'esercizio della discrezionalità si chiama eccesso di potere (sviamento di potere, vizi della motivazione, disparità di trattamento, violazione della prassi amministrativa, travisamento dei fatti, ingiusta manifesta).

Talvolta il vizio può essere cancellato, o sanato, si parla di sanatoria degli atti amministrativi. Quando vengono sanati vizi di legittimità consistenti nella violazione di regole procedimentali, questo tipo di sanatoria viene detto convalida. Quando viene sanato un provvedimento emanato da una autorità diversa dall'autorità competente, si parla di ratifica. Quando l'amministrazione si avveda che un proprio provvedimento è illegittimo può annullarlo d'ufficio.

Vizi di merito si dicono i "difetti" che colpiscono l'atto nella sua opportunità, però gli atti inopportuni non sono annullabili.

Esistono 3 diverse qualifiche del provvedimento: perfezione, efficacia, validità.

Diciamo che un provvedimento è perfetto quando sono venuti in essere i suoi elementi costitutivi, e diciamo che il provvedimento esiste. Solo un provvedimento che sia perfetto può essere dotato di efficacia, affinché produca effetti giuridici.

Per validità si intende la conformità del provvedimento ai requisiti fidati dal diritto.

Quando un soggetto si ritenga leso da un provvedimento dell'amministrazione può chiedere tutela al giudice amministrativo, mediante la proposizione di un ricorso amministrativo. I ricorsi previsti sono: in opposizione, gerarchico e il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Il ricorso gerarchico si presenta all'organo immediatamente superiore a quello che ha posto in essere il provvedimento e si può chiedere l'annullamento (illegittimo) o la revoca (ragioni di merito). Il ricorso va presentato entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento. Trascorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso senza che l'autorità superiore si sia pronunciata, il ricorso si intende respinto ad ogni effetto, allora si può ricorrere in sede giurisdizionale o in alternativa tentare il ricorso straordinario al Capo dello Stato (ammesso solo per ragioni di legittimità e decisione presa dal Consiglio di Stato).


28 (I beni pubblici, la finanza, il bilancio)

L'attività amministrativa richiede che la pubblica amministrazione disponga di beni, che essa impiega per il conseguimento dei pubblici interessi che le sono affidati.

In primo luogo, l'amministrazione ha bisogno di danaro, alla cui acquisizione si provvede essenzialmente mediante la riscossione dei tributi (imposte e tasse). Accanto al danaro, l'amministrazione ha bisogno di specifici beni sia immobili (edifici) sia mobili.

Alcuni beni a volte non sono di proprietà dell'ente che li utilizza, altre volte il bene stesso è già di per sé e fin dall'inizio idoneo a soddisfare le esigenze di sicurezza e di benessere della collettività (spiagge, porti, fiumi, ecc.).

Esistono 3 tipi di beni: beni demaniali, beni patrimoniali indisponibili, beni del patrimonio disponibile.

Secondo l'art. 822, co. 1, codice civile appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade, e i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, opere destinate alla difesa nazionale che formano il demanio necessario. Altri beni demaniali sono le strade, autostrade, strade ferrate, aerodromi, acquedotti, immobili storici, musei, pinacoteche, archivi e biblioteche che formano il demanio eventuale, cioè essi possono essere oggetto di proprietà privata.

Mentre i beni demaniali possono appartenere solo allo Stato, alle Regioni, alle Province o ai Comuni, tutti gli enti pubblici possono avere beni patrimoniali indisponibili, che hanno parte del patrimonio indisponibile e che sono destinati ad un pubblico servizio. I beni patrimoniali disponibili sono il danaro, i crediti, le azioni, gli immobili, e in generale ogni bene che non sia destinato a pubblico servizio.

Alcuni beni mobili ed immobili devono essere acquisiti. Però l'amministrazione a volte si avvale di speciali poteri ed espropria beni immobili o requisisce temporaneamente beni mobili.

In generale però l'amministrazione stipula comuni contratti ovvero compera ciò che serve da privati produttori.

Per concludere un contratto si devono seguire apposite procedure, chiamate gare pubbliche, che si svolgono mediante asta pubblica, licitazione privata, o appalto concorso.

L'asta pubblica è una gara alla quale chiunque può prendere parte purché presenti un'offerta corrispondente ai requisiti fissati dal bando di gara.

La licitazione privata è una gara simile all'asta pubblica, alla quale possono partecipare solo ditte previamente invitate dall'amministrazione stessa.

L'appalto concorso è una gara mediante la quale l'amministrazione chiama gli stessi concorrenti a definire il progetto di ciò che si deve realizzare.

Solo in determinati casi la pubblica amministrazione può evitare la gara pubblica e scegliere liberamente il contraente.

Si parla di finanza pubblica per indicare l'insieme degli strumenti attraverso i quali lo Stato ottiene i mezzi necessari per far fronte alle spese pubbliche. Il danaro non può prevenire che dai tributi che sono somme di danaro che le persone (fisiche e giuridiche) sono tenute a corrispondere perché tutti sono tenuti a concorrere alle spese in ragione allo loro capacità contributiva (art. 53, co. 1,Cost.). Gli obblighi tributari possono essere stabiliti soltanto in base alla legge.

La tassa è il tributo che si paga di fronte ad una "prestazione" o comunque ad una specifica attività dell'amministrazione. La maggior parte dei tributi sono però dovuti per il solo fatto che un soggetto si trova in una certa situazione rivelatrice di capacità contributiva, prevista dalla legge, cioè le imposte, che sono indirette (IVA, successioni, ecc.) o dirette (IRPEF, IRPEG, ILOR).

Le controversie in materia tributaria sono sottoposte a giudici speciali chiamati commissioni tributarie.

Le entrate e le spese dello Stato sono stabilite annualmente attraverso il bilancio dello Stato, l'approvazione di questo è riservato al Parlamento, che vi provvede con la legge di bilancio (art. 81 Cost.) (presentata entro il 30 luglio). Ma con questa non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese, che si può fare con la legge finanziaria che il Governo presenta entro il 39 settembre.

VI. La magistratura e la Corte Costituzionale.


29 (La magistratura ordinaria)

La magistratura è il corpo dei giudici, chiamati a svolgere la funzione giurisdizionale, che è costituito da magistrati ordinari, ma prevede anche altri corpi ed organi titolari di funzioni giurisdizionali, che si dicono speciali.

Si parla di giurisdizione per indicare la parte di funzione giurisdizionale attribuita ad una magistratura. La magistratura ordinaria è costituita da un corpo di giudici, che si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni. La legge distingue i magistrati di Tribunale, Corte d'appello e Corte di cassazione.

Magistrati ordinari sono pure addetti agli uffici del pubblico ministero, che ha il compito di rappresentare in giudizio gli interessi dello Stato e della giustizia in generale. Uffici del pm sono costituiti presso la Corte di cassazione e Corti di appello (procure generali) nonché presso i Tribunali (procure della Repubblica).

I giudici amministrano la giustizia in nome del popolo (art. 101 Cost.) ma non sono né eletti dal popolo, né sono i suoi rappresentanti.

La giurisdizione civile si occupa delle controversie che riguardano i diritti soggettivi, sia che si tratti di diritto privato o pubblico. Le controversie civili sono instaurate davanti al giudice di pace o al tribunale, secondo i criteri stabiliti dal c.p.c. (giudice unico).

Il processo (causa) si inizia mediante un atto (citazione) mediante il quale un soggetto (attore), ad indicare che si tratta di colui che "agisce" in giudizio, chiama davanti al giudice un altro soggetto (convenuto) affinché il giudice accerti la fondatezza di una pretesa del primo nei confronti del secondo. Lo svolgimento si ispira al cosiddetto principio dispositivo in virtù del quale le parti dispongono di prove, sulle quali il giudice deve basarsi nel decidere, mentre il giudice non ne può disporre d'ufficio (art. 113 c.p.c.).

La parte che è rimasta soccombente nel giudizio può chiedere un giudizio di appello nel corso del quale la questione viene riesaminata. È questa la regola del doppio grado di giurisdizione. Non si tratta di una regola assoluta, ma vale in generale. Le sentenze di appello possono essere impugnate in Corte di cassazione, che è consentito soltanto ove si voglia sostenere che il giudice d'appello ha errato nell'applicare la legge. Quando una sentenza non può essere impugnata essa costituisce il giudicato relativo alla controversia, che rimane immutabile.

La giurisdizione penale è rivolta ad accertare la responsabilità di colui che sia accusato di aver commesso un reato (l'imputato). Essa è esercitata in primo grado dal tribunale o dalla Corte di assise. L'azione penale è sempre iniziata dal pubblico ministero ed il suo esercizio è definito come un obbligo della Costituzione.

Il vigente c.p.p. è ispirato ai principi del sistema accusatorio. Il pm svolge le indagini preliminari che non costituiscono prova. La persona sulla quale si indaga non è imputato se non alla fine delle indagini preliminari, quando il pm richieda il rinvio a giudizio (art. 60 c.p.p.). È in questo momento che inizia il processo. Nel dibattimento l'accusa, in contraddittorio con la difesa, cerca di formare le prova della colpevolezza, al fine di ottenere la condanna dell'imputato. Se nel corso del dibattimento il pm si convince dell'innocenza dell'imputato può e deve chiedere l'assoluzione.

Anche nelle sentenze penali è ammesso appello che può essere presentato dall'imputato o dal pm in Corte d'appello o in Corte d'Assise d'appello. Anche nel processo penale è ammesso il ricorso in cassazione.

La Costituzione ha considerato l'indipendenza della magistratura un bene prezioso, perché afferma che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104, co. 1, Cost.). L'organo di autogoverno dei giudici si chiama Consiglio Superiore della Magistratura al quale spettano le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art. 105 Cost.). Esso è composto per i due terzi (20) da magistrati ordinari eletti da magistrati ordinari, inoltre ne fanno parte di diritto il I° presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione (art. 104, co. 3, Cost.). La presidenza è assegnata al Presidente della Repubblica (membro di diritto), ed un terzo viene eletto dal Parlamento tra professori ordinari di università in materie giuridiche o avvocati dopo 15 anni di servizio.


30 (La giustizia amministrativa e le giurisdizioni speciali)

La giustizia amministrativa ha riguardo all'esercizio della giustizia in relazione all'amministrazione. La costituzione italiana afferma che all'art. 113 che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale che non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinare categorie di atti.

Quando le controversie amministrative sono ripartite tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, fondamentale importanza assume la regola secondo la quale si opera la ripartizione: le controversie tra soggetto privato e pubblica amministrazione sono giudicate dal giudice ordinario quando esse hanno ad oggetto un diritto soggettivo, dal giudice amministrativo quando hanno ad oggetto un interesse legittimo. Tuttavia di fronte all'esercizio di pubblici poteri attribuiti alla pubblica amministrazione la posizione degli amministrati è sempre di interesse legittimo.

Quando l'amministrazione abbia operato nella sua veste di pubblica autorità, essa potrà essere condannata (in caso di lesione) al risarcimento dei danni ma, non in generale a comportamenti specifici perché altrimenti il giudice ordinario verrebbe ad interferire nell'esercizio della funzione amministrativa. Il giudice ordinario ha potere di disciplinare gli atti amministrativi illegittimi. La disapplicazione significa che l'atto viene considerato come se esso non ci fosse, ai fini della decisione sulla lesione del diritto soggettivo.

Il giudice amministrativo non allude ad un singolo e particolare organo giudicante, ma ad un complesso di organi giurisdizionali: essa si riferisce al sistema formato dai Tribunali amministrativi regionali quali giudici di I° grado, e dal Consiglio di Stato, quale giudice di appello. Il ruolo svolto dal CSM nella giurisdizione ordinaria, viene svolto dal Consiglio di Presidenza, che è composto da soli giudici amministrativi.

Affinché si possa parlare di interesse legittimo l'interesse leso deve essere personale, diretto e attuale. Personale significa che deve trattarsi di un interesse proprio di colui che si pretende leso. Diretto ed attuale, deve essere la lesione, perché deve derivare direttamente dal provvedimento impugnato, ed essere già in atto al momento dell'impugnazione.

L'azione per ottenere l'annullamento proposta da parte del titolare dell'interesse legittimo mediante ricorso al T.A.R., con il quale viene impugnato il provvedimento lesivo (entro 60 giorni). Se derivino all'interessato danni gravi ed irreparabili, questi può chiedere al giudice (prima della causa) la sospensione dell'esecuzione dell'atto. Se il giudice si convince delle buone ragioni del ricorrente, pronuncia una sentenza di annullamento; si chiude così il I° grado. La parte soccombente può chiedere appello al Consiglio di Stato (entro 60 giorni). Il giudizio di appello termina con una nuova sentenza, che conferma la precedente, oppure la riforma e si sostituisce ad essa. Contro le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso ricorso alla Corte di cassazione, ma solo per motivi inerenti alla giurisdizione. In alcune materie il giudice ha giurisdizione esclusiva come il pubblico impiego, concessioni amministrative, concessioni edilizie, accordi amministrativi. Se l'amministrazione non si conforma ad una sentenza, si può chiedere (sempre al giudice amministrativo) l'azione di ottemperanza, che ha il potere di commissariare la pubblica amministrazione.

La Corte dei Conti è un organo di controllo che svolge importanti funzioni di giudice, essa ha giurisdizione nelle materie di contabilità e nelle altre materie specificate dalla legge. Altri giudici speciali sono le Commissioni tributarie, Tribunale superiore delle acque pubbliche, tribunali militari.



31 (La Corte Costituzionale)

La nostra Costituzione è rigida e perciò si richiede la necessità di introdurre nel sistema istituzionale un meccanismo di verifica della conformità delle leggi della Costituzione. Quest'organo è chiamato Corte Costituzionale. Essa è formata da 15 giudici che sono scelti fra i magistrati delle giurisdizioni superiori, fra professori ordinari di università in materie giuridiche, o fra gli avvocati.

Un terzo viene nominato dal Presidente della Repubblica (5), un terzo dal Parlamento (5), e un terzo dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative (3 dalla Corte di Cassazione, 1 dal Consiglio di Stato, 1 dalla Corte dei Conti). I giudici durano in carica 9 anni e non sono rieleggibili. Hanno la stessa immunità dei Parlamentari. È presieduto da un Presidente, che è eletto fra i suoi componenti e dura in carica 3 anni.

La Corte ha il compito di giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni.

In generale, una questione sulla legittimità costituzionale di norme legislative può essere posta esclusivamente nel corso del giudizio già instaurato davanti ad un altro giudice (in via incidentale). Il giudice dal quale deriva la controversia di legittimità costituzionale viene chiamato giudice a quo. Può essere una delle parti del processo a quo a sollevare la questione, sostenendo che una norma che dovrebbe essere applicata in suo sfavore contrasta con la Costituzione; oppure lo stesso giudice chiamato a risolvere la controversia può essere in dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme legislative da applicare. Il giudice deve accertare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale in relazione alla controversia che egli deve risolvere. La manifesta infondatezza della questione gli impedisce di porla davanti al giudice costituzionale.

Vi sono però alcuni soggetti che possono portare direttamente una questione di legittimità davanti alla Corte, si tratta dello Stato e delle Regioni.

La Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza.

Quando il giudizio si chiude con sentenza, questa può presentarsi come sentenza di accoglimento, con la quale la Corte accerta e dichiara che la norma contestata si pone in contrasto con la Costituzione, o come sentenza di rigetto, con la quale rigetta le censure mosse contro la legge. Le sentenze di accoglimento possono essere additive, cioè aggiungono qualcosa a ciò che è scritto, sottrattive, cioè riducono l'ambito di applicazione della disposizione legislativa, oppure manipolative, cioè si giunge a sostituire taluno dei suoi termini normativi.

Di fronte alla legge (supposta) incostituzionale, non tutti si trovano nella stessa situazione. Il giudice che solo sospetta l'illegittimità costituzionale della legge non la può applicare, ma non ha nemmeno il potere di non applicarla in assoluto: egli deve sospendere il proprio giudizio, e sottoporre la questione di legittimità costituzionale alla Corte.

La Corte giudica anche sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni (art. 134 Cost.).

Il conflitto di attribuzione è una controversia con la quale si rivendica come proprio un compito che altri rivendicano come proprio.

Potere dello Stato è ogni organo statale posto al vertice, nell'ambito della propria funzione. Potere dello Stato è il Governo, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il CSM.

Ben più frequenti sono i conflitti tra Stato e Regioni. Capita spesso che le Regioni contestino allo Stato il potere di emanare certi provvedimenti, sostenendo che si tratta invece di poteri regionali, o viceversa.

Alla Corte spetta anche di giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione in relazione ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. In questo caso opera come giudice penale e assume una composizione dei 15 membri più altri 16, tratti a sorte da 45 cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni 9 anni.

La Costituzione ha attribuito alla Corte anche il giudizio sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.


VII. La persona, le libertà, lo solidarietà sociale.


32 (Le libertà individuali e collettive)

L'art. 1 della Costituzione presenta lo Stato italiano affermandone come essenziale il carattere democratico, ed individuando nel popolo la sede e la base della sovranità. L'art. 2 vuole invece sancire che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Inoltre la Costituzione dice che la Repubblica richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

La Costituzione enuncia il principio di eguaglianza in primo luogo come eguaglianza giuridica (o formale): è eguaglianza di fronte al diritto e viceversa. Inoltre tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, condizioni personali e sociali. Il principio va inteso come divieto di ogni ingiustificata discriminazione. Certe differenziazioni sono però dovute, per tutelare alti valori costituzionali.

La Repubblica ha il compito (art. 3, co. 2, Cost.) di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La libertà personale è da intendersi come libertà di disporre della propria persona, e perciò come assenza di coercizione sulle persone: se non latro per impedire la commissione dei reati, o per punire chi li abbia già commessi. Il problema è quello delle garanzia da assicurare alla libertà personale, la prima è la riserva assoluta di legge, nessuna forma di detenzione, ispezione o perquisizione personale, e più in generale di restrizione della libertà personale è ammessa nei soli casi previsti dalla legge. Sta in una riserva di giurisdizione nell'attuazione della legge, cioè nel fatto che solo la magistratura può disporre la restrizione di tale libertà, e solo con atto motivato.

Ognuno ha diritto ad una sfera di riservatezza, come la libertà di domicilio, la libertà di corrispondenza, di comunicazione.

Altre libertà sono quelle di manifestazione di pensiero, anche se vengono perseguiti i reati d'opinione (propaganda e apologia sovversiva, apologia, vilipendio delle istituzioni). L'art. 21 dice che la libertà di stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Altre libertà sono la libertà dell'arte e della scienza, e il loro insegnamento.

La libertà religiosa comprende il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di forme di propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto. Secondo l'art. 7 lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno del proprio ordine, indipendenti e sovrani.

Quanto alle confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

L'iniziativa economica privata è libera e non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La proprietà è pubblica o privata e i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme e favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto ed indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese (art. 47 Cost.).

Esistono però delle libertà, anch'esse protette e garantite dalla Costituzione, che sono specificatamente destinate a svolgersi nell'ambito della vita associata e collettiva: le organizzazioni sindacali e i partiti politici.

I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi (art. 17, co. 1, Cost.). Se le riunioni sono in luogo pubblico serve l'autorizzazione dell'autorità di pubblica sicurezza, in luoghi aperti  al pubblico non serve. La libertà di associazione rispetto alla riunione, è una preordinata compresenza di più persone in uno stesso luogo, l'associazione è un legame stabile che unisce ed organizza più persone in vista di uno scopo comune, e i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale (art. 18, co. 1, Cost.).

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

I partiti politici sono privi di personalità giuridica. Limitazioni di iscriversi ai partiti (art. 98, co. 2, Cost.) sono per i magistrati, militari di carriera in servizio attivo, funzionari e agenti di polizia, rappresentanti diplomatici e consolari all'estero.

La prima delle libertà sindacali è quella di costituire sindacati. L'organizzazione sindacale è libera (art. 39, co. 1, Cost.).

La stipulazione dei contratti collettivi di lavoro rimane una delle principali ragioni d'essere delle organizzazioni sindacali.

Accanto alla libertà di organizzazione, il diritto di sciopero costituisce la più importante delle libertà sindacali riconosciute dalla Costituzione.

Secondo l'art. 40 della Costituzione il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano. In ogni modo quando a causa delle modalità dello sciopero esista il pericolo di pregiudizio grave ai diritto fondamentali della persona, il Presidente del Consiglio o un Ministro delegato può ordinare lo svolgimento delle prestazioni indisponibili (precettazione).

Con la legge del 20/5/1970 n. 300 sono state dettate sia norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori; nel suo profilo individuale, che norme sulla tutela della libertà sindacale nei luoghi di lavoro, nel suo profilo di libertà collettiva. (statuto dei lavoratori).

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali (art. 10 Cost.). Inoltre lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.


33 (Gli istituti di solidarietà sociale)

Lo Stato ha il compito di assicurare alla vita associata un sistema di sicurezza sociale che veda protetti i cittadini da ogni evenienza, nella misura massima possibile. Vi sono forme di protezione per i cittadini ed inoltre per i lavoratori, e si riferiscono alle evenienze che possono accompagnare o seguire il rapporto di lavoro. Le prime costituiscono i servizi di assistenza, le seconde gli istituti di previdenza sociale.

I servizi di assistenza sanitaria sono fra i servizi di tipo assistenziale i più complessi. L'organizzazione dei servizi sanitari si basa su una rete di unità sanitarie locali di dimensione provinciale o sovracomunale, che sono aziende dotate di personalità giuridica, autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Dalle unità sanitarie dipendono le strutture tecniche e operative che svolgono i servizi e le prestazioni sanitarie, ad iniziare dagli ospedali.

Per i servizi di assistenza sociale (economica, domiciliare agli invalidi ed anziani, ecc.) non esiste un rete di servizi ma ogni compito viene attribuito ai Comuni.

A fondamento della previdenza sociale stanno considerazioni molto semplici: non esiste nessuno che non sia oggetto nel corso della sua vita ad invecchiare, divenendo perciò non più abile al lavoro, e non esiste nessuno che possa dirsi sottratto al rischio rappresentato dalle malattie e agli infortuni.

Nell'ambito di questo ci sono le assicurazioni sociali dei lavoratori, rivolte a combattere i rischi della vecchiaia, della malattia e degli infortuni; così è stabilita l'obbligatorietà di versamenti periodici (contributi) ad appositi enti pubblici (come l'INPS). Si provvede in questo modo ai trattamenti di quiescenza, finalizzati a fornire al lavoratore i mezzi di sussistenza per il periodo successivo alla cessazione della sua attività lavorativa. Il trattamento di quiescenza vero e proprio consiste nella assegnazione di un assegno periodico denominato pensione di vecchiaia.

Il compito di curare le malattie spetta a tutti, ma per il lavoratore lo stato di malattia impedisce di fornire la prestazione di lavoro. Le garanzia che egli ha dal sistema di sicurezza sociale si traducono nella conservazione del posto, e al mantenimento della retribuzione. Anche per le forme di invalidità sono predisposti degli strumenti di tutela e garanzia.

Altre garanzie normative riguardano la durata massima dell'orario di lavoro, il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali, parità tra uomo e donna, tutela del lavoro minorile.

Il licenziamento senza un giusta causa, che riguardano l'adempimento a ragioni inerenti all'attività produttiva è illegittimo.

NB. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale (art. 38, co. 3, Cost.).






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